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venerdì 25 febbraio 2022

CASA DELLO ZECCHIERE

A pochi passi dalle Cinque Vie è incastonata la casa privata del Maestro della Zecca, al quale era affidato il controllo del flusso finanziario del ducato. La sua storia inizia all’indomani della riforma monetaria promossa da Galeazzo Maria Sforza, tra il 1466 e il 1474. Un viaggio nel tempo che lascia il segno: da un forziere nascosto nel sottosuolo, alle raccolte sale del primo piano dove si trovano enigmatici affreschi.
Gli spazi di questa location fanno parte di edifici un tempo connessi alla Zecca di Milano che batteva moneta sino dall’epoca sforzesca. Le strutture murarie sotterranee risalgono alla seconda metà del XV secolo; particolari degli affreschi ritrovati nei locali superiori permettono di datare l’edificio attorno al primo quarto del Cinquecento. L’immobile, di cui parla anche il Vasari, apparteneva alla famiglia Scaccabarozzi, Luigi padre e Bernardo figlio, che ricoprirono la carica di Zecchiere dal 1488 al 1562. La Zecca di Milano, demolita nel 1780, era confinante con questi spazi. Nel tardo Settecento l’edificio è stato inglobato nelle strutture edilizie che oggi lo circondano. Nel corso del 1800 e del 1900 l’uso che si fece di questi spazi divenne meno nobile e vi trovarono posto laboratori, magazzini e cantine dove venne anche realizzata una cisterna per l’acqua, rimossa con il restauro.
Nel 2012, con il benestare delle Soprintendenze, la proprietà ha deciso di restaurare questi edifici e i lavori si sono conclusi nel 2015. Su progetto dell’arch. Massimo Hachen sono state consolidate le volte quattrocentesche, eliminate tutte le superfetazioni costruite nel tempo, recuperando l’uso delle sale sotterranee e in particolare quella delle quattro colonne. È stato poi scavato un nuovo accesso al piano interrato, coperto da una struttura vetrata ad onda, con scala e ascensore. Durante lo scavo sono stati rinvenuti vari cocci di ceramica e due pietre lavorate di origine romana che sono visibili in loco.
location affittabile +39 02 89010476 
+39 3358082257 / +39 3396137309 

e visitabile in occasioni con il FAI

venerdì 21 gennaio 2022

CASCINA SALESINA

una tipica cascina del 1500 sopravvissuta all'espansione della città. Immersa nel parco Forlanini, circondata dal verde e dalla natura, è facilmente raggiungibile dal centro città di Milano.

Faceva parte di un fortilizio turrito denominato Antico Borgo descritto nel 1572 da San Carlo Borromeo, Arcivescovo di Milano.

Circondato da salici (da qui il nome “Salesina”), a quell’epoca abitato da alcune famiglie che costituivano un caratteristico borgo rurale lombardo. Fu proprietà nel 1600 del monastero di San Pietro in Gessate. Progetto "100 cascine" per l'Expo 2015 La Cascina Salesina partecipa al progetto di riqualificazione delle cascine lombarde nato con l’intento di soddisfare le esigenze di ospitalità qualificata e di lungo periodo durante e dopo l’appuntamento con Expo 2015.

Il prestigio della location, lo staff qualificato e l’eccellenza delle attrezzature sono al Vostro servizio con l’obiettivo di fare dell’Antico Borgo in Città un punto di riferimento per il mondo degli Eventi a Milano.

Lo spazio interno di 500 mq è suddiviso in quattro aree/sale:

Sala Salesina, Sala Ambrosiana,  Sala del Borgo, Veranda.

Tutte le aree sono climatizzate e dotate di impianti tecnologici funzionali. Garantiscono il massimo confort per ogni utilizzo e sono inserite in un contesto armonico ed accogliente, capaci di affascinare gli ospiti con i loro pavimenti in cotto pregiato, le spaziose volte con travi a vista e le ampie vetrate direttamente affacciate sul Parco Forlanini che illuminano il contesto con luce naturale.

Il suggestivo spazio esterno (Aia/Corte 800mq) di oltre 200.000 metri quadrati di terreno è perfetto per dare maggiore respiro e flessibilità agli eventi ed è ulteriormente organizzabile tramite tensostrutture. Tutto questo per offrire un’esperienza indimenticabile agli ospiti, sia in ambito di eventi aziendali che privati.

+39 339 7553377

+39 02-7560372

venerdì 26 novembre 2021

MUSEO DEI NAVIGLI DI MILANO

Più si è, meno si paga. La magia è stata resa possibile da un gruppo di privati che ha trasformato gli spazi di via San Marco 40 in un museo aperto a tutti. Basta prenotare una visita e portare con sé il maggior numero di amici, visto che più si è meno si paga il costo della guida.
Le particolarità da non perdere sono tante: dalle vedute dei Navigli fatte da Angelo Inganni, Segantini o Arturo Ferrari, fino ai sotterranei del Museo. Che custodiscono un pezzetto del passato acquatico di Milano.

