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mercoledì 9 marzo 2022

MONASTERO DE QUINZANO

 

Fino al 1456 in contrata de Brisia sorgeva un monastero femminile detto di Santa Maria de Quinzano, menzionata solo di sfuggita nei testi dell'erudizione milanese settecentesca, da Latuada a Della Croce. Origine e storia del monastero restano un enigma: ben documentata, invece, è la sua fine.

Nel gennaio 1456 l'arcivescovo Gabriele Sforza (fratello del duca Francesco), eretta la cappellania a beneficio di costui, si trattava di attribuirvi delle rendite. Oltre ad alcuni canonicati e benefici soppressi, sia in città che fuori, vi furono incorporati i beni di quattro piccoli monasteri femminili: quello cittadino de Quinzano, ove risiedevano la badessa e una monaca, la faremus caputiarum di Mariano Comense (ridotta a due monache e due donne illetterate), Sant'Agostino di Cassano Magnago (solo due donne illetterate), e un monastero ad Arcore ove addirittura non risiedeva più alcuna religiosa.
Le ragioni della soppressione erano legate all'impossibilità di rispettarvi la clausura a causa dell'esiguità delle risorse economiche e di una non meglio precisata “difformitas” (inadeguatezza architettonica?). Resta il dubbio se il monastero de Quinzano fosse benedettino o agostiniano: né figura nella Notitia cleri del1398, ove invece compaiono i monasteri di Mariano e Cassano che ne condivisero la sorte. Ne dobbiamo concludere che quella de Quinzano (e forse quella di Arcore soppressa nella medesima occasione) fosse una piccola domus di fondazione quattrocentesca, destinata a durare lo spazio di mezzo secolo circa, in un periodo in cui era tutto un proliferare di comunità femminili economicamente deboli e di conseguenza poco documentate, soprattutto agostiniane e umiliate.
Quanto all'appellativo de Quinzano, le ipotesi percorribili sono due: o il nome indica la casata benefattrice che ne consentì la fondazione, o la domus era milanese legata a un ente religioso forestiero. Nella prima ipotesi, il cenobio sarebbe stato fondato grazie a un lascito della famiglia de Quinzano, di cui però non abbiamo notizie nel primo Quattrocento milanese: solo nel 1443 Filippo Maria Visconti concede la cittadinanza milanese a Giovanni Alghisius de Quinzano e ai suoi discendenti, da quel momento in avanti noti semplicemente come de Quinzano, in virtù del toponimo di provenienza.
Possibile che proprio questi de Quinzano poter avere fondato la piccola domus di Brisa? Sarebbe stato un potente veicolo di legittimazione di una nuova casata: ma la vita del monastero, in questa ipotesi, si ridurrebbe a non più di una dozzina d'anni. I de Quinzano, del resto, risiedevano altrove, a porta Romana, e il primo legame tra un de Quinzano e porta Vercellina risale un decennio in più tardi, quando Giovan Angelo (membro della magistratura dei XII di Provvisione) risulta tra i livellari delle agostiniane di Sant'Agnese di porta Vercellina. Se il monastero “di famiglia”, forse proprio agostiniano, fosse stato legato a quello di Sant'Agnese (passato a quella regola dal 1454) ma tra le monache del capitolo di Sant'Agnese di quegli anni i loro nomi, che ci sono noti, non compaiono. Nella seconda ipotesi, in vece, possiamo pensare che l'appellativo de Quinzano esprima la dipendenza da una casa umiliata del contado. Non del contado milanese, tuttavia: l'unica traccia è una ben documentata domus Humiliatorum di San Luca de Quinzano a Brescia, fondata nel 1221 e nella quale coesistevano, insolitamente, una comunità maschile e una femminile. Nel 1447 l'ormai decadente casa di San Luca, insieme a molti istituti analoghi, venne accorpata all'Ospital Grande di Brescia e la sede ove riunire tutte le realtà precedenti fu proprio l'antica domus umiliata.
Se le origini del monastero de Quinzano restano un mistero, la sua fine è invece piuttosto chiara. Nel gennaio 1456 presso i locali del monastero abitava ancora la badessa e una sola monaca, come si accennava. Il vicario Davide de Lanteriis, procuratore dell'arcivescovo Gabriele Sforza, si reca personalmente presso il monastero per notificare alle due religiose destituzione e soppressione del piccolo cenobio: la badessa Elisabetta de Odonibus e l'unica monaca rimasta con lei Maddalena de Sovicho, devono abbandonare il monastero e trasferirsi presso un altro ente dove sarà loro assicurato di poter continuare a servire il Signore e dove si provvederà a loro finché vivranno. Non sappiamo cosa risposero le due religiose: sono del resto casi noti in cui, di fronte alla prospettiva di essere trasferite in un altro “monasterium honestum” perché quello ove risiedevano era inadeguato, qualche monaca rifiutò.
Ricordiamo in fine che tra i membri della famiglia de Odoni si contano personaggi di rilievo, come Giovannolo, che nel tardo Trecento apparteneva al Consiglio dei 900 proprio tra i rappresentanti di porta Vercellina, parrocchia di Santa Maria alla Porta: dato questo che, almeno in via teorica, potrebbe stabilire un legame tra la localizzazione del monastero e la scelta dell'ultima badessa.
Il monastero de Quinzano doveva trovarsi nella parte ovest dell'isolato, quella più devastata dai bombardamenti, probabilmente una metà a cavallo tra le parrocchie di Santa Maria alla Porta e San Pietro alla Vigna, e, forse, l'estremità sud-ovest, presso i resti di un muro poligonale tardomedievale ancora oggi esistente.
Nel gennaio 1456 il monastero fu soppresso e unito alla cappellania suffraganeale di San Giovanni Evangelista in Duomo. Mesi dopo, un orto e alcune casette in rovina che facevano parte del sedime del monastero furono concessi in enfteusi a Luigino del Maino (che possedeva con il fratello altri beni confinanti) per 16 fiorini all'anno: l'orpera confinava direttamente con la contrada di Brisa ed era delimitato a sud e ad est dalle domus dell'ex monastero, mentre a nord confinava con altre proprietà del Maino. Due anni più tardi, nel 1458, un più ampio sedime dell'ex monastero, sito nella parrocchia di San Pietro alla Vigna e che comprendeva edifici a più piani, corti e orto, fu concesso in enfiteusi al conte Antonio Crivelli per 40 fiorini annui con l'impegno di ristrutturare gli edifici in rovina
Il conte e altri membri della sua famiglia (ramo Crivelli-Scarampo), possedevano già altri beni nell'isolato: il palazzo (più probabilmente parte di esso) che sarà in seguito dei Gorani , la dimora di famiglia sul corso e dal 1458 anche il sedime de Quinzano.
Il monastero di via Brisa a Milano: con la concessione al del Maino e al Crivelli di gran parte delle strutture dell'ex monastero, queste, ristrutturate, furono utilizzate come abitazioni private.
All'inizio del XVI secolo parrebbe nel 1514, i conti Crivelli ottennero la proprietà del sedime concesso in enfiteusi ad Antonio. Dell'architettura del monastero noto pochissimo: esistevano alcuni edifici a più piani in cattivo stato, una chiesa (oratorio) cui si accedeva tramite un passaggio ove c'era un pozzo e un campanile, molto vicino all'orto (ove sorgevano piccole case in rovina). Della chiesa non si sa nulla, a parte il titolo di Santa Maria, né tantomeno ch ivi officiasse. I due sedimi concessi al del Maino e al Crivelli erano vicini ma non confinanti.
Oggi troviamo un ampio tratto in mattoni a vista, presumibilmente tardomedievale o rinascimentale, interessato da aperture e imposte di volte, e in un tratto a luppo poligonale . Nella parte sud del tratto rettilineo si riscontrano almeno due brevi tratti di muro di costruzioni abbattute che continuavano verso ovest, perpendicolarmente all'asse di via Brisa, il che induce a collegarlo alla chiesa di Santa Maria de Quinzano, che, lo ricordiamo, non era stata inclusa nei beni dell'ex monastero concessi al del Maino e al Crivelli. Possiamo cioè avanzare l'ipotesi che, in origine, il muro poligonale costituisse la parte absidale di un edificio religioso.

