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domenica 27 febbraio 2022

GENESI ED EVOLUZIONE DELLA “CASCINA”

A partire dal X secolo la presenza di cascine è attestata nella campagna milanese o addirittura in città: si trattava per lo più di depositi per prodotti agricoli o fienili, presumibilmente costruiti in materiale deperibile, come paglia e argilla, e talvolta annessi alle abitazioni cittadine.
Queste costruzioni, a partire dal XIII secolo, iniziarono a caratterizzarsi come strutture insediative composite, fatte di edifici di abitazione e rustici, con una diffusione sempre maggiore, come ebbe modo di testimoniare anche Bonvesin de la Riva nel 1288.
Ma già nel 1207, ad esempio, le numerose cascine “de la Bazana” (a sud di Milano, nella Pieve di Cesano Boscone), erano di proprietà di vecchi ceti aristocratici, e ospitavano i “cassinari” ai quali era stata affidata la conduzione dei fondi.
La “Compartizione delle fagie”, una fonte fiscale del 1345 riguardante la suddivisione degli oneri tributari fra tutti i proprietari che avevano possedimenti lungo le strade che dalla parte meridionale della città si dipartivano verso il contado, costituisce oggi un riferimento particolarmente prezioso in quanto fornisce un vasto elenco, seppur parziale, delle cascine situate sul nostro territorio.
Le cascine più vicine alle mura cittadine erano ovviamente limitate per quanto riguarda lo spazio di terreno a disposizione, come nel caso delle strutture appena fuori Porta Ticinese, caratterizzate per essere dotate di sole 60 pertiche di terra, ma quasi sempre fornite di torchio e mulino. Nel Milanese, una pertica equivale a 654,52 metri quadrati. Naturalmente, torchi e mulini erano presenti anche in città, dentro le mura, anche se le loro funzioni potevano non essere legate all’agricoltura. Ancora oggi alcuni toponimi viari ricordano la presenza di questi manufatti: si pensi alla via Molino delle armi (dove appunto i mulini mossi da naviglio interno erano utilizzati per la preparazione di armi), oppure alla via del torchio, al Carrobio di Porta Ticinese.
Allontanandosi progressivamente dalle mura, si potevano incontrare nuclei di maggior estensione, con una tipologia di coltura anche più varia, come ad esempio nelle cascine sorte attorno al monastero di San Barnaba al Gratosoglio, dove si avevano vigneti e cereali.
Sappiamo che nel 1437, il 40% delle 1.526 pertiche delle cascine di Basmetto, della Crosta e della Torretta, appartenenti al monastero di San Barnaba, era sistemato a prato irriguo: coltura legata all’abbondanza di corsi d’acqua e già notevolmente diffusa, con ogni probabilità, in relazione allo sviluppo dell’allevamento, peraltro non sempre documentato.
Per quanto riguarda lo schema architettonico e tipologico delle cascine, sebbene in tutti i trattati di architettura vi fosse sempre una parte dedicata alla casa contadina e alla azienda agricola , non è possibile riferirci a modelli tipizzati. Possiamo invece parlare di esempi: uno dei meglio documentati è quello della cascina Roverbella nei pressi di Pantigliate, di proprietà della famiglia Amiconi. Un documento trecentesco attesta che la cascina era composta da due grossi corpi di fabbrica, uno dei quali con orientamento da settentrione a mezzogiorno. Partiamo proprio da quest’ultimo. Attenendoci a quanto indicato si possono elencare nell’ordine: due camere, la “caminata” o stanza del camino con portico e con i “solaria de supra”, quattro “cassi di cassina in quibus sunt stabia bestiarum”, cioè le stalle, che anche nella cascina moderna manterranno il medesimo orientamento. Dopo le stalle una “caxela”, probabilmente adibita alla trasformazione dei prodotti derivati dal latte, due grandi camere fornite di portico, un’altra “caminata” con portico e piano superiore. Tutto ciò costituiva un unico blocco edilizio circondato sui tre lati da un fossato, una delimitazione e al contempo una protezione che si utilizzava molto spesso in alternativa alle siepi vive o morte.
Alle spalle dell’edificio, oltre il canale, si aveva un brolo ampio otto pertiche; sul davanti la corte col pozzo e il torchio; in posizione decentrata, per evitare pericoli di incendio, il forno. A oriente, perpendicolare al primo, vi era un secondo edificio costituito da “cassi sex cassinae cupati” ossia sei cassi coperti di tegole.
Ai grandi fondi agricoli da loro controllati fin dal XIV secolo (i Brivio ad esempio nel 1397 ottennero in enfiteusi perpetua le terre del monastero di Santa Maria di Calvenzano), alcune nobili famiglie milanesi riuscirono a sommare (alla fine del Settecento) quelli derivanti dagli acquisti dei terreni degli ordini religiosi soppressi. Proprio così gli Stampa, oltre ai beni da loro già posseduti in quella zona, entrarono in possesso delle 500 pertiche del soppresso monastero di S. Vittore Grande di Milano. All’atto delle soppressione di enti ecclesiastici, ad esempio, la Repubblica Cisalpina faceva seguire l’esproprio dei loro possedimenti, che successivamente metteva in vendita per ricavarne denaro sonante, necessario per il pagamento delle spese delle truppe e per inviarlo in Francia. Con esborsi spesso vantaggiosi, molte famiglie nobili poterono così di fatto acquistare fondi ed immobili precedentemente ecclesiastici.
Accanto a questi grandi proprietari terrieri ed immobiliari, occorre ricordare come l’impennata dell’organizzazione del lavoro agricolo dell’area milanese sia una conseguenza dell’affermarsi della figura del cosiddetto fittavolo. Questi infatti, fino a quel momento intermediario e appaltatore di fondi, iniziò ad acquisire una mentalità imprenditoriale gestendo direttamente l’azienda, con contratti novennali, sfruttando lavoratori salariati, versando un affitto assai elevato ai proprietari, ma diventando di fatto esso stesso una sorta di potente padrone all’interno della cascina dove, come ricorda il Cattaneo, i salariati infatti “non conoscono ulteriori padroni”. Dal fittavolo dipendevano tre figure fondamentali nella rigida gerarchia lavorativa delle cascine: il capo casaro, responsabile tecnico dei lavori caseari, colui il quale dirigeva la lavorazione di tutti i prodotti derivati dal latte; il capostalla, responsabile degli allevamenti di animali quali le vacche, i manzi, i cavalli; il fattore, che sovrintendeva i lavori dei campi, i tempi tecnici, la distribuzione dei compiti per meglio sfruttare i terreni coltivati di competenza. Ognuna di queste tre figure aveva poi sotto di sè numerosi lavoratori, più o meno specializzati. Si tenga presente che in cascine medio-grandi, erano presenti circa una sessantina di lavoratori, che con le loro famiglie, portavano a circa due/trecento gli abitanti di queste vere e proprie cittadelle agricole.
