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martedì 11 gennaio 2022

NAVIGLIO DI PORTA ROSA

Andato completamente perduto, pochi milanesi avranno ancora memoria del Naviglio che si nascondeva in corso XXII Marzo. Si chiamava Naviglio di Porta Tosa, anche conosciuto con il diminutivo “Naviglietto”.

Dove oggi si trova l’area di Largo Augusto, corso di Porta Vittoria e Via Francesco Sforza, al tempo scorrevano le acque di questo piccolo Naviglio, scavato intorno al XII secolo. Nell’anno Mille, il fiume Lambro era ancora navigabile e così, per poter usufruire maggiormente del Fosso Interno (Cerchia dei Navigli), fu deciso di creare un canale che li unisse.

Inizialmente il Naviglio era perfettamente navigabile, tuttavia una serie di aperture realizzate per poter prenderne l’acqua ed irrigare i campi tra Porta Tosa e il Lambro lo resero ben presto inutilizzabile. Successivamente, venne utilizzato come emissario per scaricare le piene del Seveso e dell’Adda ma, per impedire che superassero il Naviglietto e temendo eventuali allagamenti, venne fatta costruire una diga nel 1570.

Nel 1838 il canale venne coperto. Fu tra i primi ad esserlo.
Tutto il tratto tra la Cerchia dei Navigli e piazza Cinque Giornate, lungo corso di Porta Vittoria venne tombinato. Cinquant’anni più tardi anche il tratto tra la piazza e l’Osteria del Pellegrino, l’odierna piazza Santa Maria del Suffragio fu coperto, e infine anche il tratto fino a Monluè. Così, il Naviglietto venne dimenticato, coperto di terra e nascosto dagli occhi di tutti.

La sua copertura portò nel 1781 a ricavare dalle due strade, che gli erano state costruite accanto per trainare le barche, un unico grande viale chiamato Strada per la Senavra. Il nome fu cambiato nel 1787 per celebrare la giornata del 22 Marzo 1848, le famose Cinque giornate di Milano.


sabato 1 gennaio 2022

CANALE TICINELLO

Il Ticinello era un canale difensivo costruito nel 1152 da Castelletto di Abbiategrasso a Landriano, da Guglielmo da Guintellino a difesa di Milano dalle incursioni dei Pavesi alleati di Federico Barbarossa. Dove questo canale prendesse acqua non è certo, ma è possibile che lo facesse direttamente dal Ticino e, in questo caso, in una data anteriore a quella (il 1179 o il (1177) storicamente indicata come l'inizio dei lavori a Tornavento di Lonate Pozzolo per il futuro Naviglio Grande.

Congiunto il Ticino con Abbiategrasso, il Ticinello era un canale irriguo, che proseguiva fino a Casirate Olona, da dove continuava fino a confluire nel fiume Lambro Meridionale nei pressi di Landriano.

Prima della fine del XII secolo venne derivato, sempre da Castelletto di Abbiategrasso, un nuovo canale, che in un primo tempo raggiungeva Gaggiano e venne chiamato appunto navigio de Gazano (naviglio di Gaggiano) e che in seguito fu prolungato fino a Milano. Il canale venne terminato nel 1209.

Nel 1269, gli alvei del Ticinello fino ad Abbiategrasso e del naviglio di Gaggiano vennero notevolmente allargati, allo scopo di divenire navigabili. I lavori terminarono nel 1272. Il naviglio di Gaggiano assunse poi il nome di Naviglio Grande, mentre il nome di Ticinello restò al canale che da Abbiategrasso raggiungeva la Roggia Carona.

Con la costruzione del Naviglio di Bereguardo, canale che deriva le sue acque dal Naviglio Grande ad Abbiategrasso, costruito tra il 1420 ed il 1470, il Ticinello, subì un notevole impoverimento idrico.

Lo scolmatore del Naviglio Grande, una volta che questo giunse a Milano, proprio perché proseguimento dell'antico Ticinello, fu chiamato Cavo Ticinello: per volontà dei Torriani fu diretto a Selvanesco dove i signori di Milano possedevano vasti terreni. Rimase anche dopo la costruzione della Darsena di Porta Ticinese ad esserne l'emissario scolmatore, ruolo che mantiene ancora oggi con la Vettabbia. Dopo un lungo percorso sotterraneo, sbocca a cielo aperto a est di via dei Missaglia, attraversa l'omonimo parco Selvanesco e le sue acque finiscono nel Lambro Meridionale attraverso il reticolo irriguo tra questo e il Naviglio Pavese.

Il canale Ticinello è tuttora esistente, esso deriva le sue acque, come detto, dal Naviglio Grande presso il nodo idrico di Castelletto di Abbiategrasso, dove comincia anche il naviglio di Bereguardo.

In seguito lambisce MorimondoBubbianoRosate e Vernate dopodiché attraversa il centro di Binasco dove biforcandosi dà origine al Navigliaccio e sottopassa il Naviglio Pavese. Successivamente bagna Lacchiarella, e tra le frazioni di Mettone e di Casirate Olona (che si trovano poco oltre il centro abitato principale di Lacchiarella), riceve le acque del cavo Rainoldi e poco oltre si unisce alla Roggia Carona.

Oggi come un tempo, lo scopo del Ticinello è quello di irrigare i campi: infatti, durante il suo corso il canale alimenta numerose rogge.

NAVIGLIACCIO

Il Navigliaccio o Naviglio Vecchio  è un canale artificiale che ha l'incile a Binasco dal Canale Ticinello e che sfocia a Pavia nel Ticino. È l'antesignano del Naviglio Pavese.

Esistono testimonianze, tra le altre di Bernardino Corio, storico milanese (1459-1519), che Galeazzo II Visconti abbia fatto costruire, nel 1359, un naviglio tra Pavia e Milano avente la funzione di canale irrigatore destinato a portare l'acqua al Parco della Vernavola, area verde che si estende dal castello Visconteo di Pavia a oltre alla moderna Certosa di Pavia.

Il canale, a cui fu poi dato il nome di "Navigliaccio", venne scavato da Pavia a Binasco, comune distante 23 km da Milano, senza proseguire i lavori fino al capoluogo meneghino a causa delle difficoltà tecniche riscontrate lungo il percorso: i dislivelli da superare nell'ultimo tratto verso Milano erano troppo elevati, e quindi insuperabili, per i mezzi ingegneristici dell'epoca. A quei tempi non erano infatti ancora state inventate le conche di navigazione. Il completamento del Navigliaccio fu opera di Gian Galeazzo Visconti, figlio di Galeazzo II.

Intorno al 1470 il Magistrato delle ducali entrate affidò ad Andrea Calco, detto il Pelanda, la manutenzione e il mantenimento del Navigliaccio, che appare navigabile in tre lettere successive 1473-1475 di Gabriele Paleari, segretario di Galeazzo Maria Sforza. 

A conferma di ciò, vanno segnalati alcuni ritrovamenti compiuti un secolo dopo dagli ingegneri Giuseppe Meda e Francesco Romussi proprio sul Navigliaccio, dove furono individuate le vestigia di alcune conche di navigazione. Furono l'incuria dei magistrati e gli eccessivi prelievi d'acqua a renderlo non più navigabile e a comprometterne a tal punto la situazione che venne sostituito prima dal Naviglio di Bereguardo e poi dal Naviglio Pavese.