martedì 8 marzo 2022

CHIESA DI SAN BERNARDO

Situato lungo il corso di Porta Vigentina di fianco al collegio Calchi Taeggi.

In Corso di Porta Vigentina sul lato dei numeri dispari si trova un piccolo giardino. Osservando attentamente si notano tre archi bianchi che erano le tre cappelle di ordine corinzio della navata destra della Chiesa tardo-cinquecentesca di San Bernardo. Al contrario di come si possa pensare, la chiesa non fu vittima dei bombardamenti della II guerra Mondiale, ma fu vittima della negligenza umana. Infatti nel novembre 1971 la navata della chiesa durante lavori di restauro crolla rovinosamente e cancella per sempre la piccola chiesetta del Corso di Porta Vigentina. La chiesetta cinquecentesca era sconsacrata da tempo ed era adibita da tempo a officina.
Era una chiesa ad una sola nave con 6 cappelle laterali e un abside, fungeva da cappella per il monastero e collegio attiguo Calchi Taeggi. Oggi, l’area a verde, che ospita i ruderi della chiesa, è chiusa e necessita di una risistemazione, bonifica del terreno e messa in sicurezza, data la presenza delle strutture pericolanti dell’edificio.
Il luogo dove sarebbe sorta la chiesa è stato occupato fino al 1506 da un monastero di monache, benedettine e successivamente domenicane, poste sotto l'egida dei Padri Cistercensi dell'Abbazia di Chiaravalle. La chiesa venne quindi costruita immediatamente dopo, agli inizi del XVI secolo, inglobando la precedente cappella del monastero che in seguito verrà trasformata in parlatorio del nuovo luogo di culto, mentre l'edificio monastico verrà in seguito occupato dal collegio Calchi Taeggi.
A seguito dei decreti napoleonici sulla secolarizzazione dei beni ecclesiastici, la chiesa viene spogliata di molte opere d'arte che conteneva al suo interno, come gli ornamenti dell'altare maggiore probabilmente opera di Francesco Croce. Una volta sconsacrata, la chiesa rimase in stato di abbandono per molto tempo, fungendo come magazzino dell'attiguo collegio; fin quando nel novembre del 1971 durante dei lavori di restauro, la struttura cede a causa del cattivo stato di conservazione, rovinando su se stessa. Ad oggi della struttura rimangono solamente le tre cappelle di ordine corinzio della navata destra.
Secondo lo storico Paolo Morigia la chiesa fu inoltre dimora di numerose reliquie, tra cui una spina delle corona di Gesù Cristo, il velo col quale furono bendati gli occhi a San Paolo quando gli fu tagliata la testa e Una calzatura di San Pietro.
La chiesa presentava una struttura abbastanza semplice, costituita da tre navata e da sei cappelle laterali oltre all'abside.
La facciata, rifatta successivamente in stile barocco, è suddivisa in due ordini sovrapposti, suddivisi da un cornicione e sovrastati da un timpano. Nell'ordine inferiore il portale centrale è affiancato da due finestre poste ai lati, mentre in quello superiore vi è una serie di tre finestroni adiacenti. In entrambi gli ordini gli elementi architettonici sono intervallati da delle lesene, terminanti con dei capitelli ionici in quello inferiore e corinzi in quello superiore.
Molto probabilmente l'architettura della chiesa di San Bernardo ispirò nelle sue forme la Chiesa di Santa Maria al Paradiso, situata nella stessa via sul lato opposto della strada.
Ecco cosa scriveva a proposito della chiesa il Ponzoni nel suo libro del 1929 “Le Chiese di Milano”
Al posto dell’attuale collegio Calchi-Taeggi, anticamente e fino all’anno 1506 esisteva un monastero di monache sotto la regola di S. Benedetto, governate dai Padri Cistercensi di Chiaravalle.
In seguito di tempo seguirono la regola di S. Domenico. La chiesa attuale, annessa all’antico monastero di S. Bernardo del borgo di porta Vigentina, fu costruita nel principio del secolo XVI senza che fosse distrutta la vecchia chiesa, molto piu piccola, mutata poi in uso di parlatorio. Fu anche per alcun tempo usata come rimessa o magazzino.
La facciata, rifatta in seguito, è buon esempio di barocco sobrio e armonioso.
Tanto le tele quanto gli ornamenti del 1729 dell’altare maggiore di fogliame dorato, Angeli, Cherubini, sopra vago disegno di Francesco Croce, architetto di buona fama, sparirono dopo il decreto di Bonaparte, ordinante l’esportazione dall’Italia dei nostri capolavori artistici, così che
l’interno ora non ha nulla che interessi.
Fu tradizione che S. Bernardino abbia abitato l’antico monastero e Paolo Moriggia, scrivendo delle reliquie venerate nella chiesa delle monache di S. Bernardino, aggiunge: « … si riverisce una spina della corona di N. S., il velo col quale furono velati gli occhi a S. Paolo quando gli fu tagliata la testa. Una calzatura di S. Pietro Apostolo… ed altre reliquie ».
Dopo il passaggio di S. Bernardino, la Chiesa assunse il titolo di S. Bernardino.
Il monastero di S. Bernardino fu soppresso nel 1785 e nel 1791 divenne la sede dell’attuale collegio.