Così, nel corso del XVIII secolo, si conclude il processo di tipizzazione delle cascine dal punto di vista architettonico, tipologico e funzionale. Gli elementi essenziali che si individuano nella grande azienda agricola della Bassa sono: le abitazioni (quella dei salariati e quella del fittabile), i rustici e i locali per la lavorazione dei prodotti. L’impianto che racchiude tali costruzioni è a corte chiusa, quantomeno su tre lati, ma spesso anche il quarto lato veniva cintato da un muro. Il portone d’ingresso poteva trovarsi sia nel muro di cinta, quanto più spesso attraverso il blocco delle case dei salariati. L’impianto chiuso nacque prevalentemente per motivi di difesa da possibili furti e razzie, molto frequenti nelle campagne soprattutto nelle ore notturne. Una volta sprangato il portone, la cascina era quasi una fortezza.
Esistevano poi numerose vere cascine-fortezze, ovverosia fortificate con tanto di torri d’avvistamento e ponti levatoi, diffusesi soprattutto nel ‘400 e nel ‘500.
Solo a partire dalla metà del XIX secolo si abbandonò la struttura a corte chiusa, anche per l’esigenza di ampliare spesso il numero dei fabbricati, sulla scorta della diminuzione dei furti e delle violenze nelle campagne, conseguenza di migliori attività di polizia e di controllo del territorio da parte dello Stato.
All’interno della corte (come appunto venne a chiamarsi il complesso della cascina che si affaccia su di un cortile-aia, spazio comune e collettivo di lavoro) si trovano dunque le abitazioni dei contadini che occupano un fabbricato a corpo semplice stretto e allungato, privo di qualsiasi elemento decorativo. Ogni famiglia dispone di un locale con camino a piano terra, il luogo della vita domestica, e di uno al piano superiore, entrambi dotati di due finestre giustapposte. Dalla stanza del camino si accede direttamente al solarium con una ripida scala alla fratesca che verrà eliminata quando la distribuzione a ballatoio prenderà il sopravvento. Queste abitazioni definite in alcune consegne d’affitto “cassi di casa”, nella loro ripetitività seriale assumono quasi la rigidità di un modulo, da 20 a 30 mq per locale, e sono prive di qualsiasi comodità. Solo eccezionalmente sono dotate di fornello di cotto e di acquarolo di vivo, come risulta in una consegna del 1739. La pavimentazione della caminata era comunemente di terra o in qualche caso di cotto, mentre per il locale soprastante, lo spazzacà, vengono utilizzati “matoncini, pianele, o gerone”. Nel 1895, seppur a proposito della situazione delle campagne cremonesi, il Vescovo di Cremona, mons. Bonomelli, dopo alcune visite pastorali nelle varie cascine della diocesi, ebbe modo di osservare: “Con meraviglia e non senza pena ne vidi (di case dei contadini, NDA) di molte anguste, senza luce, senza soffitti, senza vetri, difese da impannate di carta, prive d’aria, prive di pavimento, colle pareti nere, scrostate...buche, tane...dai tetti gronda acqua, mentre in estate quelle famiglie bruciano dal calore, vi gelano durante l’inverno...”.
Ben differente è la casa del fittavolo o del padrone della cascina. Ubicata in una posizione che permette un controllo sull’attività interna dell’azienda, essa spicca sia per la dimensione che per alcuni elementi architettonici (il portico affacciato sull’aia e spesso una loggia) o particolari decorativi. I locali che la compongono sono numerosi e il collegamento fra piano terreno e piani superiori avviene tramite una scala interna in due andate. Anche i particolari erano curati: lo si deduce da un documento secondo cui la cucina ha “suolo di cotto e finestre, guarnerio nel muro con anta, l’acquarolo di cotto buono, camino e fogolaro di cotto”.
Spesso alla casa del fittavolo sono uniti, o quantomeno prossimi, la caneva (cioè la ghiacciaia), il locale del torchio, le dispense, la lavanderia, la casa che serve per fabbrica e, poco distante, il forno con suolo e volto di cotto.
Stalle, fienili, portici, depositi, porcilaie e pollai vengono comunemente accomunati sotto la denominazione di rustici.
L’elemento che caratterizza le cascine della Bassa è sicuramente lo stallone delle vacche, lungo da 5 a 12 cassi. Chiusi al piano terreno e aperti invece nel sovrastante fienile, detto cassina. Sui lati lunghi si trovano le mangiatoie e le piccole finestrelle e al centro del locale una corsia di passaggio per espletare i lavori di mungitura e pulizia. La stalla, per garantire un maggior calore durante l’inverno, è generalmente costruita con una altezza tanto che “un homo comune non tocchi appena col capo”, come raccomandava il Falci nel XVII secolo. Verso corte la falda del tetto si prolunga fino ad appoggiarsi sui pilastri (un portico usato come ricovero per gli attrezzi o come stalla estiva). Legato alla notevole diffusione della coltivazione della vite, il locale del torchio è presente di frequente nelle cascine di area milanese (a partire dal XVI secolo). Lo troviamo quasi sempre in prossimità della casa del fittavolo che sovrintende direttamente alla vendemmia e alle successive fasi di vinificazione.
Le due mappe più antiche, buona fonte per la rappresentazione delle campagne attorno a Milano, sono quelle preparate in occasione delle visite pastorali di Carlo Borromeo a partire dal 1566, che si svolsero nelle pievi di Segrate e di Cesano
conservate presso l’Archivio della Curia Arcivescovile di Milano, sono disegni a penna su carta a mano, con inchiostro seppia.