Il naviglio tra Milano e Pavia fu realizzato in seguito (scavato ex novo perché ritenuto più conveniente rispetto al ripristino della navigabilità sul Navigliaccio) prendendo il nome di Naviglio Pavese. Il Navigliaccio e il Naviglio Pavese corrono ancora oggi paralleli dal confine tra Binasco e Casarile, fino a poco fuori dal centro abitato di Pavia, lungo la strada provinciale 35 dei Giovi.

NAVIGLIO DI BEREGUARDO

In particolare, il naviglio di Bereguardo, iniziato già nel 1420, fu realizzato in gran parte tra il 1457 e il 1470 per volontà di Francesco I Sforza duca di Milano. Si stacca dal Naviglio Grande a Castelletto di Abbiategrasso, e si dirige verso sud, raggiungendo il Ticino, nel quale sfocia al ponte di Bereguardo, dopo circa 19 km. Ha una caduta di circa 24 metri, che viene superata con 12 conche. Sostituì il canale voluto da Gian Galeazzo Visconti e fino al 1819 restò l'unica via di collegamento tra Milano e il mare, fondamentale soprattutto per il trasporto del sale.

Le merci che dal Po, risalendo il Ticino nel suo primo tratto, erano destinate a Milano, dovevano essere trasbordate via terra su questo canale, attraverso il quale raggiungevano il Naviglio Grande e quindi la città. A volte erano le imbarcazioni stesse a essere trainate, con tutto il loro carico, per essere immesse nel naviglio da Bereguardo.

Il canale decadde all'inizio del XIX secolo, quando fu completato con il Naviglio Pavese il collegamento diretto di Milano con il Ticino, a breve distanza dalla sua confluenza nel Po. Barcaioli, mulattieri e trafficanti abbandonarono rapidamente quella scomoda situazione per trasferirsi a Pavia.

Privo di traffico, il naviglio fu declassato e ancora oggi funge da canale di irrigazione. Delle vecchie conche sopravvivono, in ottime condizioni, le parti in muratura e le pavimentazioni del fondo, a testimonianza della grande perizia degli ingegneri e delle maestranze che, tre secoli e mezzo fa, realizzarono l'opera. 

A Cascina Conca, tra Morimondo e Motta Visconti, la conca conserva addirittura la porta a valle, usata nel tempo come chiusa per la regolamentazione del flusso delle acque.

Il percorso, dopo l'ansa di Castelletto di Abbiategrasso, è praticamente rettilineo in direzione sud e si mantiene distante da strade di grande comunicazione, attraversando un paesaggio agricolo straordinariamente ubertoso, accompagnato da una comoda pista ciclabile, tutta asfaltata e priva di difficoltà se non l'assenza di ripari tra la carreggiata e l'acqua.

L'intero tracciato è ricompreso nel Parco del Ticino e non è percorribile da mezzi motorizzati, se non per un brevissimo tratto intermedio.

lunedì 13 dicembre 2021

IL LAGO DI VIA LARGA

copertura del grande Sevese in via Larga 

Una piana ricoperta di brughiere e foreste di latifoglie. Nelle zone con suoli più umidi, quindi anche prossimi all’attuale Via Larga. 

Sulle rive dei corsi d’acqua e nelle isole fluviali dominavano gli arbusteti di salici e, nelle zone paludose, si sviluppava una ricca flora erbacea palustre: canne, carici, tife.

Il fiume Sevese (o Seveso) scorreva sinuoso, formando in questo punto una specie di laguna, per poi scorrere verso sud est. Grazie ad una favorevole posizione, tra tutti questi corsi d’acqua e un terreno fertile, l’uomo iniziò a colonizzare la zona. Prima si insediarono gli insubri nel VI secolo a.C, e poi nel 222 a.C. i romani, che pian piano modificarono il “lago” formato dal Seveso. Essendo Milano al centro della fascia delle risorgive tra Adda e Ticino, questo territorio è sempre stato ricchissimo d’acqua e, per poter praticare l’agricoltura e muoversi in un terreno altrimenti soltanto paludoso, gli abitanti col tempo regolarizzarono forzatamente il flusso delle acque ricorrendo a canalizzazioni e drenaggi, cui si sovrapposero opere successive che, col tempo, fecero perdere traccia e memoria dei vecchi corsi d’acqua.

I romani realizzarono le mura difensive e, ai suoi piedi, una piccola banchina per l’attracco di imbarcazioni. Infatti, da una serie di scavi effettuati inizialmente negli anni 1935-1936 per l’apertura di piazza Diaz ed una seconda volta nel dopoguerra (1951 e 1954), emerse una banchina di porto tra il Bottonuto e Via S. Clemente, con un andamento parallelo alle mura romane, dalle quali distava ben quattordici metri. La banchina era larga circa due metri e mezzo, pavimentata con lastre di serizzo posate su palificazioni di rovere alte anch’esse due metri e mezzo. In Via Larga e in Via San Clemente si alzavano due torri, adibite alla sorveglianza delle barche o, forse, a magazzini.

In seguito la città si ingrandì: vennero edificate mura di difesa, così come nuovi canali, che cancellarono la memoria di un porto a due passi dal Duomo. Così nel Medioevo questa divenne la contrada del Brolio (che significa “pascolo”) e di San Giovanni in Agugirolo o Guggirolo. La via prese l’attuale nome di “Larga” dall’arrivo degli spagnoli, che la chiamarono in questo modo perché lunga (curiosamente, “larga” in spagnolo significa “lunga”). Oggi ci rimangono solo alcuni nomi di vie che ricordano la presenza di acqua nella zona, come Via Pantano, Via Laghetto, Via Poslaghetto (ora scomparsa) e le chiese – scomparse o quasi – di San Giovanni in Conca e San Giovanni Aquagirolo (nome dalle molteplici interpretazioni, tra le quali una inerente all’acqua). La chiesa di San Giovanni era anche chiamata “in Guggirolo”, dalla forma del campanile a punta. Se ci fate caso, Via Flavio Baracchini, Via Rastrelli, Via Palazzo Reale e Via San Clemente sono tutte delicatamente in discesa verso via Larga; cosa strana per una città pianeggiante come Milano. Ciò potrebbe significare che qui c’era un grande avvallamento.

venerdì 26 novembre 2021

ROGGIA SAN MARCO

Si trattava di un canale parallelo al Naviglio che alimentava la fabbrica di Tabacchi situata poco più in là. Possibile vedere dove rea posizionata andando al museo dei navigli.

giovedì 25 novembre 2021

CHIUSA TRII BASELLONI

Nel Parco delle Cave, adiacente la Cava Casati dove ha sede l’associazione “Il Bersagliere” e l'ingresso da Via Rossellini, c’è la storica chiusa idraulica denominata "Trii Baselloni" (Tre grossi gradini). La data di costruzione del “Trii Baselloni” risale al 1784 e, grazie ad un intervento di restauro compiuto nel 2002, ancor oggi costituisce un esempio storico di ingegneria idraulica e svolge alla perfezione il compito di smistare le acque irrigue delle aree agricole del Parco delle Cave.

