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mercoledì 9 marzo 2022

PALAZZO PIRANESI

 primo palazzo del ghiaccio d'Europa.

con la pista tra le più grandi al mondo
Il Palazzo del Ghiaccio di Milano è uno splendido edificio in stile Liberty in via Piranesi voluto dal campione nazionale di pattinaggio, il Conte Alberto Bonacossa, e inaugurato il 28 dicembre 1923. Con i suoi 1800 metri quadrati di pista, il Palazzo era, all’epoca, la principale pista ghiaccio coperta d’Europa e una delle più grandi al mondo. L’imponente copertura in ferro, legno e vetro costituiva un felice incontro di virtuosismo architettonico e rigore ingegneristico.
Duramente colpito dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, che hanno gravemente danneggiato le decorazioni dell’interno, il Palazzo del Ghiaccio ha riaperto al pubblico dopo il conflitto, rimanendo attivo fino al 2002. In 80 anni di attività, il Palazzo ha ospitato molti dei più importanti appuntamenti agonistici milanesi, non solo su ghiaccio, ma anche di pugilato, scherma e pallacanestro; è stato inoltre sede di attività sportive amatoriali, eventi di intrattenimento, sfilate di moda e proiezioni cinematografiche.
Memorabili anche i concerti, tra cui, il debutto assoluto di Adriano Celentano al “Festival Italiano del Rock and Roll” del 1957, la “Sei giorni della Canzone” con Mina nel 1959 e le esibizioni di Giorgio Gaber, Enzo Jannacci, Luigi Tenco, e il concerto dei Pink Floyd nel 1971.

COLLEGIO CALCHI TAEGGI

 Anticamente era un monastero degli Scolopi. Gli Scolopi o Piaristi altrimenti detto "dei chierici regolari poveri della Madre di Dio delle scuole pie", risalgono alle scuole popolari gratuite, appunto scuole pie, fondate da Giuseppe Colasanzio.

Dobbiamo risalire al XII secolo per avere notizie di questo monastero, passando poi all'Ordine Domenicano nel 1505 con Bolla di papa Giulio II. Arriviamo così al 1792 quando il monastero venne acquistato per dare spazio al Collegio Calchi Taegi. Prende il nome da Girolamo Calchi nobile e potente famiglia e dal conte Ambrogio Giovanni Taeggi. Maria Teresa d'Austria, nel 1780, decretò che il Collegio Calchi assorbisse il Collegio sito presso le scuole Taverne.

Queste, conosciute anche come scuola di leggere, scrivere e far di conto, erano state abbandonate dagli Scolopi. Sei anni dopo, su ordine di Giuseppe II, fu trasferito a Pavia e aggregato al Collegio Taegi diretto dai Padri Barnabiti. Nel 1833 si decise di mettere mano ai lavori per recuperare le antiche strutture del monastero e adeguarlo alle nuove esigenze per un ginnasio convitto.

Durante le Cinque giornate di Milano, il convitto vi partecipò attivamente, ospitando poi il comando militare piemontese. Al ritorno degli Austriaci, per punizione il convitto venne chiuso e la sua sede, che al momento era in Porta Vigentina, fu trasformata in caserma. Riaprì nel 1851, dopo che gli austriaci avevano abbandonato Milano, ospitando un numero limitato di convittori.

Quando la Lombardia divenne parte del Regno d'Italia, i beni del Collegio Calchi Taeggi passò alla Municipalità milanese la quale non riuscì a far fronte alle spese, ridimensionando così ulteriormente il numero degli studenti. Nel 1876 il Collegio divenne una Istituzione Autonoma e poté rifiorire, ritornando attivo ed efficiente. Un accordo tra il Comune e il Ministero della Guerra vede il Collegio destinato a temporanea sede del Comando Divisione Legnano, siamo nel 1927, cosa che portò alla sua definitiva soppressione nel 1935.

Nel dopoguerra le cose cambiano ancora, infatti, parte viene adibita a scuola di musica, alcuni locali dalla Civica Biblioteca di zona, dall'Istituto Tecnico Oriani-Mazzini e da una scuola materna sistemata in un'ala laterale mentre al piano superiore vede la presenza l'auditorium Lattuada. Purtroppo nel 1971, per incuria irresponsabile, crolla la chiesa tardo cinquecentesca di san Bernardo, che era stata adibita a officina. Sulla via Vigentina restano visibili i resti delle tre cappelle della navata destra. Si decise di dare seguito ad una seria ristrutturazione , che durò per molto tempo sino a che nel 2003 riapre al pubblico con la Biblioteca Vigentina. È bene ricordare che nel Collegio Calchi Taeggi insegnò anche Emilio De Marchi, scrittore e traduttore ritenuto tra i più importanti narratori del secondo Ottocento italiano.

lunedì 7 febbraio 2022

PIO ISTITUTO DEI SORDI

Il Pio Istituto Sordomuti nasce nella seconda metà dell’800 grazie alla generosità del Conte Paolo Taverna che si avvale dell’aiuto di don Eliseo Ghislandi, giovane catechista dell’Imperial Regio Istituto di Milano. Dagli incontri tra il Ghislandi ed il Conte Taverna, risalenti al 1850, nacque l’idea di realizzare un istituto che potesse occuparsi dei bisogni delle persone sorde; negli anni successivi i due filantropi avviarono progressivamente la realizzazione dell’Istituto. La prima riunione ufficiale della Commissione destinata ad amministrare l’ente si tenne il 21 aprile 1852 e rappresentò il momento nel quale vennero definiti i tratti caratteristici della futura istituzione. Nella stessa riunione si stabilì di realizzare una sezione femminile che sarebbe stata affidata alle Madri Canossiane di Milano. L’ente venne originariamente denominato “Pio Istituto Sordomuti Poveri di Campagna” perché destinato ad accogliere i sordomuti meno abbienti della provincia.

Nel mese di Novembre dell’anno 1853 i primi sei sordomuti poveri entrarono nella sede dell’Istituto di Via San Vincenzo in Prato mentre le prime sei sordomute furono affidate alle cure delle Madri Canossiane che le accolsero nello stabile di Via Chiusa 9 dando il via a quella intensa collaborazione che ancor oggi si perpetua tra le due istituzioni. Il nuovo istituto fu costituito formalmente con la pubblicazione dell’atto istitutivo nella Gazzetta Ufficiale di Milano del 26 febbraio 1854.

L’Istituto si preoccupò da subito degli aspetti educativi degli assistiti e già nel 1855 fu rilevata la necessità di provvedere alla nomina di un rettore che ne assumesse la direzione; l’8 giugno 1855 il giovane don Giulio Tarra, già avviato alla conoscenza del linguaggio mimico dei sordi dal pittore sordo Felice Carbonera, venne nominato primo rettore dell’Istituto. Il 29 gennaio 1863 l’Istituto venne eretto in Corpo Morale con Regio Decreto che stabilì, tra l’altro, come l’amministrazione dell’istituto dovesse essere affidata ad una apposita commissione di sette membri compreso il presidente. Don Giulio Tarra si dedicò da subito alla predisposizione di nuovi metodi di studio per i giovani sordi sviluppando sempre più il cosiddetto “metodo orale” con il quale sostituì il “metodo mimico” tradizionale; l’Istituto diretto da don Giulio Tarra diventò un esempio ed un riferimento per gli analoghi istituti sorti nelle città lombarde e nel 1871 don Giulio Tarra diede l’avvio alla pubblicazione del periodico “L’educazione dei sordomuti” mentre, in occasione dell’esposizione internazionale di Parigi del 1878 e su invito del Ministro dell’Istruzione, don Giulio Tarra preparò una relazione relativa all’uso del metodo da lui predisposto. Nel 1880 entrava in istituto come Vicerettore catechista, don Luigi Casanova che diventerà rettore nel 1889; sempre nel 1880, dal 6 all’11 settembre, si svolse a Milano il II Congresso Internazionale di Maestri Sordomuti sotto il patrocinio dell’Istituto e la presidenza di don Giulio Tarra. Nel novembre del 1885 cominciava a funzionare la nuova casa di Via Galvani inaugurata ufficialmente solo il 17 giugno dell’anno successivo.

