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mercoledì 9 marzo 2022

PALAZZO DELLA PERMANENTE

Il Palazzo della Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente (a Milano conosciuto anche semplicemente come Palazzo della Permanente) dal 1881 è la sede della storica istituzione culturale.

Progettato nel 1881 da Luca Beltrami in stile revival neoclassico, l'edificio è stato parzialmente restaurato dagli architetti Giulio Richard e Paolo Mezzanotte tra il 1920 e il 1922.
Gravemente danneggiato dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, il Palazzo è stato completamente ricostruito, ad eccezione della facciata superstite e di poche altre preesistenze, dagli architetti e designer Pier Giacomo e Achille Castiglioni secondo i criteri del funzionalismo.
Il complesso è composto da un edificio orizzontale di sale destinate alle esposizioni organizzate dalla Società e una torre verticale per uffici.
Nel 1881 l'istituzione culturale della Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente acquista un terreno in via Turati (all'epoca denominata via Principe Umberto) per edificarvi la propria sede.
Il progetto viene affidato all'architetto Luca Beltrami (Milano 1854 – Roma 1933), docente di Architettura all'Accademia di Brera e al Politecnico di Milano e impegnato in quegli anni in importanti interventi di architettura e restauro nella città: il Castello Sforzesco e la ricostruzione della Torre del Filarete (1893-1911), la Sinagoga (1892), il Palazzo delle Assicurazioni Generali in Piazza Cordusio (1901).
Beltrami concepisce il palazzo della Permanente secondo uno stile neoclassico, suddividendo in modo schematico gli ambienti. La simmetrica facciata su via Turati, in pietra rossa di Verona, presenta al piano terra un ingresso a triplice apertura scandito da pilastri e due finestre rettangolari; la tripartizione è ripetuta al piano superiore nella loggia ad archi intervallata da colonne e affiancata da due finestre rettangolari con timpano triangolare. Sul fregio in facciata corre l'intitolazione del palazzo: Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente.
All'interno la scansione degli spazi si articola nel 1886, data dell'apertura al pubblico, in quattro sale illuminate da lucernari al piano terra, un cortile coperto e una galleria per l'esposizione di sculture conclusa da un giardino con caffetteria. Al piano superiore si accede attraverso una monumentale scala doppia in marmo. Al primo piano un grande salone è destinato ad eventi, conferenze e riunioni ed affiancato sui due lati da due ambienti per l'esposizione di oggetti.
Il palazzo viene restaurato tra il 1920 e il 1922 dagli architetti Giulio F. Richard e Paolo Mezzanotte: vengono eliminate le decorazioni pittoriche di Giovanni Battista Todeschini e di Giuseppe Mentessi, assistente di Beltrami all'Accademia di Brera, mentre rimane immutata l'architettura di Beltrami.
L'edificio viene pesantemente colpito dai bombardamenti del 1943, lasciando intatta soltanto la facciata su via Turati, tuttora esistente e tutelata come monumento nazionale.
Dopo l'esame di 17 proposte, nel 1949 il Sodalizio artistico sceglie per la ricostruzione della propria sede il progetto degli architetti e designer Pier Giacomo Castiglioni, Achille Castiglioni, con Luigi Fratino. I lavori prendono avvio l'anno successivo e si concludono nel 1953, quando la nuova sede viene aperta al pubblico completamente rinnovata.
Pur conservando alcune preesistenze, i Castiglioni ricostruiscono le sale secondo una nuova distribuzione e una nuova struttura di copertura. Il progetto dei Castiglioni rende l'allestimento delle sale per l'esposizione il più possibile flessibile grazie alla suddivisione in sale molto spaziose, da poter suddividere in spazi più piccoli mediante pareti mobili, pannelli con telaio in legno rivestito di tela, sostenute da tiranti in metallo, che scorrono grazie a una guida inserita nei muri perimetrali di ogni sala. La stessa guida può essere utilizzata per modulare l'impianto di illuminazione e per l'apprensione dei dipinti.
L'impianto di illuminazione prevede un'alternanza di lucernari in vetrocemento di forma cilindrica, dimensionati in modo da evitare l'abbagliamento, e riflettori incassati, dotati di lampade fluorescenti schermate: il risultato è un piano illuminante astratto, visivamente intervallato da punti e tratti di luce, con un'illuminazione diffusa. La copertura ospita anche gli aspiratori per il ricambio d'aria. Il pavimento delle sale, che contiene i pannelli radianti per il riscaldamento, è in mosaico alla veneziana, a grana piccola (marmo di Candoglia e Bardiglio).
La galleria per l'esposizione delle sculture si affaccia su un cortile interno. Il gioco di illuminazione radente e lo studio delle texture delle superfici delle pareti verticali rivestite di marmo, del pavimento a mosaico e del soffitto a stucco permettono l'illusione visiva di distacco delle pareti dal suolo.
Destinata ad ospitare uffici, la torre a tredici piani progettata dai fratelli Castiglioni è alta 53 metri e ne dista quasi 20 dal rettifilo di via Turati: concepita per una visione dal basso, come edificio infinito, è strutturata come “edificio interrotto”, senza una copertura dal forte impatto visivo. La facciata sfrutta come decorativi gli elementi strutturali: le travi perimetrali dei solai in cemento armato sono lasciate a vista costruendo un motivo a fasce orizzontali e le pareti rivestite in litoceramica sono regolarmente intervallate da aperture. Le finestre a tutta altezza in profilato metallico hanno tre diversi telai che consentono differenti aperture: uno inferiore fisso, i due superiori a saliscendi autobilanciati; il davanzale è una lastra di marmo bianco, la tenda veneziana in alluminio anodizzato. I pavimenti alternano mosaico di vetro nella galleria d'ingresso, travertino nell'atrio, palladiana nei disimpegni e linoleum negli uffici.
I serramenti interni sono in profilato di alluminio, mentre le porte a battente con struttura di abete a nido d'ape, rivestite in alluminio anodizzato. I Castiglioni integrano nell'edificio alcuni sistemi tecnologici: un servizio di posta pneumatica per la comunicazione tra gli atri e l'ufficio del custode, e i pannelli radianti con raffrescamento estivo.