FONTANILE FOMBIO

 

Il Fombio, in assoluto, era il più grande fontanile della Zona con sorgente a nord di Seguro nei pressi dell’attuale laghetto “Tre Sport”. Il corso d’acqua era gestito da un personaggio unico: il Livio Baroni. La lunga barba ed il carattere un poco “scontroso” gli conferivano un aspetto particolare, quasi d’eremita. Nella “Testa” del Fombio, ancora ricca d’acqua nonostante le condizioni disastrose dell’alveo che ancor oggi ne impediscono il normale defluire, era stata ricavata una ricca “peschiera” sorvegliata da alcuni cani alquanto “grintosi” e che ne sconsigliavano l’accesso od il solo avvicinamento in mancanza dei proprietari. Autentico prodigio di tecnica idraulica. Proprio a metà della “testa” del Fombio, in corrispondenza della griglia per il controllo dei pesci, c’era la confortevole “baracca” del Livio, in posizione ribassata rispetto al piano di campagna e quindi riparata dai venti e dalle intemperie. Una ubicazione ottimale che sfruttava le caratteristiche termiche delle acque sorgive le quali, per loro intrinseca caratteristica, oscillano tra i 10 ed i 15 gradi. Un luogo quindi “caldo” in inverno e decisamente “fresco” in estate. Condizioni ottimali, a parte l’elevato tasso di umidità. Come per tutti i luoghi più significativi sparsi sul nostro territorio, anche per il Fombio esistono alcune leggende una delle quali afferma che l’enorme scavo venne realizzato grazie all’impiego di prigionieri austriaci catturati nelle guerre risorgimentali. Per la maestosità di questo corso d’acqua, invece, la Gente di Baggio, per mandare una persona a “quel tal paese” usava questa colorita espressione : “Ma và a trass giò in del Fombi!” Un elemento di spicco quindi del nostro territorio. Ma a partire dagli anni ’70, con il generalizzato abbassamento della Falda Acquifera e la riconversione delle coltivazioni alla cosiddetta “monocoltura asciutta”, anche per il glorioso Fombio inizia un periodo di decadenza purtroppo ancora in corso. Il maestoso corso d’acqua si ridusse ben presto ad un misero rigagnolo e le poche acque che ancora scaturivano dalle sorgenti, trovavano grandi difficoltà a defluire a causa di ingenti quantità di rifiuti impunemente scaricati in alveo. Le sorgenti rischiarono di essiccarsi e per contrastare questa tendenza, il Livio Baroni con i figli posizionò nuovi tubi per captare acqua dal sottosuolo. L’intervento non diede però apprezzabili risultati. Ora l’accesso al Fombio si presenta problematico a causa di una miriade di cancelli e recinzioni a protezione delle aree circostanti riconvertite ad orto o a deposito di materiali ed attrezzature.

sabato 20 novembre 2021

TORRENTE GARBOGERA

La Garbogera nasce a Birago.

Fino a prima dell'opera di immissione in fogna  all'altezza di via Bovisasca percorrendo i territorio di Novate Milanese entrava a Milano percorrendo (tombinata) via Bovisasca per poi deviare verso est e solcare sotto il manto stradale i viali della circonvallazione esterna. Il Garbogera sottopassava lo Scalo Farini e lambiva il Cimitero Monumentale di Milano; proseguendo verso est si immetteva quindi nel Naviglio della Martesana nei pressi della confluenza del Seveso diventando Cavo Redefossi nei pressi dei Bastioni di Porta Nuova. In epoca medioevale venne limitato al Pontaccio ed immesso nel Grande Seveso. In seguito fu deciso di deviarlo verso il Cavo Redefossi all'altezza di via Giuseppe Avezzana.

venerdì 5 novembre 2021

LA CENTRALE IDRICA DI GORLA

Collegata all’acqua era anche la Centrale idrica “Gorla” di via Aristotele 28: un impianto di media potenzialità situato nel settore nord-orientale della città. L’impianto, entrato in funzione il 16 giugno 1932 (completamente rifatto nel 1966), era composto da 20 pozzi della portata base di 700 litri al secondo, dotati di tre elettropompe sommerse che attingevano acqua alla falda sotterranea. La falda sotterranea si trovava a circa 27 metri di profondità sotto il piano di campagna. Le acque venivano immesse in una vasca di accumulo e di decantazione della sabbia della capacità di 4.475 metri cubi. Attualmente la centrale funziona con due soli gruppi con una portata di 700 litri al secondo, pari a 2.500 metri cubi all’ora, per dodici ore al giorno che è il tempo di svuotamento della vasca. Un terzo gruppo viene mantenuto di riserva. La Centrale “Gorla” veniva utilizzata per rispondere alle richieste di base e non veniva fermata neppure durante la notte. La sua zona d’influenza era quella di viale Monza e via Palmanova. Con le recenti modifiche alla rete di distribuzione, la centrale di Gorla contribuisce oggi anche al rifornimento della zona nord in aiuto alle Centrali “Testi” e “Suzzani”.


ROGGIA ACQUALONGA

La Roggia Acqualunga “scavata affine di mantenere l’acqua necessaria allo spurgo dei canali sotterranei della città” aveva origine nel vicino territorio di Precotto, attraversava i terreni dei Finzi e sottopassava con un sifone il Naviglio Martesana. Oggi è interrata.In realtà l’Acqualunga non era una roggia (non era derivata, cioè, dal Naviglio), ma bensì un fontanile con tre capi-fonte: il primo a Precotto, esattamente all’altezza dei numeri civici 16-18 di Via Erodono; aveva tre “occhi” (o sorgenti); il secondo a Gorla nel terreno dei Finzi; il terzo a Turro, non lontano dalla Cascina del Governo Provvisorio. E’ ben vero che alcuni autori l’hanno chiamata impropriamente “roggia”; altri Seveso o canale di città, però si trattava pur sempre di un fontanile. E’ pressochè certo che un suo ramo alimentasse anche le Terme Erculee, che si trovavano fra Corso Vittorio Emanuele e Corso Europa. Secondo alcuni la roggia percorreva in cunicolo tutto il Corso Vittorio Emanuele alimentando all’altezza dei portici settentrionali, i due Battisteri di S. Stefano e San Giovanni alle fonti. A conferma di questo percorso è stato scoperto, in piazza San Babila, durante gli scavi per la linea 1 della metropolitana milanese, un ponte d’epoca romana che doveva servire a recuperare un corso d'acqua proveniente da Corso Venezia. Anche sotto il Corso Vittorio Emanuele sono state trovate tracce di un condotto. Verso la fine del XVIII secolo la roggia fu immessa nella Fossa Interna dei Navigli Milanesi all’altezza di Palazzo Serbelloni dopo aver percorso Corso Venezia a cielo aperto. L’Acqualunga era nota e utilizzata già in epoca romana poiché, oltre ad alimentare le Terme Erculee, assieme al Seveso e al Nirone, alimentava il fossato difensivo della città.Il catasto riporta con estrema precisione, sin dal 1720, il percorso del fontanile che assunse un’importanza notevole quando nell’Ottocento formò un laghetto di acqua corrente a lato di Villa FinziIl progetto del laghetto prevedeva anche l’impiego di barche.

sabato 30 ottobre 2021

LAGO DI NIGUARDA

Il lago di Niguarda (Lagh de Ninguarda) è un lago artificiale costruito nel 2015 nel quartiere di Niguarda a nord di Milano, al confine con il comune di Bresso. Si trova nel Parco Nord, precisamente nel Bosco di Bruzzano. Ha una superficie di circa 30000 metri quadrati avendo indicativamente 500 metri di lunghezza e 60 metri di larghezza. La profondità è di 4 metri[1].