Il 10 giugno del 1889 moriva don Giulio Tarra cui succedette nella carica di rettore don Luigi Casanova. Nel 1890 l’Istituto, al pari di tutti gli enti assistenziali operanti in Italia, subì l’applicazione della legge 17 luglio 1890 n. 6972 e diventò Istituzione Pubblica di Assistenza e Beneficenza (IPAB). Nel 1897 le sordomute povere, con le loro maestre Canossiane, si trasferirono nella nuova sede di Via Settembrini, l’anno successivo spirava don Eliseo Ghislandi. Il 18 febbraio 1911 moriva improvvisamente don Luigi Casanova al quale deve ascriversi, tra le tanti iniziative, la fondazione del periodico “Giulio Tarra”.

Il 12 Aprile 1912 il Consiglio di Amministrazione del Pio Istituto Sordomuti nominò il nuovo rettore nella persona di don Giovanni Battista Pasetti ed il nuovo Vicerettore nella persona di don Giulio Broggi. Nel 1947, con la morte di don Giovanni Battista Pasetti, subentrò nella carica di rettore don Giulio Broggi. Nell’ottobre del 1954, con una serie di iniziative ad ampio respiro, si celebrò il centenario dell’istituto sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica Luigi Einaudi.

Il 1° luglio 1969 Mons. Giulio Broggi, compiuti 83 anni, presentò le proprie dimissioni dall’incarico di rettore e venne chiamato a succedergli don Emilio Puricelli, maestro in Istituto dal 1954. A seguito della legge 4 agosto 1977, 517 “Norme sulla valutazione degli alunni e sull’abolizione degli esami di riparazione nonché altre norme di modifica dell’ordinamento scolastico” l’insegnamento ai sordomuti viene affidato alle scuole pubbliche e l’Istituto assistette alla progressiva diminuzione dei suoi alunni fino alla chiusura dell’attività didattica avvenuta nel giugno del 1994. A seguito di questi eventi il Pio Istituto Sordomuti ha avviato una riconversione del proprio patrimonio al fine di poter definire, in modo nuovo ed in parte diverso, le risorse disponibili per avviare nuovi interventi assistenziali nel rispetto dei principi etici e religiosi dei suoi fondatori. Con deliberazione della Giunta Regionale n. 29421 del 13 novembre 1992, che ha dato applicazione alle leggi regionali 27 marzo 1990 n. 21 e n. 22 le quali hanno recepito la precedente sentenza della Corte Costituzionale n. 396 del 24.3/7.4.1988, l’Istituto ha modificato il proprio assetto istituzionale ritornando alla originaria natura giuridica privata.



lunedì 31 gennaio 2022

OSPEDALE SAN PAOLO

 

Venne costruito nel quartiere Barona tra il 1964 e il 1978 su progetto dell'architetto Carlo Casati, con l'obiettivo di avere 650 posti letto, ampliabili sino a 1.200 in caso di necessità. Dal 1987 è anche sede di un polo universitario.

mercoledì 19 gennaio 2022

CASERMA MAMELI

 

Fu costruita in zona periferica inizio sec. XX, nelle adiacenze dell'attuale Università Milano-Bicocca. L'impianto planimetrico dell'area in questione si articola intorno ad un vasto nucleo centrale costituito da una lunga area rettangolare destinata a piazza d'armi che dall'ingresso principale si estende sino al fronte e che ospita alle estremità una serie di 6 immobili di forma a C, disposti simmetricamente, con il lato più corto rivolto in direzione del cortile. Tali immobili hanno uno sviluppo in alzato di un piano fuori terra ed erano originariamente destinati all'alloggiamento delle truppe e dei loro cavalli. Realizzati in maniera seriale attraverso la ripetizione di un tipo architettonico consolidato tali edifici presentano un prospetto anonimo ma non privo di interesse, le cui caratteristiche ricorrenti sono la regolarità nelle aperture lungo il fronte, la posizione centrale dell'ingresso con un portale avente decorazione in bugnato finto rustico. Sono ancora presenti le finiture originali.

sabato 15 gennaio 2022

TENNIS CLUB ALBERTO BONACOSSA

Il Tennis comincia a diffondersi in Italia sul finire dell’ottocento. Sono gli inglesi a praticarlo e farlo conoscere durante i lunghi soggiorni nel nostro paese.

Nel 1893 nasce a Milano il Lawn Tennis Club.

In quegli anni il tennis è praticato da un numero limitato di persone ma l’entusiasmo per il nuovo sport si diffonde rapidamente e gli “appassionati pionieri” trovano al TCM il luogo ideale per praticarlo. Anche Gabriele D’Annunzio frequenta il club, da non giocatore. Il suo segretario Tom Antongini è un ottimo tennista e vince i primi tornei. Tra i primi appassionati, il Conte Alberto Bonacossa ed il Marchese Gilberto Porro Lambertenghi sono i più entusiasti e attivi. Nel 1914 redigono e danno alla stampa il primo Manuale italiano di tennis.

Nel 1920 il tennis italiano partecipa per la prima volta alle Olimpiadi di Anversa. La squadra italiana è composta da Rosetta Gagliardi Prouse, Cesare Colombo e Alberto Bonacossa del TCM e Tino Baldi di Robecco del TC Genova. Dopo il 1920 il tennis viene sempre più giocato ed assume una fisionomia di sport in grande diffusione.

Grazie anche al fatto che nel 1923 diventa operativa la conquista sociale della riduzione dell’orario di lavoro ad otto ore, si iniziò a manifestare l’esigenza di organizzare il tempo libero a disposizione dei lavoratori: le attività sportive, fino ad allora riservate ad una fascia molto ristretta della popolazione, iniziarono ad essere praticate anche dagli impiegati e dagli operai.

Nel 1923 voluta dal Conte Bonacossa e progettata dall’arch. Giovanni Muzio, viene inaugurata l’attuale sede del TCM. Il Conte Bonacossa ne assume la presidenza e vi rimarrà con estrema dedizione sino al 1953, anno della sua scomparsa. Il TCM diventa in quel periodo il più importante riferimento del tennis italiano ed i più grandi campioni nazionali ed internazionali si confrontano sui nuovi campi di via Arimondi. Le prime cinque edizioni degli Internazionali d’Italia vengono giocate sul campo tribuna del Tennis Club Milano, fatto costruire dal Conte Bonacossa per ricordare l’amico Gilberto Porro Lambertenghi Il Club diventa punto d’incontro di sport, politica, arte, amicizia e mondanità, il fiore all’occhiello di Milano.

Il tennis vive un momento di grande splendore e al TCM si formano i più grandi campioni. Tra i molti ricordiamo il barone Uberto de Morpurgo, il primo Italiano ai vertici delle classifiche mondiali e altri campioni prestigiosi quali Sabbadini, Serventi, Colombo, Placido Gaslini, Leonardo Bonzi, Stefano Mangold, Guido Cesura. Non possiamo dimenticare il primo “doppio storico” di Taroni-Quintavalle che ci ha fatto ben figurare nelle Coppe Davis del periodo. In campo femminile dopo i successi di inizio secolo di Rosetta Prouse, della Forlanini e della Perelli è il grande momento di Lucia Valerio. E’ stata più volte campionessa d’Italia e la prima italiana ad arrivare nei quarti di finale di Wimbledon.

Nel 1937 il maestro Vincenzo Mei organizza al Tennis Club Milano la prima scuola nazionale di tennis. Dopo il conflitto mondiale il TCM vive altri momenti di successi e di entusiasmo. Iniziano le prime vittorie internazionali per Francesco Romanoni e Renato Bossi. Un altro “doppio storico” inizia il suo percorso di vittorie, si tratta di Marcello Del Bello e Gianni Cucelli. Marcello arriva al TCM da Roma e con lui viene il fratello Rolando anch’egli grande campione ed ancora stimato maestro al TCM. Giovanni Cucelli arriva dall’Istria e cambia il suo cognome da Kucel in Cucelli. In campo femminile la stella nascente è Annelies Ullstein; acquista la cittadinanza italiana sposando il nostro Renato Bossi e gioca per il Tennis Club Milano e per l’Italia rimanendo, sino al 1950, tra le prime otto giocatrici del mondo.