Dalla conca dell’Incoronata alla Darsena. “Il Museo è stato ideato per dare un’idea di com’era Milano prima che coprissero i Navigli, negli anni ’30 del XX secolo” ci racconta Gian Antonio Ricotti, responsabile del museo. Le pitture, tutte copie dei quadri dei grandi artisti che hanno dipinto Milano, accompagnano il visitatore dalla conca dell’Incoronata, a pochi metri dal Museo, fino alla Darsena. Si passa dal tumbùn di S. Marco col ponte di via Montebello e il palazzo dove oggi ha sede la Fondazione Corriere della Sera, e si prosegue poi per via Fatebenfratelli e la conca di via Senato, passando accanto al Duomo. La correte ci porta in via Sforza e dopo aver oltrepassato Porta Ticinese arriviamo alla conca di via Arena da dove ci si immetteva nel porto di Milano.


Dalla città alla campagna. Un giro panoramico completo della cerchia interna dei Navigli condensato in poche stanze. Se poi si vuole uscire dalla città ecco che non mancano i quadri che immortalano il Naviglio Pavese o il Naviglio Grande e San Cristoforo o la Martesana con la sua Cassina de Pomm.

Ma è scendendo le scale che portano al di sotto del livello stradale che si scopre il tesoro segreto conservato all’interno del Museo. Solo nei sotterranei infatti si può ammirare la struttura dell’antica casa: mura, archi di mattoni rossi e soffitti perfettamente conservati come se ne vedono sui libri di archeologia medievale. E in questo labirinto di stanze è ancora possibile osservare il vecchio tracciato della roggia San Marco che scorreva sotto il palazzo.
Oggi a testimoniare lo scorrere dell’acqua rimangono le pietre incastonate nei mattoni dei muri e il percorso della roggia disegnato per terra. La sensazione di essere davanti a qualcosa di unico a Milano è così forte che non si può fare a meno di ripensare a com’era la città 100 anni fa: mulini e lavandaie, fabbriche, navigli affollati dai barconi e acqua, tanta acqua che scorreva tra le case, le attraversava e assicurava a Milano una posizione di dominio nei commerci.
Solo il lento gorgoglio della fontana posta appena prima delle scale saprà risvegliarvi da questo sogno. Eppure Milano è stata anche questo.

Il Museo dei Navigli, location a Milano e dimora storica, è ubicato in via San Marco in Brera, la zona di Milano più trendy e famosa nel mondo. Per chi è di Milano e vuole evitare ai propri ospiti lunghi spostamenti in auto sovente poco graditi causa nebbia, pioggia o neve, allora necessita di una location per matrimoni a Milano importante, prestigiosa e organizzata per rendere indimenticabile il vostro giorno.

Se amate la storia e le tradizioni, la magia del Museo dei Navigli con la sua sala per matrimoni ha un fascino unico e inconfondibile perché rappresenta secoli di storia milanese: da Federico I (detto il Barbarossa) che nel XII sec. distrusse la città, a Leonardo da Vinci che perfezionò la Conca del Naviglio di via San Marco (vedi Codice Atlantico) tutt’ora visibile a monte della Via San Marco a soli 50mt dal museo. Da Sthendal, famoso scrittore al seguito di Napoleone I, il quale descrisse Milano e la sua cerchia formata dal Naviglio di Via San Marco (chiuso negli anni 30), come una delle città più belle del mondo, ad Alessandro Manzoni, che nel suo celebre romanzo “I promessi sposi” rese famoso al mondo il Naviglio di Via San Marco, descrivendo l’arrivo di Renzo, da Lecco a Milano, su una barca, grazie all’omonimo Naviglio, ecc.

Celebrare il vostro matrimonio al Museo dei Navigli, in un un'atmosfera storica da sogno, diventa un evento memorabile. Al museo voi abbinate la perfezione del servizio organizzativo alla suggestione dell’ambiente in un luogo frequentato da tanti vip internazionali di ieri e di oggi.