Il lago riceve l'acqua del canale Villoresi (150 l/s.) attraverso il Parco GruBrìa. Il 14 aprile 2018 è stato aperto un chiosco e bar chiamato "Sun Strac" per poter sostare davanti al lago.

venerdì 29 ottobre 2021

I FONTANILI

 I fontanili erano noti sin dai tempi dei Romani, ma il loro sfruttamento raggiunse l’apice solo nel medioevo grazie all’opera dei Monaci Certosini che intuirono l’importanza del loro uso in agricoltura. La loro formazione era dovuta alla conformazione del sottosuolo della Pianura Padana che presentava a nord e nord-ovest terreni permeabili costituiti da massi e ciotoli di dimensioni decrescenti e sabbia; a sud e sud-est, da strati di argille impermeabili, frutto di stratificazioni successive. Il contatto fra i due tipi di terreno dava origine alla riemersione della falda acquifera e, di conseguenza, alla formazione di fontanili. La buona pratica dei fontanili s’imbatte ora nella forte antropizzazione del territorio e nello sfruttamento intensivo dell’acqua da parte delle industrie che ha portato alla quasi estinzione dei fontanili nell’area. Anche le rogge sono state quasi tutte prosciugate essendo venuta meno la loro funzione irrigua. Gli “Statuta Mediolanensis“ del 1396 stabilivano che le teste dei fontanili dovessero essere scavate solo a distanza minima di 20,8 metri dai corsi d’acqua (2 gittate da 10,4 mt ). Nel 1502 tale distanza fu raddoppiata.

I fontanili nell’area di Gorla
Tutti i fontanili della Zona sono asciutti da tempo a seguito dell’abbassamento della falda acquifera verificatosi nel dopoguerra per effetto dei prelievi delle industrie e l’opera diffusa della cementificazione. Non compaiono più da nessuna parte: unica eccezione l’Acqualunga, tutta combinata. Dalle vecchie mappe e documenti si ricordano: i fontanili di Precotto (Acqualunga, Fornasette), di Turro (fontanella di Turro e fontanone Bignami), quello di Greco (Settala e Refreddo), di Loreto (Bianchette e Fontana di Loreto), di Crescenzago (Tuono, dell'Asse ed altri).
La fontanella di Turro
Fra questi va forse menzionato quello che viene chiamato impropriamente la “Fontanella di Turro”, noto anche come Fontanile dell’Asse; si tratta di un fontanile con la sorgente su terreni della proprietà Ingegnoli a Turro, all’angolo fra Via Padova e Via Mosso. Il fontanile, che confluiva dopo il 1850 nel Cavo Taverna, fu prosciugato e coperto nel 1913 in seguito ad una convenzione fra il Comune e la proprietà Ingegnoli; al suo posto fu installata una “Fontanella” in ricordo di quella originaria.
Dispute intorno all’uso dei fontanili
Molti proprietari di terreni chiesero di poter imbrigliare le teste dei fontanili con tini per ricavare maggiore quantità d’acqua per muovere i propri mulini. Si accesero a questo proposito numerose dispute cui parteciparono anche gli stessi abitanti in nome di vecchie consuetudini e diritti di proprietà e d’uso. Spesso si chiedevano rialzamenti di muri divisori oppure la costruzione di vasche (“gore”) perché i “ruotoni” dei propri mulini o filatoi potessero funzionare “assolutamente e perpetuamente“ senza periodi di inattività. Il Sig. Giuseppe Brusati era molto attivo al riguardo. Alle istanze venivano spesso allegati dei disegni che riproducevano schematicamente l’impianto per la necessaria approvazione degli ispettori.

LE BOCCHE DELLA MARTESANA

 A Gorla le acque originavano quasi tutte dal Naviglio Martesana. Da un elenco dettagliato delle bocche: in sponda sinistra, a circa 78 metri dal Ponte di Crescenzago, le Bocche Giulina e Dardanona (in carico a Luigi Perego). Queste due bocche si riunivano subito a valle delle prese e costituivano la Roggia Dardanona, che per un lungo tratto percorreva la Via Padova. Dopo circa 438 metri, vi era il Bocchello delle Monache della Vecchiabbia (poi detta Vettabbia), in carico a Antonio Meli. Le monache avevano un Monastero in Corte Regina, con terreni irrigati dalla roggia. A 464,21 metri la Bocca Visconti presso la Cascina Piccapietra, in carico alla Congregazione di Carità (un guado di 3 metri serviva la lavanderia della Fabbriceria della Chiesa Parrocchiale, proprietaria per altri 396,5 metri del tratto di canale). A metri 64,70 la tombinatura sotto il naviglio della Roggia Scagna (in carico al Dal Verme); alla distanza di 549 metri, la Bocca Taverna, per 10 once magistrali continue di acqua (in carico al Taverna); a 379 metri dalla Bocca Taverna fino al guado davanti all’Osteria di Gorla, l’alzaia era curata dal proprietario dell’Osteria, Cappelletti Alessandro.

CONCA DI VIARENNA o CONCA DELLA FABBRICA

 Il Nome “Viarenna” potrebbe derivare o dalla storpiatura della vicina “via Arena”, luogo in cui in epoca romana era collocato un piccolo anfiteatro, smantellato nel medioevo per recuperarne le pietre; oppure dalla parola milanese “rena” che indicava la sabbia che veniva trasportata sui barconi.

La Conca di Viarenna (o di Via Arena, detta anche Conca del Vallone) è una conca di navigazione, ora in secca, situata in via Conca del Naviglio a Milano, costruita dalla Veneranda Fabbrica del Duomo tra il 1551 e il 1558 in sostituzione della precedente e omonima conca realizzata nel 1438, che venne demolita durante i lavori di costruzione delle mura spagnole di Milano.

Situata lungo il Naviglio Vallone, serviva per superare il dislivello di circa due metri che esisteva tra la Cerchia dei Navigli e la Darsena di Porta Ticinese, ovvero tra l'immissario e la foce del Naviglio Vallone. La Conca di Viarenna fu prima conca di navigazione costruita in Europa.

Il Naviglio Vallone fu realizzato tra il 1438 e il 1439 su volere di Filippo Maria Visconti per facilitare la costruzione del Duomo di Milano, che venne interamente ricoperto di marmo di Candoglia; era quindi attraversato, tra l'altro, anche dai barconi provenienti dal Lago Maggiore, dove si trovavano le cave di questo materiale da costruzione. Queste imbarcazioni, quando uscivano dal Lago Maggiore, imboccavano il fiume Ticino, poi il Naviglio Grande, il laghetto di Sant'Eustorgio (bacino artificiale che avrebbe poi dato origine, dopo l'ampliamento che subì nel XVII secolo, alla Darsena di Porta Ticinese), il Naviglio Vallone, la Cerchia dei Navigli e infine attraccavano al laghetto di Santo Stefano, che era situato nei pressi del cantiere del Duomo.

