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giovedì 10 marzo 2022

PALAZZO MEDICI

 Il palazzo di Corso Magenta 29 che cela i resti del palazzo Medici

Dall’ingresso al 5 di via Terraggio si possono visitare gli omonimi giardini, resti di quelli annessi al palazzo mediceo e nei quali si possono apprezzare con calma alcuni elementi del muro laterale di Palazzo Medici.
Milano, restauro di Casa Medici (palazzo del '400) e del cinema Orchidea in via Terraggio (corso Magenta)
„Al civico 29, dietro ad un portone di legno, ecco che si vede, in fondo al cortile quella che un tempo era la casa milanese del Magnifico, Lorenzo De' Medici“
Lorenzo de' Medici riceve in dono da parte di Galeazzo Visconti e Lodovico il Moro“ nel 1486 un palazzo oggi all’angolo fra via Terraggio e corso Magenta e un altro in via San Maurilio, di cui non si sa quasi nulla. Anche se non vi risiederà mai e non lo porterà a termine, Lorenzo de’ Medici fa ristrutturare l'edificio di corso Magenta,
„Di Casa Medici restano ormai poche tracce: L’ambiente più notevole del complesso è la grande sala, lunga più di 37 metri e alta 8, oggi parte del Nuovo Cinema Orchidea che presenta una corte porticata a U con in fondo una sequenza di nicchie mentre all’esterno c’era una curiosa combinazione di fregi in cotto, bugnato e scudi in rilievo (perduta nel 1900, quando il palazzo diventa una casa di ringhiera), tre colonne incastonate nella parete in muratura ad un lato del cortile e sei nicchie di grandi dimensioni sul muro, tre delle quali sono state trasformate in finestre.“ è l'antico refettorio del convento che vi si installò dopo la famiglia Medici e che era stato trasformato in un cinema d'essai.
„Gran parte del palazzo originale venne demolito nel 1895 per fare posto all'attuale immobile, inserito all'interno di un primo cinematografo (Dante), già prima della Seconda Guerra Mondiale. Il nome Orchidea risale al 1946, mentre dal 1960 al 1991 è stata una sala dedicata ai film d'autore, prima di trasformarsi in una sala da prima visione.“

mercoledì 9 marzo 2022

VILLA INVERNIZZI

 

In questo caso il collegamento è scontato: villa Invernizzi apparteneva all’ideatore dei famosi formaggi; è la fine del 1800, Romeo Invernizzi ha otto anni e la maestra delle elementari di Pasturo, in provincia di Lecco, ha convocato sua madre a un colloquio. Romeo è sempre stanco e, spesso, si addormenta durante le lezioni.

La madre è mortificata, esce dal colloquio in lacrime, ma si vergogna di dire la verità.
Gli Invernizzi hanno una latteria e tutti, in famiglia, hanno un ruolo nella gestione: quello di Romeo è di alzarsi alle due di mattina per mungere le mucche. Nel 1914, ereditata l’azienda di famiglia e trasformatala nella seconda azienda casearia italiana, si trasferisce a Milano, in via dei Cappuccini 9.
Ed è durante un viaggio in Africa con sua moglie, che il signor Invernizzi decide di portare con sé a Milano un gruppo di fenicotteri, quando non era ancora stata stipulata la Convenzione sul Commercio Internazionale delle Specie Minacciate di Estinzione (CITES), che ha lo scopo di tutelare fauna e flora in pericolo di estinzione.
I fenicotteri di villa Invernizzi appartengono alla specie dei fenicotteri rosa e fenicottero cileno e si possono scorgere semplicemente passeggiando lungo il cancello della villa, sporgendosi un po’ al suo interno.
Oltre a loro sono presenti anche pavoni e anatre.
La villa non è aperta al pubblico, salvo qualche rara occasione e, dopo la morte del signor Invernizzi, è stata trasformata nella Fondazione che porta il suo nome, che si occupa di biologia, medicina, economia, scienze alimentari e di altri settori scientifici.
Passando a miglior vita senza eredi, il Cavaliere fece infatti aggiungere una nota al suo testamento con cui obbligava la Fondazione Invenizzi, amministratrice dei beni e delle società di famiglia, a tutelare i suoi amati animali, che oggi sembrano perfettamente adattati alla vita in cattività e sono lì, incuranti dei passanti e dei curiosi.
La villa è un perfetto esempio di architettura liberty inserita in un contesto naturale molto interessante: è infatti presente sia un giardino pensile da cui è possibile osservare il sempre rinnovato skyline milanese, sia un affascinante giardino di magnolie sia un grande roseto.
Con il nome di Liberty si intende un vasto movimento artistico che, tra fine Ottocento ed inizi Novecento, interessò soprattutto l’architettura e le arti applicate.
Questa corrente, nota in Francia come Art Nouveau, in Germania come Jugendstil e in Austria come Secessione, prendeva ispirazione dalla natura e dalle forme vegetali, dando vita ad uno stile assolutamente in contrasto con quello del periodo precedente.
Affermatosi per la prima volta in Italia nel 1902, è riconoscibile grazie a una serie di tratti distintivi: motivi floreali, ambienti vegetali, viticci, linee curve e flessuose.
Il movimento abbracciò, comunque, tutti i campi artistici, dalla pittura, al disegno, all’artigianato e nacque come reazione alla produzione industriale di oggetti in serie, pertanto tutta uguale, resa possibile dai processi di automazione di fine

VILLA ZANOLETTI

Meglio conosciuta come villa Mozart è un capolavoro déco, sede della maison di alta gioielleria di Giampiero Bodino. Un giardino verticale di altri tempi, ricoperto di edera, che si apre dietro ai Giardini di via Palestro, davanti a Villa Necchi Campiglio. L’abitazione fu costruita nel 1926 dall’architetto Aldo Andreani, e progettata in una parte del giardino della proprietà Serbelloni, fino al 1996 la villa è stata sede del Rotary Milano. Da qui inizia il Quadrilatero del Silenzio, una vera e propria oasi racchiusa tra quattro vie dove la frenesia della città si spegne e si respirano le memori di scrittori ed artisti come Giuseppe Parini, Alessandro Manzoni, e Cesare Beccaria.