Telefono: +39 0229001068

sabato 6 novembre 2021

VILLA SINGER

racconto di Marco Arosio

Ho sempre creduto che nella mia famiglia alberghi un po’ di follia che ha portato, suo malgrado, il sottoscritto a vivere e amare questo luogo che testimonia quanto affascinante e unico fosse il percorso della Martesana nell’interno della area metropolitana di Milano.
Il mio bisnonno Arturo Monti a 49 anni decise che non valeva la pena andare avanti a lavorare dietro i banchi di una farmacia e spinto da una passione congenita per l’arte, volle trovare un luogo per la sua unica figlia pittrice per poter lavorare en plein air.
Mia nonna non aveva potuto frequentare Brera, allora considerate sconveniente per una ragazza di buona famiglia, ed era diventata l’allieva prediletta del pittore Attilio Andreoli, allora ritrattista tardo-scapigliato della buona società milanese.
Nel 1934 il bisnonno comprò questa vecchia casa che ai primi del Novecento era stata costruita da un eccentrico signore austriaco, tal Karl Singer, come sua residenza e laboratorio per distillare profumi ed essenze. L’impresa commerciale sembra che non funzionò e gli eredi si trasferirono in una villetta adiacente già in stile Liberty.
Alcune persone si ricordano ancora dei barconi che attraccavano sulla Martesana per scaricare casse venute chissà dove di essenze e radici essiccate, pronte per essere trattate e diventare pregevoli fragranze. Il traffico fluviale sul Martesana doveva essere intenso perché fino a poco tempo fa esisteva un derelitto capanno a fianco del vecchio ponte e che I soliti vecchietti ricordano essere il deposito delle canoe dei dirigenti della vicina Magneti Marelli: Milano come Oxford… La casa intanto era diventata il ritrovo degli amici pittori del bisnonno (Palanti, Tallone, Alciati) e mia nonna immortalava le poche vicine di casa in ritratti alteri e un po’ démodé: le modelle non ricevevano l’originale dipinto che andava ad accrescere la pinacoteca del bisnonno, ma sono piccoli cartoni come ringraziamento di lunghe, e immagino, estenuanti sedute. In alcuni quadri che mi sono rimasti è raffigurato spesso il giardino, la cui cura era fondamentale per l’armonia della famiglia. Le piante da frutto ben potate, che rimandano a un amore per la campagna lombarda, e la ricerca dell’esotico con le spalliere di bambù e i cespi di Yucche, riflettono un ideale eden che la mia bisnonna Maria Teresa ricercava nel piantare fiori che sbocciassero in ogni mese dell’anno. L’idillio bucolico e anche un po’ chiuso alla città che cambiava e si espandeva, fu travolto dalla guerra: nel bombardamento del 20 ottobre 1944 la scuola elementare davanti casa fu annientata e da allora Gorla e la piazza porta il ricordo a tutti i milanesi di duecento bambini (Piccoli Martiri) morti per essere andati a scuola… La casa ne uscì malconcia, ma i miei bisnonni continuarono a raccogliere l’uva della pergola e ascoltare musica dal vecchio grammofono finché un abile amministratore non li convinse ad andare a vivere in un condominio con l’ascensore tanto “bello e moderno”. Lui ovviamente si insidiò nella villa “così scomoda” e dopo di lui la figlia.
Quando sono arrivato io avevo 27 anni, pochi soldi ma ero già antiquario da tempo e rimasi sedotto da questa venerabile signora umiliata da brutture e restauri volgari con un meraviglioso avanzo di giardino, trasformato in un campo da calcio. Con l’aiuto fondamentale della mia famiglia in questi dieci anni la casa è tornata a essere il centro dei nostri affetti e in giardino ci sono nuove piante da frutto per ogni nipote arrivato. In casa ho cercato di ricostruire l’atmosfera di un luogo un po’ fuori dal tempo proprio in una città dove il tempo è la cosa che più vale e il piacere più grande è vedere i miei ospiti perdere le proprie nevrosi e lasciarsi andare alle memorie che questa casa ridesta.
Tutto intorno il paesaggio è cambiato e la piccola frazione di Gorla è ora solo una porzione della periferia nord-est di Milano, ma l’acqua che scorre della Martesana riflette ancora un vecchio mondo che la memoria della città sta rimuovendo, per conservarlo per i nuovi abitanti.
Ricevere in casa… d’altri come in casa propria, grazie a un giovane antiquario che apre la sua splendida villa a feste ed eventi
L’affitto è calcolato in base al numero di persone che ne invadono la preziosa intimità, dai 500 euro per una ventina di invitati ai 2000 per un centinaio. Che gioiranno, per un giorno, di un luogo un po’ magico, vissuto con amore.
Arosio esteta con il senso degli affari, pensa al catering e ai preventivi.
tel. 02 27002581 info@villasinger.it