FONTANA DI PIAZZA GRANDI E BUNKER


La piazza Grandi, così come è oggi, fa parte di una serie di interventi urbanistici che partono dall’inizio del Novecento, come definito dal piano urbanistico di allora, cosiddetto Piano Beruto.

La fontana è dedicata a Giuseppe Grandi, insigne scultore italiano ed esponente di spicco della Scapigliatura lombarda, che progettò, tra l’altro, il monumento alle Cinque Giornate di Milano ubicato nella piazza che porta lo stesso nome.
Il progetto della fontana -monumento è opera architettonica di Werther Sever, allievo di Adolfo Wildt, in collaborazione con Emilio Noel Winderling. Sulla spalletta del bacino si trova la dedica: ” A Giuseppe Grandi”. Venne inaugurata il 30 novembre 1936.
La fontana è composta da una vasca rettangolare di 400 mq ai cui angoli opposti troviamo da una parte un blocco di granito bianco di Montorfano, da cui precipita l’acqua che cade nella vasca. Dall’altra parte, su un basamento di pietra, troviamo la statua di un giovane nudo che sembra ammirare l’acqua che scorre. La composizione vuole rappresentare la meraviglia dell’uomo primitivo davanti al grande regalo della Natura e dovrebbe ricordare l’ispirazione alla natura da cui attingeva spesso Giuseppe Grandi. Ma perché un monumento simile in una piazza su una piccola collina artificiale?
La fontana serviva a nascondere 25 stanze sotterranee che formano un rifugio antiaereo
Sotto alla fontana di Piazza Grandi si nascondono 25 stanze, per un totale di 250 mq di spazio, che durante la Seconda Guerra Mondiale poteva ospitare fino a 400 persone.
La posizione e la struttura della fontana servivano a mascherare ciò che si celava sotto terra: la piccola collina artificiale era stata costruita in modo tale che, in caso di incendio degli edifici attorno, l’anidride carbonica sprigionata dalle fiamme non invadesse il rifugio. Il torrione invece nascondeva il camino che permetteva il ricircolo d’aria necessaria a far respirare chi si trovava all’interno.
Al rifugio si poteva accedere da diverse entrate poste ai lati della vasca che erano nascoste da lastre di ferro, in modo tale da farle mimetizzare con la pavimeRimane ancora un velo di mistero su questa piazza però: la fontana è stata inaugurata 4 anni prima che l’Italia entrasse nel secondo conflitto mondiale. Perché i milanesi avevano già un rifugio antiaereo? Magari inizialmente questo bunker era nato con un altro scopo, ma non si sa quale fosse.ntazione della piazza. All’interno le stanze sono tutte in cemento armato e come allora sono dotate di panche, secchi per l’acqua potabile e servizi igienici.
Un mistero ancora irrisolto: il rifugio è stato creato 4 anni prima che l’Italia entrasse in guerra
Rimane ancora un velo di mistero su questa piazza però: la fontana è stata inaugurata 4 anni prima che l’Italia entrasse nel secondo conflitto mondiale. Perché i milanesi avevano già un rifugio antiaereo? Magari inizialmente questo bunker era nato con un altro scopo, ma non si sa quale fosse.

GIARDINO SEGRETO DI VIA SAFFI

 visitabile solo in particolari periodi

oasi romantica a pochi passi dal Cenacolo di Leonardo da Vinci.
Un giardino meraviglioso e quasi segreto, veramente incredibile se pensiamo alla sua realizzazione in pieno centro cittadino, appare in tutta la sua bellezza al civico 25 di via Aurelio Saffi.
Qui, mini-sentieri acciottolati, piante secolari, rocce e angoli suggestivi richiamano alla mente deliziosi ritagli di una campagna dal sapore romantico. E se ci rendiamo conto che queste visioni distano solo due passi dal caotico corso Vercelli, le gradevoli realtà ci sembrano ancora più magiche.
Questo scorcio di verde venne realizzato verso il 1880 e, sino ai primi del Novecento, era possibile accedervi direttamente dalla strada. Successivamente, il noto industriale Ettore Conti volle annetterlo alla sede della Società anonima per Imprese Elettriche di cui era presidente, cosicché quella meraviglia di verde scomparve dalla vista dei passanti, con numerose e severe critiche da parte dei cittadini.
Nel 1915, Ettore Conti incaricò il giovane architetto e urbanista Piero Portaluppi di restaurare l’edificio di via Saffi, che si trova in posizione retrostante rispetto al giardino. Portaluppi, sempre in stretto contatto con il Conti, si stava avviando verso una brillante carriera: basti citare, tra l’altro, la realizzazione del padiglione italiano per l’Esposizione Universale di Barcellona del 1929, i restauri di Santa Maria delle Grazie dopo i bombardamenti subiti dalla chiesa nel corso del secondo conflitto mondiale, la progettazione del Planetario nei giardini di Porta Venezia e decine di altre importanti opere.
Ma, malgrado questo suo superlavoro, Ettore Conti trovò il modo di ordinargli una successiva “rifinitura” dello stabile di via Saffi.
Portaluppi non si fece pregare due volte: decorò la casa e in parte anche il giardino, rifacendo pure la portineria in stile Art Déco. Inoltre, inserì curiose figure geometriche a zig zag nella cancellata che divide il giardino dal garage.
Visitabile in giorni particolari, un sito ove è possibile:

martedì 1 marzo 2022

PALAZZO BONACOSSA

Il palazzo fu costruito, in concomitanza con la sistemazione dell'area antistante il castello Sforzesco, a partire dal 1894 su progetto dell'architetto Antonio Comini.