PALAZZO VIA MONISO 12

 Passando da via Monviso al civico 12 mi sono imbattuta in un palazzo ex sede della Polizia Locale oggi in disuso.

Dalla conformazione dello stesso e dalle simbologie poste sulle porte era una Caserma dei VV.F

PALAZZI MONTECATINI

 

così denominati perché appositamente costruiti per quella società, sono tre, sorti in epoche diverse e ripartiti su due isolati prospicienti Largo Donegani.

Il capostipite, storica sede realizzata nel 1926/28 da Ugo Giovannozzi, ha un aspetto solenne e vagamente rinascimentale, e si affaccia unicamente su Via Turati 18.
Il secondo, assai più vasto, gli fu eretto accanto nel 1936/38 da Gio Ponti, Antonio Fornaroli ed Eugenio Soncini. Di chiara impronta razionalista, ha un'originale pianta ad H che prospetta su Largo Donegani e Via Moscova 3. Molto interessante e all'avanguardia per l'epoca, sia dal punto di vista stilistico-architettonico, sia per l'organizzazione funzionale degli interni.
Il terzo e ultimo edificio, separato dagli altri, risale al 1950/51 ed è ancora opera di Gio Ponti e Antonio Fornaroli, che nella fattispecie sviluppano la loro creazione precedente riprendendone i materiali e i caratteri generali.
E' davvero interessante osservare i tre edifici nella loro successione temporale, comparando le soluzioni tecniche e stilistiche adottate, diverse ma con un'innegabile coerenza di fondo.

IL CASTELLO DI PIETRA

Un altro castello a Milano? Assolutamente sì, per quanto diverso per tanti motivi. Il primo è la posizione. Avreste mai detto di trovare un castello in viale Monza?

Eppure al civico 46 ecco che alzando appena lo sguardo, non potrete non notarlo. Se non ci fossero auto nè traffico, potrebbe sembrarvi di essere tornati nel medioevo.
Costruito nel 1910 quando qui non eravamo a Milano ma a Turro, tutta questa zona era molto diversa: alberi, prati e l’ippovia Milano – Monza.
Fu il ragioniere Primo Gilberti, appassionato di scultura, medicina e veterinaria che volle costruire un nuovo palazzo prendendo spunto dai fasti medioevali. Ed essendo lui sindaco di Greco (no, anche Greco non era Milano a quei tempi) ebbe qualche chance in più di veder realizzato il suo desiderio.
4 piani più il rialzato, una torretta a due piani: ecco il castello con la facciata in pietra grigia, finestre a tutto sesto e bifore nel lato della torre. Non male, eh?
Se proprio volessi essere pignoli, qualche “défaillance” la si può trovare, ma perchè guardare il pelo nell’uovo?
Pochi anni e nel 1917 tutti i comuni sopra citati vennero inglobati a Milano: da allora la nostra città ha quindi anche questo di castello, da poter ammirare, fotografare e soprattutto conoscere meglio.

VILLA BUCCELLATI

 

Una sontuosa villa abbandonata della famiglia Buccellati.

Abbandonata ormai da più di tre decenni dai legali proprietari.
La villa si trova proprio nel cuore del quartiere, di fronte all’originario nucleo di case popolari definito della “Baia del Re.” La struttura è stata costruita intorno al 1920 — qualche anno prima dell’edificazione del quartiere popolare adiacente — ed è stata integrata nel dopo guerra da una dependance.
Per un lungo periodo la villa è stata di fatto un rifugio per chiunque volesse o dovesse entrarci. Da qualche mese, però, i vecchi proprietari hanno deciso di bloccare l’accesso con mezzi più convincenti del vecchio cancello.
La villa è ancora piena di letti. La cucina, lo stile, sono intatti, come se i proprietari se ne fossero andati all’improvviso. Dentro è ancora magnifica — c’è uno scalone, tra i due piani, davvero bello.”
La famiglia Buccellati non abita più la villa ormai dagli anni Ottanta. Una buona parte della famiglia vive negli Stati Uniti, a New York, e un’altra parte sta a Bologna. Oggi, Buccellati è uno dei più importanti marchi di gioiellerie di lusso del mondo — come del resto lo è dagli anni Venti del secolo scorso, quando il capostipite Mario Buccellati divenne l’orafo preferito di Gabriele D’Annunzio. Negli anni Ottanta una parte della proprietà era stata affittata e adibita a fabbrica. L’impresa però non è andata molto bene, e l’affittuario, a quanto pare, gli ha dato fuoco a causa di un problema di debiti. “La famiglia l’ha lasciato così. Quando se ne sono andati la casa s’è trascinata insieme.”

domenica 6 marzo 2022

CASA BORLETTI

In via San Vittore al civico 40 si trova un gioiellino architettonico del 1927 progettato dal grande Gio Ponti assieme all’inseparabile Emilio Lancia.

