
Questo punto era situato proprio all’inizio di via San Marco, posto al di sotto del ponte di Bastioni di Porta Nuova
Tuttavia, oggi sono molti a credere erroneamente che il tombone di San Marco fosse situato in corrispondenza dell’incrocio fra le attuali vie San Marco e Montebello, punto in cui vi era l’accesso delle acque del Naviglio Martesana a Milano ed il collegamento di queste con il sistema di canali della cerchia interna.
Poco oltre questo tratto si trovava la cosiddetta Conca dell'Incoronata, che prende il nome dalla vicina chiesa e che fu nota anche come “Conca delle Gabelle“, perché in quel punto, adibito all’ingresso di merci e persone in città, si riscuoteva il pagamento delle tasse sugli scambi commerciali e sui trasporti.
A questa conca si ricollegano anche gli studi leonardeschi sul sistema delle chiuse, testimoniati per la prima volta da un disegno conservato nel Codice Atlantico e realizzato durante il primo soggiorno milanese (1482-1500) dell’artista toscano.
Infatti, attraverso l’ingegnoso meccanismo, fu quindi possibile superare la differenza di livello tra la Cerchia Interna e ed il canale proveniente dal Naviglio Martesana e consentire così il transito delle imbarcazioni all’interno della città.
Prima della conca si trovava (fino la metà degli anni ’30 del Novecento) il Laghetto di San Marco, che si estendeva davanti all’omonima chiesa e costituiva uno dei porti della città di Milano, insieme alla Darsena ed al Laghetto di Santo Stefano (oggi non più esistente e situato nell’attuale in Via Laghetto).
Il Tombone di San Marco divenne subito un posto celebre per i suicidi.
Questa usanza era dovuta al fatto che il Naviglio Martesana, nel suo ultimo tratto raccoglieva le acque del Seveso e ne cedeva in parte al Redefossi, comportando così all’altezza del “Tombon” e del vicino ponte di Montebello frequenti mulinelli e correnti d’acqua, che “risucchiavano” qualunque cosa o persona cadesse al suo interno.
Per questo motivo, il ponte di Bastioni di Porta Nuova divenne tristemente noto come il “ponte dei suicidi”, in quanto vi arrivavano in parecchi che, per motivi vari, decidevano di farla finita e “sparire”…
Anche Filippo Turati descrisse in toni drammatici il Tombone di San Marco, ricollegandosi a questa triste usanza.

Filippo Turati, 1886“Sul gorgo viscido
chiazzato e putido
sghignazza un cinico raggio di sol;
quali augei profughi
fantasmi lividi
mesconsi, riddano,
levansi a vol.
Son baldi giovini
spenti, son vacue
forme, son vedove
tristi beltà;
[…] Quante speranze
cessar le danze,
quante esultanze
fransero qui!
Che mondi vividi
di luce e iliadi
d’affanno il baratro
cupo inghiotti’!
[…] Invan mi affascini,
gorgo; le torpide
malie mi prodighi,
sirena, invan;
la luce adoro,
amo e lavoro,
mi canta un coro
lieto il doman.
chiamami, o gora;
quella che fia l’ora;
non vano allora
l’appel sarà”.
Il Tombone di San Marco in una mappa del 1860
Il Porto in terra di San Marco
L’importanza delle merci trasportate dal versante orientale portò alla creazione di un vero e proprio "Porto in Terra" in zona San Marco presso lo storico "Tombone" tanto caro a Filippo Turati che lo immortalò nella sua celebre poesia ispirata al “Gorgo malefico”. L'area assolveva alla vocazione portuale di Milano e ancora l'avrebbe assolta, almeno fino al 1929 anno di definitiva cessazione della navigazione all'interno della città di Milano se è vero che la navigazione lungo il Martesana fece registrare un traffico, nel trentennio 1850-1880, di 1.400 tonnellate (media annuale in ascesa) e 76.000 tonnellate (in discesa) contro i 1.500 in ascesa e i 142.000 in discesa del Naviglio Grande.
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