MONASTERO SANTA MARIA MADDALENA

 Era situata nell'attuale corso Italia, la chiesa fu soppressa assieme all'annesso convento nel 1798.

Le prime notizie della chiesa e l'annesso monastero vengono fornite attorno al 1500, quando le "monache del Paradiso", monache dell'ordine di Sant'Agostino si trasferirono nell'area occupata dalle chiese di San Biagio e Sant'Ippolito da un vecchio monastero nella vicina contrada della Maddalena (oggi via Maddalena), ormai angusto per contenere le sempre più numerose monache.
Circa un secolo dopo l'insediamento le monache inglobarono la piazzetta che si formava davanti alle vecchie chiese, poi demolite per costruire la nuova chiesa del monastero
La nuova chiesa fu costruita a partire dal 1594 e presentava una facciata monumentale, costruita solo nel 1721 su disegno di Giovanni Ruggeri, divisa in due partiture orizzontali: quella inferiore era divisa in cinque partiture verticali scandite da lesene di ordine corinzio, di cui le più esterne decorate con delle nicchie e quella centrale decorata dall'unico portale d'ingresso. L'ordine superiore, più stretto, presentava solo tre partiture ognuna decorata da un finestrone, mentre le cornici della facciata, così come degli edifici circostanti che formavano una piazzetta antistante alla chiesa, erano decorati con statue. Sopra il portale d'ingresso vi era un scolpito un busto della titolare della chiesa con l'iscrizione "DILEXIT MULTUM"
All'interno erano presente due cappelle per lato, oltre all'altare maggiore, riccamente decorato con marmi e statue scolpite di tale Mauro Milanese e dalla pala d'altare dell'Apparizione di Cristo alla Maddalena in figura di Ortolano di Fede Galizia, mentre ai lati vi erano quattro quadri delle Azioni di Santa Maria Maddalena di Agostino Santagostino. Nelle cappelle laterali si possono elencare le seguenti opere:
San Pietro che riceve le chiavi dal Divino Maestro di Camillo Procaccini
Santa Teresa rapita in estasi con gloria di Angeli del Montalto
Santi Biagio e Ippolito di Luigi Scaramuccia
San Tommaso da Villanova di Ercole Procaccini
La volta della chiesa era affrescata da Giovan Battista Della Rovere detto il Fiammenghino, mentre vengono menzionate altre opere non meglio precisate di vari pittori tra cui Federico Panza, Federico Bianchi e Andrea Lanzani

CHIESA DI SAN BARTOLOMEO

 

La primitiva chiesa di San Bartolomeo era già esistente nell'XI secolo ed era ubicata in prossimità del Naviglio alla confluenza tra le vie Manzoni e Fatebenefratelli con l'attuale piazza Cavour, di fronte alla Porta Nuova medievale. Della sua conformazione prima del XVI sappiamo ben poco grazie agli ordino di ampliamento degli arcivescovi-cardinali san Carlo e Federico Borromeo, che affidò il progetto di rifacimento a Francesco Maria Richini. Di come questa chiesa potesse apparire abbiamo un'immagine settecentesca da un'incisione di Marc'Antonio Dal Re.

La chiesa, spoglia di opere d'arte e di devozione, divenne presto meta dell'aristocrazia cittadina e fu così che nel 1683, a pochi mesi di distanza dalla vittoria sui turchi a Vienna, la contessa Teresa Gordone Serbelloni donò alla chiesa di San Bartolomeo un'icona della Madonna del Buon Aiuto, copia di un originale attribuito a Lucas Cranach il Vecchio, già pittore di Federico III di Sassonia.
Sino alle disposizioni del Trattato di Saint Claude del 1804, la chiesa divenne anche uno dei luoghi privilegiati per la sepoltura dei personaggi delle più eminenti famiglie milanesi tra le quali i Bascapé, i Bodio, i Brivio, i d'Adda, i Fagnani, i Lattuada, i Meda, i Melzi, i Porta, i Recalcati, i Simonetta e gli Zanardi, oltre a personalità politiche e militari delle varie epoche. A partire dal 1805 gli venne annessa come sussidiaria anche la vicina chiesa di San Francesco di Paola.
La chiesa, nel 1848, fu protagonista di un episodio accaduto durante le celebri Cinque giornate: un reparto di soldati capeggiati dal tenente Wolf aveva sfondato la porta della chiesa di San Bartolomeo nella ricerca di un sovversivo e non trovandolo si recò nella casa del parroco massacrandolo dopo il rifiuto di questi di collaborare.
Per consentire l'apertura di via Principe Umberto, oggi via Turati, si decise di demolire l'antica chiesa, che venne sostituita da un nuovo edificio in via Moscova, sempre dedicato a San Bartolomeo; lì confluirono tutte le opere della chiesa, tra cui si segnala il neoclassico monumento funebre al conte Karl Joseph von Firmian.

domenica 6 marzo 2022

CHIESA DI SANTA MARIA DI LORETO

 

Faceva parte del convento delle ochette posto ad angolo tra a via Bandello e via San Vittore.