LA FONDERIA NAPOLEONICA

Fonderia Napoleonica Eugenia

La storia della Fonderia è strettamente legata a quella del quartiere Isola e, soprattutto, al santuario di Santa Maria Fontana,  e che era famoso per le sue miracolose proprietà di guarigione. L’area in cui oggi sorge la Fonderia faceva parte dei beni adiacenti al santuario, che si estendevano ben oltre la via e raggiungevano addirittura il quartiere di Prato Centenario e Dergano.
L’arrivo di Napoleone rivoluzionò tutto: i terreni adiacenti a Santa Maria Fontana furono requisiti dall’esercito francese e destinati alla costruzione di una fonderia di bronzo. Furono i fratelli Manfredini a occuparsi della sua realizzazione: il viceré Eugenio di Beauharnais chiamò i due esperti orafi e fonditori appositamente da Parigi affinché si prendessero carico della costruzione della Fonderia. La Fonderia, chiamata Eugenia in onore del viceré, fu ben presto rifinita.
I fratelli cominciarono a lavorarci, realizzando sia piccoli oggetti di lavorazioni bronzee per arredi, sia opere di dimensioni maggiori. Fra le più memorabili, ricordiamo la fusione della sestiga collocata sull’Arco della Pace in Parco Sempione.
Nel 1830, ai Manfredini successero i Barigozzi. E da allora, la famiglia Barigozzi ha sempre avuto in mano la gestione della Fonderia, fino alla sua chiusura. La loro attività è ampiamente documentata in un archivio cartaceo e fotografico: Ermanno Secondo Barigozzi appuntava tutti i dettagli di costruzioni, delle tecniche e delle osservazioni in diari che, oggi, ci aiutano a decifrare il lavoro della famiglia.
La Fonderia Napoleonica si specializzò in breve nella realizzazione di campane.
Questo non significa, però, che mancarono le opere artistiche: per un lungo periodo lo scultore Barzaghi collaborò con i Barigozzi e, insieme, realizzarono il monumento ad Alessandro Manzoni, oggi in Piazza San Fedele, e quello a Luciano Manara, nei Giardini Pubblici di Porta Venezia. Infine, nel 1896, la Fonderia portò a termine una delle opere più spettacolari e conosciute dai milanesi. Nonostante si veda spesso, tende a passare in secondo piano, perché si trova accanto al simbolo di Milano, il Duomo. Stiamo parlando del monumento equestre dedicato a Vittorio Emanuele II, che si trova in Piazza Duomo e che fu il frutto della prosperosa collaborazione tra i Barigozzi e lo scultore Ercole Rosa.
La storia della famiglia Barigozzi si concluse nel 1975: la Fonderia chiuse le sue porte alla produzione e le aprì, qualche anno dopo, al museo e all’organizzazione di eventi e di mostre.
Cosa vedere alla Fonderia Napoleonica
Arrivate in via Thaon di Revel 21. Troverete un cancello alto che protegge un’antica cascina. Citofonate e dirigetevi a sinistra: fra uno studio di design e uno di architettura, troverete le indicazioni per arrivare alla Fonderia Napoleonica. Entrando, sarete subito sopraffatti dal profumo di gesso e legno. Il primo salone che incontrerete è quello che precede la fossa di fusione, il posto dove erano raggruppati i metalli e i materiali prima di costruire campane e statue.
Al secondo piano, invece, c’è il forno maggiore con le pareti in bronzo e in legno. L’ultimo Barigozzi ha ristrutturato l’edificio, mantenendo però il suo aspetto originale: così, tutt’oggi, potrete ammirare gli alti soffitti in legno con le travi scoperte e il pavimento in cotto.
Oltre agli interni stupefacenti, durante tutto l’anno potete visitare le stanze adibite a museo che conservano la collezione di appunti e le foto d’epoca della famiglia Barigozzi. Arrivate fino alla stanzetta accanto al forno maggiore: si chiama stanza paradiso e contiene al suo interno i calchi in gesso di santi e martiri che erano posti sulle campane come ornamenti.
Per essere sicuri di entrare in Fonderia, prenotate una visita. Altrimenti, aspettate uno degli eventi che, periodicamente, vi prendono luogo. Quest’anno a Natale, per esempio, è stato organizzato il mercatino a tema green.
Sito della Fonderia: www.fonderianapoleonica.it

mercoledì 29 settembre 2021

VILLA CELLA e il MUSEO FORLANINI

 

VILLA CELLA rientra in una di quelle strutture che hanno fatto la storia della zona ovest (San Siro) di Milano nel corso del secolo scorso.

I documenti storici e le rare foto degli inizi del 1900 identificano la zona come un ampio territorio a coltivazione agricola ai confini della cerchia dei navigli con pochissimi agglomerati di case e cascine che nella maggior parte sono oggi completamente sparite e solo alcune ancora sopravvivono nel contesto di una città in continua espansione geografica. A quel tempo esistevano solo due importanti costruzioni: Le Officine Leonardo da Vinci e VILLA CELLA.

In questo grande territorio nel 1902 sorgeva uno dei primi stabilimenti industriali del XX Secolo costruito dal grande genio della Scienza Moderna Enrico Forlanini. In questo grande complesso su una superficie di circa 11.000 metri quadri venivano realizzati i primi oggetti volanti di grandi dimensioni (dirigibili) alternativi ai piccoli aeroplani derivati dalle prime esperienze dei fratelli Wright. Inoltre, in questo stabilimento, venivano costruiti gli idrotteri “volanti”, battelli acquatici precursori degli attuali aliscafi.

Lo stabilimento era stato costruito in prossimità della piazza d’armi (attuale incrocio tra la via San Giusto e la via Domokos) dove si svolgevano le esercitazioni militari. Piazza d’armi che, proprio in funzione della presenza dei nuovi dirigibili, si era trasformato nel primo campo di aviazione di Milano all’interno del quale era stato costruito un presidio del Regio Esercito Italiano.

Le uniche strade di comunicazione tra la grande città di Milano e le altre del vicino Piemonte erano quelle che attualmente si identificano nella via delle Forze Armate e via Novara.

Nello stesso periodo in prossimità dello stabilimento Forlanini ed adiacente alla strada che conduceva a Novara era stata costruita una villa gentilizia di campagna (attuale VILLA CELLA) con affiancata una costruzione dedicata alla scuderia dei cavalli e deposito delle carrozze (a quel tempo le carrozze erano l’unico mezzo privato di comunicazione veloce) e da una costruzione per la raccolta del fieno che comprendeva anche l’ abitazione della servitù.

Questa casa patrizia nel corso degli anni fu dapprima acquistata da una ricca famiglia di origine tedesca e successivamente, al termine della prima guerra mondiale, passò di proprietà ad un milanese che già aveva diversi possedimenti immobiliari in città. Per una serie di vicissitudini familiari ed economiche la costruzione venne poi ceduta al conte Franco Cella di Rivara che, nel periodo compreso tra il 1950 e 1960 ovvero dopo la vendita della sua fabbrica di cosmetici Durban’s e aver costituito una nuova società di cosmetici chiamata Hanorah, aveva trasformato la Villa in sede operativa e nella parte retrostante aveva costruito dei capannoni utilizzati per la produzione dei cosmetici.