Il TCM continua la sua gloriosa storia ospitando sino al 1960 gli incontri di Coppa Davis. Anche in questo periodo il tennis vive un momento importante. I campioni del periodo sono Fausto Gardini, Antonio Maggi, Sergio Tacchini, Lea Pericoli e Lucia Bassi, tutti del TCM.

CASERMA MONTELLO

Più di 70mila metri quadrati di superficie totale, di cui 20mila al coperto. E poi magazzini di stoccaggio, alloggi, uffici e persino bunker. Un mega complesso militare datato 1913 con tre ampi ingressi ad arcate. L’entrata principale della caserma Montello, edificata a partire dal 1910 e già caserma di Cavalleria al Rondò della Cagnola, sta al civico 29 di via Caracciolo

Situata in una vasta area, nei pressi di Corso Sempione, di forma rettangolare, organizza la distribuzione dei singoli padiglioni, facenti parte del complesso, attorno ad una grande piazza d'armi, oggi trasformata in un campo di calcio. Il corpo di fabbrica principale di maggiore importanza per dimensioni e destinazione d'uso è disposto longitudinalmente ad essa e delimita il perimetro della caserma su Via Caracciolo. Ha un ingresso con tre robuste arcate bugnate con uno sviluppo in alzato di 3 piani con corpo centrale bucato da bifore. Il resto del complesso è costituito da altri corpi di fabbrica di dimensioni minori ortogonali alla piazza e prospicienti con il loro lato corto su Via Arimondi. L'insieme è riconducibile ad un eclettismo maturo seppur austero. ispirata a caratteri di robustezza, nel progetto si dispone che gli edifici lungo le vie pubbliche fossero decorati in maniera da avere un prospetto più consono al decoro urbano e ad esso maggiormente integrato.

martedì 11 gennaio 2022

SOCIETA' ANONIMA MILANESE PER L'INDUSTRIA DEI SALUMI E FORMAGGI

 

Un bell’esempio di archeologia industriale costruito nel 1910 su progetto di Giuseppe Mentasti e Stefano Lissoni; attualmente ospita uffici comunali, una scuola materna e un asilo nido, oltre alla Biblioteca del Centro Culturale Antonianum.

Quando venne realizzato, non solo produceva insaccai e formaggi, ma doveva essere capace di impacchettare prodotti provenienti da Praga o Francoforte. Ai piani inferiori vi era, oltre al macello, anche sale per la maturazione e l’affaticamento dei prodotti, gli uffici di rappresentanza e d’amministrazione. Ai piani superiori vi erano gli alloggi degli oprai che vi lavoravano.

lunedì 10 gennaio 2022

VILLA REALE

La Villa Belgiojoso viene edificata su progetto di Leopoldo Pollack tra il 1790 e il 1796 come residenza del conte Ludovico Barbiano di Belgiojoso, consigliere dell'imperatore austriaco, di ritorno a Milano dopo un'importante carriera nella diplomazia europea al servizio della casa d’Austria.
Affidò l'incarico all'architetto ufficiale della Casa d'Austria, Giuseppe Piermarini, architetto, già autore dei giardini pubblici realizzati sui terreni vicini, completandola nell'arco di sei anni. Dal 1796 prende avvio la decorazione del piano inferiore, affidata a Giocondo Albertolli che la realizza con toni sobri e pacati.
Poco dopo essere stata ultimata, la Villa passa nelle mani dei Francesi divenendo anche residenza del governatore militare di Milano, Gioacchino Murat, e sontuoso scenario di pranzi e feste da ballo.
La villa venne comprata dalla Repubblica Italiana (1802-1805)
Nel 1804 è il vicepresidente della Repubblica Italiana Melzi d’Eril ad acquistare la Villa dagli eredi Belgiojoso per farne dono a Napoleone, nella cui occasione prende il nome di “Villa Bonaparte”.
L'imperatore e la sua famiglia vi furono ospiti saltuariamente nel corso delle visite a Milano,
Nel 1806, dopo aver accolto ospiti illustri quali Camillo e Paolina Borghese e Letizia Ramolino, madre dell’Imperatore, la Villa diventa residenza della coppia vicereale formata da Eugenio di Beauharnais, figlio adottivo di Napoleone, e dalla principessa Amalia di Baviera, i quali, preferendola alla reggia, promuovono un grande intervento decorativo che interessa il piano superiore, che portò alla sfarzosa decorazione degli interni del piano nobile, coinvolgendo, fra gli altri, Andrea Appiani. Con il ritorno del governo austriaco sulla città l'edificio divenne proprietà dei Viceré austriaci, abitata fra gli altri dal maresciallo Josef Radetzky che qui stipulò la Pace di Milano del 1849 che decretò la resa della città all'Austria. Dopo la seconda guerra d'indipendenza entrò nelle disponibilità della Corona Sabauda.
La vicenda della Villa, conclusa sul piano artistico, prosegue su quello storico parallelamente alla storia di Milano: residenza del maresciallo Enrico di Bellegarde all’alba della Restaurazione; luogo in cui si firma la cosiddetta “Pace di Milano” (documento con cui il 6 agosto 1849 è decretata la resa della città all’Austria nella persona del maresciallo Radetzky, poi governatore generale del regno Lombardo Veneto e a sua volta abitante della Villa, tra il 1857 e il 1858); dimora di Napoleone III. Accoglie infine il maresciallo Vaillant, comandante dell’esercito francese in Italia all’alba dell’Unità.
Dopo l’Unità la Villa viene assegnata alla Corona d’Italia ed entra in un lungo periodo di relativo abbandono. È solo grazie al passaggio al Demanio comunale, nel 1920, che si dà avvio all’importante trasformazione dell’edificio storico in sede della Galleria d’Arte Moderna di Milano, inaugurata nel 1921.
Il giardino all’inglese della Villa, il primo a Milano, è una delle ragioni di maggiore ammirazione e novità per i visitatori contemporanei alla sua realizzazione. Progettato su commissione del conte Belgiojoso dall’architetto Leopoldo Pollack con la collaborazione del conte Ercole Silva, il giardino ricrea un paesaggio naturale dove la vegetazione, riappropriandosi delle vestigia della storia, lascia affiorare antiche rovine.
Al centro il laghetto è disegnato in modo da non consentire mai una sua visione unitaria, così da suggestionare l’immaginazione dell’osservatore, mentre le forme naturali e romantiche del giardino si integrano perfettamente con il carattere classico e razionale dell’edificio esaltandosi vicendevolmente.

CASCINA BRANDEZZATA

 

Di Selvanesco vero e proprio possiamo dire che è un borgo interamente circondato da un muro, è come un castello dove all’interno si svolgono ancora attività agricole. Non è accessibile al pubblico ma dalla strada si può vedere l’ingresso all’oratorio. Il territorio faceva parte della proprietà Pusterla, la stessa famiglia che ha costruito il castello di Macconago.

Cascina Brandezzata è stata completamente ristrutturata nel 2002. La si può vedere strappata al destino di decadenza da via Ripamonti, è oggi un hospice dipendente da una Fondazione, dove si ospitano persone con problemi di salute, dove si fa ricerca e formazione.

domenica 9 gennaio 2022

ISTITUTO BUON PASTORE

La congregazione fu fondata a Milano nel 1846 dalla marchesa Carolina del Caretto Suardo insieme con il sacerdote Luigi Speroni per accogliere le ragazze "traviate" che decidevano di mutare condotta.

L'istituto ricevette il pontificio decreto di lode il 23 febbraio 1852 e l'approvazione definitiva per le sue costituzioni il 15 agosto 1912.

Le suore si dedicarono all'apostolato delle traviate fino al 1954, quando iniziarono ad accogliere nel loro istituto bambine provenienti da famiglie disordinate e disagiate allo scopo di allontanarle e prevenirle contro il male; lavorano anche in scuole materne e pensionati.