I frati l’8 ottobre 1847 iniziarono la ricostruzione del vecchio edificio, con architettura più nobile e monumentale. L’incarico fu affidato all’architetto Moraglia, il quale disegnò una solenne costruzione neoclassica, secondo il gusto del tempo. La costruzione fu compiuta nel 1860 e il 6 agosto veniva benedetta la nuova chiesa. Il complesso era preceduto da un’imponente propileo formato da 14 grandiose colonne monolitiche di granito, senza base e con capitelli dorici. L’alta trabeazione è conchiusa da due timpani triangolari corrispondenti agli ingressi di chiesa (a destra) e ospedale.

Sia la chiesa di santa Maria di Loreto che l’attiguo Ospedale vennero abbattuti quando il nuovo piano regolatore sancì l’apertura, tra le vie Bandello e Zenale, di un’ulteriore viuzza: la Morozzo della Rocca, finalizzata a meglio lottizzare ulteriormente i terreni. Al loro posto saranno costruiti nuovi condomini.

CONVENTO DELLE OCHETTE

lungo la via san Vittore, nel tratto compreso tra le vie Bandello Zenale, corrispondente all’odierno numero 32, il convento delle “Ochette” eretto nel 1626.

Il convento accoglieva dodici zitelle e due inservienti, le quali seguivano le regole di S. Francesco, e attendevano ad allevare nobili fanciulle nella pietà cristiana e nei buoni costumi.

Dopo il 1636 nel convento, su disegno di Carlo Buzzi (già architetto della fabbrica del Duomo), fu eretta una chiesa pubblica, S. Maria di Loreto, ad una sola navata, con tre cappelle e la cui pala dell’altare maggiore rappresentava la Vergine di Loreto con S. Chiara e il Card. Federico Borromeo. Il monastero fu soppresso durante il periodo napoleonico; rimase tuttavia il conservatorio, destinato però alle orfanelle, ma esse pure nel 1841 passarono all’Orfanotrofio della Stella (le Stelline). Il monastero fu acquistato dai Fatebenefratelli di Porta Nuova, ai quali passò, quindi, anche la chiesa di S. Maria di Loreto abbattuta successivamente.



lunedì 31 gennaio 2022

CHIESA DI SANT'ANNA IN CASTAGNEDO

 

Estrema periferia sud-est di Milano Lungo la tortuosa via Tertulliano all’incrocio con Via Vincenzo Toffetti ai piedi di un edificio per uffici anni Sessanta ci sono i resti dell’oratorio di Sant’Anna in Castagnedo. Sorta nella campagna milanese nel XII secolo l’oratorio degli Umiliati conserva pressoché intatte le sue caratteristiche di chiesa romanica a nave unica anche se oramai da lungo tempo scoperchiata e in totale rovina.
 La chiesetta fu sottoposta a vincolo in quanto conteneva affreschi di notevole pregio: le Tre Marie, dipinte sopra un altro affresco, ed altri, tra cui una immagine miracolosa di San Carlo, che il 24 giugno del 1601 avrebbe risanato una donna paralitica da nove anni. Due altri affreschi quattrocenteschi vennero poi staccati ma danneggiati da vandali, e sono ora di proprietà di un privato. Il vincolo è stato tolto, ma per fortuna la chiesetta, pur ridotta a un rudere, è stata risparmiata.

mercoledì 26 gennaio 2022

CHIESA DEI SANTI NAZARO E CELSO ALLA BARONA

Risale addirittura ai primi anni del cristianesimo, probabilmente fin dal secolo XIV°, una chiesina che serviva come luogo di culto, in particolare per la celebrazione della S. Messa domenicale, per gli sparsi abitanti della vastissima zona periferica. La chiesa, con i numerosi fondi agricoli e probabilmente la stessa cascina Barona, apparteneva ai monaci benedettini del Monastero di San Celso, da cui deriva il titolo della chiesa:  Santi Nazaro e Celso.

Decaduta la vita monastica per mancanza di vocazioni, il monastero ed i suoi possedimenti passarono in un regime di commenda. In diritto canonico la commenda era il conferimento ad una persona di un beneficio per il solo usufrutto delle rendite, in altre parole non si possedeva il terreno, ma solo i suoi ricavi. La commenda fu istituita nel 1265 da papa Clemente V° poi, per motivi politico-amministrativi fu ridotta, modificata e poi abolita.

Il commendatario continuò, per qualche tempo a mantenere, per la Barona, un cappellano che con molte probabilità risiedeva in luogo, poi l'uso decadde. La chiesa della Barona passò quindi, agli inizi del XVI° secolo, sotto la giurisdizione della parrocchia di San Lorenzo alle Colonne e, sia pure senza continuità, un cappellano esercitava come poteva, la domenica e durante le altre festività, la cura delle anime su delega del parroco di San Lorenzo.

Questo stato di cose durò fino l’anno 1567.

Ma distanza dalla chiesa parrocchiale doveva presto farsi sentire dalla popolazione di qui che andava crescendo numericamente. Arrivò quindi il giorno in cui una delegazione di cittadini si recò dall'Arcivescovo Carlo Borromeo chiedendo che la loro chiesa fosse elevata a chiesa parrocchiale con un sacerdote stabilmente in luogo. San Carlo accolse la richiesta e nei giorni 3, 4 agosto 1567 con atto notarile stillato presso il notaio Giovanni Pietro Scotti la vecchia chiesina divenne finalmente parrocchia conservando la primitiva dedica ai santi Nazaro e Celso.

Vari documenti dimostrano l'eccellenza della vita religiosa nel quartiere nei secoli scorsi. Come nel 1500 l'insistenza dei fedeli fece sì che la loro chiesa fosse elevata a parrocchia; cosi verso al fine del se-colo XVI° l’affetto dei fedeli portò alla ricostruzione della chiesa. Il periodo aureo della vita religiosa alla Barona fu durante il 1700.


lunedì 17 gennaio 2022

CHIESA DI SAN PIETRO CAGALENTI

L'oratorio dei Santi Pietro e Lino, anticamente conosciuto come oratorio di San Pietro a Ca' Galeni e oratorio di san Pietro ad Linteum negli scritti di San Carlo Borromeo, era un oratorio di Milano. L'edificio, situato nell'attuale piazza Santi Pietro e Lino, fu demolito nel 1786.