La Conca di Viarenna venne realizzata nel 1438 per superare il dislivello di circa due metri che esisteva tra la Cerchia dei Navigli e la Darsena di Porta Ticinese, ovvero tra l'immissario e la foce del Naviglio Vallone. La Conca di Viarenna fu prima conca di navigazione costruita in Europa. In seguito la Conca di Viarenna fu demolita durante i lavori di costruzione delle mura spagnole di Milano (1548-1562), venendo ricostruita tra il 1551 e il 1558.

Il Naviglio Vallone è stato completamente interrato contestualmente agli analoghi lavori di chiusura della Cerchia dei Navigli, ovvero tra il 1929 e il 1930, per necessità viabilistiche ed igieniche: queste ultime erano la conseguenza degli scarichi abusivi degli immobili costeggianti i canali, che finivano nella Cerchia dei Navigli anziché nella rete fognaria. Alla Conca di Viarenna s'interruppe così la via d'acqua che l'alimentava, e quindi è rimasta in secca.

Oggi rimane soltanto una lunga vasca con un’edicola, posta originariamente su uno dei lati, che, inciso su una lapide di marmo di Candoglia, riporta il decreto ducale che esenta dal pedaggio e dal dazio i barconi destinati al trasporto dei materiali per la costruzione del Duomo, con la formula “Ad Usum Fabricæ” (da qui si origina l’espressione “a ufo” per indicare chi non paga).
Sulla lapide si può leggere: “Una chiusa sotto l’epitaffio della Vergine Salvatrice costruita in pendio a causa di dislivello affinché le navi potessero andare da una parte all’altra della città con comodità, soggetta al fisco ed al tributo, Ludovico Duca di Milano diede in dono alla Fabbrica del Duomo nell’anno in cui sua moglie Beatrice d’Este morì, 1497”.
Con la copertura dei Naviglio Interno, verso la fine degli anni venti del Novecento, si è interrotta la via d’acqua e la conca è rimasta inutilizzata.

giovedì 28 ottobre 2021

FIUME MERLATA

 Il Merlata è un torrente che si origina a Baranzate dall'unione dei torrenti Nirone e Guisa e che termina il suo corso a Milano confluendo nell'Olona. È il penultimo affluente dell'Olona, alla sua sinistra idrografica.

Nasce a Baranzate dall'unione del torrente Nirone e del torrente Guisa e prosegue il suo corso verso sud. Giunto a Milano attraversa i quartieri di Gallaratese e di Lampugnano: poco più a ovest del versante meridionale del Monte Stella confluisce nell'Olona.

La qualità delle acque del Merlata è scadente. Lungo le sue rive si trovava, fino alla fine del secolo XIX, un'area boschiva planiziale chiamata Bosco della Merlata, che è poi scomparsa a inizio del XIX secolo a causa di disboscamenti. Il torrente dà il nome anche alla Cascina Merlata, quartiere di Milano adiacente al sito espositivo di Expo 2015 confinante con i quartieri di Roserio, Gallaratese e Musocco, nonché con il comune di Pero.

Le acque del Merlata non sono sempre finite nell'Olona, che è stato deviato verso Milano solo successivamente, dagli antichi Romani. Anticamente il Merlata confluiva nel torrente Bozzente garantendo, insieme agli altri corsi d'acqua appartenenti all'idrografia milanese, le acque necessarie all'approvvigionamento idrico della città. Il Bozzente in origine aveva infatti un alveo naturale autonomo che lo portava a raccogliere le acque del Lura, del Merlata per poi confluire nel Pudiga.

Come già accennato, furono gli antichi Romani a deviare l'Olona, all'altezza di Lucernate, frazione di Rho, nel letto del Bozzente e quindi poi verso l'alveo del Pudiga. Come destinazione finale del nuovo percorso dell'Olona fu scelto il fossato delle mura romane di Milano, dove riversava le sue acque nel canale Vetra (nome dato dagli antichi Romani al tratto terminale dell'alveo naturale del Nirone) all'altezza della moderna e omonima piazza: per realizzare questo obiettivo, gli antichi Romani prolungarono e allargarono il "canale Vetra" verso un'ansa naturale del Pudiga così da raccogliere anche le acque dell'Olona.

Il motivo della deviazione dell'Olona verso Milano va ricercata nel fabbisogno d'acqua della popolazione della città, diventata molto numerosa con il passare dei secoli: il modesto regime idrico di Seveso e Pudiga non era infatti più sufficiente a soddisfare le loro necessità. Gli antichi Romani decisero così di deviare il fiume Olona, che scorreva nelle campagne ad ovest di Milano. L'Olona garantiva infatti una quantità d'acqua di gran lunga superiore a quella di Seveso e Pudiga. Il nuovo alveo artificiale dell'Olona fu scavato ex novo solo per un breve tratto: giunti a Rho al torrente Bozzente, i progettisti allargarono il suo letto per poter accogliere una maggior portata d'acqua.

L'Olona originariamente proseguiva lungo il suo alveo naturale verso sud attraversando la moderna Settimo Milanese e passando a diversi chilometri da Milano per poi percorrere l'alveo dell'Olona inferiore o meridionale e sfociare nel Po a San Zenone. Con questa deviazione l'Olona cessò di esistere come fiume continuo dalle sorgenti alla foce.

L'Olona fu deviato verso Milano anche per un altro motivo: avere un corso d'acqua che costeggiasse interamente la via Severiana Augusta, antica strada romana che congiungeva Mediolanum (la moderna Milano) con il Verbannus Lacus (il Lago Verbano, ovvero il Lago Maggiore). Parte del tracciato della via Severiana Augusta, che venne utilizzato anche nel Medioevo e nei secoli seguenti, fu ripreso da Napoleone Bonaparte per realizzare la strada statale del Sempione

Gli antichi Romani reputarono fondamentale avere una via d'acqua che costeggiasse la via Severiana Augusta per dare un cospicuo incremento ai commerci lungo questa strada, soprattutto considerando il maggiore carico trasportabile sui barconi fluviali rispetto al semplice trasporto terrestre. L'opera di deviazione dell'Olona verso Milano venne realizzata in concomitanza alla costruzione della via Severiana Augusta, ovvero nei primi anni dell'Era volgare, cioè tra la fine dell'era repubblicana e i primi decenni dell'età imperiale romana.

«È volgare tradizione, presso molti, che i nostri nonni non viaggiassero e che venendo da Como a Milano, dovendo attraversare il bosco della Merlata, facessero testamento come il crociato che si recava in Terra Santa.»

(A. Bertarelli, A. Monti, Tre secoli di vita milanese nei documenti iconografici 1630-1875, Milano, 1927, p.281 e p.695)

PORTO FLUVIALE ROMANO DI MILANO

 Il porto fluviale romano di Milano fu un punto di attracco per piccole imbarcazioni realizzato a Mediolanum (la moderna Milano) lungo il fiume Seveso dagli antichi romani. È stato il primo porto fluviale di Milano ed era in comunicazione, tramite la Vettabbia, con il Lambro, quindi con il Po e infine con il mare Adriatico.