Oggi ha al suo interno due realtà educative: la scuola primaria paritaria e le comunità per minori. In entrambe operano professionisti nelle Scienze Psicopedagogiche e Sociali, per garantire alle bambine e ai bambini, alle ragazze e ai ragazzi risposte adeguate, attuali e competenti ai loro bisogni.

PALAZZO ISIMBARDI

Il Palazzo Isimbardi è, dal 1935, la sede storica della Provincia di Milano. Il palazzo sarebbe sorto nel XV secolo, sebbene non vi siano documenti ad attestare la cosa. Il primo documento in cui viene menzionato il palazzo risale alla fine del XV secolo e si testimonia il passaggio del palazzo ad un discendente dell'allora proprietario Gerolamo Pallavicino, alla cui famiglia rimase fino alla metà del XVI secolo quando fu venduto alla famiglia Taverna. Durante i primi decenni dopo l'acquisto il palazzo fu pesantemente rimaneggiato grazie alla ingenti ricchezze accumulate dalla famiglia.
Verso il 1790 il palazzo viene acquistato dalla famiglia Isimbardi. Il marchese Gian Pietro Camillo Isimbardi, che ricopre incarichi politici nella Milano napoleonica, trasforma Palazzo Isimbardi, già nella seconda metà del ‘700, in un centro di studi e di raccolte scientifiche. A quel tempo, accanto alla biblioteca sono allestiti sia un gabinetto di mineralogia, sia una raccolta di strumenti nautici e carte per la navigazione. Nel 1817, i fratelli Alessandro e Luigi Isimbardi intraprendono opere di consolidamento dell’edificio, che coinvolgono il balconcino barocco, la soglia e le strutture del casino. In seguito viene rifatta la facciata verso il giardino e il parco viene riorganizzato secondo il modello inglese. Anche il cortile cinquecentesco viene modificato. Vengono inserite colonne e la copertura del selciato con pavimentazione “a rizzarda”, mentre scompare il pozzo centrale.
La ristrutturazione coinvolge pure gli ambienti interni: sale, salotti e gallerie sono decorati con stucchi e dorature. L’aspetto attuale lo si raggiunge a fine ‘800, quando si sopraelevano le due ali laterali di un piano, modificando l’aspetto settecentesco, introducendo due balconcini laterali per equilibrare quello barocco centrale. Nel 1935, il palazzo viene acquistato dalla Provincia di Milano che, grazie ai lavori di restauro dell’architetto Ferdinando Reggiori, recupera il cortile cinquecentesco originario. Nel 1940, Giovanni Muzio aggiunge all'antica costruzione un nuovo edificio di stile funzionalista con la torre, i portali colonnati, i pannelli scultorei. Il nuovo palazzo è inaugurato il 24 ottobre 1942; circa mezz'ora dopo l'inaugurazione, su Milano si scatena il primo bombardamento che frantuma i vetri di tutte le finestre. Palazzo Isimbardi possiede un’importante collezione aperta al pubblico di opere ottocentesche. Ne fanno parte artisti quali, tra gli altri, i lombardi Leonardo Bazzaro e Luigi Conconi, il piemontese Lorenzo Delleani e il napoletano Edoardo Dalbono.
La sala della Giunta, ospita un dipinto di Tiepolo che raffigura “Apoteosi di Angelo della Vecchia nel segno delle virtù”, inoltre è presente una scrivania in radica di olmo della prima metà dell’Ottocento, forse usata dal maresciallo austriaco Radetsky quando ricopriva la carica di governatore militare del Lombardo-Veneto.
Il 9 maggio 2008, nella piazzetta antistante al palazzo è stata posta la statua “L’uomo della Luce”, un dono della Provincia alla cittadinanza, in occasione della Giornata della memoria di tutte le vittime del terrorismo e delle stragi, istituita nell’anniversario dell’uccisione di Aldo Moro.

PALAZZO DEI SINDACATI DELL'INDUSTRIA

1933
Il Palazzo dei Sindacati dell'Industria, oggi Palazzo della Camera del Lavoro, è un edificio storico di Milano, situato in Corso di Porta Vittoria n. 43. Fu eretto fra il 1930 e il 1932 come sede dei Sindacati Fascisti dell'Industria su progetto degli architetti Angelo BordoniLuigi Caneva e Antonio Carminati. Le opere scultoree, poi rimosse, erano realizzate su disegno di Mario Sironi. L'edificio ha subito profondi mutamenti edilizi e architettonici dopo il 1945 e la caduta del Fascismo.

Il concorso per la costruzione del nuovo edificio pubblico, sede di un sindacato che al tempo contava cinquecentomila lavoratori, fu indetto nel 1928; nel 1930 la commissione giudicante composta dal presidente Arnaldo Mussolini, Luigi Franco Cottini, segretario federale del P.N.F., Luigi Begnotti, segretario dell'Unione Provinciale Sindacati Fascisti dell'Industria, e dagli architetti Paolo MezzanotteDiego Brioschi e Luigi Ferrari stabilì la seguente graduatoria: progetto Anno VIII (architetti Bordoni, Caneva, Carminati), vincitore; progetto Nell'anno VIII (architetti Fabbroni, Winderling), secondo classificato; progetto Marisa (architetti MarelliCasale, terzo classificato. La licenza edilizia a costruire fu rilasciata l'8 luglio 1930, la licenza di occupazione il 5 dicembre 1933, data di fine dei lavori.

plastico del progetto 1930

L'edificio sorge su un'area pressoché quadrata di circa 2000 mq. con fronte sul corso di Porta Vittoria, fra il vicino Palazzo di Giustizia e la Piazza Cinque Giornate. La forma del palazzo è come una U che si apre sul corso di Porta Vittoria con due braccia laterali di quattro piani. La piazzetta centrale, sotto alla quale è ricavata un ampio salone nato come luogo delle riunioni plenarie, si eleva di circa un metro e mezzo rispetto al piano stradale; fa da quinta la torre centrale, originariamente alta 48 m, alla quale si accede anche attraverso due scaloni perfettamente uguali e simmetrici che portano all'atrio del primo piano. L'edificio è anche dotato di due ingressi laterali sulle vie Dandalo e via Savaré, quest'ultima in costruzione ai tempi dell'erezione del palazzo.

Il grande salone sottostante la piazzetta, progettato per ospitare fino a 2000 persone, ebbe un ruolo di particolare rilievo in fase di progettazione dell'edificio: la vicinanza di corsi d'acqua nelle vicinanze contribuiva infatti a fare sì che la falda freatica subisse variazioni di quota non trascurabili, rendendo necessari un accurato isolamento e una armatura in ferro adatta a contrastare le spinte dell'acqua verso la superficie. L'ampiezza del salone, inoltre, rese necessarie strutture che prevedessero la grande quantità dei carichi gravanti a soffitto..

I due bracci laterali erano in origine decorati con fasci littori obliqui e due altorilievi simboleggianti La marcia su Roma e La carta del Lavoro disegnati di Mario Sironi e realizzati degli scultori Carlo Bertolazzi e Silvio Zaniboni; le due opere furono asportate dopo il 1945 insieme ai fasci littori, di cui rimane una vaga traccia nella decorazione attuale. Sempre dopo il 1945 l'edificio fu interessato da sostanziali modifiche che rimossero le molte testimonianze celebrative del periodo fascista: in particolare la torre centrale venne innalzata di un piano ed eliminate così. le arcate e quinte architettoniche del terrazzo.

PALAZZO SORMANI- ADREANI

L'edificio alla base della costruzione successiva è un fabbricato già esistente nel XVI secolo, seppur avente dimensioni di molto più ridotte, a cui testimonianza è stata lasciata una lapide voluta da uno dei successivi proprietari, ancora oggi presente nell'atrio d'ingresso. La lapide riporta le armi del Marchese Giambattista Castaldo, generale imperiale che partecipò alla battaglia di Pavia e al sacco di Roma del 1527, primo illustre proprietario del palazzo. Portato in dote dalla nipote del Castaldo, Livia, il palazzo passò in dote nella seconda metà del Cinquecento alla potente famiglia dei Medici di Marignano, cui apparteneva Papa Pio IV, al secolo Giovanni Angelo Medici, fratello della madre di Carlo Borromeo, Margherita.