La menzione più antica dell'oratorio in un documento risale al 1019, mentre è successiva la menzione tra le chiese parrocchiali, status che mantenne fino al 1577 quando San Carlo soppresse l'omonima parrocchia. Sul nome non vi sono origini certe, se non un'ipotesi per cui il nome "Santi Pietro e Lino" deriverebbe dalla corruzione del più antico nome "San Pietro a Ca' Galeni", che deriverebbe dal nome della famiglia alla quale era assegnato l'antico giuspatronato, mentre San Carlo Borromeo si riferiva alla chiesa come "San Pietro ad Linteum" per via del lenzuolo apparso in visione al santo secondo la tradizione cristiana.

L'aspetto tramandatoci dell'edificio è quello successivo ai restauri iniziati nel 1719 che videro l'innalzamento della chiesa e la modifica di alcuni interni, tra cui l'altare maggiore indietreggiato su cui fu posto il dipinto del Cristo Crocifisso coi santi Pietro ed Omobono di Antonio Busca, e l'aggiunta di due cappelle laterali, nelle quali vennero riposte due statue già presenti nella chiesa di Sant'Antonio da Padova e della Beatissima Vergine. Nella chiesa era presente anche un quadro di San Pietro di Giovanni Battista Longoni, al quale si dovevano anche gli affreschi in prossimità dell'altare maggiore, e una tela di Santo Omobono di Giuseppe Rivola.

La chiesa, fu demolita nel 1786: sull'area occupata dal complesso sorge oggi una piazzetta che prende il nome dall'oratorio.



sabato 15 gennaio 2022

CHIESA DI SANTA MARIA FULCLORINA

La chiesa, un tempo situata in una piazzetta sull'attuale area attorno a piazza Affari, fu parzialmente demolita nel 1809: demolizione completata più di un secolo dopo per fare spazio al passaggio che porta a piazza degli Affari.

Santa Maria Fulcorina era parrocchia del decanato di Porta Vercellina e venne soppressa il 25 dicembre 1787 all'entrata in vigore del nuovo compartimento territoriale delle parrocchie della città e dei Corpi Santi di Milano.

Una prima ipotesi circa l'origine della chiesa, il cui titolo oscilla nei secoli fra Santa Maria FolcolinaSanta Maria Falcorinae l'attuale Santa Maria Fulcorina, vuole farla risalire all'anno 810, fondata dal conte Folco o Fulco o Falcuino, da cui deriverebbe il titolo della chiesa. Tuttavia i documenti ufficiali indicano la chiesa fondata nel 1007. Il Morigia, che il Latuada sicuramente leggeva, scriveva nel 1595 che la chiesa avrebbe tratto il nome dal nobilissimo milanese Fulco da cui Santa Maria Fulcolina; secondo il Torre, invece, il gentiluomo sarebbe stato il cavaliere francese chiamato Conte Folco; similmente, sempre secondo il Morigia, nello stesso tempo un altro nobile milanese, Pedone, avrebbe fatto edificare la chiesa di Santa Maria Pedone da lì non distante e una serva, tal Secreta, avrebbe fatto erigere nelle vicinanze la chiesa di Santa Maria Secreta.

Il Torre riferisce che la Collegiata della Falcorina, ai suoi tempi "comunemente detta "Castagnola", secondo alcuni scrittori a lui precedenti fosse stata luogo di appoggio per i primi frati Francescani trasferiti a Milano e che con loro fosse venuto San Francesco in persona che avrebbe occupato una piccola cella o piccolo Camerino ancora esistente ai tempi dello scrittore. La chiesa originaria era disposta su tre navate, presentava due cappelle e il coro era ornato con un affresco di Pietro Maggi di Sant'Anna. La chiesa fu poi demolita e ricostruita nel 1734 per poi essere sconsacrata il 20 maggio 1798 e non, come invece sostenuto dal Forcella, nel 1799.

CHIESA DI SAN MARCELLINO

La chiesa di San Marcellino era una chiesa di Milano. Situata nell'attuale via Broletto, allo sbocco di via del Lauro, la chiesa non è più esistente.

Le origini della chiesa risalirebbero, come scrive Paolo Rotta, a prima della venuta del Barbarossa a Milano: la chiesa era attestata in documenti nel 1021 e all'interno di essa figuravano della arche sepolcrali datate 1144. Rettore della chiesa fu, fino alla morte avvenuta nel 1522, Franchino Gaffurio, presbitero, teorico musicale e compositore. Qui ne fu collocata anche la sepoltura, dispersa però nel corso dei secoli. La chiesa fu poi rifatta in nuove forme sotto il cardinalato di Federico Borromeo, nel cui periodo nella chiesa si celebravano fino a quattordici messe al giorno. Sebbene si abbia notizia della soppressione della parrocchia omonima nel 1787, attiva dal XV secolo, non si hanno notizie certe sulla precisa data di demolizione della chiesa, salvo trovarla menzionata come non più esistente nel 1891. La chiesa continuò per anni a dare il nome alla contrada di San Marcellino, oggi semplice prosecuzione di via Broletto.

L'originale chiesa era di forma rettangolare, a più navate, di cui la maggiore terminava con un'abside. La chiesa fu rifatta per ordine del cardinale Federico Borromeo nel 1625 ad un'unica navata, fiancheggiata da tre cappelle per lato: degne di nota erano la cappella di sant'Antonio abate, dipinta da Rodolfo Cunio, allievo del Cerano, e la cappella di San Giuseppe, affrescata dal bolognese Marcantonio Franceschini. La facciata risultava ancora spoglia al 1738.

CHIESA DI SAN CIPRIANO IN CORDUCE


L'oratorio di San Cipriano, indicato talvolta come San Simplicianino, era un oratorio di Milano. Situato nella scomparsa piazza delle Galline, fu demolito nel 1786.

La presenza della chiesa è attestata dal 1142: era situata nella oggi scomparsa piazza delle Galline, corrispondente circa ad un'area tra piazza Cordusio e via Tommaso Grossi. Già sede parrocchiale, nel 1578 la parrocchia fu soppressa e suddivisa tra le parrocchie di Santa Maria Segreta e San Protaso ad Monachos. La chiesa fu affidata nel XVIII secolo ad una congregazione laicale, che si occupò di restaurarla nel 1728. Vittima delle soppressioni giuseppine, fu demolita nel 1786.