Un esempio di moderna costruite realizzata per la nuova borghesia imprenditoriale cittadina, che suscitò da subito l’attenzione del mondo dell’architettura. E’ caratterizzata dal coronamento a obelischi, anche se il progettista Giò Ponti qui sperimenta una sobrietà formale fatta di linee semplici ed elementari, di figure geometriche e moduli ripetitivi che si alternano in facciata riuscendo, nel loro ripetersi ritmico, a dare un’idea di austerità formale alleggerita dalla essenzialità delle geometrie. Con la nuova “casa all’italiana” è possibile rintracciare una impegnativa ricerca di novità formali: gli equilibri fra i vuoti e i pieni con l’alternarsi di finestre e nicchie, geometrici elementi decorativi in facciata; le colonne dell’atrio sormontate da urne marmoree, un po’ dovunque memorie di sapore egiziano e proto-futuriste, con un alto livello estetico e materico.

martedì 1 marzo 2022

LA CORTAZZA

Sullo spigolo in alto al numero 6 di Via Osculati ad Affori è visibile da oltre due secoli un dolce viso di donna, morta di parto in giovane età, nel fiore degli anni, immortalata sul muro dell’antico cortile in Stretta del Malcantone da oltre 2 secoli,  immortalata dallo sconsolato marito a perenne memoria per gli afforesi sul muro del suo caseggiato “la Cortazza” già di proprietà della Contessa Donna Maria Canevesi vedova Tassis.

CASA SARDI

L'edificio fu costruito nel 1898 su progetto di Luigi Broggi che disegnò una facciata fortemente ispirata alle forme del rinascimento fiorentino.

Il pian terreno ed il primo piano presentano una dichiarata ispirazione alle forme di palazzo Pitti: rivestiti in bugnato, il portale e le finestre ad arco del pian terreno e le finestre rettangolari del primo piano sono un chiaro riferimento al palazzo fiorentino. I due piani superiori sono al contrario più aderenti ai modelli del rinascimento lombardo, con fronte in mattoni in cotto e finestre architravate bramantesche: l'edificio si conclude con una loggia retta da colonne binate all'ultimo piano.

PALAZZO BONACOSSA

Il palazzo fu costruito, in concomitanza con la sistemazione dell'area antistante il castello Sforzesco, a partire dal 1894 su progetto dell'architetto Antonio Comini.

Il palazzo è realizzato in uno stile revival ispirato al rinascimento italiano che avrebbe preso piede nel quartiere negli anni a venire, ad esempio con casa Sardi ispirata al rinascimento fiorentino e lombardo. 

Il pian terreno decorato con monofore e il primo piano sono coperti in un bugnato mutuato dal palazzo dei Diamanti ferrarese, mentre il secondo ed il terzo piano, costruiti in un differente tipo di bugnato e bifore alla fiorentina, sono chiaramente ispirati all'architettura di palazzo Strozzi. L'ultimo piano, meno monumentale dei sottostanti, è decorato con bifore e rilievi.

Al palazzo Bonacossa vi è un museo di Arte e scienza

venerdì 25 febbraio 2022

CASA MUSEO BOSCHI DI STEFANO

La Casa Museo Boschi Di Stefano si trova all’interno di una palazzina realizzata, tra il 1929 e il 1931, sotto la direzione artistica dell’architetto Piero Portaluppi. L’edificio, che prese il nome di “Casa Radici-Di Stefano” è frutto di due interventi distinti, anche se coordinati e riconducibili agli stessi committenti: la porzione su via Aldrovandi, di proprietà della Società Anonima Immobiliare Aldrovandi, amministrata da Gino Radici; quella su via Jan, amministrata della Società Immobiliare Picena, controllata da Francesco Di Stefano. Queste due sezioni furono costruite contemporaneamente dall’Impresa Di Stefano & Radici.
L’appartamento sede della Casa Museo Boschi Di Stefano presenta, al suo interno, alcuni degli elementi più interessanti dell’architettura di Portaluppi, sebbene semplificati per realizzare un’abitazione a uso civile: le facciate con tripartizione orizzontale; le leggere asimmetrie; il disegno delle modanature; le cornici delle finestre; le opere in ferro.Uno degli aspetti particolari della palazzina è la soluzione d’angolo che vede lo spigolo dell’edificio trasparire dall’incastro del volume dei bow-windows.
Antonio Boschi e Marieda Di Stefano

Antonio Boschi e Marieda Di Stefano si sposano nel 1927. Antonio, nato a Novara nel 1896, si era trasferito a Milano alla fine della guerra per frequentare il Politecnico, dove aveva conseguito la laurea in ingegneria. Dopo alcuni anni di lavoro a Budapest era rientrato in Italia per occuparsi della produzione e lavorazione della gomma presso la Pirelli.
Marieda, nata a Milano nel 1901 da una famiglia originaria delle Marche, aveva studiato scultura presso lo studio dell’artista Luigi Amigoni, e da questi era stata avviata alla lavorazione della ceramica, passione che non avrebbe abbandonato.