Il palazzo è realizzato in uno stile revival ispirato al rinascimento italiano che avrebbe preso piede nel quartiere negli anni a venire, ad esempio con casa Sardi ispirata al rinascimento fiorentino e lombardo. 

Il pian terreno decorato con monofore e il primo piano sono coperti in un bugnato mutuato dal palazzo dei Diamanti ferrarese, mentre il secondo ed il terzo piano, costruiti in un differente tipo di bugnato e bifore alla fiorentina, sono chiaramente ispirati all'architettura di palazzo Strozzi. L'ultimo piano, meno monumentale dei sottostanti, è decorato con bifore e rilievi.

Al palazzo Bonacossa vi è un museo di Arte e scienza

venerdì 25 febbraio 2022

CASA MUSEO BOSCHI DI STEFANO

La Casa Museo Boschi Di Stefano si trova all’interno di una palazzina realizzata, tra il 1929 e il 1931, sotto la direzione artistica dell’architetto Piero Portaluppi. L’edificio, che prese il nome di “Casa Radici-Di Stefano” è frutto di due interventi distinti, anche se coordinati e riconducibili agli stessi committenti: la porzione su via Aldrovandi, di proprietà della Società Anonima Immobiliare Aldrovandi, amministrata da Gino Radici; quella su via Jan, amministrata della Società Immobiliare Picena, controllata da Francesco Di Stefano. Queste due sezioni furono costruite contemporaneamente dall’Impresa Di Stefano & Radici.
L’appartamento sede della Casa Museo Boschi Di Stefano presenta, al suo interno, alcuni degli elementi più interessanti dell’architettura di Portaluppi, sebbene semplificati per realizzare un’abitazione a uso civile: le facciate con tripartizione orizzontale; le leggere asimmetrie; il disegno delle modanature; le cornici delle finestre; le opere in ferro.Uno degli aspetti particolari della palazzina è la soluzione d’angolo che vede lo spigolo dell’edificio trasparire dall’incastro del volume dei bow-windows.
Antonio Boschi e Marieda Di Stefano

Antonio Boschi e Marieda Di Stefano si sposano nel 1927. Antonio, nato a Novara nel 1896, si era trasferito a Milano alla fine della guerra per frequentare il Politecnico, dove aveva conseguito la laurea in ingegneria. Dopo alcuni anni di lavoro a Budapest era rientrato in Italia per occuparsi della produzione e lavorazione della gomma presso la Pirelli.
Marieda, nata a Milano nel 1901 da una famiglia originaria delle Marche, aveva studiato scultura presso lo studio dell’artista Luigi Amigoni, e da questi era stata avviata alla lavorazione della ceramica, passione che non avrebbe abbandonato.

Conosciutisi durante una vacanza in Val Sesia, i due coniugi condividono la passione per l’arte. Nella palazzina costruita dal padre di Marieda, Francesco, nella quale si trasferiscono poco dopo il loro matrimonio, collezionano circa duemila opere tra dipinti, sculture e pezzi di arte antica. Amici degli artisti e loro sostenitori, partecipano della vitalità e della varietà di proposte della città di Milano, riuscendo a far propri quadri rappresentativi della cultura artistica italiana.
Alla Pirelli Antonio lavora sino all'età della pensione. La società gli offrirà un’onorificenza per la sua lunga collaborazione, durata dal 1926 al 1965 e costellata da importanti brevetti, come il GIUBO (Giunto Boschi): un giunto costituito da tasselli di gomma disposti a forma di poligono, utile per assorbire le vibrazioni dei veicoli e utilizzato per la prima volta nell’Alfa Romeo modello 1900 prodotta tra il 1950 e il 1959.

Oltre a viaggiare in compagnia del marito, Marieda continua a coltivare l’interesse per la ceramica. Dal 1953 espone le sue sculture, a cadenza quasi annuale, presso la galleria Montenapoleone e partecipa a numerose collettive e concorsi nelle città italiana. Questa attitudine e i riconoscimenti ottenuti la conducono, nel 1962, ad aprire una Scuola di ceramica al piano terra della palazzina di via Jan.

Nel 1968, Marieda viene a mancare. L’amore per l’arte condiviso con la moglie spingerà Antonio Boschi, nel 1974, a donare le opere raccolte al Comune di Milano.
Il museo
La prima esposizione della collezione Boschi di Stefano si situa a Palazzo Reale nel 1974, con una mostra a cura dall’allora direttore delle Civiche raccolte d’arte, Mercedes Precerutti Garberi, il cui ruolo fu determinante per assicurare una raccolta tanto importante alla città di Milano. Allora il capoluogo lombardo non poteva ancora vantare un museo dedicato all’arte del Novecento, ma se ne stava progettando la realizzazione al piano nobile di Palazzo Reale. Nel 1984 nasceva il CIMAC (Civico Museo d’Arte Contemporanea) che, in attesa di una collocazione definitiva, fu collocato al secondo piano di Palazzo Reale. Ben centoquaranta tra le opere esposte nel percorso del nascente museo provenivano dalla Collezione Boschi Di Stefano.