La facciata presentava in sommità una statua della Vergine Maria e di due angeli ai lati, era inoltre ornata con bassorilievi del Martirio del vescovo Cipriano. La chiesa presentataci dal Latuada al 1738, aveva tre altari, di cui due aggiunti nei restauri del 1728, protetti da balaustrata in marmo: i due altari laterali erano dedicati a san Giuseppe e a Gesù crocifisso. Nel coro era presenti varie tele su san Francesco d'Assisi dei Fiammenghini.

PARROCCHIA DI SANT'ANDREA ALLA PUSTERLA

sec. XV - 1787

Parrocchia della diocesi di Milano. La chiesa di Sant’Andrea alla Pusterla Nuova è attestata come “capella” alla fine del XIV secolo in Porta Nuova della città di Milano . 
Nella “distinzione della quantità delle chiese, conventi, monasteri, oratori, scuole, e confraternite” nel distretto delle parrocchie entro i confini censuari della Porta Nuova figuravano nel 1768 la chiesa parrocchiale di Sant’Andrea alla Pusterla Nuova; il monastero delle reverende madri mendicanti francescane di Santa Maria del Gesù .
Verso la fine del XVIII secolo, secondo la nota specifica delle esenzioni prediali a favore delle parrocchie dello stato di Milano, la parrocchia di Sant’Andrea non risultava possedere fondi; il numero delle anime, conteggiato tra la Pasqua del 1779 e quella del 1780, era di 1.336 ; nella coeva tabella delle parrocchie della città e diocesi di Milano, la rendita netta della parrocchia di Sannt’Andrea assommava a lire 1.171.11.6, la nomina del titolare del beneficio spettava all’ordinario . 
Con il nuovo compartimento territoriale delle parrocchie della città e dei Corpi Santi di Milano che ebbe pieno effetto dal 25 dicembre 1787 , la parrocchia di Sant’Andrea alla Pusterla fu soppressa e unita alla parrocchia di San Francesco di Paola.

MONASTERO DI SANTA CATERINA IN BIASSONO

La tradizione vuole che sia stata la prima casa umiliata femminile, voluta dalla moglie di uno dei fondatori dell'ordine la quale convertì la propria abitazione in convento. 
In un primo tempo la casa fu conosciuta col nome di Santa Maria di Biassono, forse - scrive il Latuada - perché "Biassono" o "de Biassono" poteva essere il cognome della fondatrice, e tale denominazione mantenne almeno fino al XIV secolo. 
In seguito fu dedicata a Santa Caterina, detta in Brera perché si trovava sulla strada che conduceva a quella contrada. 
Alla fine del XV secolo le religiose vennero dichiarate osservanti e mantennero la regola umiliata anche dopo la soppressione dell'ordine (1571). 
L'ente fu soppresso nel 1782.

CHIESA DI SAN PIETRO IN CORNAREDO

si trovava in via Manzoni, più o meno di fronte al Museo Poldi Pezzoli. Si traattava della chiesa di San Pietro in Cornaredo, nome contratto da San Pietro Colla Rete (San Pietro era un pescatore), fu demolita nel 1787. La chiesa pare essere già citata da Bonvesin de la Riva nel XIII secolo, pertanto molto antica in origine.

Con il nuovo compartimento territoriale delle parrocchie della città e dei Corpi Santi di Milano che ebbe pieno effetto dal 25 dicembre 1787 (avviso 16 novembre 1787), la parrocchia di San Pietro alla Rete o San Pietro in Cornaredo, fu soppressa, e unita alla parrocchia di Santa Maria della Scala in San Fedele
La chiesa nella sua forma originale aveva un pianta rettangolare divisa in tre navate sorrette da sedici colonne in pietra ed una cappella decorata: in una delle sue visite, il cardinale Carlo Borromeone decretò il rifacimento come spesso fece per molte altre chiese vetuste, che sarebbe stato compiuto molti anni dopo su progetto di Francesco Maria Richini. La nuova chiesa aveva forma ottagonale e aveva tre cappelle compresa la Maggiore con altare in marmo e ai cui lati si aprivano due porticelle che mettono la chiesa in comunicazione con la sacrestia da una parte e la casa parrocchiale dall’altra, al di sopra delle due porte vi erano due ovali che riproducevano le teste dei due santi apostoli Pietro e Paolo dipinte da Giulio Rossi.

Nelle due cappelle laterali si trovavano su due altari lavorati con marmi pregiati, in quello di destra si trovava la statua della Vergine Maria mentre nella cappella di fronte la statua di San Gioacchimo.

 La facciata del tempio rimaneva separata dalla pubblica strada con colonnette di pietra elegantemente lavorate che sorreggevano un grande timpano aggettante. Sopra la cima era posta la statua di pietra del Santo Apostolo Pietro con due angeli, mentre sotto al finestrone vi era un’immagine di Maria vergine a bassorilievo. La chiesa aveva un’unica entrata e tre finestre come si vede anche dall’unico disegno pervenutoci fatto dal Richini.


CHIESA DI SAN SILVESTRO

 La chiesa di San Silvestro, anche nota come San Silvestro ai tre monasteri, era una chiesa di Milano. Situata nell'attuale via Giuseppe Verdi, la chiesa fu soppressa nel 1786.

Secondo Carlo Torre, la chiesa fu edificata in onore del Santo Papa Silvestro I dal vescovo Ansperto nell'878, mentre il Latuada sostiene che della chiesa non vi siano documenti risalenti a prima dell'XI secolo, mentre la chiesa viene citata nuovamente negli atti di un processo del XII secolo. La chiesa fu soppressa nel 1786 nel programma delle soppressioni Giuseppine ed in seguito demolita, tuttavia diede il nome alla contrada di San Silvestro per molti anni, fino all'intitolazione della via a Giuseppe Verdi.

Della chiesa è noto solo l'aspetto secentesco dopo i rifacimenti dovuti allo stato cadente della chiesa primitiva. La chiesa, progettata da Gerolamo Quadrio, aveva una pianta quadrata: nonostante la chiesa non fosse di eccezionali dimensioni, essa non fu conclusa prima del 1725 e presentava l'altare maggiore fatto di marmo decorato con una pala d'altare, con una cappella, definita dal Latuada come "maestosa".