Davanti alle mura romane di Milano, tra le moderne via del Bottonuto e via San Clemente, si estendeva una banchina portuale affacciata ad un laghetto che consentiva l'attracco di piccole imbarcazioni in corrispondenza della moderna via Larga, lungo la quale scorreva il Seveso. Il laghetto venne in seguito prosciugato e fu al suo posto realizzata la fossa di scolo delle acque di scarico e dei rifiuti, chiamata butinucum, che diede poi il nome al quartiere Bottonuto. Questo fu il primo porto fluviale di Milano che era in comunicazione, tramite la Vettabbia, con il Lambro, quindi con il Po e infine con il mare Adriatico.

Restò il ricordo di tale laghetto nel nome della via Poslaghetto, scomparsa negli anni cinquanta del XX secolo per fare posto alla Torre Velasca. Di questo collegamento fa menzione nell'XI secolo Landolfo Seniore nella sua Historia Mediolanensis, mentre una "patente" di Liutprando re dei Longobardi (690-740) parla di un porto tra Lambro e Po. Ancora a favore della tesi, due ritrovamenti, uno in piazza Fontana e l'altro in via Larga, di un lungo manufatto romano (un pavimento litico su palafitte) che appare come una banchina portuale. Il materiale, costituito da lastre in serizzo di due metri e mezzo e pali di rovere, è conservato al Museo civico di storia naturale di Milano.

A causa del successivo prosciugamento e della seguente trasformazione in fossa di scolo delle acque di scarico e dei rifiuti, gli archeologi moderni, in questa area, hanno trovato una straordinaria discarica dell'antichità, che ha permesso loro di meglio ricostruire la vita quotidiana della Mediolanum imperiale.

Mediolanum era un importante snodo commerciale visto che, oltre alla presenza del porto fluviale, vi passavano la via Gallica, la via delle Gallie, la via Regina, la via Spluga, la via Mediolanum-Bellasium, la via Mediolanum-Bilitio, la via Mediolanum-Brixia, la via Mediolanum-Placentia, la via Mediolanum-Ticinum e la via Mediolanum-Verbannus.

Il laghetto fu realizzato modificando opportunamente una laguna naturale formata da un'ampia ansa naturale paludosa del Seveso. Per realizzarlo vennero bonificate le zone paludose (compresa quella dove sarebbe sorto il porto) e fu predisposta un'opera di canalizzazione del fiume così da renderlo navigabile da parte delle piccole imbarcazioni. Sorgeva nei pressi di Porta Tosa romana (lat. Porta Tonsa), da cui il nome della porta (tonsa in latino significa "remo").

Il piccolo porto fluviale era largo 7 metri e profondo 1,5. La banchine, in lastre di serizzo, erano ampie 2,5 metri, mentre le fondamenta erano realizzate in pali di rovere che entravano nel terreno fino a una profondità di 2,5 metri. In corrispondenza della moderna via Larga, la banchina distava 14 metri dalle mura. Lungo la banchina era anche presente una torre di guardia che serviva per tenere sotto osservazione il traffico fluviale e il magazzino dove venivano stipate temporaneamente le merci.

Per quasi due secoli ancora Mediolanum rimase una città profondamente celtica e poco romana; questi ultimi però iniziarono subito a modificare la città, romanizzandola tramite un colossale sistema di opere pubbliche, tipiche di Roma.

Il Foro, i canali di scolo, i templi delle divinità romane, le strade e le piazze lastricate, edifici in pietra, così rari in una Milano dove le cave di pietra distano decine di chilometri e un anello di mura difensive.

Oltre a queste opere i Romani deviarono anche dei corsi d'acqua, principalmente due, il Nirone e il Seveso; la loro deviazione serviva a creare un fossato difensivo che corresse esternamente alle nuove mura.

Il Nirono correva sul lato occidentale, il Seveso su quello orientale. I due canali vennero chiamati Piccolo e Grande Sevese (Sevese era il nome originale del fiume Seveso).

Il Grande Sevese, giunto all'altezza dell'odierno Verziere, poco a sud di Piazza Fontana, giungeva in un'area che presentava un vastissimo e profondo avvallamento che correva verso sud-est,partendo dalle mura, che correvano all'altezza delle odierne Vie delle Ore, Pecorari e Paolo da Cannobio, sino ad arrivare all'altezza dell'odierna Via Orti.
Quel gigantesco prato ridotto ad acquitrino venne dragato nella parte più a nord, trasformandolo in un laghetto artificiale, lungo circa 200 metri e profondo abbastanza per essere navigabile.
Sul lato nord furono costruite delle banchine per far attraccare navi e zattere e per scaricare le merci.
A ridosso del lago, sulla sponda settentrionale, sorse un quartiere a servizio del porto, con magazzini e depositi, ma anche taverne e locande.
Il quartiere divenne poi noto come Bottonuto; il nome pare derivi da "butinucum", una tecnica che i romani usavano per drenare i prati troppo intrisi d'acqua, come era il caso del prato a sud del porto.
La tecnica prevedeva l'utilizzo di anfore tagliate a metà, dette "butinucum", che facevano filtrare l'acqua dalla superficie verso il basso.
Mappa dell'antica Milano romana (Mediolanum) (sec. III-V) con indicate le mura e le porte romane di Milano, il foro romano di Milano, il teatro romano di Milano, l'anfiteatro romano di Milano, il circo romano di Milano, l'area del palazzo imperiale romano di Milano (in rosa più tenue), la zecca romana di Milano, le terme Erculee, il mausoleo imperiale di Milano, la via Porticata con l'arco trionfale, i magazzini annonari romani di Milano (lat. horrea), il porto fluviale romano di Milano, i castelli romani di Milano e le basiliche paleocristiane di MilanoIn blu la presunta area del porto, in giallo l'area del "brolo", in azzurro le mura romane del I° secolo a.C., in arancione il Foro Romano, in rosso il quartiere portuale, poi noto come Bottonuto.

FIUME LAMBRO

 Il Lambro (Lamber o Lambar ) è un fiume della Lombardia lungo 130 km, tributario di sinistra del Po.

Il colatore Lambro Meridionale, che si forma a Milano e raccoglie anche parte delle acque dell'Olona, è il suo maggiore affluente.

Il nome italiano del fiume deriva dal latino Lambrus, che deriva a sua volta da un antico lemma gallico, costruito da "lam", "palude". 

Di molto meno plausibile, e frutto dell'amore per l'antichità classica che è retaggio dell'afflato nazionalistico italico, appare l'idea di ascrivere l'etimologia al greco λαμπρως (lampròs) 'lucente', come la sua acqua. D'altronde le fonti classiche denotano come il Lambro nascesse sui monti occupati dai Celtoliguri (si veda al proposito Sidonio Apollinare, vescovo Gallo-romano del quinto secolo), e non appare che costoro fossero ellenofoni.