Negli stessi anni Antonio Boschi, alla vigilia della morte, avvenuta nel 1987, compiva una seconda donazione a favore del comune di Milano, comprendente gli acquisti compiuti dopo la scomparsa della moglie Marieda. L’ampiezza della raccolta e la sua unicità facevano sì che, a fianco del progetto di realizzazione di un museo dedicato all'arte contemporanea (che man mano prendeva forma nell'idea di utilizzare l’Arengario in Piazza Duomo) si iniziassero i lavori di adattamento dell’appartamento Boschi al ruolo di casa-museo.
La Casa Museo Boschi di Stefano è stata inaugurata nel 2003. Motivi di conservazione e sicurezza, nonché le modifiche subite dall'appartamento per diventare museo, hanno imposto una selezione delle opere, che dunque non riflettono la sistemazione originaria. Tuttavia, l’organizzazione dei dipinti in una quadreria mantiene fede alla distribuzione particolarmente fitta che caratterizzava le sale quando i coniugi Boschi erano ancora in vita e di cui resta testimonianza in una serie di fotografie scattate da Gabriele Basilico. L’allestimento, curato da Maria Teresa Fiorio, ha privilegiato una presentazione cronologica della collezione, più facile e comprensibile al pubblico dei visitatori.
Fatta eccezione per pochi mobili, gli arredi della Casa Museo sono frutto di una serie di acquisti mirati compiuti dalla Fondazione Boschi Di Stefano nel rispetto dello stile dell’edificio e dell’epoca di nascita della collezione.
da martedì a domenica, ore 10.00 - 18.00
Informazioni
tel: +39 02 88463736
Chiusura
Tutti i Lunedì
1° gennaio | 1° maggio | 15 agosto | 25 dicembre

PALAZZO DURINI di Monza - Via Santa Maria Valle 2 Milano

Il Palazzo Durini in Via Santa Maria Valle 2 a Milano, oggi sede della Fondazione Alessandro Durini, ha origini medioevali.Il Palazzo Durini in Via Santa Maria Valle 2 a Milano, oggi sede della Fondazione Alessandro Durini, ha origini medioevali.

Residenza di Conti di Monza che ancora oggi lo abitano e lo vivono come luogo privato ma aperto agli artisti e agli amatori dell'Arte.

Il Palazzo Durini è stato dichiarato dal Ministero dei beni culturali, di interesse artistico. Fu la residenza di Vercellino Visconti dei duchi di Milano e attraverso vari passaggi ereditari entrò a far parte dei beni della famiglia Durini. La corte barocca e la facciata neoclassica testimoniano un susseguirsi di interventi svoltisi nei secoli e gli interni sono ricchi di stucchi barocchetti attribuibili a Martino Knoller. Il palazzo fu abitato nei primi decenni dell'Ottocento dal pittore e collezionista Giuseppe Bossi e vi tenne il suo studio milanese lo scultore Antonio Canova.

Palazzo Durini fu una delle prime case museo aperte al pubblico di Milano. Vi erano conservati tra le numerose opere d'arte il Cristo Morto del Mantegna ora a Brera, i disegni di Leonardo ora all’Ambrosiana e la ricchissima collezione duriniana di monete antiche ora ai musei dell'Accademia di Venezia

Il Bossi vi tenne corsi di pittura, creando così la prima accademia di pittura milanese riconosciuta e voluta dal governo napoleonico. Alla morte del maestro l'accademia fu spostata al palazzo di Brera.Residenza di Conti di Monza che ancora oggi lo abitano e lo vivono come luogo privato ma aperto agli artisti e agli amatori dell'Arte.

Il Palazzo Durini è stato dichiarato dal Ministero dei beni culturali, di interesse artistico. Fu la residenza di Vercellino Visconti dei duchi di Milano e attraverso vari passaggi ereditari entrò a far parte dei beni della famiglia Durini. La corte barocca e la facciata neoclassica testimoniano un susseguirsi di interventi svoltisi nei secoli e gli interni sono ricchi di stucchi barocchetti attribuibili a Martino Knoller. Il palazzo fu abitato nei primi decenni dell'Ottocento dal pittore e collezionista Giuseppe Bossi e vi tenne il suo studio milanese lo scultore Antonio Canova.

Palazzo Durini fu una delle prime case museo aperte al pubblico di Milano. Vi erano conservati tra le numerose opere d'arte il Cristo Morto del Mantegna ora a Brera, i disegni di Leonardo ora all’Ambrosiana e la ricchissima collezione duriniana di monete antiche ora ai musei dell'Accademia di Venezia

Il Bossi vi tenne corsi di pittura, creando così la prima accademia di pittura milanese riconosciuta e voluta dal governo napoleonico. Alla morte del maestro l'accademia fu spostata al palazzo di Brera.

 Oggi il palazzo e proprietà della Fondazione Alessandro Durini.

Le sale a piano terreno sono un susseguirsi di ambienti arredati con importanti dipinti e arredi storici provenienti dalla famosa collezione Durini di cui molte opere sono visibili nei musei milanesi come il Castello Sforzesco e la Galleria d'Arte Moderna, dove sono pervenute alla fine degli anni '50 per una donazione fatta da Don Teobaldo Durini di Monza. Tutte le sale sono disposte intorno ad un cortile di grande bellezza e armonia tipico della Lombardia seicentesca.