CHIESA DI SAN VITTORE E QUARANTA MARTIRI

 La chiesa di San Vittore e Quaranta martiri era una chiesa di Milano. Situata nell'attuale via Pietro Verri, viene chiusa al culto nel 1787 e definitivamente demolita nel 1927.

La chiesa di San Vittore e quaranta martiri risale probabilmente al XI secolo, ma più volte nel corso dei secoli ha subito modifiche. La sua esistenza è confermata “dal Landolfo [Landolfo Seniore] e dal Beroldo e dall’Anonimo sotto l’anno 1065”.

È attestata come “capella” alla fine del XIV secolo in Porta Nuova della città di Milano. 

Tra XVI e XVIII secolo la parrocchia di San Vittore e quaranta martiri è costantemente ricordata negli atti delle visite pastorali compiute dagli arcivescovi di Milano e dai delegati arcivescovili tra le parrocchie di Porta Nuova. In particolare, si ha notizia di alcune visite pastorali compiute dal Cardinale Federico Borromeo.

La prima descrizione completa e corredata di disegni della Chiesa di san Vittore e i quaranta martiri antica risale al 1581, ed è stata redatta sotto il vescovato di Carlo Borromeo, probabilmente in occasione di una visita pastorale del visitatore delegato, il canonico milanese Ottaviano Abbiate de' Forieri. Sebbene non sia riportata la scala metrica, il disegno è in parte quotato. Le note riportate sul disegno, unitamente alla descrizione scritta, forniscono molte informazioni sia sulla consistenza materiale dell’edificio, sia anche sul contesto urbano in cui è inserito. È infatti chiaramente riportato come il presbiterio e l’abside siano posti, in accordo con la tradizione, verso est: questo già esclude la possibilità che la facciata principale della chiesa sia direttamente affacciata su via Verri .

Come si evince dalla pianta, la Chiesa originariamente è a navata unica, conclusa da un’abside curva su cui si trovava l’altare, e presenta una serie di cappelle laterali. La descrizione conferma la presenza di tre altari interni, più uno esterno, posto fuori dalla chiesa sul lato settentrionale, in una cappella esterna aperta su una piccola piazza. Il battistero si trova sul lato destro dell’aula, in una piccola nicchia, mentre la sagrestia con il vicino campanile è a destra dell’altare maggiore, accessibile da due porte. Sul lato meridionale si trova l’ingresso alla casa parrocchiale. Nella piazza trova posto anche un piccolo cimitero.

La seconda importante testimonianza riguardante la Chiesa di San Vittore e i quaranta martiri ha una storia particolare: si tratta di una pianta redatta nel 1639, in occasione di un processo per violazione del diritto d’asilo e dell’immunità ecclesiastica, sotto l’arcivescovato di Cesare Monti. Un documento allegato agli atti di processo, datato 5 ottobre 1639, parla dell’”extractione di Carlo Bossi da una casa del Santissimo Sacramento della chiesa di S.to Vittore e quaranta martiri quale è attaccata alla medesima chiesa”.

Si ipotizza dunque che il disegno sia stato eseguito per fissare con precisione la posizione dei vari corpi annessi alla parrocchiale, così da non avere dubbi in sede di processo, tramandando una descrizione dettagliata che può essere confrontata con la precedente pianta del 1581.

Da questo confronto si evince come la Chiesa abbia subito in quegli anni alcune modifiche, la più importante delle quali è l’introversione della “Cappella di Santa Maria della Corte”, prima spazio devozionale aperto verso la piazza, e ora nuova sede del fonte battesimale.

La struttura del sagrato rimane invariata, ma in questo caso è descritta in modo molto più dettagliato, soprattutto per quanto concerne l‘ingresso, unico e delimitato da “cholonette et barre”. È interessante notare tutt’attorno al perimetro sezionato dell’abside la proiezione della linea di gronda dove, come riportato dagli atti, il Bossi “era in piedi attaccato attaccato a questa muraglia del choro”. Indicate in verde troviamo tutte le superfici dei locali connessi alla chiesa.

Il Dizionario della Chiesa Ambrosiana riporta che nel 1674 la chiesa subisce una serie di grandi interventi, che interessano la struttura e le decorazioni. La chiesa diventa “a pianta rettangolare, ad aula unica con cinque cappelle, compresa la maggiore”8. Probabilmente, è proprio in quest’occasione che vengono realizzati gli affreschi, l’altare e l’organo che nel 1929 saranno trasferiti nella nuova chiesa di viale Lucania. Non sono pervenuti disegni o documenti dell’epoca che rappresentano questa nuova configurazione, ad esclusione delle piante (molto schematiche) che possiamo trovare in alcune carte storiche della Città di Milano.

In particolare, la carta di Giovanni Filippini mostra con chiarezza le cinque cappelle e l’accesso alla chiesa dalla piazza del sagrato. Inoltre, è interessante notare come l’odierna via Verri si chiamasse ai tempi “Via San Vittore e i quaranta martiri”, proprio a causa della presenza della chiesa. La prima rappresentazione grafica alla scala architettonica della nuova consistenza della chiesa risale poi al 1927, ed è parte della relazione allegata alle operazioni di demolizione. L’assenza di ulteriori disegni potrebbe essere motivata anche dal fatto che la chiesa verrà sconsacrata e declassata a aula d’oratorio.

Con il nuovo compartimento territoriale delle parrocchie della città e dei Corpi Santi di Milano, che ha pieno effetto dal 25 dicembre 1787 (avviso 16 novembre 1787), la Parrocchia di San Vittore e quaranta martiri viene soppressa, e unita alla parrocchia di Santa Maria della Scala in San Fedele (Fondo Duplicati). Questi avvenimenti sono confermati dal Rotta, che nel 1891 afferma: “La chiesa, già rifabbricata, tutt’ora è conservata e serve da Oratorio festivo ad un manipolo di giovani addetti alla Parrocchia di San Fedele”, facendo anche riferimento ad una “cartella apposita conservata presso l’archivio della Curia.

Pare che tra questi giovani figurasse Gabrio Piola, autore “al quale dobbiamo una interessante relazione sull’oratorio ed un non meno interessante progetto educativo, nella forma di una lettera al Maestro degli Incipienti”. Proprio per questo motivo, non essendo più considerato un edificio di culto, la chiesa scompare anche dalle carte urbane.