A detrimento della teoria del nome greco, si può osservare che Antonio de Beatis, segretario del cardinale Luigi d'Aragona, che accompagnò in un lungo viaggio in Europa, nel suo Diario di viaggio, descrive il Lambro in questo modo: "giunti al Lambro nei pressi di Monza, questo era fangosissimo, in antitesi con il suo nome".

Il fiume nasce dai monti del gruppo del San Primo (Triangolo lariano), a 944 metri, nell'area di Piano Rancio nel comune di Magreglio poco a nord del Ghisallo. La sorgente del Lambro è di tipo carsico e viene chiamata Menaresta perché "mena" cioè "va, porta" e "resta" cioè "rimane"; infatti un serbatoio a sifone sotterraneo, posto nella roccia calcarea, si riempie d'acqua a intervalli regolari, fino a traboccare con un flusso vivace per poi rallentarlo prima di caricarsi nuovamente; l'intero ciclo dura otto minuti. Dalla Menaresta un ruscelletto scorre quindi verso Magreglio.

Il fiume, che riceve il suo primo affluente (il Lambretto) a Lasnigo (le cui sorgenti sono nella conca di Crezzo), attraversa con corso rapido la Valassina, bagnando i centri di AssoCanzoPonte Lambro ed Erba. A Erba si immette nel lago di Pusiano.

Il termine "Lambrone" (Lambron in dialetto milanese) è il nome dato storicamente alla deviazione del fiume Lambro, fatta nel XIX secolo, per farlo sfociare nel lago di Pusiano. Questa deviazione, insieme a una diga chiamata Cavo Diotti, oggi ancora funzionante, risulta fondamentale nella regolazione del livello delle acque del medio corso del Lambro, salvando le città (Monza in primis) a valle. Il Cavo Diotti è la diga che regola il flusso in uscita dall'ampio bacino del lago di Pusiano (12.750 milioni di metri cubi). A causa delle dimensioni del bacino, la diga (composta da 2 paratie alte circa 70 cm) è classificata di importanza nazionale. La gestione del flusso delle acque è affidata al Consorzio del Parco regionale della Valle del Lambro.

Uscito dal lago il fiume riceve da destra l'emissario del lago di Alserio dopodiché bagna il centro di Merone. Da qui scorre con andamento tortuoso ai piedi delle colline moreniche (dove raccoglie le acque di svariati rii, rogge e di laghetti brianzoli) raggiungendo poi la città di Monza.

Subito dopo attraversa l'omonimo parco dividendosi poi, nei pressi della Chiesa del Carrobiolo in due rami: il Lambro, che passa sotto il Ponte dei Leoni, ed il Lambretto che fu fatto deviare nel XIV secolo dai Visconti per la difesa della città. Dalla sorgente nel gruppo montuoso di San Primo al Viale Cavriga nel Parco di Monza, il Lambro è il fiume della Brianza.

Uscito da Monza nuovamente con corso riunito, il fiume attraversa BrugherioSesto San Giovanni e Cologno Monzese (Parco Media Valle del Lambro), per poi scorrere sotto il ponte-canale del Naviglio della Martesana ricevendone le eventuali acque in eccesso ed entra a Milano di cui percorre, da nord a sud, tutta la periferia orientale. È il maggiore dei tre fiumi milanesi ed è l'unico a scorrere, per la maggior parte del tratto cittadino, a cielo aperto. Attraversa i quartieri di Cascina GobbaCimianoparco LambroLambrateOrtica-parco Forlanini, Ponte Lambro e Monluè.

Riceve la roggia Lirone, emissario dell'Idroscalo e alcune altre minori provenienti dall'est-Milano. Cimiano, Ortica e Lambrate furono accorpate al capoluogo nel 1923. Dal 2010 il comune di Milano sta compiendo lavori per la continuità dei tre parchi cittadini lungo il percorso del fiume e l'intera area rientra in quella, più estesa, del Parco sud. A Lambrate era presente lo stabilimento meccanico della Innocenti, che nel dopoguerra lanciò uno scooter che ebbe grande successo commerciale in tutto il mondo con il marchio Lambretta, nome ispirato al fiume.

Uscendo da Milano, a Peschiera Borromeo, il Lambro riceve le acque trattate dal depuratore Milano-est, a monte di Melegnano quelle del colatore Addetta che ne accrescono artificialmente la portata e, giunto a Melegnano, quelle del Cavo Redefossi, arricchite più a monte dalla Vettabbia, entrando poi alcuni chilometri a valle in provincia di Lodi.

Con corso più lento il fiume attraversa in seguito la cittadina di Sant'Angelo Lodigiano ricevendo da destra il Lambro meridionale. Con portata quasi raddoppiata il fiume prosegue lento bagnando il centro di San Colombano al Lambro, fungendo anche per un brevissimo tratto da confine fra le province di Lodi e Pavia, e una volta giunto a Orio Litta confluisce da sinistra nel Po. Il Consorzio del Basso Lambro raggruppa i 27 comuni interessati dall'ultimo tratto del fiume: qui non esiste una rete di collettamento delle acque unificata, ma ogni comune è dotato di depuratore e l'uso irriguo delle acque è ancora (2010) fortemente problematico.

Il fiume Lambro conta 27 affluenti, per lo più naturali ma di scarsa rilevanza quelli nella parte settentrionale del corso fino a Monza, più copiosi ma artificiali quelli da Milano alla foce nel Po, anche se scavati, come la Vettabbia, addirittura in epoca romana. Una modesta quantità d'acqua (1,2 m³/s) proviene direttamente dal depuratore Milano-est.

Anche più a monte, a Merone prima e a Brugherio dove è situato l'impianto di Monza San Rocco successivamente ,il Lambro riceve le acque trattate dai due depuratori che di fatto, in condizioni di tempo asciutto, ne rappresentano i due principali immissari dell'alto e medio corso.

Elenco degli affluenti:

  • Ruscà
  • Foce [Pusallo]
  • Sancio [Scet]
  • Ravella
  • Vallelunga
  • Bova—Il Lambro si immette nel Lago di Pusiano col nome di Lambrone --
  • Il lago di Pusiano è alimentato dall'emissario del Segrino—Il Lambro esce dal Lago di Pusiano --
  • Cavo Diotti (altro emissario del Lago di Pusiano)
  • Emissario di Alserio [Lago di Alserio]
  • Roggia Gallarana
  • Roggia Ghiringhella
  • Bevera di Molteno [Gandaloglio, Beveretta]
  • Cavolto
  • Bevera di Nibionno
  • Bevera di Renate
  • Brovada (affluente di sinistra in prossimità di Triuggio)
  • Cantalupo
  • Pegorino
  • Molgorana
  • Roggia Spazzola
  • Roggia Lirone [Idroscalo di Milano]
  • Colatore Addetta
  • Cavo Redefossi (Naviglio della Martesana, Seveso, Molia), Vettabbia, Cavo Taverna, Fontanile di Macconago, La Fogna]
  • Scaricatore Sillaro
  • Colatore Lissone
  • Colatore Lambro Meridionale, derivato a Milano dal Naviglio Grande e principale tributario del fiume (portata 2,6 m3/s) che a Milano a San Cristoforo riceve la parte delle acque dell'Olona, e del suo bacino idrografico, che non sono state deviate nel Canale Scolmatore di Nord Ovest o nel deviatore Olona, oltre che del Cavo Ticinello, della Roggia Pizzabrosa e della Roggia Taverna.
  • Cavo Sillaro [Roggia Fratta, Roggia Sillarina]
  • Scaricatore Venere

Fu Carlo Amoretti a descrivere per primo il curioso comportamento intercalante della sorgente del Lambro nel suo Viaggio da Milano ai Tre Laghi del 1791, descrivendo il fenomeno e la zona carsica circostante. Alcune incisioni rupestri non figurative, scoperte il secolo scorso, fanno risalire i primi insediamenti umani, che praticavano probabilmente il culto delle pietre, nell'area della sorgente al III-I millennio prima di Cristo. Il fiume discende rapido fino ai 320 metri del Piano d'Erba e qui, il brusco cambio di pendenza e il rallentamento della velocità dell'acqua hanno provocato danni e alluvioni fino dall'antichità per il frequente accumulo di detriti.