Conosciutisi durante una vacanza in Val Sesia, i due coniugi condividono la passione per l’arte. Nella palazzina costruita dal padre di Marieda, Francesco, nella quale si trasferiscono poco dopo il loro matrimonio, collezionano circa duemila opere tra dipinti, sculture e pezzi di arte antica. Amici degli artisti e loro sostenitori, partecipano della vitalità e della varietà di proposte della città di Milano, riuscendo a far propri quadri rappresentativi della cultura artistica italiana.
Alla Pirelli Antonio lavora sino all'età della pensione. La società gli offrirà un’onorificenza per la sua lunga collaborazione, durata dal 1926 al 1965 e costellata da importanti brevetti, come il GIUBO (Giunto Boschi): un giunto costituito da tasselli di gomma disposti a forma di poligono, utile per assorbire le vibrazioni dei veicoli e utilizzato per la prima volta nell’Alfa Romeo modello 1900 prodotta tra il 1950 e il 1959.

Oltre a viaggiare in compagnia del marito, Marieda continua a coltivare l’interesse per la ceramica. Dal 1953 espone le sue sculture, a cadenza quasi annuale, presso la galleria Montenapoleone e partecipa a numerose collettive e concorsi nelle città italiana. Questa attitudine e i riconoscimenti ottenuti la conducono, nel 1962, ad aprire una Scuola di ceramica al piano terra della palazzina di via Jan.

Nel 1968, Marieda viene a mancare. L’amore per l’arte condiviso con la moglie spingerà Antonio Boschi, nel 1974, a donare le opere raccolte al Comune di Milano.
Il museo
La prima esposizione della collezione Boschi di Stefano si situa a Palazzo Reale nel 1974, con una mostra a cura dall’allora direttore delle Civiche raccolte d’arte, Mercedes Precerutti Garberi, il cui ruolo fu determinante per assicurare una raccolta tanto importante alla città di Milano. Allora il capoluogo lombardo non poteva ancora vantare un museo dedicato all’arte del Novecento, ma se ne stava progettando la realizzazione al piano nobile di Palazzo Reale. Nel 1984 nasceva il CIMAC (Civico Museo d’Arte Contemporanea) che, in attesa di una collocazione definitiva, fu collocato al secondo piano di Palazzo Reale. Ben centoquaranta tra le opere esposte nel percorso del nascente museo provenivano dalla Collezione Boschi Di Stefano.

Negli stessi anni Antonio Boschi, alla vigilia della morte, avvenuta nel 1987, compiva una seconda donazione a favore del comune di Milano, comprendente gli acquisti compiuti dopo la scomparsa della moglie Marieda. L’ampiezza della raccolta e la sua unicità facevano sì che, a fianco del progetto di realizzazione di un museo dedicato all'arte contemporanea (che man mano prendeva forma nell'idea di utilizzare l’Arengario in Piazza Duomo) si iniziassero i lavori di adattamento dell’appartamento Boschi al ruolo di casa-museo.
La Casa Museo Boschi di Stefano è stata inaugurata nel 2003. Motivi di conservazione e sicurezza, nonché le modifiche subite dall'appartamento per diventare museo, hanno imposto una selezione delle opere, che dunque non riflettono la sistemazione originaria. Tuttavia, l’organizzazione dei dipinti in una quadreria mantiene fede alla distribuzione particolarmente fitta che caratterizzava le sale quando i coniugi Boschi erano ancora in vita e di cui resta testimonianza in una serie di fotografie scattate da Gabriele Basilico. L’allestimento, curato da Maria Teresa Fiorio, ha privilegiato una presentazione cronologica della collezione, più facile e comprensibile al pubblico dei visitatori.
Fatta eccezione per pochi mobili, gli arredi della Casa Museo sono frutto di una serie di acquisti mirati compiuti dalla Fondazione Boschi Di Stefano nel rispetto dello stile dell’edificio e dell’epoca di nascita della collezione.
da martedì a domenica, ore 10.00 - 18.00
Informazioni
tel: +39 02 88463736
Chiusura
Tutti i Lunedì
1° gennaio | 1° maggio | 15 agosto | 25 dicembre

PALAZZO GREPPI

l’unione e il risultato di diversi stili che si sono sovrapposti e incontrati nel corso dei secoli. La struttura fu progettata inizialmente nel Cinquecento, ma del progetto originale oggi rimane solo una parte nel cortile.
Nel Settecento fu poi acquistata dal marchese Benigno Bossi che ampliò l’edifico, finché non fu presa dal conte Greppi, cugino dei Greppi residenti nell’omonimo palazzo di via Sant’Antonio a ristrutturare la casa innalzandola di un piano e decorandola in stile neoclassico nelle sale presenti al primo piano.
Il portale d’ingresso invece fu costruito appositamente per permettere la manovra delle carrozze in una via così stretta. Dal cortile porticato si accede alle sale con affreschi floreali sulle pareti, mentre merita un cenno la saletta ottagonale con cupola e diverse accuratezze architettoniche.
Oggi il palazzo risulta molto semplice esteriormente fatta eccezione per il piccolo balconcino.


PALAZZO DURINI di Monza - Via Santa Maria Valle 2 Milano

Il Palazzo Durini in Via Santa Maria Valle 2 a Milano, oggi sede della Fondazione Alessandro Durini, ha origini medioevali.Il Palazzo Durini in Via Santa Maria Valle 2 a Milano, oggi sede della Fondazione Alessandro Durini, ha origini medioevali.

Residenza di Conti di Monza che ancora oggi lo abitano e lo vivono come luogo privato ma aperto agli artisti e agli amatori dell'Arte.

Il Palazzo Durini è stato dichiarato dal Ministero dei beni culturali, di interesse artistico. Fu la residenza di Vercellino Visconti dei duchi di Milano e attraverso vari passaggi ereditari entrò a far parte dei beni della famiglia Durini. La corte barocca e la facciata neoclassica testimoniano un susseguirsi di interventi svoltisi nei secoli e gli interni sono ricchi di stucchi barocchetti attribuibili a Martino Knoller. Il palazzo fu abitato nei primi decenni dell'Ottocento dal pittore e collezionista Giuseppe Bossi e vi tenne il suo studio milanese lo scultore Antonio Canova.