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PALAZZO DEGLI SCAPIGLIATI - CICOGNA

In via Vivaio, a Milano, nella seconda metà dell'ottocento, due erano i punti di ritrovo degli Scapigliati: l'osteria del Polpetta e il giardino dei Cicogna nella parte coltivata ad ortaglia. A quei tempi corso Monforte terminava sui bastioni chiusi, dalle larghe ombre degli ippocastani giganteschi, in mezzo ai bei giardini patrizi e alle vaste e pingui ortaglie. Il mezzo di collegamento con questa zona bucolica era un enorme vecchio omnibus color verde pisello, che trasportava rarissimi passeggeri. Via Vivaio, come suggerisce il toponimo, era una via campestre, con un paio di case moderne accanto a un paio di antiche case rurali. Vi abitavano molti artisti, amanti della quiete: De Albertis, Francesco Fontana, Eugenio Perego, Giuseppe Barbaglia, Borgomainerio. Il ritrovo comune a mezzogiorno era presso «il Polpetta», sull'angolo di via Conservatorio, dove convenivano anche Tranquillo Cremona, Giuseppe Grandi ed Emilio Praga, che abitava in Monforte. La polpetta milanese, piatto povero e di recupero per antonomasia, era così famosa fra gli scapigliati che il poeta e commediografo dialettale Ferdinando Fontana compose la «Polpetta del Re». «Il Parco è stato definito irreale - in quanto ancor oggi ha preservato la stessa tipologia floreale del 700, l'unico colore è manifestato da un piccolo pesco e le siepi mantengono la sobrietà del tempo». Palazzo Cicogna è forse oggi l'unico esempio rimasto a Milano che abbia conservato l'aspetto di una «grande casa da nobile». L'immobile fu iniziato nel 500 in stile rinascimentale dalla famiglia Arrigoni. Nel 1569 venne venduto e solo nel 1828 diventò proprietà del conte Cailo Cicogna Mozzoni. Questi fece chiudere il cortile verso corso Monforte con una decorazione romantica dell'architetto Sanquirico. Tale costruzione neogotica fu molto criticata perché in contrasto con l'aspetto severo del cortile. Solo nel 1972, a distanza di 150 anni, è stata ripristinata l'antica facciata in tinta unita ed è stato completato il cortile con una quarta facciata in stile rinascimentale, identica a quella originale. 
Lo studio legale Campagnolo, fondato nel 1991, è ospitato proprio nello splendido palazzo Cicogna con ingresso da corso Monforte e via S. Damiano. «Lo Studio contiene affreschi del 600 appena restaurati soffitti in legno con cassettoni in oro zecchino, maioliche dipinte a mano, specchiere del 700, statue in marmo, camini decorati con stemmi in ferro battuto. Dal lato che dava su via Vivaio l'area era coltivata ad ortaglia, qui, grazie a una intraprendente famiglia di portinai, ebbe origine la Scapigliatura milanese.
Il Palazzo di proprietà dei conti Cicogna, al 23 di Corso Monforte c’è l’ingresso della casa padronale, e una targa ricorda che lì ebbe lo studio Lucio Fontana
Lucio Fontana lavorò qui, in corso Monforte 23, in una stanza al piano terra del grande palazzo dei conti Cicogna Mozzoni, dal 1952 (lo stesso anno in cui sposa Teresita Rasini), fino alla morte nel 1968: lasciò lo studio e Milano per Comabbio, e il 7 settembre si spense per una crisi cardiaca all’ospedale di Varese. «Tutte le sue opere, soprattutto quelle pittoriche, per sedici anni sono state prodotte in quello studio, a parte le ceramiche che faceva ad Albissola raccontano alla Fondazione Fontana, voluta dalla moglie, che ha sede nello stesso stabile . Era un luogo molto vivace in cui riceveva spesso moltissime persone che arrivavano non solo per vedere i suoi quadri ma anche per il gusto di parlare con lui».

Lo spazio non ha cambiato destinazione. Dopo l’abbandono di Fontana divenne una galleria, famoso per i suoi "tagli" oggi venduti a prezzi inavvicinabili, ha usato in molti quadri. 
A tanti anni di distanza è rimasto tale e quale lui lo aveva voluto e vissuto. Uno studio tutto sommato piccolo, una quarantina di metri quadrati, tant’è che lo allestì con un doppio soppalco dove si rifugiava a riposare quando era stanco. 
Ma in un nobile palazzo e affacciato con una luminosa porta finestra su uno splendido parco giardino privato di cui non sembra vedersi fine, uno di quei gioielli verdi invisibili ai più di cui Milano è ricca. 
Poi c’è la botola sul pavimento, con quel particolare di assi di legno che non tutti conoscono, ben occultata sul pavimento e colorata, all’interno, del tipico rosa che l’artista argentino, che apriva per scendere scalette ripide e scure: porta in un grande spazio interrato, lo scantinato ampio dove teneva le opere, a volte lavorava, e dove fu anche fotografato più volte, attorniato dai suoi "Concetto Spaziale".
E ancora oggi, come in un sacrario, nell’angolo in fondo contro un muro del magazzino semi vuoto rimangono i resti dei ferri del mestiere del grande artista: un tavolino molto vissuto su cui stanno al pari di reliquie dimenticate bottiglie con colori per la pittura a spruzzo, pennelli e frammenti di vetro colorato con strane forme, riviste coperte da un velo di polvere. 
lo stesso edificio oggi ospita la Fondazione dedicata al pittore e scultore. Un’altra targa, interna, è del 25 aprile 1984, firmata dall’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini per rendere onore al conte Alessandro Cicogna Mozzoni, «combattente per la libertà» nelle file dell’esercito tra il ’43 e il ’45: il capofamiglia, scomparso nel marzo scorso all’età di 99 anni.
Per visitare il Palazzo e lo Studio: www.studiolegalecampagnolo.com