Le acque ostacolate nel loro naturale deflusso raggiungevano il lago di Pusiano in mille rivoli, spesso impaludandosi, e nel 1799 il fiume perse definitivamente l'alveo originario. Fu soltanto nel 1817, durante il dominio austriaco, che ne venne scavato uno artificiale, il Lambrone, sufficientemente largo e rettilineo per recapitare il fiume sino alla sua nuova foce nel lago nei pressi di Pusiano. Col suo apporto, il Lambro avrebbe tra l'altro dovuto innescarne il deflusso mantenendone il livello più alto. Nel corso naturale, il fiume passava tra questo lago a est e quello di Alserio a ovest, ricevendone entrambi gli emissari dove oggi è situato Pontenuovo di Merone: in periodi di secca le acque rigurgitavano nel primo senza defluire a valle e con le piene spesso i due laghi si congiungevano ridando vita al lago Eupilio descritto da Plinio il Vecchio.

Prima che la forza motrice delle acque del Lambro diventasse l'asse principale della protoindustrializzazione briantea, il lago di Pusiano fu già destinato a regolarne il flusso. A beneficiare dell'irrigazione erano soprattutto i fondi della basilica di San Giovanni Battista a Monza: i canonici imposero la costruzione della marmorea "soglia di San Giovanni", uno sfioratore mobile che controllava con precisione la quantità d'acqua rilasciate dal lago.

Pur di modesta profondità, il lago di Pusiano, anche nei periodi di secca, era comunque un serbatoio d'acqua dalle considerevoli potenzialità e fu così che un possidente e uomo d'affari milanese, l'avvocato Luigi Diotti, pensò di sfruttare la risorsa. Un affare molto simile gli era riuscito qualche anno prima per il Cavo Diotti (omonimo con la sopracitata diga sul lago di Pusiano), che interessava invece il fiume Olona. Si trattava di dare al lago un emissario a livello inferiore, scavandone uno artificiale con un breve tratto sotterraneo che sfociasse a una quota più bassa. Si accordò nel 1793 con il proprietario del lago, il marchese Antonio Mollo, con l'intesa sul carico delle spese e su una spartizione alla pari degli utili.

In quel periodo, ai numerosi mulini, lungo la valle, da Merone fino a Monza, si erano aggiunti vari nuovi opifici e un flusso regolare del fiume era ancora più necessario, così vennero avanzate le richieste per l'autorizzazione dei lavori, ma non erano tempi politicamente facili: la sovranità sulla Lombardia passò dall'Austria alla Francia nel maggio 1796, tornò brevemente agli Austriaci il 28 aprile 1799, ma il 2 giugno 1800 fu di nuovo francese: ogni volta che le pratiche autorizzative dell'opera sembravano compiute, si dovevano ricominciare presso una nuova autorità.

A complicare le cose, nel 1805 il marchese Mollo vendette il lago al marchese Gerolamo D'Adda, seppure con l'obbligo del rispetto dei patti a suo tempo sottoscritti col Diotti. Milano era diventata la capitale del Regno d'Italia ed Eugenio di Beauharnais era il Viceré e nel 1809 approvò il progetto; risiedeva spesso nella Villa Reale di Monza e ne voleva abbellire il parco e i diritti d'acqua del fiume non erano secondari. Nel 1811 il lago viene acquistato dal Monte Napoleone (la banca che gestiva il debito pubblico del regno) e dato in appannaggio al principe, mentre i non complicati lavori venivano compiuti, per un costo complessivo di 100.000 lire. Il 26 aprile 1814 il principe abdica e abbandona l'Italia e il nuovo governo del lombardo-veneto sceglierà per il Lambro la costruzione del Lambrone, che diventa operativo nel 1817.

Nel 1831 il governo decide la vendita del lago di Pusiano che viene acquistato da due ricchi banchieri, i fratelli Marietti. Questi nel 1834 decidono autonomamente, avendo la piena disponibilità dell'acqua, di aprire la chiusa e convogliarla a valle, provocando un'alluvione; così le prese sono murate d'autorità e l'acqua che sarebbe così utile resta nel bacino. Alla metà del secolo, dal Pontenuovo al Naviglio della Martesana si contano 57 opifici industriali, tra i quali sei setifici, cinque filature di cotone, due manifatture di cappelli e due cartiere, ma l'acqua, nei periodi estivi in particolare, continua a scarseggiare.

Vedano, è titolare di uno dei cotonifici Giulio Fumagalli: è convinto che al lago di Pusiano si potrà attingere solo una volta diventatine i proprietari e si fa promotore di un consorzio tra gli utenti (1876) che raggiungerà lo scopo l'anno successivo acquistandolo dal comune di Pusiano per 224.000 lire. Il consorzio, diventato società, gestirà, con grandi vantaggi dei soci e del Lambro finalmente regolarizzato, il lago e il Cavo Diotti fino al 1922, anno in cui le relative acque diventano pubbliche. All'epoca, la forza motrice dell'acqua viene sostituita dall'energia elettrica, ma il cavo ha continuato a funzionare da regolatore del fiume sino ai giorni nostri.

Nello scorcio del secolo scorso, per l'alta urbanizzazione della valle e la conseguente impermeabilizzazione dei suoli, la natura del rischio è mutata e ora è forte quello da inondazione. Dopo quella disastrosa del 2002 fu deciso che lago di Pusiano e Cavo Diotti dovessero rafforzare il loro ruolo di regolatori delle acque.

La proprietà è ora del demanio regionale e la gestione è affidata al parco regionale della Valle del Lambro e i lavori di ammodernamento si sono completati nell'ottobre del 2012. La storia del fiume si è intanto arricchita di un nuovo e per alcuni aspetti curioso capitolo: l'impianto il cui invaso (il lago stesso) supera il milione di metri cubi ha dovuto essere iscritto nel RID, il Registro Italiano Dighe e questo malgrado le paratoie che regolano lo scorrere dell'acqua siano soltanto due robuste tavole di rovere che non raggiungono, assieme, i quattro metri quadrati. Così il complesso sarà dotato dei più moderni strumenti di monitoraggio e sorveglianza e di personale altamente qualificato a tutto vantaggio dei cittadini rivieraschi.

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