Palazzo Durini fu una delle prime case museo aperte al pubblico di Milano. Vi erano conservati tra le numerose opere d'arte il Cristo Morto del Mantegna ora a Brera, i disegni di Leonardo ora all’Ambrosiana e la ricchissima collezione duriniana di monete antiche ora ai musei dell'Accademia di Venezia

Il Bossi vi tenne corsi di pittura, creando così la prima accademia di pittura milanese riconosciuta e voluta dal governo napoleonico. Alla morte del maestro l'accademia fu spostata al palazzo di Brera.Residenza di Conti di Monza che ancora oggi lo abitano e lo vivono come luogo privato ma aperto agli artisti e agli amatori dell'Arte.

Il Palazzo Durini è stato dichiarato dal Ministero dei beni culturali, di interesse artistico. Fu la residenza di Vercellino Visconti dei duchi di Milano e attraverso vari passaggi ereditari entrò a far parte dei beni della famiglia Durini. La corte barocca e la facciata neoclassica testimoniano un susseguirsi di interventi svoltisi nei secoli e gli interni sono ricchi di stucchi barocchetti attribuibili a Martino Knoller. Il palazzo fu abitato nei primi decenni dell'Ottocento dal pittore e collezionista Giuseppe Bossi e vi tenne il suo studio milanese lo scultore Antonio Canova.

Palazzo Durini fu una delle prime case museo aperte al pubblico di Milano. Vi erano conservati tra le numerose opere d'arte il Cristo Morto del Mantegna ora a Brera, i disegni di Leonardo ora all’Ambrosiana e la ricchissima collezione duriniana di monete antiche ora ai musei dell'Accademia di Venezia

Il Bossi vi tenne corsi di pittura, creando così la prima accademia di pittura milanese riconosciuta e voluta dal governo napoleonico. Alla morte del maestro l'accademia fu spostata al palazzo di Brera.

 Oggi il palazzo e proprietà della Fondazione Alessandro Durini.

Le sale a piano terreno sono un susseguirsi di ambienti arredati con importanti dipinti e arredi storici provenienti dalla famosa collezione Durini di cui molte opere sono visibili nei musei milanesi come il Castello Sforzesco e la Galleria d'Arte Moderna, dove sono pervenute alla fine degli anni '50 per una donazione fatta da Don Teobaldo Durini di Monza. Tutte le sale sono disposte intorno ad un cortile di grande bellezza e armonia tipico della Lombardia seicentesca.

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PALAZZO DEGLI SCAPIGLIATI - CICOGNA

In via Vivaio, a Milano, nella seconda metà dell'ottocento, due erano i punti di ritrovo degli Scapigliati: l'osteria del Polpetta e il giardino dei Cicogna nella parte coltivata ad ortaglia. A quei tempi corso Monforte terminava sui bastioni chiusi, dalle larghe ombre degli ippocastani giganteschi, in mezzo ai bei giardini patrizi e alle vaste e pingui ortaglie. Il mezzo di collegamento con questa zona bucolica era un enorme vecchio omnibus color verde pisello, che trasportava rarissimi passeggeri. Via Vivaio, come suggerisce il toponimo, era una via campestre, con un paio di case moderne accanto a un paio di antiche case rurali. Vi abitavano molti artisti, amanti della quiete: De Albertis, Francesco Fontana, Eugenio Perego, Giuseppe Barbaglia, Borgomainerio. Il ritrovo comune a mezzogiorno era presso «il Polpetta», sull'angolo di via Conservatorio, dove convenivano anche Tranquillo Cremona, Giuseppe Grandi ed Emilio Praga, che abitava in Monforte. La polpetta milanese, piatto povero e di recupero per antonomasia, era così famosa fra gli scapigliati che il poeta e commediografo dialettale Ferdinando Fontana compose la «Polpetta del Re». «Il Parco è stato definito irreale - in quanto ancor oggi ha preservato la stessa tipologia floreale del 700, l'unico colore è manifestato da un piccolo pesco e le siepi mantengono la sobrietà del tempo». Palazzo Cicogna è forse oggi l'unico esempio rimasto a Milano che abbia conservato l'aspetto di una «grande casa da nobile». L'immobile fu iniziato nel 500 in stile rinascimentale dalla famiglia Arrigoni. Nel 1569 venne venduto e solo nel 1828 diventò proprietà del conte Cailo Cicogna Mozzoni. Questi fece chiudere il cortile verso corso Monforte con una decorazione romantica dell'architetto Sanquirico. Tale costruzione neogotica fu molto criticata perché in contrasto con l'aspetto severo del cortile. Solo nel 1972, a distanza di 150 anni, è stata ripristinata l'antica facciata in tinta unita ed è stato completato il cortile con una quarta facciata in stile rinascimentale, identica a quella originale. 
Lo studio legale Campagnolo, fondato nel 1991, è ospitato proprio nello splendido palazzo Cicogna con ingresso da corso Monforte e via S. Damiano. «Lo Studio contiene affreschi del 600 appena restaurati soffitti in legno con cassettoni in oro zecchino, maioliche dipinte a mano, specchiere del 700, statue in marmo, camini decorati con stemmi in ferro battuto. Dal lato che dava su via Vivaio l'area era coltivata ad ortaglia, qui, grazie a una intraprendente famiglia di portinai, ebbe origine la Scapigliatura milanese.
Il Palazzo di proprietà dei conti Cicogna, al 23 di Corso Monforte c’è l’ingresso della casa padronale, e una targa ricorda che lì ebbe lo studio Lucio Fontana
Lucio Fontana lavorò qui, in corso Monforte 23, in una stanza al piano terra del grande palazzo dei conti Cicogna Mozzoni, dal 1952 (lo stesso anno in cui sposa Teresita Rasini), fino alla morte nel 1968: lasciò lo studio e Milano per Comabbio, e il 7 settembre si spense per una crisi cardiaca all’ospedale di Varese. «Tutte le sue opere, soprattutto quelle pittoriche, per sedici anni sono state prodotte in quello studio, a parte le ceramiche che faceva ad Albissola raccontano alla Fondazione Fontana, voluta dalla moglie, che ha sede nello stesso stabile . Era un luogo molto vivace in cui riceveva spesso moltissime persone che arrivavano non solo per vedere i suoi quadri ma anche per il gusto di parlare con lui».