Alla fine degli anni 70 il conte Cella decise di trasferire la fabbrica in un nuovo stabilimento più grande ed adeguato allo sviluppo dell’impresa. Per questo motivo tutta la struttura venne ceduta. I nuovi proprietari decisero di riportare all’originale splendore la Villa che negli anni precedenti non era stata curata e trasformata in deposito di merci. Di fatto sono stati fatti diversi interventi di ristrutturazione portando all’originale splendore tutti i pavimenti in legno di rovere, i soffitti a cassettoni in legno decorati, i soffitti dipinti, le finestre e le porte ad arco con i vetri antichi e i reticoli a piombo, i vecchi caminetti del 1600 . Anche il grande ingresso principale che si affacciava sul fronte verso il giardino è stato rivalorizzato unitamente all’ampio cortile con aiuole a prato ed alberi di alto fusto. Il tutto immerso in un’oasi tranquilla e riservata dove ancora si può godere del cinguettio degli uccelli in contrapposizione agli assordanti rumori della città.

Oggi la villa è ritornata a “vivere” mantenendo tutto il fascino delle vecchie case patrizie degli inizi del XX Secolo e con il suo ampio complesso retrostante di circa 2.500 metri quadri permette di svolgere manifestazioni di vario tipo quali: convegni, celebrazioni, meeting, presentazioni di prodotti, etc.


mercoledì08:30–12

giovedì08:30–12

venerdì08:30–12

sabatoChiuso

domenicaChiuso

lunedì08:30–12

martedì08:30–12

lunedì 27 settembre 2021

PALAZZO TURATI


Il palazzo fu commissionato dal Conte Francesco  esponente dell’industria cotoniera ottocentesca lombarda, ed Emilio Turati, commercianti di cotone lombardi. Il palazzo, per volere dei fratelli, fu progettato dall'architetto Enrico Combi prendendo ispirazione a palazzo dei Diamanti di Ferrara, è stato costruito tra il 1873 il progetto fu completato nel 1876. La facciata, dallo stile decisamente neorinascimentale, si presenta quindi immediatamente riconoscibile dal particolare bugnato a forma di diamante, (ad imitazione di quello ferrarese di Biagio Rossetti in Palazzo dei Diamanti), che ricopre tutto il palazzo fatta eccezione per le finestre a serliana, le lesene e le balconate con finestroni, sempre a serliana, coronati da un frontone decorato; all'interno si trova un cortile porticato ispirato alle forme del rinascimento lombardo.

In questo edificio, dal 1924 al 1994, ebbe sede la Famiglia Meneghina, celebre circolo privato e associazione culturale milanese, che ancora oggi raccoglie e tramanda le memorie della vecchia Milano. La sede attuale (2015) si trova in via S. Paolo 10.

Nel corso degli anni il palazzo è stato più volte ristrutturato e due sale negli anni Trenta del Novecento vennero adibite per il mercato del grano e delle seta da Palazzo Mezzanotte. Successivi lavori vennero fatti in seguito ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale che distrusse diverse parti, compreso il cortile. In seguito a una gara, l’edificio venne ricostruito negli anni Cinquanta dal Castiglioni che riuscì a mantenere l’aspetto della facciata, caratterizzata da linearità e decorazioni. Dal 1954 Palazzo Turati è sede della Camera di Commercio.

Il fronte del corpo sud, rivolto verso via Gaetano Negri, è invece caratterizzato da un loggiato, originariamente aperto, che si presenta oggi chiuso mediante un serramento metallico dai motivi geometrici lineari. (L’originario serramento del 1927 era invece caratterizzato da vetri piombati e colorati, dai motivi più morbidi e in linea con lo stile liberty dell’inizio del XX secolo). Da un punto di vista planimetrico l’edifico si presenta oggi con sei piani fuori terra, ma nasce come edificio composto da: piano terra, ammezzato, primo piano nobile, piano secondo, piano sottotetto.

L’intervento di sopraelevazione degli ultimi due piani risale agli anni ‘20 del secolo scorso, ma è nella metà degli anni ’90 che l’edifico subisce profonde trasformazioni.

Dell’appartamento padronale al piano primo fa parte la “sala della musica”, salone da ballo. La cui decorazione segue un programma iconografico ispirato alla Nona di Beethoven e più particolarmente all’Inno alla gioia. I pavimenti sono in legno finemente lavorato ad intarsio e due portali marmorei scolpiti e dorati. Fra gli stucchi dorati della volta sono presenti quattro tondi rappresentanti genietti musicanti mentre al centro campeggia una grande composizione del Bertini, raffigurante la Melodia, simboleggiata attraverso schiera di fanciulle alate, che danzano eteree, tenendosi per mano, sospinte da un turbine gioioso. Il tema della danza domina tutta la stanza. Lo sfarzo dell’ambiente è accentuato dalle Boiseries dorate e dalle porte in bronzo e marmo disegnate da Ludovico Pogliaghi, finissimo ornatista anch’egli allievo del Bertini. Le pareti sono rivestite di affreschi del Bertini, di cui troviamo anche una firma, eseguiti in collaborazione col suo allievo Emilio Cavenaghi. Troviamo raffigurate dame, nobildonne, gentiluomini e musicanti in costumi rinascimentali, sullo sfondo di giardini e paesaggi, entro fregi e festoni dipinti a motivi floreali.