CASCINA RONCHETTONE

La Cascina Ronchettone è il luogo ideale per coloro che desiderano conoscere da vicino un edificio tipico del territorio lombardo che ricorda la civiltà contadina del secolo scorso.
Si trova nel Parco Agricolo Sud, quindi non molto distante dall'agglomerato urbano. In questa oasi di pace il visitatore può ritrovare quel modello architettonico di corte chiusa lombarda che ha favorito in passato l'aggregazione sociale della vita quotidiana. La struttura è tipica della cultura contadina ed è funzionale alle necessità del lavoro nei campi.
La cascina è gestita dal 1962 dalla famiglia Umbertone e si estende per circa 40 ettari. Al suo interno ospita mucche, galline, oche, conigli e maiali, mentre a sud si estendono le coltivazioni di riso.
Da visitare, nelle vicinanze, la chiesa dei Santi Pietro e Paolo risalente al XV secolo, che custodisce nella Cappella detta “della Madonna del Latte” un affresco di Bernardino Luini.
L’ingresso alla cascina è gratuito ed è possibile acquistare uova e riso “Carnaroli” prodotti sul posto.

sabato 26 febbraio 2022

CASINA GAMBOLOITA

(indicativamente la cascina era collocata nell’isolato dove attualmente si trova l’Upim)

Oggi piazzale Corvetto costituisce il nodo centrale nello smistamento del traffico urbano e interurbano diretto a sud.
Un tempo era una zona solo di campi dove si sviluppò l’economia agricola basata sul pascolo, sull’allevamento dei cavalli e dei bovini, sulla produzione dei formaggi, sui mulini ad acqua, sulla pesca che si praticava lungo il corso di molti fiumiciattoli, i quali, prima di buttarsi nel Lambro, rendevano fertili i campi, con le molte cascine, tra le quali è ricordata la “Gamboloita” e il cui nome è stato dato ad una via del quartiere.
La cascina Gamboloita si trovava all’interno del territorio di Milano in aperta campagna. Sul significato del nome, vi sono tre opinioni.
La prima è che nella zona abitasse una famiglia di tale nome che possedendo tutto il latifondo avesse dato il nome alla località. Esisteva una chiesetta detta “Oratorio all’Immacolata alla Gamboloita” dove alla domenica e nel giorno dedicato a S. Antonio Abate, si celebrava la S. Messa a cui partecipavano gli abitanti della zona.
La seconda è che nella zona vi era Villa Gamboloita ; villa antica, bella, circondata da spazioso giardino, che fu visitata da personaggi illustri come l’Arciduca Giovanni d’Austria nel 1835 e l’Imperatore Francesco nell’anno successivo. Del passato splendore della villa rimane un tenue ricordo nella denominazione Gamboloita data ad una breve via del rione, che ora si chiama abitualmente “Corvetto”, dal nome della piazza nella quale ha termine Corso Lodi.
L’altra opinione, che spiega il volgare “Gamba la vita”, è che si credeva essere questi luoghi assai pericolosi. Il punto più temuto era il così detto “Ponte di Nosedo”, situato a metà strada fra S. Luigi e Rogoredo, ed ora scomparso con la chiusura del Redefossi.