Lo spazio non ha cambiato destinazione. Dopo l’abbandono di Fontana divenne una galleria, famoso per i suoi "tagli" oggi venduti a prezzi inavvicinabili, ha usato in molti quadri. 
A tanti anni di distanza è rimasto tale e quale lui lo aveva voluto e vissuto. Uno studio tutto sommato piccolo, una quarantina di metri quadrati, tant’è che lo allestì con un doppio soppalco dove si rifugiava a riposare quando era stanco. 
Ma in un nobile palazzo e affacciato con una luminosa porta finestra su uno splendido parco giardino privato di cui non sembra vedersi fine, uno di quei gioielli verdi invisibili ai più di cui Milano è ricca. 
Poi c’è la botola sul pavimento, con quel particolare di assi di legno che non tutti conoscono, ben occultata sul pavimento e colorata, all’interno, del tipico rosa che l’artista argentino, che apriva per scendere scalette ripide e scure: porta in un grande spazio interrato, lo scantinato ampio dove teneva le opere, a volte lavorava, e dove fu anche fotografato più volte, attorniato dai suoi "Concetto Spaziale".
E ancora oggi, come in un sacrario, nell’angolo in fondo contro un muro del magazzino semi vuoto rimangono i resti dei ferri del mestiere del grande artista: un tavolino molto vissuto su cui stanno al pari di reliquie dimenticate bottiglie con colori per la pittura a spruzzo, pennelli e frammenti di vetro colorato con strane forme, riviste coperte da un velo di polvere. 
lo stesso edificio oggi ospita la Fondazione dedicata al pittore e scultore. Un’altra targa, interna, è del 25 aprile 1984, firmata dall’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini per rendere onore al conte Alessandro Cicogna Mozzoni, «combattente per la libertà» nelle file dell’esercito tra il ’43 e il ’45: il capofamiglia, scomparso nel marzo scorso all’età di 99 anni.
Per visitare il Palazzo e lo Studio: www.studiolegalecampagnolo.com

CASA DELLO ZECCHIERE

A pochi passi dalle Cinque Vie è incastonata la casa privata del Maestro della Zecca, al quale era affidato il controllo del flusso finanziario del ducato. La sua storia inizia all’indomani della riforma monetaria promossa da Galeazzo Maria Sforza, tra il 1466 e il 1474. Un viaggio nel tempo che lascia il segno: da un forziere nascosto nel sottosuolo, alle raccolte sale del primo piano dove si trovano enigmatici affreschi.
Gli spazi di questa location fanno parte di edifici un tempo connessi alla Zecca di Milano che batteva moneta sino dall’epoca sforzesca. Le strutture murarie sotterranee risalgono alla seconda metà del XV secolo; particolari degli affreschi ritrovati nei locali superiori permettono di datare l’edificio attorno al primo quarto del Cinquecento. L’immobile, di cui parla anche il Vasari, apparteneva alla famiglia Scaccabarozzi, Luigi padre e Bernardo figlio, che ricoprirono la carica di Zecchiere dal 1488 al 1562. La Zecca di Milano, demolita nel 1780, era confinante con questi spazi. Nel tardo Settecento l’edificio è stato inglobato nelle strutture edilizie che oggi lo circondano. Nel corso del 1800 e del 1900 l’uso che si fece di questi spazi divenne meno nobile e vi trovarono posto laboratori, magazzini e cantine dove venne anche realizzata una cisterna per l’acqua, rimossa con il restauro.
Nel 2012, con il benestare delle Soprintendenze, la proprietà ha deciso di restaurare questi edifici e i lavori si sono conclusi nel 2015. Su progetto dell’arch. Massimo Hachen sono state consolidate le volte quattrocentesche, eliminate tutte le superfetazioni costruite nel tempo, recuperando l’uso delle sale sotterranee e in particolare quella delle quattro colonne. È stato poi scavato un nuovo accesso al piano interrato, coperto da una struttura vetrata ad onda, con scala e ascensore. Durante lo scavo sono stati rinvenuti vari cocci di ceramica e due pietre lavorate di origine romana che sono visibili in loco.
location affittabile +39 02 89010476 
+39 3358082257 / +39 3396137309 