RESIDENZA VIGNALE

La Residenza Vignale è un edificio la cui struttura risale agli inizi del Novecento, nell’ambito del liberty milanese, con interni di raffinata bellezza.
Le quattro sale di ricevimento e l’ampio ingresso, dominato da un imponente scalone, si differenziano per colori e tipologie e sono arredate con mobili antichi di grande pregio; ubicate al piano terreno, si affacciano su un cortile fiorito, che può essere utilizzato congiuntamente agli ambienti interni.
La costruzione della villa risale agli anni 1905-1907, nascendo come dimora di un principe austriaco desideroso di risiedere a Milano, perché innamorato di una giovane milanese.
Il progetto originale, firmato dall’architetto Gattermayer, è frutto anche della collaborazione con l’austriaco Adolf Loos, acrchitetto viennese di spicco di fine 800.
Nella facciata di taglio semplice e pulito si uniscono elementi decorativi di gusto austriaco tradizionale, come il balcone a quadri e del liberty milanese, come i putti che sorreggono il terrazzo.
Il corpo principale, destinato a residenza del Principe, è a due piani: al piano terra i grandi saloni
con accesso sul cortile, al primo piano camere da letto e salottini.
Sull’altro lato del cortile si trovano gli alloggi della servitù, inseriti in un curioso edificio con modanature di legno scuro e un grazioso bovindo.
Vi sono anche la scuderia per i cavalli e il deposito per la carrozza, protetto quest’ultimo da una pensilina di ferro elegantemente decorata.
Dopo la morte in battaglia del principe, nel 1914, la casa passa nelle mani di diversi proprietari.
Viene sopraelevata di alcuni piani negli anni ’50, ma mantiene ugualmente intatto l’antico fascino della facciata e del cortile.
All’interno l’arredo è composto da specchiere e console dorate, arazzi, quadri, tappeti e un raffinatissimo salottino siciliano in boiserie e specchi.
Rimane assolutamente immutato l’aspetto originario in tutta la struttura di base, dai soffitti elegantemente decorati, ai pavimenti in parquet e marmo, al taglio pulito e grandioso dello scalone e delle sale.
Dopo un minuzioso intervento di restauro, nel 2002 la casa diventa una sede di prestigio per eventi, congressi, esposizioni con il nome di Residenza Vignale.
Per visite vedere calendario eventi "Miguidi"

PALAZZO BAROZZI

La storia dell'Istituto dei Ciechi è storia di Milano e dei milanesi che lo hanno voluto e sostenuto a partire dal 1840. L'ideazione dell'Istituto risale al lontano 1836 e ha un nome: Michele Barozzi. Il Barozzi iniziò il suo incarico presso la "Pia Casa di Industria" sita in Via S. Vincenzo, organizzando un reparto per i non vedenti. Il nascente Istituto trovò nei Conti Mondolfo i suoi principali benefattori, essi acquistarono spazi presso Porta Nuova, ove l'Istituto si trasferì. Niente era più comunicativo, infatti, della bontà nel mondo milanese dell'800. Era dunque naturale che il suo esempio facesse non pochi proseliti.
Nel 1864, l'Istituto di Milano aveva adottato, primo in Italia, l'alfabeto "Braille", destinato ad assumere una così grande importanza nella istruzione dei ciechi. Il 12 ottobre del 1892 l'Istituto lasciava la sede di Porta Nuova per quella definitiva di via Vivaio. "Così, senza un piano prestabilito", è scritto in un opuscolo uscito proprio alla vigilia della prima guerra mondiale, "ma per nativa espansione di un'idea che parve santa, l'idea dei ciechi aveva fatto il suo buon cammino. Anche in questo, Milano si era messa alla testa delle altre città d'Italia. E sorgerà l'Asilo per i bambini ciechi in quanto era indispensabile avere una scuola materna, preparatoria.
La sede dell'Istituto dei Ciechi fu progettata dall'Arch. Giuseppe Pirovano e edificata in seguito ad un importante lascito. La costruzione, inaugurata il 3 novembre 1892, è sorta con lo scopo di ospitare i fanciulli non vedenti e curare la loro istruzione. Nel 1925 l'Istituto realizzerà il pensionato Casa Famiglia. Nel 1926 l'Istituto dei Ciechi è dichiarato Istituto Scolastico ed è posto alle dipendenze del Ministero della Pubblica Istruzione. Nel 1933 le Scuole elementari vengono parificate. Nel 1939 vede l'istituzione della Scuola di Avviamento Professionale per ciechi: essa assorbe il laboratorio di vimini, la falegnameria e il maglificio.
La minaccia dei bombardamenti, durante la seconda guerra mondiale, consiglia lo sfollamento che si effettua con l'inizio del 1943. Nel 1946 l'Istituto riapre le porte alla propria comunità, l'anno successivo la sede riprende la sua vita normale. Negli ultimi decenni molti cambiamenti sono intervenuti a ridare nuovo impulso all'operato dell'Istituto orientando le scelte verso nuovi servizi più aderenti ai moderni concetti di assistenza e di educazione. È questa, in sintesi, la storia di una Istituzione che ormai è entrata nel cuore dei milanesi e che si impone all'ammirazione di tutto il Paese. È la storia di una istituzione che dal 1840 continua ad operare per il bene dei ciechi.
L'edificio comprende un corpo centrale, che comprende il salone dei concerti, e due corpi laterali simmetrici, che si affacciano su due cortili porticati divisi a metà da un’elegante loggia.