CASCINA FERRAREZZA

Nella foto arco di ingresso allo splendido giardino Osculati
una cascina di inizio ‘800 su via Astesani / Zanoli costruita sulle proprietà degli Osculati, passata poi ai Cattaneo, era adibita a deposito vetture di ippovia della S.A.O. (tram trainati da cavalli) della linea Porta Volta – Affori
inaugurata nel 1882 dal cav. Emilio Osculati (fratello di Gaetano) Presidente della Soc. Trasporto Omnibus. Vi abitavano anche i fabbri ferrai e maniscalchi addetti alla ippovia. Fu distrutta il 14 Agosto 1943 dal bombardamento aereo su Milano.
Ora c’è l’entrata ai giardinetti Astesani.
nella seconda Affori Via Roma (oggi Pellegrino Rossi) cassina La Ferrarezza e il Tranvajno bianco
Nella foto in basso il tranvaino bianco

CASCINA FAIPO'

Nel 1930, Bartolomeo Albanese e Lucia Calefato, dal loro paese natale, Trani, vennero a Milano e presero in gestione l'osteria.
La cascina Faipò era dell'ingeniere Galimberti Angelo, che era anche proprietario di altri caseggiati e terreni di zona.
La cascina era molto antica ed era già presente nelle vecchie mappe del 1600 che indicavano i possedimenti dell'abbazia di S. Maria Rossa di Crescenzago.
Nella cascina Faipò oltre all'osteria che dava su via Magistretti, c'era un ampio cortile con aia, c'erano stalle con mucche e cavalli porticati per il ricovero dei carri agricoli e abitazioni dove soggiornavano sia le famiglie dei braccianti agricoli che lavoravano nella cascina sia quelle di impiegati operai occupati nelle botteghe artigiane della zona.
L'osteria era sede della Bocciofila Montello, una associazione con numerosi appassionati che partecipava con discreto successo ai tornei che venivano organizzati dalle numerose bocciofile di zona.
A nord della cascina infatti, separato da una stradina c'era il campo da bocce alla milanese, affiancato da un pergolato con panche.
L'osteria era sede della Bocciofila Montello, una associazione con numerosi appassionati che partecipava con discreto successo ai tornei che venivano organizzati dalle numerose bocciofile di zona.
A nord della cascina infatti, separato da una stradina c'era il campo da bocce alla milanese, affiancato da un pergolato con panche.

CASCINA CATTABREGA

In via Trasimeno, di fronte al civico numero 84/7, all'interno di un gradevole piccolo parco, fa bella mostra di sè una curata cappelletta che rimanda alle architetture che contraddistinguono le sepolture di famiglia nei cimiteri dei sobborghi.
Non ci sono scritte o lapidi però che lascino intuire qualcosa di più sulla storia di questa architettura religiosa.
All'interno, si scorge un altare sul quale spiccano una statuetta che riproduce la Madonna di Lourdes, la fotografia di una persona anziana e un cero sempre acceso.
Voci di quartiere identificano il personaggio della foto come signora Galimberti che qui riposa.
Era proprietaria dei terreni su cui sorge la cappelletta e alla sua morte lasciò in eredità denaro e terreni affinchè vi fosse costruito un asilo nido.
Probabilmente faceva parte della famiglia del Commendator Angelo Galimberti, costruttore edile che aveva eretto diversi palazzi in zona, e che, nel 1963 acquistò i terreni relativi alla cascina Faipò, via Magistretti, con l'obiettivo di rendere possibile la costruzione della chiesa di San Basilio.
A due passi dalla cappelletta, sempre lungo la via Trasimeno, troviamo ciò che resta della Cascina Cattabrega nei cui pressi, nel 1869 furono rinvenute alcune tombe di terracotta a forma di cono tronco, contenenti oggetti di bronzo e le ceneri dei defunti, probabilmente queste sepolture risalivano all'età del bronzo. Come sempre furono oggetto di furto da parte di ignoti profanatori e ciò che rimase fu donato all'accademia di Brera. 
Ritrovamento di un sepolcreto, avvenuto nel 1869 a circa un quarto d’ora da Crescenzago in un podere di Leopoldo Arnaboldi situato presso un corso d’acqua sorgente detto il Roggione”, che ci farebbero pensare all’esistenza di alcune tribù precedenti l’insediamento romano e che già praticavano l’incinerazione dei propri defunti; alcuni ritrovamenti del sepolcreto, come vasi di terracotta e asce di bronzo, potrebbero risalire, infatti, all’ultima età del bronzo.
Ma torniamo alla nostra cappelletta, dovrebbe essere stata eretta negli anni 50, il terreno su cui sorgeva era stato successivamente venduto al gruppo Ligresti che pagò i dovuti oneri di urbanizzazione al comune di Milano ma non diede inizio a nessun tipo di lavoro.
Col passare degli anni il terreno divenne una vera e propria giungla e solo negli anni 80 fu messa in essere una seria bonifica durante la quale, fra lamiere ed amianto ricomparve la nostra Cappelletta.
due possibili versioni sull'origine della costruzione, beninteso senza alcuna certezza storica, semplicemente voce di popolo.
La prima racconta che la signora della fotografia stava diventando cieca e quindi chiese grazia alla Madonna per non perdere totalmente la vista, a grazia concessa, fece erigere la cappelletta ed espresse il desiderio che alla sua morte sul terreno circostante fosse costruito un asilo nido.
La seconda storia racconta di un figlio che aveva commesso qualcosa di grave e, in cerca di espiazione, fece erigere la cappelletta dedicandola alla Madonna e facendovi tumulare la madre.
Al di là delle leggende metropolitane, che però un fondo di veridicità storica lo conservano sempre, va dato atto agli abitanti del quartiere per l'impegno costante con cui si occupano della piccola costruzione, tanto che il comune di Milano, dietro la loro spinta ha progettato e realizzato il parco che racchiude questa vera perla del quartiere, quando i cittadini si impegnano preservano i veri valori culturali ed ambientali del proprio territorio ed è proprio l'impegno degli abitanti a dare il valore aggiunto a questa nostra piccola storia.
Ora sede di un centro ricreativo

lunedì 31 gennaio 2022

CASCINA RANZA

 Segnalata come Capsinam Ranticam, è famosa per il ritrovamento ne 1887-88 di manufatti dell'età del bronzo nel cosiddetto ripostiglio della cascina. Questi vennero portati in um primo tempo a Brera e successivamente al Castello Sforzesco, dove risiedono tuttora.