e visitabile in occasioni con il FAI

RESIDENZA VIGNALE

La Residenza Vignale è un edificio la cui struttura risale agli inizi del Novecento, nell’ambito del liberty milanese, con interni di raffinata bellezza.
Le quattro sale di ricevimento e l’ampio ingresso, dominato da un imponente scalone, si differenziano per colori e tipologie e sono arredate con mobili antichi di grande pregio; ubicate al piano terreno, si affacciano su un cortile fiorito, che può essere utilizzato congiuntamente agli ambienti interni.
La costruzione della villa risale agli anni 1905-1907, nascendo come dimora di un principe austriaco desideroso di risiedere a Milano, perché innamorato di una giovane milanese.
Il progetto originale, firmato dall’architetto Gattermayer, è frutto anche della collaborazione con l’austriaco Adolf Loos, acrchitetto viennese di spicco di fine 800.
Nella facciata di taglio semplice e pulito si uniscono elementi decorativi di gusto austriaco tradizionale, come il balcone a quadri e del liberty milanese, come i putti che sorreggono il terrazzo.
Il corpo principale, destinato a residenza del Principe, è a due piani: al piano terra i grandi saloni
con accesso sul cortile, al primo piano camere da letto e salottini.
Sull’altro lato del cortile si trovano gli alloggi della servitù, inseriti in un curioso edificio con modanature di legno scuro e un grazioso bovindo.
Vi sono anche la scuderia per i cavalli e il deposito per la carrozza, protetto quest’ultimo da una pensilina di ferro elegantemente decorata.
Dopo la morte in battaglia del principe, nel 1914, la casa passa nelle mani di diversi proprietari.
Viene sopraelevata di alcuni piani negli anni ’50, ma mantiene ugualmente intatto l’antico fascino della facciata e del cortile.
All’interno l’arredo è composto da specchiere e console dorate, arazzi, quadri, tappeti e un raffinatissimo salottino siciliano in boiserie e specchi.
Rimane assolutamente immutato l’aspetto originario in tutta la struttura di base, dai soffitti elegantemente decorati, ai pavimenti in parquet e marmo, al taglio pulito e grandioso dello scalone e delle sale.
Dopo un minuzioso intervento di restauro, nel 2002 la casa diventa una sede di prestigio per eventi, congressi, esposizioni con il nome di Residenza Vignale.
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PALAZZO BAROZZI

La storia dell'Istituto dei Ciechi è storia di Milano e dei milanesi che lo hanno voluto e sostenuto a partire dal 1840. L'ideazione dell'Istituto risale al lontano 1836 e ha un nome: Michele Barozzi. Il Barozzi iniziò il suo incarico presso la "Pia Casa di Industria" sita in Via S. Vincenzo, organizzando un reparto per i non vedenti. Il nascente Istituto trovò nei Conti Mondolfo i suoi principali benefattori, essi acquistarono spazi presso Porta Nuova, ove l'Istituto si trasferì. Niente era più comunicativo, infatti, della bontà nel mondo milanese dell'800. Era dunque naturale che il suo esempio facesse non pochi proseliti.
Nel 1864, l'Istituto di Milano aveva adottato, primo in Italia, l'alfabeto "Braille", destinato ad assumere una così grande importanza nella istruzione dei ciechi. Il 12 ottobre del 1892 l'Istituto lasciava la sede di Porta Nuova per quella definitiva di via Vivaio. "Così, senza un piano prestabilito", è scritto in un opuscolo uscito proprio alla vigilia della prima guerra mondiale, "ma per nativa espansione di un'idea che parve santa, l'idea dei ciechi aveva fatto il suo buon cammino. Anche in questo, Milano si era messa alla testa delle altre città d'Italia. E sorgerà l'Asilo per i bambini ciechi in quanto era indispensabile avere una scuola materna, preparatoria.
La sede dell'Istituto dei Ciechi fu progettata dall'Arch. Giuseppe Pirovano e edificata in seguito ad un importante lascito. La costruzione, inaugurata il 3 novembre 1892, è sorta con lo scopo di ospitare i fanciulli non vedenti e curare la loro istruzione. Nel 1925 l'Istituto realizzerà il pensionato Casa Famiglia. Nel 1926 l'Istituto dei Ciechi è dichiarato Istituto Scolastico ed è posto alle dipendenze del Ministero della Pubblica Istruzione. Nel 1933 le Scuole elementari vengono parificate. Nel 1939 vede l'istituzione della Scuola di Avviamento Professionale per ciechi: essa assorbe il laboratorio di vimini, la falegnameria e il maglificio.
La minaccia dei bombardamenti, durante la seconda guerra mondiale, consiglia lo sfollamento che si effettua con l'inizio del 1943. Nel 1946 l'Istituto riapre le porte alla propria comunità, l'anno successivo la sede riprende la sua vita normale. Negli ultimi decenni molti cambiamenti sono intervenuti a ridare nuovo impulso all'operato dell'Istituto orientando le scelte verso nuovi servizi più aderenti ai moderni concetti di assistenza e di educazione. È questa, in sintesi, la storia di una Istituzione che ormai è entrata nel cuore dei milanesi e che si impone all'ammirazione di tutto il Paese. È la storia di una istituzione che dal 1840 continua ad operare per il bene dei ciechi.
L'edificio comprende un corpo centrale, che comprende il salone dei concerti, e due corpi laterali simmetrici, che si affacciano su due cortili porticati divisi a metà da un’elegante loggia.

La facciata del palazzo, sobria e lineare, è posta dietro un da un piazzale con aiuole e alberi ed è scandita in tre ordini (piano terreno, primo piano e secondo piano) e presenta la parte centrale lievemente avanzata e coronata da un frontone a timpano.