La facciata del palazzo, sobria e lineare, è posta dietro un da un piazzale con aiuole e alberi ed è scandita in tre ordini (piano terreno, primo piano e secondo piano) e presenta la parte centrale lievemente avanzata e coronata da un frontone a timpano.

L'ingresso è caratterizzato da un colonnato in stile dorico, separato dal resto degli interni da una cancellata in ferro battuto di pregevole fattura. Sulla sinistra è presente una lastra in marmo che ricorda al visitatore l’inaugurazione della nuova sede di via Vivaio, avvenuta il 3 novembre 1892 alla presenza di Umberto I e la regina Margherita.

Il salone dei concerti, chiamata anche sala Barozzi, è riccamente decorato in stile eclettico (notare le somiglianze con le decorazioni all'interno della Basilica di San Calimero, risalenti allo stesso periodo). Esso comprende un'ampia balconata e un grande organo. Dietro al salone è presente un'ulteriore sala, inizialmente avente funzione di cappella.

Intorno allo scalone d’onore trovano posto quadri con i ritratti di benefattori dell’Istituto. Al piano superiore, dove si è accolti da un elegante atrio, sulla parete del quale è appesa la grande tela opera di Francesco de Magistris che ritrae il fondatore dell’Istituto Michele Barozzi, è presente la sala Stoppani, la sala di gala più piccola, mentre alle pareti si trovano altri quadri di benefattori dell'istituto.

Il secondo piano, infine, ospita le collezioni del Museo Braille, con documenti, strumenti e oggetti diversi, relativi alla storia dei metodi di scrittura utilizzati nel corso del tempo dai non vedenti.

Gli esterni sono caratterizzati dai bei colonnati che circondano i cortili interni.

L’Istituto dei Ciechi di Milano possiede un ricco patrimonio costituito da centinaia di opere d’arte, dipinti e sculture, entrati a far parte della raccolta dell'Istituto tramite donazioni e lasciti di benefattori.

L'Istituto dei Ciechi di Milano si occupa di promuovere "l'indipendenza, l'autonomia, la scelta di opportunità formative e culturali dei disabili visivi attraverso la ricerca, lo studio, la formazione e l'offerta di servizi necessari per l'educazione, lo sviluppo personale, professionale e la gestione della vita quotidiana."
per visite guidate

CASA VERDI

“L’OPERA MIA PIÙ BELLA” Così la definì più volte il Maestro da Busseto, che volle la Casa di Riposo per Musicisti come ultimo e lungimirante atto d ella sua vita.
“L’opera di cui vado più fiero è la casa che ho fatto costruire a Milano per accogliere musicisti anziani”, dichiarava all’epoca Giuseppe Verdi, uno tra i più celebri compositori italiani di tutti i tempi, l’autore non solo del Nabucco, dell’Aida, ma anche de il Rigoletto, Il Trovatore, La Traviata e tanto altro. L’opera in questione è la Casa di Riposo per Musicisti, o meglio “Casa Verdi”, come ci tenne a chiamarla il maestro, per sgomberare il campo da quel senso di malinconia legato anche al migliore degli ospizi. Di fatto l’imponente edificio neogotico che abbraccia un intero angolo di piazza Buonarroti è un luogo in cui, dal 10 ottobre 1902, anniversario della nascita del Maestro, trovano ospitalità musicisti, cantanti, ballerini e direttori d’orchestra che hanno superato i 65 anni. Costruita dall’architetto Camillo Boito tra il 1896 e il 1899 la struttura, su esplicita richiesta del compositore, fu infatti inaugurata solo dopo la sua morte (27 gennaio 1901). E proprio nel nome “Casa Verdi” c’è tutto il senso del luogo, a dire che lì era casa sua, come se davvero il grande padrone di casa fosse rimasto da qualche parte ad accogliere gli ospiti. E un po’ è così, dato che c’è la cripta dove lui che, per dirla con D’Annunzio “Pianse e amò per tutti”, è sepolto assieme alla moglie Giuseppina Strepponi e soprattutto ci sono i suoi oggetti. C’è lo studio di Genova, dove andava a trascorrere l’inverno, con il pianoforte, ci sono i mobili della sala da pranzo, con le iniziali incise su sedie e credenza, l’indimenticato cilindro, gli abiti e, tra gli altri, una copia del ritratto di Giovanni Boldini con sciarpa e cappello, che è l’immagine sua più celebre dopo quella che troneggiava fiera sulle vecchie mille lire. Ed entrando in quest’ambiente Ottocentesco, insieme suntuoso e severo, con grandi finestre, ampi spazi e mobili in stile, si viene tuttavia catturati da un mondo che pare da sempre uguale a se stesso, quasi a sancire un tacito patto tra generazioni. Non a caso dal 1998 Casa Verdi ospita, accanto ai musicisti anziani (in tutto circa 60 tra autosufficienti e non), anche 16 giovani studenti di musica (8 maschi e 8 femmine) che possono godere dei privilegi della struttura condividendo con gli anziani un po’ del proprio tempo a pranzo o a cena. Del resto qui, l’unica grande protagonista è la musica, che riecheggia ovunque tra scale, corridoi, androni e saloni, ora diffusa dagli altoparlanti, ora suonata dagli ospiti che cantano o si esercitano con gli strumenti che li accompagnano da una vita. Perché quello che conta, anche a Casa Verdi non è il passato, ma il presente carico di avvenire.
La cripta di Verdi è visitabile dalle 8.30 alle 18.00.
Le Sale museali e il Salone d'Onore sono visitabili solo su prenotazione da parte di gruppi di visitatori.