La vera fortuna del palazzo iniziò nel XVII secolo quando esso venne acquistato dal cardinale milanese Cesare Monti, il quale era proprietario di una ricca e importante collezione d'arte che venne ospitata in questa sua nuova residenza. Il cardinale diede incarico all'architetto egemone nella Milano del tempo, Francesco Maria Richini. All'intervento richiniano sono dovuti il cortile centrale del Palazzo, con il porticato a cinque arcate, e lo scalone d'onore che conduceva al nuovo piano nobile. Il progetto, volto a creare un'imponente scenografia che accoglieva i visitatori del palazzo, è svolto secondo i canoni del classicismo cinquecentesco romano diffuso all'epoca.

Alla sua morte, il cardinale lasciò il palazzo a un suo nipote, Cesare Monti-Stampa, il quale volle ampliarlo ulteriormente dotando la costruzione di una nuova grande facciata prospiciente la piazza di Porta Tosa, chiamando a compiere tale progetto un architetto di fama per l'epoca: Francesco Croce, esponente di punta del nuovo gusto barocchetto. All'architetto milanese si deve l'aggiunta del nuovo corpo di fabbrica della facciata su Largo Augusto, costituita da un corpo centrale sporgente raccordato alle facciate laterali da due angoli curvi, sui quali insistono due terrazze che si raccordano alla balconata centrale. La parte centrale della facciata è scandita da paraste corinzie in pietra che si elevano fino al timpano ricurvo, un tempo contenente le insegne della famiglia. Le finestre sono ornate da timpani curvilinei, di forma alternata triangolare e curva al piano nobile, mentre al pian terreno sono aperti da oculi. La fantasiosa decorazione ne faceva uno dei prospetti più movimentati nel panorama milanese del tempo, insieme con Palazzo Litta in Corso Magenta, all'epoca Contrada di Porta Vercellina.

La seconda facciata del palazzo è invece quella che dà verso il parco della villa e venne realizzata a metà Settecento dall'architetto piemontese Benedetto Alfieri (zio del poeta Vittorio Alfieri): si presenta articolata da grandi lesene di ordine composito gigante, che con la loro accentuata verticalità conferiscono slancio a tutto il prospetto. È decorata con stucchi e statue di Elia Vincenzo Buzzi, e sormontata da un fastigio con un grande orologio realizzato ad opera dei fratelli Sangiusti, riconducibile sempre al XVIII secolo. Il prospetto, di sobrie linee classiche, contrasta con l'estrosità della facciata su strada del Croce.

Nel 1783 la proprietà venne venduta agli Andreani, nella persona del conte Giovanni Pietro Paolo Andreani, il quale era imparentato con la famiglia Sormani attraverso la moglie Cecilia, da cui il nome del palazzo di Sormani-Andreani. Suo erede fu Paolo Andreani, aeronauta e primo in Italia a compiere le sperimentazioni di una mongolfiera.

I nuovi proprietari curarono le decorazioni interne dei saloni del palazzo con stucchi di Agostino Gerli e Giocondo Albertolli, fra i primi a introdurre a Milano lo stile neoclassico francese, oggi visibili nelle sale del Centro Stendhaliano.

Dai Sormani il palazzo passò ai Verri nel 1831. Dal palazzo della famiglia Verri in via Montenapoleone, proviene il celebre ciclo di ventitré tele raffiguranti il Mito di Orfeo per lungo tempo attribuite al pittore genovese Giovanni Benedetto Castiglione detto il Grechetto, e recentemente assegnate a un artista di estrazione nordica, Carl Borromäus Andreas Ruthart (Danzica 1630 – L’Aquila 1703), specializzato nella pittura di animali. Il ciclo fu dipinto a Milano da Ruthart con la collaborazione di altri maestri comprimari, tra i quali il fiammingo Livio Mehus, su commissione di Alessandro Visconti, tra il 1654 e il 1659. All'interno dell'eccezionale ciclo pittorico sono raffigurate una grandissima quantità di specie animali provenienti da tutti i continenti allora conosciuti. Sono rappresentati con eccezionale realismo comuni animali da cortile accanto a specie esotiche e figurazioni mitologiche quali fauni e unicorni, secondo il caratteristico gusto barocco. La tela con Orfeo, che dà il nome a tutto il ciclo, si trova oggi nell'angolo della sala. Il suo posizionamento decentrato risale probabilmente all'adattamento della decorazione alla sala, mentre nella collocazione originaria a palazzo Lonati doveva avere maggiore importanza.

In un'altra sala, detta "Sala dei Putti" (dal nome delle decorazioni della volta che riprendono questi motivi), si trova un grande dipinto del Nuvolone, realizzato in occasione del passaggio a Milano di Maria Anna d'Austria nel 1649, durante il viaggio compiuto per sposarsi in Spagna col re Filippo IV suo zio.

Il parco venne invece progettato più tardi rispetto al palazzo ed è opera tardosettecentesca di Leopold Pollack, e ha poi subìto alcune modifiche come l'aggiunta di un gruppo scultoreo di Agenore Fabbri raffigurante la Caccia al cinghiale, realizzato in terracotta, posto qui dall'amministrazione comunale nel 1955.

Nel 1930, infine, il palazzo venne acquistato dal comune di Milano, che decise di collocarvi alcune opere del museo cittadino, dovendo però trasferirle a Palazzo Morando in seguito alle distruzioni avvenute durante la seconda guerra mondiale, che causarono la perdita della sala da ballo e di molte delle decorazioni pittoriche interne. Dal 1956 la ricostruzione parziale del palazzo verrà affidata all'architetto Arrigo Arrighetti, che erige su via della Guastalla un facciata dal rigido impianto razionalista, che esalta nel contrasto la storica parte barocca. La facciata sul giardino, coperta da schermi parasole, si presenta come un volume dalle pagine sfogliate. Nell'edificio fu quindi ospitata la nuova biblioteca civica comunale che vi si trova tuttora.

VILLA ROMEO FACCONI

L'edificio costituisce un elegante e prezioso esempio di architettura liberty per una famiglia borghese di inizio secolo. La villa, su tre piani, presenta la facciata principale che conserva elementi di decoro tradizionale, quali, colonne, scalinata, torretta, mentre in quella verso il giardino sono inserite le due statue rimosse da Palazzo Castiglioni. A questo edificio si è aggiunto, addossato sul retro, l'ampliamento, effettuato da Giò Ponti che ha realizzato uno dei primi progetti di architettura di ospedale dove l'aspetto esterno e gli interni assomigliassero ad una casa. I fabbricati sono circondati da un grande giardino con alberi secolari. Considerata la seconda per importanza, tra gli edifici costruiti da Giuseppe Sommaruga a Milano, dopo Palazzo Castiglioni, la villa Faccanoni, costituiva all'epoca della costruzione un elegante esempio di architettura residenziale edificata in stile liberty per una committenza borghese dell'inizio del secolo scorso. La proprietà si sviluppava su tre piani per un totale di 337 mq e comprendeva una grande portineria e un giardino di più di 2000 mq. La decorazione in stile floreale fu realizzata dalla ditta Mazzuccotelli per quanto riguarda le opere in ferro battuto e dall'ebanista Eugenio Quarti che si occupò della decorazione interna. Lo schema compositivo della villa si avvicinava molto a quello che l'architetto stava sperimentando a Sarnico per altri membri della famiglia Faccanoni, nel quale le volute asimmetrie della pianta consentivano di percepire una varietà di scorci e punti di vista di cui oggi purtroppo non possiamo più godere. L'edificio attuale infatti si presenta nella nuova veste di Clinica privata (Clinica Columbus) dopo l'intervento effettuato su progetto di Gio Ponti alla fine degli anni '30 che ampliò e trasformò i locali della villa avvalendosi di una serie di accorgimenti tecnico-costruttivi (le camere a sud, le comunicazioni ed i controlli di piano nel baricentro della struttura, i balconcini, l'ala di medicina e chirurgia che si affacciano direttamente sul giardino) che testimoniano ancora oggi la qualità del progetto. All'esterno, la facciata principale e i due fianchi conservano ancora elementi della decorazione originale sommarughiana, così come il prospetto sul giardino dove sono state collocate le due statue femminili di Ernesto Bazzaro, rimosse dal portale di Palazzo Castiglioni.
fu costruita tra il 1912 e il 1914 per l'ingegner Luigi Faccannoni su progetto dell'architetto Giuseppe Sommaruga, il quale, nella stessa zona nei pressi della vicina fiera campionaria, aveva progettato altri due edifici analoghi, le palazzine Galimberti nella stessa via Buonarotti (1908) e Salmoiraghi (1906) in via Raffaello Sanzio. Nel 1914 furono collocate su uno dei prospetti della villa le due statue rimosse dal portale di palazzo Castiglioni .
Nel 1919 la villa Faccanoni fu acquistata dall'imprenditore dell'automobile Nicola Romeo. Tra il 1938 e il 1940 furono portati avanti i lavori di ampliamento e risistemazione della costruzione, adibita a clinica privata, su progetto dell'architetto Gio Ponti. Quest'ultimo si avvalse della collaborazione del chirurgo Mario Donati per adattare gli spazi dell'edificio residenziale alla nuova destinazione d'uso con un criterio progettuale basato sull'idea che un ambiente domestico e confortevole, lontano dagli spazi asettici degli ospedali tradizionali e più simile a una casa, potesse consentire al paziente di essere trattato come uomo e non solo come malato. Interrotti i lavori per via della guerra la fabbrica subì diversi danni a causa dei bombardamenti del 1943 e fu portata a termine solo dopo la fine del conflitto bellico. La Clinica Columbus fu inaugurata solo nel 1949 e deriva il suo nome dal "Columbus Hospital", fondato a New York dalla missionaria Francesca Cabrini nel 1894 per prestare assistenza agli emigrati italiani.