La stanza è dominata dall’imponente e monumentale camino marmoreo sormontato dalla statua bronzea del Prometeo, Eroe mitico, invenzione ispirata con acuta sensibilità ai modi del Cellini e del Gianbologna. L’attigua “sala di Prometeo” che in passato è stata biblioteca del circolo della Famiglia Meneghina, è interamente eseguita su disegno del Pogliaghi nel 1890, secondo un gusto neorinascimentale di grande coerenza formale, evidente nelle decorazioni plastiche; di cui fanno parte le porte bronzee modellate con mascheroni e stemmi di casa Turati, il soffitto cassettonato dipinto in azzurro e oro con rosoni, le boiseries e le tappezzerie.

Raffinato e prezioso è il “salotto azzurro”, creazione del Pogliaghi “ornatista”, come egli stesso amava definirsi, che ha lasciato il suo nome nello sguancio di una porta, entro le grottesche di una candelabra dipinta. Sopra la grande specchiera dorata compare la data: Perfectum MDCCCLXXXV (1885) a datare esattamente l’esecuzione delle decorazioni nella stanza. Le pareti sono tappezzate di velluto azzurro con applicazioni in seta e raso dipinte a grottesche mentre delicate boiseries intagliate e dipinte con fregi a che rappresentano putti riquadrano le porte e le finestre. Il soffitto, interamente dorato, è tramato di leggeri rilievi in stucco con un disegno di nastri intrecciati, nella grande medaglia ovale al centro, troviamo la Flora di Mosè Bianchi. Qui il bel corpo nudo è fasciato provocantemente di veli azzurri ma presenta un espressione definita dalla critica un poco “bambolesca”.

Nei sotterranei di Palazzo Turati, presso la Camera di Commercio della città, sono visitabili le fondazioni del teatro romano. Nel 2016 il palazzo è stato acquistato da un fondo dell'Azerbaigian.

È possibile visitare, gratuitamente e previa prenotazione, nei sotterranei di Palazzo Turati presso la Camera di Commercio della città in via San Vittore al Teatro 14, i resti dell'antica struttura. Oltre a pannelli esplicativi, il sito archeologico offre una visita nell'antica Mediolanum anche grazie alla riproduzione dei rumori e degli odori che si potevano percepire nel teatro. L'allestimento del museo sensibile del teatro romano di Milano consente di farsi un'idea precisa dello spazio su cui si sviluppava la Milano romana, degli spazi occupati del teatro e delle attività che si conducevano, nonché della tecnica costruttiva per edificarlo (del teatro si sono infatti conservate anche alcune palificazioni per le fondamenta).


Saltuariamente vengono organizzate visite guidate gratuite, in special modo grazie ai volontari del FAI durante le giornate organizzate ogni anno e che permettono l’entrata ai cittadini in luoghi altrimenti inaccessibili di Milano.

sabato 11 settembre 2021

PALAZZO CLERICI

 

Palazzo Clerici era la dimora della ricca ed influente famiglia patrizia milanese dei Clerici, ed è situata a Milano, nell'omonima via, detta nel Seicento "Contrada del prestino dei Bossi". Nel Settecento l'antico palazzo padronale che qui sorgeva e che era appartenuto ai Visconti, venne completamente modificato ad opera del marchese Anton Giorgio Clerici (1715-1768) il quale ne fece una delle dimore più sfarzose della Milano dell'epoca, con la realizzazione della famosa Galleria degli Arazzi affrescata sulla volta da Giovanni Battista Tiepolo nel 1741. Il palazzo, dal 1771 al 1778, venne affittato agli arciduchi d'Austria, Ferdinando d'Asburgo-Lorena e Maria Beatrice d'Este, i quali vi instaurarono la loro corte durante il periodo in cui furono a capo del governatorato di Milano.

La struttura del palazzo venne edificata nel Seicento su una proprietà della famiglia dei Visconti di Somma Lombardo, dai quali venne venduta a metà del secolo a Giorgione Clerici, dopo una serie di lavori di restauro del preesistente palazzo. La famiglia Clerici, originaria del comasco, era stata protagonista di una rapida ascesa sociale, grazie agli ingentissimi capitali accumulati con le attività di commercio serico e del prestito a usura. Giorgio Clerici (1648-1736, che fu tra l'altro il costruttore della celebre Villa Carlotta sul lago di Como) era entrato a far parte della nobiltà milanese, con i titoli di marchese di Cavenago, signore di Cuggiono e di Trecate.

Nel 1722, a soli sette anni di età, Anton Giorgio Clerici, a seguito della morte del padre e del nonno, ereditò il titolo di marchese, divenendo erede unico dell'intera fortuna accumulata dalla famiglia, fra le maggiori della Milano del tempo. A seguito del matrimonio con Fulvia Visconti avvenuto nel 1733, il Marchese avviò un'importante campagna di lavori nel palazzo di famiglia, coinvolgendo alcuni degli artisti più in vista fra cui Mattia Bortoloni, Pietro Maggi, Giovan Angelo Borroni. Secondo la consuetudine prevalente a Milano, scarsa attenzione fu dedicata alla facciata del palazzo, per la quale fu realizzato il modesto prospetto ancora visibile sulla stretta via Clerici, mentre grande attenzione fu dedicata nella ricchissima decorazione degli interni. Il risultato della lunga campagna decorativa fu una serie di sale coperte di affreschi, stucchi, arazzi, ori, tarsie che costituivano uno dei maggiori esempi del gusto Rococò a Milano.