La notizia del ritrovamento fu comunicata ufficialmente dal Bollettino di Paleontologia di gennaio-febbraio 1888.

L'area che la ospitava è quella che va da Romolo all'area dell'Università IULM.

I lavori per la costruzione dell'Università hanno compromesso l'integrità del sito. Demolita si trovava in via Filippo da Liscate.

MOLINO FOLLETTO

 O DELLA FOLLETTA

Molino già esistente ad inizio Settecento, scompare tra il 1967 ed il 1972. Sul finire degli anni sessanta il mulino è già abbandonato ed in stato di abbandono.  Sul finire degli anni sessanta il mulino è già abbandonato ed in stato di abbandono.

Nel 1970 è vittima di un incendio e dopo pochi anni gli abitanti delle vicinanze ricordano un cumulo di mattoni al suo posto, indizio di crollo a causa dell'incuria prima e successivamente dell'incendio.

Era raggiungibile tramite un bel sentiero alberato che si diramava da via Barona, infatti il mulino era contrassegnato dal civico 113. Si trovava a 200 mt dalla cascina Battitacco, oggi al suo posto vi sono solo campi ed una chiusa.

CASCINA LA FOLLETTA, BOFFALORA, BOFFALORETTA

 Le cascine sopra menzionate eran situate nei pressi dell'ex Parco Teramo in via Boffalora 111 e 112. La cascina Boffaloretta era situata invece alla Barona nella omonima via ed era citata sin dal 1567 sotto il nome di "aliud molendinum Crottae nuncupatum La Folletta".

Situata a nord Ovest del complesso Battitacco al quale era collegata tramite la strada privata La Folletta, costeggiata dalla roggia Graffigniana di Boffalora, nel 1905.

Quest'ultima cascina era adiacente al Molino Folletto.

Tutte sono state abbattute negli ultimi anni-

Il toponimo di Boffalora deriverebbe da Boffa l'aura, ovvero soffia l'aria, probabilmente per indicare un luogo particolarmente ventoso.

Della Cascina Boffaloretta, oramai, si intravedono solo parti di parete, qualche trave e tegole pericolanti, il tutto a pochi metri dall’ingresso di una graziosa villetta residenziale.

sabato 29 gennaio 2022

CASCINA BOMBERO

 Del complesso quattrocentesco a metà tra la cascina e l'edificio fortificato, resta solo un fabbricato rustico ristrutturato che affaccia su via Lecchi.

Possiede un bel portale quattrocentesco a tutto sesto ed un bel torrione con mattoni disposti a dentelli.

Attorno al 1885 il complesso formato da due edifici principali denominati Cascina Bombero I e II; ma già nel 1930 sopravvisse solo la struttura più imponente, quella della Bombero II, a discapito delle altre che cominciavano ad essere cancellate dalle case. Il tutto sorgeva tra via Lecchi e via Darwin.

CASCINA PALAZZO

 Residenza signorile edificata attorno alla metà del XV secolo; si presenta oggi come un modesto fabbricato che testimonia solo col portichetto interno la sua nobile origine.

Fino alla metà del XX secolo erano ancora visibili affreschi raffiguranti mostri marini e nereidi.

Il cortile a pianta quadra ed il complesso è a corte centrale. Un lato presenta un doppio ordine di logge architrave. Sorge in via Pestalozzi ai civici 8 e 10-

 Rimane del grande complesso solo qualche traccia della residenza signorile edificata poco distante dalla chiesa di S. Cristoforo. Si presenta oggi come un modesto fabbricato la cui origine è testimoniata, secondo il Langè, unicamente dal portichetto interno. Fino alla metà del XX secolo erano ancora visibili degli affreschi con figure di mostri marini.


CASCINA FILIPPONA

 

Complesso ridotto a cascinale ai primi del novecento. Venne distrutto tra il 1910 ed il 1925.

Si presentava come un edificio medievale chiuso, accentuato dalla presenza su un angolo di una torre quadrata nella quale si apriva un portone d'ingresso.

Alcune finestre ad arco acuto testimoniano l'origine quattrocentesca del complesso, probabilmente sede di qualche congregazione religiosa.

Lodovico Sforza ricompensò per meriti Giovanni Ghiaini con questa tenuta.

Subì un restyling nel 700 quando divenne residenza signorile di campagna.

In questa cascina nel 1870, vennero segnalati tre casi di colera.

Sorgeva nell'area che oggi vede incrociarsi le vie Savona e Tolstoi.

CASCINA CANTALUPA

In via De Finetti, lateralmente l'autostrada Serravalle e in pieno Parco Agricolo Sud Milano un tempo c'era la cascina Cantalupa. Sorta attorno al 1500. 