È stato possibile rintracciare un libricino del 1850, una sorta di codice di comportamento a cui i giovani membri della congregazione dovevano fare riferimento, e che riporta la chiesa di San Vittore e i quaranta martiri come sede ufficiale delle sue attività.

La Chiesa di San Vittore e i quaranta martiri viene definitivamente demolita nel 1929, quale conseguenza dell’attuazione del Piano Regolatore, per la realizzazione di Piazza Crispi, oggi Piazza Meda.

Il confronto tra due carte turistiche di Milano, realizzate a pochi anni di distanza dal medesimo disegnatore, mette in evidenza come la chiesa (la cui posizione è riconoscibile grazie alla particolare forma della piazza del sagrato) sia sta effettivamente al centro di un’importante demolizione.

In realtà alcune fonti meno autorevoli, tra cui il Sonzogno, fanno risalire la demolizione alla metà del XIX secolo; questo è tuttavia incompatibile con le cartografie e i documenti della sovraintendenza; l’equivoco nascerebbe in questo caso dal confondere la sconsacrazione della chiesa con la sua effettiva demolizione.

Pare esista una documentazione fotografica del Sacerdote Carlo Ponzoni, all’alba della demolizione della Chiesa; tuttavia negli archivi non c’è traccia di queste immagini.

CHIESA DI SANTO STEFANO IN NOSIGGIA

La chiesa di Santo Stefano in Nosiggia era una chiesa di Milano. Situata in un'area allora edificata corrispondente all'odierna piazza Belgioioso, fu demolita nel 1787.

 Della chiesa si ha traccia in documenti risalenti al VIII secolo per essere poi citata in dei documenti relativi ad un concilio provinciale del 1119. Nella chiesa sarebbe stato battezzato Goffredo da Bussero nel XIII secolo. Il nome "Nosiggia", dato per distinguerla da altre chiese dedicate allo stesso santo, deriverebbe o per il patronato della famiglia Nusiggia o per corruzione del nome derivato da antico albero di noce presente sull'area di edificazione della chiesa, noce peraltro stemma della famiglia Nusiggia.

La chiesa aveva una pianta a forma rettangolare di 40 metri di lunghezza e 12 di larghezza. La chiesa originale, descritta come piccola e angusta, fu ricostruita nel XVII secolo con una facciata ornata con paraste di ordine ionico, il portale d'ingresso era sormontato da una statua del santo tutelare della chiesa: l'interno era ad unica navata con tre cappelle. La paternità del progetto secentesco fu assegnata al bolognese Antonio Maria Corbetta.

venerdì 14 gennaio 2022

CHIESA DI SAN ROCCO

La chiesa di San Rocco era una chiesa di Milano. Situata circa all'attuale incrocio tra corso di porta Romana e viale Caldara, fu sconsacrata nel 1786.

La fondazione della chiesa risale all'ultimo decennio del XV secolo, quando fu edificata per richiedere al Santo la protezione dalla peste: non sono disponibili documenti precedenti a questo periodo, tuttavia alcune ipotesi sostengono che la chiesa potrebbe essere sorta su una cappella dedicata a San Sebastiano e a San Rocco edificata per volere di Galeazzo Maria Sforza mezzo secolo prima. Nel 1616 fu assegnato alla chiesa il titolo di parrocchia: sappiamo inoltre che il culto di San Rocco e la conseguente importanza della chiesa crebbe durante l'epidemia di peste del 1630 e che una parte dei morti di quella pestilenza venne sepolta in un terreno attiguo alla chiesa. Nel 1783 venne realizzato, dietro la chiesa, l'antico Cimitero di San Rocco al Vigentino, del quale la stessa chiesa di San Rocco ebbe giurisdizione per appena tre anni. Tra il XVII secolo ed il 1786, anno della sconsacrazione della chiesa, si hanno tuttavia poche notizie. L'anno di demolizione della chiesa è incerto: due anni dopo la sconsacrazione Domenico Aspari raffigurava ancora il campanile della chiesa in una stampa dell'area di Porta Romana.

Dopo la soppressione le opere d'arte e arredi sacri della chiesa furono trasferiti nella nuova chiesa di San Rocco presso l'attuale viale Sabotino, che fu edificata nel 1791, anch'essa oggi demolita.

Sulla facciata della chiesa era affrescati dei ritratti di San Rocco e di San Sebastiano, entrambi santi protettori dalla peste, eseguito da pittori di scuola bramantesca. Sull'interno della chiesa vengono date informazioni discordanti: Carlo Torre descrive all'inizio del XVIII secolo la chiesa come a singola navata, mentre Serviliano Lattuada poco più di trent'anni più tardi la descrive suddivisa in tre navate.

L'unica opera superstite della chiesa di San Rocco è un polittico di pittura ad olio su tavola di Cesare da Sesto risalente al 1523, identificato semplicemente come Polittico di San Rocco, oggi in parte conservato ai musei del Castello Sforzesco

CHIESA DI SANT'ANNA

La chiesa di Sant'Anna era una chiesa di Milano. Situata nell'attuale corso Garibaldi, fu soppressa e demolita all'inizio del XIX secolo.

Una chiesa col medesimo nome esisteva in tempi antichi nella zona dell'attuale Castello Sforzesco: la sua presenza viene attestata sin dal 1285, quando vi fu portato il Carroccio in processione prima di una spedizione di guerra capitanata da un membro della famiglia Castiglione. L'antica chiesa fu però demolita per volere del duca Francesco Sforza quando ordinò l'ampliamento delle fortificazione del castello. Ospitante in origine delle monache di clausura, la chiesa, quando queste furono trasferite alla chiesa di Sant'Apollinare, accolse una congregazione di teatini nell'anno 1670 dopo una supplica a papa Clemente X.

La chiesa possedeva un'unica navata con varie cappelle laterali, ed era ricoperta da un soffitto in legno. La chiesa ospitava quattro ante d'organo opera di Giovan Battista Discepoli, rappresentanti Sant'AnnaNostra Signora con Gesù BambinoSant'Agostino, e San Girolamo.

PARCO DEL CITYLIFE

CityLife vanta uno tra i parchi più ampi di Milano, ma soprattutto è ricco di opere d’arte che lo rendono un vero museo a cielo aperto tutto...