L'intervento di maggior impegno della campagna di abbellimento ha luogo negli anni quaranta del settecento con la commissione all'artista più affermato sulla scena, Giambattista Tiepolo, dell'affresco della Galleria degli Arazzi. Il pittore all'epoca si trovava a Milano impegnato negli affreschi delle cappelle della Basilica di Sant'Ambrogio, ed aveva già lavorato per il nonno del Marchese Clerici, Carlo Archinto, per il quale aveva realizzato l'importante ciclo di affreschi nel Palazzo di famiglia, distrutto durante la seconda guerra mondiale. La realizzazione dell'affresco avvenne a seguito di una lunga fase di progettazione, testimoniata da numerosi studi in parte pervenuti. La complessità dell'opera era in parte dovuta alla configurazione dell'ambiente, stretto ma estremamente lungo (5 metri di larghezza e 22 di lunghezza). Nella volta è rappresentata La corsa del carro del Sole tra le divinità dell'Olimpo, contorniata dalle Allegorie dei quattro Continenti e dalle Allegorie delle Arti.

Nel 1768, alla morte di Giorgio Antonio Clerici, il patrimonio della famiglia milanese era però stato quasi completamente dilapidato dalle spese sostenute per la costruzione del palazzo e l'abitazione medesima nel 1772 passò a Francesco Clerici (appartenente ad un ramo secondario della famiglia), il quale successivamente lo affittò all'Arciduca Ferdinando d'Asburgo-Lorena ed all'Arciduchessa Maria Beatrice d'Este, i quali erano rappresentanti dell'Imperatrice Maria Teresa a Milano col titolo di Governatori del ducato. Successivamente, quando la coppia reale si trasferì a Palazzo Reale, il palazzo rimase di proprietà del governo che lo cedette al governo napoleonico nel 1813.

Recuperato dagli austriaci durante la restaurazione, passò ai piemontesi dopo l'unificazione italiana e dal 1862 divenne sede della Corte d'Appello.

Dal 1942 ospita l'ISPI, l'Istituto di Studi di Politica Internazionale.

Il primo ambiente che troneggia nella struttura del palazzo è certamente lo scalone d'onore che immette dal cortile principale conduce direttamente alla Sala da Ballo, posta al piano nobile. I gradini e la balaustra della scalinata sono in granito, quest'ultima decorata con preziose statue femminili con vestiti orientali. Gli studiosi ritengono che il progetto di questa scalinata, se non addirittura dell'intero palazzo, sia da attribuire al genio di Francesco Croce, il quale aveva già lavorato a Villa ClericiNiguarda. Il soffitto è affrescato da Mattia Bortoloni e rappresenta l'apoteosi di Giorgio II Clerici, bisnonno di Anton Giorgio, accompagnato da alcuni dei greci.

La Sala da Ballo al piano nobile del palazzo era vista come una sala di rappresentanza all'epoca della sua costruzione, luogo ove la famiglia Clerici teneva i suoi ricevimenti. La sala, particolarmente alta (tocca l'altezza di due piani), era il biglietto da visita della famiglia rispetto agli ospiti, con finestroni su ambo i lati e con due cantorie per i musici che potevano accedervi tramite delle scale nascoste. La grande volta è dipinta con la tecnica del chiaroscuro e presenta un motivo a foglie.

La Sala venne pesantemente restaurata nella seconda metà dell'Ottocento quando il palazzo divenne sede del Tribunale di Terza Istanza e poi dell'archivio generale del tribunale. Nel 1873, dopo un crollo parziale del soffitto, si pensò di dividere la sala in due piani, col primo adibito ad uffici ed il secondo a deposito dei documenti. La sala venne riportata per quanto possibile al suo aspetto originario nel periodo compreso tra le due guerre mondiali per intervento dell'architetto Giuseppe Dotti, a cui fece seguito un secondo restauro compiuto nel 1966 dall'architetto Luigi Gorgoni de Mogar.

L'attigua Galleria degli Stucchi, che aveva un tempo la funzione di collegare la Sala da Ballo con l'appartamento privato del marchese Clerici, divenne parte del medesimo ambiente a metà ottocento quando venne adibito a Biblioteca della corte d'appello.

Galleria dei Quadri (Anticamera del Tiepolo)

Questa sala era deputata ad accogliere la preziosa collezione di dipinti del marchese Anton Giorgio Clerici. I quadri all'epoca erano 110 e comprendevano tele e tavole in particolare di scuola lombarda e veneta, in particolare del Seicento con dipinti del Vermiglio, del Morazzone dei fratelli Camillo e Giulio Cesare Procaccini, del Cerano, di Daniele Crespi, del Montalto, dello Storer e del Nuvolone, nonché opere di artisti bolognesi come Guido Reni e fiamminghi come Rubens e Van Dyck. Gran parte di questa collezione venne dispersa quando il palazzo venne venduto alla corte d'appello.

Il dipinto sul soffitto venne realizzato da Mattia Bortoloni, rappresenta diverse figure che compongono l'allegoria del buon governo di Maria Teresa d'Austria su Milano (la sovrana è rappresentata nella figura femminile coronata sotto un baldacchino). Anche questa sala subì dei danni nel corso dell'Ottocento quando venne suddivisa da un muro.