Secondo i documenti della Curia l'edificio era sorto attorno al 1500 ed era originariamente una villa patronale chiamata Cantalova.

La cascina e le sue terre occupavano quasi 10 kmq di terreno.

Il nome della cascina assieme ad altri toponimi come Bocca del Lupo 1820 presso Vigentino e Monluè citato come Montelupario nel 1499 e nella forma dialettale Monlovèe, indica la presenza di lupi nell'area.

Attorno alla metà dell'ottocento, l'area della cascina era particolarmente apprezzata per la qualità della terra e dell'argilla che si poteva escavare, migliore di quella che si trovava poco distante presso la Cascina Torretta.

La voce di Vigevano del 1949 dedicò un articolo alle mondine di Cantalupa.

Nella notte tra il sabato 5 e domenica 6 ottobre 2002 un bliz di ruspe misero fine alla sua esistenza. Oggi al suo posto in via Finetti, sorgono case nuove il cui schema richiama quello a corte chiusa della cascina.

CASCINA SCARIONA

Si trova nel territorio di Muggiano (e quindi ancora del Comune di Milano) a stretta vicinanza con la zona Industriale di Cusago realizzata su una delle aree più fertili del “Binaschino” (dichiarazione dell’ERSAL”, Ente Regionale per lo Sviluppo dell’Agricoltura Lombarda). Cascina Scariona è ridotta ormai ad un rudere difficilmente recuperabile.

Una testimonianza della storia del territorio ormai compromessa. Nella fotografia s’intravede il porticato a “L” ormai crollato. Analoga sorte sta accadendo anche al fabbricato sulla sinistra.

CASCINA MOIRANINO

Si trova in Via Cusago, poco prima di Assiano. E’ ancora funzionante; una parte è stata ristrutturata ed adibita a ristorante. La parte più antica risale al 1800 circa. Poi è stata ingrandita e resa più funzionale con nuovi fabbricati nel 1830.

A ragione riteniamo che questa sia la cascina meglio tenuta e conservata di tutta la zona; tutto il complesso è stato restaurato di recente; quando si transita per la via Cusago ci appare in tutta la sua bellezza, è impossibile non notarla. La casa padronale è costruita in stile liberty, un affresco raffigurante la Madonna di Caravaggio incornicia e arricchisce la facciata che dà sul cortile.

Le case dei contadini restano alla destra del portone di accesso; costruite su due piani, ogni famiglia di salariati aveva a disposizione due locali, il locale più piccolo era adibito a cucina e l’altro più grande ed adiacente fungeva da stanza da letto. Al primo piano si accede tramite una scala posta nel mezzo del fabbricato, un ballatoio con la ringhiera corre su tutta la lunghezza, i servizi igienici erano posizionati nel mezzo del corpo di fabbrica.

La proprietà della cascina un tempo era della famiglia Udeschini, poi è stata venduta a Corbellini e nel 1947 è passata alla famiglia Albini che vi abita tuttora.
Grandi appassionati di cavalli da tiro, i fratelli Piero e Domenico Albini fino agli anni settanta possedevano due stalloni autorizzati alla monta pubblica.

“Tutt i cavallin eren de Moiranin”, i contadini della zona, infatti, ed anche quelli di Abbiategrasso portavano le loro cavalle a Moiranino per farle ingravidare; il sauro era un bel cavallo di razza bretone di circa 800 chilogrammi, l’altro più grosso e massiccio era un Brabandino belga dal mantello roano e raggiungeva la bellezza di 1100 chilogrammi.

venerdì 28 gennaio 2022

CASCINA CORTE GALLI

Cort del Gall -

Sempre sulla via Morelli ma più spostata ad est, fino al 1970 c’era una delle aziende agricole più grosse di Figino: la Corte dei Galli, due fratelli che allevavano mucche da latte e lavoravano più di 500 pertiche di terreno (circa 35 ettari).
I Galli erano anche i proprietari di uno dei più importanti canali di irrigazione della nostra zona: il fontanile Cavo Parea, 
“ el Camprea”.

Il Cavo Parea aveva la sorgente a Cerchiate di Pero dove adesso c’è lo svincolo autostradale tra la Tangenziale Ovest e l’autostrada Milano-Torino, irrigava alcuni terreni di Figino, San Romano, Caldera, Quarto Cagnino, Linterno; Barocco, Sellanuova ed infine terminava nelle ortaglie della cascina Creta.

Tutte le aziende agricole che usufruivano di questo fontanile dovevano pagare i diritti d’acqua ai Galli ed impegnarsi almeno una volta all’anno allo spurgo ed alla pulizia del suo alveo. Negli anni ’70 la cascina è stata ristrutturata ad uso abitazioni ed il terreno di pertinenza fu ripartito tra due agricoltori di Figino: i Vezzoli ed i Gariboldi, questi ultimi coltivarono la loro parte a risaia fino a qualche anno fa, poi questi terreni sono stati dati in concessione ad Italia Nostra per l’ampiamento di “Boscoincittà”.

CASCINA VEZZOLI

Si trova in via Morelli 22, davanti c’è la statua policroma del vescovo di Milano San Materno, riparata da un’edicola che gli fa da baldacchino e da altare nel contempo.
In un primo tempo questa cascinetta era di proprietà della famiglia Banfi di Rho, poi nel 1961 fu comperata dai fratelli Galli, in seguito sono subentrati come affittuari prima e come proprietari poi i Vezzoli originari del bresciano.