sabato 8 gennaio 2022

MERCATO RIONALE COPERTO DI VIALE MONZA

L'edificio rappresenta uno dei primi mercati coperti realizzati nella città di Milano, fino ad allora servita da piccoli mercati rionali su suolo pubblico e realizzati con carattere provvisorio. La costruzione, interamente in cemento armato, si presenta con una planimetria rettangolare, costituita da un solo piano fuori terra. Di particolare interesse la copertura a volta che ricorda le grandi coperture metalliche delle stazioni ferroviarie del XIX secolo.

Il Mercato è organizzato in 3 navate in cemento armato, disposte con il loro asse parallelamente alla via Crespi; la navata centrale ha una luce di 18,5 metri e un'altezza di 16 metri. All'epoca della costruzione il Mercato poteva ospitare banchi per 140 metri lineari ed era progettato in modo che, con piccole modifiche strutturali, potesse mutare l'uso in autorimessa o luogo per tenere spettacoli. Il sotterraneo, ampio quanto la costruzione, era ideato per contenere celle frigorifere ed essere magazzino per le merci. Nella sua forma originale, di chiara impronta razionalista, l'ingresso era adornato da due lunghi fasci littori, poi asportati alla fine della seconda guerra mondiale.

venerdì 7 gennaio 2022

BIOBLIOTECA DEL PARCO SEMPIONE

 

Al centro del Parco Sempione, sulla lieve altura del Monte Tordo, si trova la Biblioteca comunale, un edificio completamente immerso nel verde e nel silenzio. Il luogo è molto tranquillo, e sembrano percepirlo anche i signori cinesi che usano praticarvi tai-chi di fronte.

La bibliotecca non nacque con questa destinazione, fu costruita infatti su progetto di Ico Parisi Silvio Longhi per la X Triennale del 1954 come Padiglione di soggiorno con all’interno una sala lettura e un piccolo bar poi smantellati. La struttura portante e la copertura erano in cemento armato a vista, con una forma che ricorda la chiocciola della lumaca. Purtroppo con l’ultimo restauro il tetto è stato ricoperto con un altro materiale, ma i vuoti sono ancora riempiti dalle vetrate continue che garantiscono un’illuminazione naturale costante e una veduta totale del parco intorno.

Insieme all’attuale Bar Bianco, che allora serviva da padiglione più piccolo per distribuire bevande ai bambini, è l’unica struttura che rimane di quell’Esposizione.

Nella zona retrostante c’è un bel giardino ombreggiato dedicato a zona di lettura, mentre davanti, nel patio, si trovano alcune opere d’arte:

“La Lettrice” di Francesco Somaini (lo scultore dell’Onda al parco Marinai d’Italia), un rilievo in marmo e cemento di Bruno Munari , una tarsia marmorea di Mauro Reggiani e un bassorilievo di Umberto Milani.

giovedì 6 gennaio 2022

SCUOLA MILITARE TEULIE'

L'edificio che attualmente la ospita fu costruito nel medioevo per ospitare l'ospedale di San Celso. Successivamente, nel 1758, divenne il monastero cistercense di San Luca, adibito prima ad ospedale militare e poi, nel 1802, per mano di Pietro Teulié, ad orfanotrofio militare. L'orfanotrofio mutò il suo nome, contemporaneamente all'istituzione del Regno d'Italia Napoleonico, in Reale Collegio degli Orfani Militari.

Le origini della Scuola militare di Milano vanno fatte risalire all'opera del generale Pietro Teulié, che il 21 aprile 1801 fu nominato ministro della guerra nell'ambito del governo della Repubblica Cisalpina. Nonostante egli abbia ricoperto tale incarico per un periodo di pochi mesi, in tale periodo egli si adoperò per fornire una sistemazione adeguata ai veterani di guerra, agli invalidi e agli orfani militari. Cinque mesi dopo le sue dimissioni da Ministro della Guerra, infatti, il generale ebbe la soddisfazione di vedere accolte le proprie istanze. Il 1º gennaio 1802 (11 nevoso dell'anno X) Luigi Tordorò, succedutogli nell'incarico di ministro, diede mandato al commissario di Guerra Guizzardi di presiedere una commissione per "l'organizzazione di una compagnia di Invalidi e due di Veterani e per la scelta di un locale nella casa di San Luca che sia proprio ad un orfanotrofio di quaranta figli dei più meritevoli dei nostri guerrieri".

La commissione, di cui facevano parte il comandante dei veterani Endris e i capitani Duracci e Sceger, lavorò in fretta. Due settimane dopo, il primo regolamento della Scuola era pronto e veniva pubblicato con l'ordine del giorno n. 86 del Dipartimento della Guerra datato 15 gennaio 1802. Eccone l'incipit: "Interprete dei sentimenti di riconoscenza che nutre la patria per quegli onorati cittadini che dalle di lei battaglie sortirono mutilati o incanutirono sotto il peso delle armi impugnate a prò dei loro concittadini, ed animato dai sentimenti paterni che l'armata professa il nostro saggio Governo, il Ministro della Guerra ordina che in tutte le sue parti sia eseguito il seguente provvisorio regolamento. Soldati! La cura che prende la nazione per i vostri fratelli meno felici animi il vostro coraggio, e vi dimostri che non sono dimenticati, anzi si premiano gli onorati servigi."

Il documento si componeva di trentanove articoli, di cui circa trenta dedicati all'organizzazione dei veterani invalidi e il restante ai loro figli orfani.

Il primo comandante fu il Capitano Antonio Artaud, un francese di sessantuno anni, proveniente dalle truppe modenesi, in forza a una compagnia di Veterani; suo vice fu il Capitano Giovanni Champenois, con funzioni di sottoeconomo, sessantenne e francese anch'esso. L'organico era completato da un Tenente, un Sottotenente, un Sergente Maggiore, due Sergenti e sei Caporali, tutti provenienti dalla Compagnia di Veterani. Il 23 novembre 1802 fu nominato direttore dell'orfanotrofio il Capitano degli Invalidi Ignazio Ritucci, ex Capo Battaglione dell'Esercito Borbonico e Capitano nella Repubblica Partenopea. Nonostante il nome, l'istituto, oltre che orfani di guerra ospitava anche figli di militari in servizio, fungendo da vero e proprio collegio militare. Nel luglio 1804 terminò la convivenza dei giovani allievi dell'Orfanotrofio con i Veterani e Invalidi.