Galleria degli Arazzi (Galleria del Tiepolo)

Nota un tempo come Galleria degli Intagli, la Galleria del Tiepolo è certamente uno degli ambienti più noti e sfarzosi dell'intero palazzo Clerici, nonché uno degli esempi più belli e meglio conservati di barocchetto a Milano. L'ambiente della sala è rimasto praticamente intatto dalla sua realizzazioni, conservando perfettamente non solo gli affreschi del grande maestro veneziano, ma anche gli stucchi, le boiserie e gli arazzi alle pareti.

La decorazione della sala venne commissionata nel 1740 da Anton Giorgio Clerici a Giovan Battista Tiepolo. Questi si trovò ad operare in una galleria della lunghezza di 22 metri lineari, ma con la larghezza di poco più di 5, motivo per cui risultò fondamentale la sua esperienza per un utilizzo sapiente degli spazi, creando un insieme armonico di personaggi, animali e architetture dipinte a trompe l'oeil. La parte centrale del dipinto è occupata dal carro del dio Sole trainato da quattro cavalli bianchi e circondato da diverse divinità dell'Olimpo greco. Ai lati si trovano delle allegorie delle arti (tra cui un suo ritratto) e divinità minori legate alle acque, oltre alle allegorie delle quattro parti del mondo all'epoca conosciute (Europa, Asia, Africa e America) con gli animali loro simbolo (rispettivamente il cavallo, l'elefante, il cammello e il coccodrillo), anticipando il medesimo schema che l'artista utilizzerà in seguito nel grandioso scalone della Residenza di Würzburg. L'affresco, oltre che allegorico, è nel contempo una celebrazione del committente, Anton Giorgio Clerici, che l'anno precedente alla realizzazione del dipinto aveva ottenuto che la sua famiglia fosse aggregata al patriziato milanese.

Nella zoccolatura delle pareti, tra porte e specchiere, si trovano scene in bianco e oro rappresentanti episodi di vita militare tratte dalle stampe della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso pubblicate a Venezia da Giovanni Battista Piazzetta nel 1746, con l'intento di esaltare le imprese militari delle ultime generazioni dei Clerici e non ultimo dello stesso Anton Giorgio. Gli intagli presenti alle pareti sono ascritte alla mano di Giuseppe Cavanna. Tra le boiserie si trovano degli arazzi di stile barocco e a tematica biblica (storie di Mosè) che sono ascrivibili alla scuola di Bruxelles (autore Ian Leyniers) e che vennero realizzati nel 1665 e furono quindi acquistati poi dal marchese Clerici verso la metà del XVIII secolo, creduti realizzati su cartoni di Pieter Paul Rubens. Secondo gli inventari presenti negli archivi della famiglia Clerici, si sa che gli arazzi nella sala dovevano essere sei in tutto, ma quando questi nel 1918 vennero trasferiti temporaneamente a Roma, rientrarono a Milano poi privati di un pezzo, il più piccolo. La collezione di Anton Giorgio Clerici comprendeva altri quattro arazzi che erano esposti in una sala attigua per motivi di spazio e che attualmente si trovano presso il Virginia Museum of Fine Art di Richmond, negli Stati Uniti. I mobili presenti nella sala, originali, sono di bottega viennese.

Nel periodo in cui il palazzo venne utilizzato dagli arciduchi d'Austria reggenti il ducato di Milano, questa sala venne utilizzata per le udienze e per questo motivo vi venne posizionato un baldacchino di velluto rosso.

Sala degli Specchi

La Sala degli Specchi e quella successiva, erano parte degli appartamenti di rappresentanza del marchese Clerici. Questa, nello specifico, era utilizzata per i ricevimenti ufficiali della famiglia e si distingue dalle altre per la presenza di una serie di colonne in granito inglobate all'interno delle mura della sala: questo è un chiaro segno del fatto che questa sala era già presente nella struttura prima dell'arrivo dei Clerici, quando aveva le funzioni di un loggiato aperto con affaccio sul giardino della villa.

L'arredamento ligneo attualmente presente nella stanza, venne commissionato nel 1755 da Antonio Giorgio e questo lo si comprende molto bene dalla presenza di una serie di trofei militari che riportano le iniziali "MC" per "Maresciallo Clerici" (secondo altri "Marchese Clerici"), con evidente riferimento alle recenti vittorie ottenute sul campo di battaglia da Anton Giorgio. Sul soffitto della sala si trova un dipinto raffigurante Giove e Ganimede attorniati da Saturno e da Nettuno. Dal 1771 al 1778 questa fu la camera da letto dell'arciduca e dell'arciduchessa d'Austria prima del loro trasferimento al Palazzo Reale.

 VISITE GUIDATE

Su base periodica è possibile visitare Palazzo Clerici ed in particolare la Galleria affrescata nel 1741 da Giambattista Tiepolo, che conserva anche arazzi del fiammingo Jan Leyniers II e boiseries di Giuseppe Cavanna.

Per i singoli (gruppi massimo di 6 persone) è possibile visitare il palazzo.

Le prossime visite saranno mercoledì 15 settembre alle 15.00 o alle 15.45 e giovedì 16 settembre alle 10.30 o alle 11.15.

La visita è gratuita e dura all'incirca 30 minuti.

Per info e prenotazioni scrivere una mail a ispi.eventi@ispionline.it

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