La cascina è formata dalla casa padronale e dalla stalla, quest’ultima versa in cattivo stato in seguito ad un incendio. La terra di pertinenza è di circa 150 pertiche, quasi tutte di proprietà comunale ed è irrigata tramite il Cavo Parea “Camprea” con acqua derivata dal canale Villoresi.

CORTE DEI PORTA

La Cortascia.

Questa cascina si trova in fondo a via Fratelli Zanzottera sulla sinistra, è chiamata anche “la Cortascia”.
Il nome spregiativo “cortaccia” non tragga in inganno, non si tratta di un cortile brutto, tutt’altro, è chiamato in questo modo solo perché è molto grande, uno dei più grandi di Figino.
Si ritiene che in origine sia stata di proprietà dei frati Cistercensi, al pari della Cascina Cornaggia.
Tipica cascina lombarda a corte; il portone d’ingresso è ricavato direttamente nelle case dei contadini, che si allungano sul cortile con un bel portico e sono sormontate da una “
torre colombara” con i fori attraverso i quali i piccioni entravano a nidificare. La sua forma ricorda quella di un’altra torre medioevale, anch’essa ubicata in Figino, e precisamente in via Morelli 27.
Le cascine di proprietà monastica, ma edificate lontane dal convento, di solito si distinguono dalle altre per il corpo di fabbrica compatto che comprende la casa padronale, magazzini e l’androne di accesso contraddistinto dalla presenza di una specie di torretta chiusa o “colombera”.
Il cortile, nei suoi confini, non è del tutto chiuso dai fabbricati agricoli, il lato nord si apre verso la campagna ed è delimitato dall’alveo di un fontanile: il Piccaluga.
In fondo al cortile, sulla riva di questo fontanile c’erano le 
“prei de lavà”, i lavatoi con il piano inclinato che le donne di Figino usavano per lavare i panni.
L’ingresso è fatto a 
“rizzada”, pavimentato coi ciottoli che i contadini raccoglievano in primavera nei prati.
L’aia è posizionata sulla sinistra, quasi in centro al cortile; le stalle delle mucche sono costruite ad est, alla destra del portone d’ingresso; sopra la stalla c’è il fienile, la 
“cassina”, come viene chiamata in gergo; verso la corte la stalla è chiusa da un porticato, deposito di carri e di foraggio, accanto ad un pilastro c’è la vasca che serviva per abbeverare le bestie e la “trumba” per pescare l’acqua potabile dal sottosuolo; sulla sinistra ci sono altre abitazioni ed un portico che serve da ricovero per gli attrezzi e per le macchine agricole.
La cascina è ben tenuta, si percepisce un senso d’ordine e di pulizia.
Questa cascina, con le 350 pertiche di terra di sua pertinenza ed un palazzo padronale sito in via Morelli 15, sempre in Figino, è stata comperata dalla famiglia Porta nel 1917 dal vecchio proprietario: il marchese Piccaluga.
Nei tempi migliori, la stalla, tra grandi e piccoli ospitava circa 100 bovini; nei campi, oltre al foraggio si coltivava grano, mais e riso.
I fontanili che irrigavano i terreni di questa cascina erano il Boriolo ed il Piccaluga.
Durante la seconda guerra mondiale in fondo al cortile venne costruito un rifugio per gli abitanti di Figino. Sulla strada di campagna che collegava la Curtascia alla cascina Molinetto c’era una postazione antiaerea.
Ogni sera i soldati della caserma Perrucchetti, per evitare i bombardamenti, venivano sfollati in questa cascina e dormivano sotto i portici, distesi sul fieno.
Dopo l’8 settembre (giorno dell’Armistizio) alcuni di questi soldati, in gran parte originari del Salernitano e del Napoletano, tornarono in cascina trovando, per alcuni mesi, ospitalità e protezione dai Porta che, oltre a rifocillarli, ne impedirono la cattura in occasione dei frequenti rastrellamenti compiuti dai nazifascisti. Quando poi i tempi lo permisero, vennero aiutati a ritornare a casa.
Alcuni di questi soldati, durante la permanenza alla Curtascia, ricevettero la Santa Cresima. I Porta fecero loro da padrini.
Finita la guerra nel prato appena fuori la cascina venne allestito un campo per i soldati americani, con tanto di baracche per dormitorio. Gli abitanti più anziani di Figino si ricordano ancora le tavolette di cioccolato e le sigarette che questi militari offrivano in cambio di qualche litro di latte e alcuni cesti di verdura.

Nei tempi duri del dopoguerra, poveracci senza lavoro né casa trovarono rifugio nelle varie cascine.
Al mattino andavano in città per chiedere l’elemosina e alla sera si ritiravano a dormire nelle stalle d’inverno e d’estate sui fienili.

Appena dentro il portone d’ingresso, su un muro sotto il portico c’è un bell’affresco raffigurante la Madonna del Rosario seduta su un trono di nuvole tra San Domenico e Santa Rosa.
Non è un affresco antico, ma la sua storia vale la pena di essere narrata.

Negli anni ’40 il parroco di Figino, don Emilio Trabattoni, commissionò al pittore Arturo Galli la realizzazione di una serie di affreschi nella chiesa parrocchiale di San Materno.
Per realizzare quest’opera il pittore aveva bisogno di un alloggio e della fornitura giornaliera di latte per stemperare i colori, che man mano avrebbe disteso sulle pareti.