Nel dicembre 1805, dopo la proclamazione del Regno d'Italia l'istituto prese il nome di "Collegio reale degli orfani militari" sotto gli ordini del Capo Battaglione Giovan Battista Deangeli, risultava costituito da 300 alunni organizzati in sei compagnie comandate da un sergente maggiore e lo studio aveva la finalità di preparare all'esame di ammissione alle accademie militari di Modena e e Pavia oppure permetteva di proseguire la carriere nell'esercito come sottufficiale.

Nel 1807 il Viceré Eugenio di Beauharnais approvò il nuovo regolamento e mutò la denominazione dell'Istituto in "Collegio Reale degli Orfani Militari".

Il 20 agosto 1811 fu approvato il nuovo regolamento del Reale Collegio degli Orfani di Milano a firma di Eugenio Napoleone di Francia, Viceré d'Italia, Principe di Venezia e Arcicancelliere di Stato dell'Impero, a nome di Napoleone Imperatore dei Francesi e re d'Italia".

Il 9 novembre 1811 Deangeli, nominato Comandante d'Armi di 4ª Classe, passò le consegne del Collegio all'Ispettore alle Rassegne, Barone Giacomo Filippo De Meester Hüyoël. Con questo strumento normativo il Generale De Meester condurrà la sua azione pedagogica sino al 1814. Il Governatorato di De meester coincise con il declino di Napoleone. De Meester si era compromesso firmando un appello a Lord Bentinck per il mantenimento di un Regno Italico indipendente, insieme al suo collaboratore al Collegio, Giuseppe Merlo. A mezzanotte dell'11 dicembre 1814 De Meester fu arrestato nella sua casa di via della Passione 245 e scontò due anni nelle prigioni milanesi e due nella fortezza di Theresienstadt. La direzione dell'Orfanotrofio, all'atto del suo arresto, era passata provvisoriamente al Tenente Colonnello Edward Young e ratificata nel 1815 insieme alla nuova denominazione di Imperial Collegio Militare di San Luca.


Il 21 settembre 1814 il collegio passava alle dipendenze dell'Imperial Regio Comando Austriaco.

Nel periodo di trapasso dal vecchio al nuovo regime, l'ordinamento del Collegio e la composizione dello Stato Maggiore non mutarono. Gli ufficiali rimasero al loro posto ma il corpo insegnanti fu drasticamente cambiato; tutti i professori "forestieri" furono licenziati, tra cui il piemontese, professore di francese, Silvio Pellico, il quale trovò un impiego come precettore presso il conte Porro Lambertenghi, attorno al quale si riunivano letterati e scrittori di spiriti romantici e liberali.

Il successore di De Meester, Tenente Colonnello Edward Young fu in assoluto il comandante che rimase in carica per più tempo, dal 1814 al 1836. Il suo primo compito fu quello di traslare le spoglie di Pietro Teulié dalla "sua" scuola e inumarle in San Celso, per reprimere i sentimenti napoleonici prima e risorgimentali poi, che serpeggiavano tra le truppe e in particolar modo nel Collegio.

Le uniformi furono cambiate; il verde che era stato il colore della Repubblica cisalpina fu abbandonato per passare al grigio cenere. Furono confezionate giacchette con risvolti rosso carminio, pantaloni stretti dello stesso colore con filetto rosso, scarpe con stringhe e berretto.

Nel 1821 i fratelli Boneschi, ex allievi, erano fra i cospiratori e il Collegio fu sempre considerato "vivaio di spiriti liberi".

Nel 1836 il Colonnello Young fu sostituito dal Maggiore Johann Cristophe von Leuenfels, proveniente dal battaglione cacciatori.

Nel 1838, con risoluzione del 30 novembre, l'imperatore Ferdinando I decretò lo scioglimento del Collegio Militare, in luogo del quale furono create due Case di educazione militare a Bergamo (Casa di educazione lombarda) e a Cividale (Casa di educazione veneta).

Nel 1839 Ferdinando I d'Asburgo trasformò il collegio in Imperial regio collegio dei cadetti.

L'edificio di San Luca fu quindi destinato a ospitare una compagnia di centocinquanta cadetti, organizzata sul modello dei Collegi dei Cadetti austriaci. La Compagnia dei Cadetti fu comandata dapprima dal capitano Joseph von Reichenau, poi, dal 1847, dal capitano Rudolf Severus.

Nel 1848 la rivolta, preceduta da quelle di Vienna, Parigi e Palermo, scoppiò anche a Milano. Da sabato 18 a mercoledì 22 marzo, un popolo di centossessantamila cittadini cacciò dalla sua città una guarnigione di sedicimila austriaci comandati dal Conte Joseph Radetzky von Radetz.

Uno degli ultimi capisaldi a essere abbandonato dagli austriaci fu la scuola militare, situata a ridosso delle mura e dominante Porta Ludovica. Pochi giorni dopo la fine dei combattimenti in città, i locali della scuola militare milanese furono presi in custodia dalla Municipalità e consegnati al signor Antonio Carnevali che, per sua iniziativa, vi aprì una scuola d'artiglieria e genio.

Gli eventi del 1848 sono ricordati ogni anno in occasione della ricorrenza delle cinque giornate in cui avvengono due cerimonie dette della Consegna del Primo Tricolore: la prima si svolge in Piazza Cinque Giornate, ai piedi dell'omonimo monumento, in cui il Comune di Milano consegna al Comandante della Scuola lo storico simbolo: il tricolore che sventolò sulla guglia più alta del Duomo dopo la scacciata degli austriaci, l'altra nel corso del giuramento degli Allievi della I Compagnia, quando la Bandiera viene riconsegnata al Comune.

Il 6 agosto 1848 il feldmaresciallo Radetzky rientrò a Milano e l'edificio scolastico fu nuovamente adibito ad ospedale militare e tale vi rimase per tutto il decennio successivo che passerà alla storia come il "decennio di preparazione". Malgrado l'interessamento dello stesso Radetzky, il Collegio non fu riaperto, per il resto degli anni in cui Milano rimase sotto il regno Lombardo Veneto. a causa della partecipazione degli allievi alla rivolta antiaustriaca.

Il collegio venne ricostituito nel 1859 quando il 26 agosto Vittorio Emanuele II firmò il decreto istitutivo di un collegio militare da istituire a Milano e destinato a "fornire Allievi idonei all'ammissione nella Regia Militare Accademia". Le norme, recitava il decreto, erano le medesime del Collegio Militare di Asti, istituito nel 1857 e di quello di Racconigi, fondato nel 1834 per i figli di militari. Fu insediata una commissione col compito di decidere sulla idoneità allo scopo dei locali di San Luca e la scelta fu quasi obbligata, non solo per carenza di altre strutture, ma per ovvie ragioni di continuità storica.

Nel 1860 furono numerose le domande di ammissione di ragazzi provenienti da varie parti d'Italia e anche dalle regioni ancora sotto dominazione austriaca.

Gli ultimi francesi lasciarono San Luca nell'ottobre 1859. A novembre fu nominato comandante il Luogotenente Colonnello Efisio Cugia di Sant'Orsola, affiancato dal Maggiore Pompeo Bariola.

A sostituire Cugia venne chiamato il Tenente Colonnello Genova Thaon di Revel di Saint André.

Suo successore fu il Tenente Colonnello Roberto Patrese, che rimase in carica dal 1860 al 1861, l'anno dell'Unità d'Italia.

La politica di risanamento dei bilanci condotta energicamente dal Governo, portò alla soppressione del Collegio Militare di Parma e al trasferimento a Milano di 70 allievi nel 1864 e alla chiusura del Collegio Militare di Asti e al trasferimento a Milano di 47 allievi nel 1866.