TRATTO DI STRADA ROMANA

I bei palazzi di epoca imperiale – che dovettero abbellire Mediolanum nel corso del tempo – vennero smontati e fatti a pezzi per diventare materiale per le nuove abitazioni più moderne. Ecco perché oggi della Milano romana, paleocristiana e medioevale è rimasto ben poco.
un bel tratto di strada romana venuto alla luce quando, sul finire degli anni Cinquanta del secolo ‘900, si scavò per costruire la metropolitana, la linea 1.
A dire il vero si tratta di un incrocio stradale rinvenuto esattamente sotto l’attuale via dei Mercanti: un lastricato in pietre che formava l’incrocio tra il Cardo e la strada che portava alla porta Argentea, Bergamo e alle Terme Erculee (l’odierno Largo Corsia dei Seri). A lato del lastricato si trovava anche una base per una struttura che aveva i lati di quasi 7 metri e un’altezza di circa 3,5.
Già nell’Ottocento venne rinvenuta una struttura simile in piazza Duomo, durante le demolizioni del Rebecchino (l’edificio posto a sud nela vecchia piazza del Duomo).
La vicinanza dei due basamenti e le affinità nelle loro dimensioni inducono a credere che essi avessero funzioni simili o fossero collegati. Posti com’erano all’incrocio di antiche strade che partivano dal centro urbano e sulla linea di confine di quella porzione di Milano che già alla fine del II secolo a.C. mostra un preciso orientamento e che in età augustea ospiterà il foro da una parte (piazza Santo Sepolcro) e la zona religiosa dall’altra (odierna piazza del Duomo).
I due basamenti avrebbero potuto sottolineare l’importanza di questa antica area all’interno di un tessuto urbano in espansione, una sorta di obelisco, cippo commemorativo o torre alta con nicchie e decorazioni.
Noi abbiamo provato a dare un idea di come potesse apparire questo misterioso manufatto posto all’incrocio tra il Cardo Massimo e la via per Porta Argentea (San Babila).
Oggi i resti del lastricato e della torre si trovano in un angolo del mezzanino della M1 Duomo.

lunedì 7 febbraio 2022

MUSEO VIGILI DEL FUOCO

 

Il Museo storico dei vigili del fuoco di Milano raccoglie cimeli, automezzi, attrezzature, divise, documenti che raccontano duecento anni di storia del 52º corpo dei vigili del fuoco di Milano.

Il museo fu fondato dal comandante Ugo Penné nel 1912 in occasione del centenario del Corpo. Il museo superò indenne i bombardamenti del 1943 e le pompe a vapore, trainate dai cavalli, furono riportate in servizio per estinguere gli incendi causati dagli spezzoni incendiari sganciati dai bombardieri nemici.

La struttura che accoglie il museo, rinnovata nel 1998, ospita fra i cimeli più importanti un'autopompa Isotta Fraschini risalente agli anni trenta e la vettura da incendio Bianchi S9, insieme a tutte le uniformi e i dispositivi utilizzati dal corpo, a partire dal periodo napoleonico fino ai giorni attuali.


02 319 0376

PALAZZO MELZI D'ERIL

 Il palazzo fu costruito nel '700 e completamente rinnovato nella facciata nel 1830 da Giacomo Moraglia che le diede l'aspetto attuale. La decorazione della facciata è molto semplice: il pian terreno è in bugnato liscio con l'ingresso ad arco racchiuso tra due lesene che terminano sulla balconata principale del piano nobile. L'ingresso è inoltre decorato con bassorilievi nello spazio tra le lesene e l'arco e con una figura di un Ercole sulla chiave di volta. Le finestre ai piani superiori sono decorate da semplici modanature rettilinee.

Gli interni, decisamente più ricchi dell'esterno, risalgono invece alla prima costruzione neoclassica, compreso il cortile porticato a loggia architravata. Era celebre per la sua bellezza il giardino del palazzo, andato distrutto per la costruzione della sede della Montecatini negli anni '30.

Di proprietà della famiglia Del Carretto, il palazzo venne acquistato nel 1805 da Francesco Melzi d'Eril, illuminato esponente dell'aristocrazia milanese chiamato da Napoleone a ricoprire la carica di vicepresidente della Repubblica Italiana. Il Melzi fece operare un primo rifacimento in forme neoclassiche, proseguito poi nel 1841 su impulso del pronipote Lodovico ad opera dell'architetto Giacomo Moraglia, che lo aggiornò al nuovo gusto. Sede oggi della Fondazione Cariplo, il palazzo ha recentemente subito un completo restauro, che ha riportato agli antichi splendori il cortile d'onore, lo scalone monumentale, e le sale decorate del piano nobile, tra le quali il bellissimo studiolo pompeiano. Il palazzo ospita inoltre una parte dell'imponente raccolta d'arte della Fondazione, da Tiepolo ai dipinti dell'Ottocento e del primo Novecento.
visitabile con il FAI

PARCO DEL CITYLIFE

CityLife vanta uno tra i parchi più ampi di Milano, ma soprattutto è ricco di opere d’arte che lo rendono un vero museo a cielo aperto tutto...