Si era in periodo di guerra e c’era in giro carenza di cibo e di soldi.
Il Reverendo chiese aiuto ai parrocchiani e la famiglia Porta si offrì di soddisfare queste esigenze.
In questo modo Arturo Galli fu ospitato in cascina per tutto il tempo necessario per realizzare il ciclo pittorico.
A lavoro ultimato gli fu chiesto, dietro il giusto compenso, di realizzare un affresco di suo piacimento in cascina, al fine di onorare un voto fatto dai nostri agricoltori per lo scampato pericolo dei bombardamenti e per la fine della guerra.
Così Arturo Galli realizzò l’affresco che ancora adesso c’è in cascina.
Nel marzo del 2003 questo affresco è stato restaurato da due ragazze della scuola di pittura di Como: Maria Rita Sanpietro e Sara Mariani.
Oggi in cascina abitano quattro nuclei di Porta, lavorano ancora la terra di loro pertinenza, ma le stalle sono desolatamente vuote; anche qui la crisi dell’agricoltura ha lasciato il segno. Tutte le notizie sulla Curtascia, sulla cascina Molinetto e parte di quelle sulla Cornaggia ci sono state date da Giuditta Porta, insegnante elementare di tante generazioni del circondario di Milano.
Maestra atipica, con grande amore per la terra e per gli animali, questa passione le deriva dagli insegnamenti che il papà le ha trasmesso durante i lavori agricoli e quando, in estate, lo accompagnava a fare il giro delle risaie, per controllare la distribuzione dell’acqua e la crescita delle piantine.
Amore che ha cercato di inculcare anche nei suoi allievi; fino a qualche anno fa era abbastanza frequente vederla in giro con la classe a spiegare il funzionamento di una marcita o trotterellare dietro la mietitrebbia in mezzo ad un campo di grano pronto per essere raccolto.



CORTE DEI QUATTRO DAZZI

Cascina Angela - Cascina Lodi.

Si trova in Figino, tra la via Anghileri e la via F.lli Zanzottera, di fronte alla chiesa parrocchiale di San Materno, formata da quattro cortili, era la cascina degli ortolani di Figino. In essa vi abitavano i Farè, i Clerici, Perego, gli Origgi ed i Lodi.
Coltivavano soprattutto fragole, cavoli, zucchine e cicoria invernale, portavano i loro prodotti a vendere al “Verzèe Vègg” di Milano, che si trovava in via Larga; nei giorni festivi erano autorizzati ad allestire bancarelle di vendita diretta in Figino e nei comuni limitrofi.

Il primo cortile invece era abitato da una famiglia di allevatori di mucche da latte: gli Arioli, originari delle valli bergamasche, per questo erano chiamati bergamini.
Era chiamata 
“la Cort di quatter dazzi” perché le corti erano tutte comunicanti in sequenza l’una dopo l’altra tramite portoni piccoli e stretti in cui a malapena passava il carretto del fieno, come dei piccoli dazi appunto in cui per passare occorreva pagare pegno.

Attualmente con l’entrata nuova da via Anghileri è rimasto solo un cortile, quello della famiglia Lodi, azienda in cui l’attività agricola è ancora funzionante.
Gli altri tre cortili sono stati abbattuti per costruire palazzine.
Questa cascina ha le case dei contadini poste a nord, molto belle, formate da otto campate, ognuna costituita da due archi sovrapposti a sesto ribassato, coi mattoni a vista. Le stanze al piano terreno sono arretrate rispetto al piano superiore per dar spazio alla zona porticata. Fino a qualche anno, sull’intonaco della prima casa, si poteva ancora vedere la scritta “
Cascina Angela”, oggi la scritta è deteriorata, quasi del tutta stinta e rosa dal tempo e dalle intemperie. Le stalle sono costruite a sud ed a est del cortile ampio e rettangolare.

Fino a qualche anno fa piene di bestie oggi le stalle sono desolatamente vuote, i palazzi adiacenti sono stati costruiti troppo vicino, le chiudono come in un abbraccio soffocante e non è stato più possibile allevare animali.

CASCINA IL RONCAZZO

El Roncasc – La Roncaja

Si trovava a nord, distante circa un miglio dell’abitato di Figino, nel 1721 era di proprietà del marchese Giovanni Battista Piantanida, è stata demolita all’inizio del 1900.
Quando si passa vicino all’inceneritore dei rifiuti solidi urbani di via Silla, alla sua sinistra, si vede ancora oggi un dosso, in parte spianato, in cui affiorano dei mattoni, è quel che resta della cassina Roncaja.

Vicino a questa cascina c’era una piccola costruzione detta “la Balzanella”; fino al 1850 era la casetta di uno dei guardiani del grande Bosco di Cerchiate, le cui propaggini si estendevano fin qui. Dopo l’abbattimento di tutto il bosco e la messa a coltura del terreno, la Balzanella è stata trasformata in un portico, per dar ricovero ai contadini, agli animali ed ai carri di fieno nel caso in cui scoppiasse repentino un temporale che li sorprendesse nei campi.

PARCO DEL CITYLIFE

CityLife vanta uno tra i parchi più ampi di Milano, ma soprattutto è ricco di opere d’arte che lo rendono un vero museo a cielo aperto tutto...