A causa della situazione precaria, si preferiva immettere nel Collegio un numero di nuovi allievi inferiore a quello di coloro che ne uscivano e si arrivò alla chiusura del Collegio, decretata l'11 agosto 1869 e attuata il 16 settembre. Gli allievi rimasti furono trasferiti nel Collegio Militare di Napoli. L'edificio di San Luca fu destinato in quegli anni alla Scuola di agricoltura, insediata con decreto del 10 aprile 1870 e aperta ufficialmente il 2 gennaio 1871.

Nel 1873, la legge sul nuovo ordinamento dell'esercito proposta dal Ministro Ricotti stabilì la creazione dei collegi per preparare i giovani alle Accademie Militari. Accanto alla Nunziatella, che non era mai stata soppressa, fu decisa nel 1874 l'apertura dei collegi a Firenze e Milano.

Con Regio Decreto del 19 settembre 1895 il Collegio fu chiuso per le solite ragioni economiche.

Durante la prima guerra mondiale, l'edificio fu adibito a caserma del 7º Bersaglieri. Al termine della guerra, con Regio Decreto del 21 agosto 1921, l'edificio fu adibito a Scuola Allievi Ufficiali di Complemento e Allievi Sottufficiali, cessando la sua attività nel 1934.

L'8 febbraio 1935 un telegramma di Mussolini al podestà di Milano comunicò la decisione di riaprire la Scuola Militare. Il Ministro della Guerra donò la statua di Giulio Cesare che tuttora presidia il cortile d'onore. L'attività della scuola riprese quindi il 21 ottobre 1935. Il corso iniziato nel 1935 fu intitolato alla memoria di Umberto Masotto, l'eroe di Adua. Sotto l'androne del cortile d'onore fu posta una lapide con i nomi di tutti i caduti dalla Terza Guerra d'Indipendenza alla Prima Guerra Mondiale. Dopo pochi anni se ne dovette aggiungere un'altra per accogliere i nomi degli ex allievi caduti nel secondo conflitto mondiale.

Nel 1937 ebbe inizio una tradizione durata per tutto il periodo di apertura della scuola: il 21 marzo, nel cortile della Rocchetta, al Castello Sforzesco di Milano, il podestà diede in consegna al Battaglione Allievi il primo tricolore militare italiano affinché venisse custodito per un giorno all'interno della "Teulié", in occasione della celebrazione delle Cinque Giornate. Il vessillo, più propriamente uno stendardo, era l'insegna della Compagnia Cacciatori a Cavallo e fu acquistato a Parigi dal Conte Borletti, il quale lo donò a Mussolini che, a sua volta, lo destinò al Museo del Risorgimento di Milano. La bandiera, anteriore di tre mesi al tricolore adottato dal Congresso Cispadano di Reggio Emilia, costituiva un ponte di continuità fra il fondatore e la rinnovata scuola.

Alla fine del 1942 la Scuola fu trasferita a Cremona per sottrarla ai bombardamenti alleati su Milano ma dopo l'8 settembre cessò di funzionare e i tedeschi avevano occupato i locali devastandoli

Passarono 53 anni, durante i quali l'edificio divenne la caserma dei militari in servizio presso il comando dello stato maggiore del III Corpo d'armata (due compagnie ed un plotone di minuto mantenimento).


La Caserma Teulié, negli anni dal 1950 al 1967, era occupata dal Terzo Reggimento Bersaglieri ''Milano'', poi trasferito alla Caserma Mameli di via Suzzani.

Nel 1995, l'allora Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, Generale Bonifazio Incisa di Camerana, si impegnò per la riapertura della scuola con l'intenzione di ripristinare un ambiente scolastico degno di duecento anni di storia, capace di costituire un polo attrattivo per il nord-Italia.

Il 23 settembre 1996, sessantasei sedicenni, accolti da un gruppo di ex allievi settantenni, varcarono il portone della Scuola che fu riaperta come sede distaccata della Scuola Militare "Nunziatella", non potendo essere considerata autonoma fin quando non avesse attivato tutte le classi previste dal ciclo di studi.

Nel 1998, fu concessa la Bandiera d'Istituto e si sancì quindi la piena autonomia scolastica e militare chiamandosi "Seconda Scuola Militare dell'Esercito".

Il 27 giugno 2000 l'istituto assunse l'attuale denominazione "Scuola Militare Teulié", in seguito alle richieste del Colonnello Marco Grasso.

Il 23 marzo 2002, anniversario del primo giorno di Milano libera dopo le Cinque Giornate, il Comune di Milano conferì agli allievi della Scuola Militare la cittadinanza onoraria.

Nel 2009 la scuola è stata aperta alle donne e nel giugno 2012 sono state diplomate le 10 allieve[10].

Nell'ambito delle manifestazioni celebrative dell'Unità d'Italia nell'anno 2013 la scuola ha ricevuto una delle tre "campane del dovere" destinate alle più antiche scuole militari italiane (le altre due sono state consegante alla Nunziatella di Napoli e all'Accademia Militare di Modena, prodotte dalla Pontificia fonderia di campane Marinelli.

Per ogni circostanza l'allievo dispone di un'uniforme appropriata e di un corredo adatto, ma l'uniforme storica è quella che più lo distingue. Apparentemente è uguale per tutti: kepi, spadino, giubba blu con doppia bottoniera, giubbino bianco d'estate, pantaloni con banda rossa e mantella turchina. Ma esiste una semiologia anche per le uniformi. Ogni particolare, ogni colore, ogni numero ha un preciso significato da interpretare. Il numero due inscritto nella nappina del kepi indica l'appartenenza al 2º Battaglione Allievi (il 1° è quello di Napoli), i numeri 1, 2 o 3 sulle spalline identificano l'anno di frequenza, lo stemma sul petto riporta il nome del corso.

Gli allievi qualificati indossano i gradi d'argento come galloni sulle maniche: tre galloni con un giro di bitta per il Caposcelto di Battaglione, tre, due o un solo gallone rispettivamente per i capi scelti, gli scelti e gli istruttori. I capiclasse e i vicecapiclasse si fregiano rispettivamente di due e di una barretta d'argento.

L'allievo che per 120 giorni consecutivi non riporta né punizioni né insufficienze scolastiche o provvedimenti medico-sanitari è autorizzato a fregiarsi della "cifra di merito", un distintivo sulla manica costituito dal monogramma "RI" della Repubblica Italiana.

I cordoni che gli allievi esibiscono sul petto hanno anch'essi un preciso significato. Al Caposcelto di battaglione spetta un cordone con i colori nazionali, per i due allievi di scorta alla bandiera il cordone è color cremisi. La batteria tamburi, cui compete il compito di aprire lo sfilamento degli allievi e cadenzare il passo, è costituita da un mazziere (cordone argento e azzurro), trombe (cordone amaranto e oro), tamburini (cordone argento), tamburi imperiali (cordone oro e blu).

Lo scudo sannitico d'azzurro reca al centro un'aquila rostrata, armata d'oro e caricata in petto dallo scudo ellittico d'argento alla croce di rosso; alla base degli artigli una lista bifida di colore oro, riportante in caratteri maiuscoli neri il motto "ITERUM ALTE VOLAT". La corona turrita è di color oro.

Lo stemma attualmente in uso è stato adottato dopo la riapertura della scuola.

Il motto della Scuola, dal 1935 al 1943, è stato "Osare e durare", mentre l'attuale motto, dalla riapertura nel 1996, è "Iterum alte volat", che significa "Ancora vola in alto".

Sul muro dello scalone d'onore che porta alle aule è scritto "Ad vincendum studium", che significa "Impegno per vincere".

Sui muri del passaggio tra il Cortile Giulio Cesare e il Cortile Primo Tricolore è scritta una frase tratta dal Vangelo di Matteo (5,37) "Sit autem sermo vester: 'est, est', 'non, non'" in latino da un lato e "ἔστω δὲ ὁ λόγος ὑμῶν ναὶ ναί, οὒ οὔ·" in greco dall'altro, ovvero "Il tuo dire sia dunque sì, sì, oppure no, no!".

PARCO DEL CITYLIFE

CityLife vanta uno tra i parchi più ampi di Milano, ma soprattutto è ricco di opere d’arte che lo rendono un vero museo a cielo aperto tutto...