L'ingresso è caratterizzato da un colonnato in stile dorico, separato dal resto degli interni da una cancellata in ferro battuto di pregevole fattura. Sulla sinistra è presente una lastra in marmo che ricorda al visitatore l’inaugurazione della nuova sede di via Vivaio, avvenuta il 3 novembre 1892 alla presenza di Umberto I e la regina Margherita.

Il salone dei concerti, chiamata anche sala Barozzi, è riccamente decorato in stile eclettico (notare le somiglianze con le decorazioni all'interno della Basilica di San Calimero, risalenti allo stesso periodo). Esso comprende un'ampia balconata e un grande organo. Dietro al salone è presente un'ulteriore sala, inizialmente avente funzione di cappella.

Intorno allo scalone d’onore trovano posto quadri con i ritratti di benefattori dell’Istituto. Al piano superiore, dove si è accolti da un elegante atrio, sulla parete del quale è appesa la grande tela opera di Francesco de Magistris che ritrae il fondatore dell’Istituto Michele Barozzi, è presente la sala Stoppani, la sala di gala più piccola, mentre alle pareti si trovano altri quadri di benefattori dell'istituto.

Il secondo piano, infine, ospita le collezioni del Museo Braille, con documenti, strumenti e oggetti diversi, relativi alla storia dei metodi di scrittura utilizzati nel corso del tempo dai non vedenti.

Gli esterni sono caratterizzati dai bei colonnati che circondano i cortili interni.

L’Istituto dei Ciechi di Milano possiede un ricco patrimonio costituito da centinaia di opere d’arte, dipinti e sculture, entrati a far parte della raccolta dell'Istituto tramite donazioni e lasciti di benefattori.

L'Istituto dei Ciechi di Milano si occupa di promuovere "l'indipendenza, l'autonomia, la scelta di opportunità formative e culturali dei disabili visivi attraverso la ricerca, lo studio, la formazione e l'offerta di servizi necessari per l'educazione, lo sviluppo personale, professionale e la gestione della vita quotidiana."
per visite guidate

CASA VERDI

“L’OPERA MIA PIÙ BELLA” Così la definì più volte il Maestro da Busseto, che volle la Casa di Riposo per Musicisti come ultimo e lungimirante atto d ella sua vita.
“L’opera di cui vado più fiero è la casa che ho fatto costruire a Milano per accogliere musicisti anziani”, dichiarava all’epoca Giuseppe Verdi, uno tra i più celebri compositori italiani di tutti i tempi, l’autore non solo del Nabucco, dell’Aida, ma anche de il Rigoletto, Il Trovatore, La Traviata e tanto altro. L’opera in questione è la Casa di Riposo per Musicisti, o meglio “Casa Verdi”, come ci tenne a chiamarla il maestro, per sgomberare il campo da quel senso di malinconia legato anche al migliore degli ospizi. Di fatto l’imponente edificio neogotico che abbraccia un intero angolo di piazza Buonarroti è un luogo in cui, dal 10 ottobre 1902, anniversario della nascita del Maestro, trovano ospitalità musicisti, cantanti, ballerini e direttori d’orchestra che hanno superato i 65 anni. Costruita dall’architetto Camillo Boito tra il 1896 e il 1899 la struttura, su esplicita richiesta del compositore, fu infatti inaugurata solo dopo la sua morte (27 gennaio 1901). E proprio nel nome “Casa Verdi” c’è tutto il senso del luogo, a dire che lì era casa sua, come se davvero il grande padrone di casa fosse rimasto da qualche parte ad accogliere gli ospiti. E un po’ è così, dato che c’è la cripta dove lui che, per dirla con D’Annunzio “Pianse e amò per tutti”, è sepolto assieme alla moglie Giuseppina Strepponi e soprattutto ci sono i suoi oggetti. C’è lo studio di Genova, dove andava a trascorrere l’inverno, con il pianoforte, ci sono i mobili della sala da pranzo, con le iniziali incise su sedie e credenza, l’indimenticato cilindro, gli abiti e, tra gli altri, una copia del ritratto di Giovanni Boldini con sciarpa e cappello, che è l’immagine sua più celebre dopo quella che troneggiava fiera sulle vecchie mille lire. Ed entrando in quest’ambiente Ottocentesco, insieme suntuoso e severo, con grandi finestre, ampi spazi e mobili in stile, si viene tuttavia catturati da un mondo che pare da sempre uguale a se stesso, quasi a sancire un tacito patto tra generazioni. Non a caso dal 1998 Casa Verdi ospita, accanto ai musicisti anziani (in tutto circa 60 tra autosufficienti e non), anche 16 giovani studenti di musica (8 maschi e 8 femmine) che possono godere dei privilegi della struttura condividendo con gli anziani un po’ del proprio tempo a pranzo o a cena. Del resto qui, l’unica grande protagonista è la musica, che riecheggia ovunque tra scale, corridoi, androni e saloni, ora diffusa dagli altoparlanti, ora suonata dagli ospiti che cantano o si esercitano con gli strumenti che li accompagnano da una vita. Perché quello che conta, anche a Casa Verdi non è il passato, ma il presente carico di avvenire.
La cripta di Verdi è visitabile dalle 8.30 alle 18.00.
Le Sale museali e il Salone d'Onore sono visitabili solo su prenotazione da parte di gruppi di visitatori.

PARCO DEL CITYLIFE

CityLife vanta uno tra i parchi più ampi di Milano, ma soprattutto è ricco di opere d’arte che lo rendono un vero museo a cielo aperto tutto...