mercoledì 9 marzo 2022

MONASTERO DE QUINZANO

 

Fino al 1456 in contrata de Brisia sorgeva un monastero femminile detto di Santa Maria de Quinzano, menzionata solo di sfuggita nei testi dell'erudizione milanese settecentesca, da Latuada a Della Croce. Origine e storia del monastero restano un enigma: ben documentata, invece, è la sua fine.

Nel gennaio 1456 l'arcivescovo Gabriele Sforza (fratello del duca Francesco), eretta la cappellania a beneficio di costui, si trattava di attribuirvi delle rendite. Oltre ad alcuni canonicati e benefici soppressi, sia in città che fuori, vi furono incorporati i beni di quattro piccoli monasteri femminili: quello cittadino de Quinzano, ove risiedevano la badessa e una monaca, la faremus caputiarum di Mariano Comense (ridotta a due monache e due donne illetterate), Sant'Agostino di Cassano Magnago (solo due donne illetterate), e un monastero ad Arcore ove addirittura non risiedeva più alcuna religiosa.
Le ragioni della soppressione erano legate all'impossibilità di rispettarvi la clausura a causa dell'esiguità delle risorse economiche e di una non meglio precisata “difformitas” (inadeguatezza architettonica?). Resta il dubbio se il monastero de Quinzano fosse benedettino o agostiniano: né figura nella Notitia cleri del1398, ove invece compaiono i monasteri di Mariano e Cassano che ne condivisero la sorte. Ne dobbiamo concludere che quella de Quinzano (e forse quella di Arcore soppressa nella medesima occasione) fosse una piccola domus di fondazione quattrocentesca, destinata a durare lo spazio di mezzo secolo circa, in un periodo in cui era tutto un proliferare di comunità femminili economicamente deboli e di conseguenza poco documentate, soprattutto agostiniane e umiliate.
Quanto all'appellativo de Quinzano, le ipotesi percorribili sono due: o il nome indica la casata benefattrice che ne consentì la fondazione, o la domus era milanese legata a un ente religioso forestiero. Nella prima ipotesi, il cenobio sarebbe stato fondato grazie a un lascito della famiglia de Quinzano, di cui però non abbiamo notizie nel primo Quattrocento milanese: solo nel 1443 Filippo Maria Visconti concede la cittadinanza milanese a Giovanni Alghisius de Quinzano e ai suoi discendenti, da quel momento in avanti noti semplicemente come de Quinzano, in virtù del toponimo di provenienza.
Possibile che proprio questi de Quinzano poter avere fondato la piccola domus di Brisa? Sarebbe stato un potente veicolo di legittimazione di una nuova casata: ma la vita del monastero, in questa ipotesi, si ridurrebbe a non più di una dozzina d'anni. I de Quinzano, del resto, risiedevano altrove, a porta Romana, e il primo legame tra un de Quinzano e porta Vercellina risale un decennio in più tardi, quando Giovan Angelo (membro della magistratura dei XII di Provvisione) risulta tra i livellari delle agostiniane di Sant'Agnese di porta Vercellina. Se il monastero “di famiglia”, forse proprio agostiniano, fosse stato legato a quello di Sant'Agnese (passato a quella regola dal 1454) ma tra le monache del capitolo di Sant'Agnese di quegli anni i loro nomi, che ci sono noti, non compaiono. Nella seconda ipotesi, in vece, possiamo pensare che l'appellativo de Quinzano esprima la dipendenza da una casa umiliata del contado. Non del contado milanese, tuttavia: l'unica traccia è una ben documentata domus Humiliatorum di San Luca de Quinzano a Brescia, fondata nel 1221 e nella quale coesistevano, insolitamente, una comunità maschile e una femminile. Nel 1447 l'ormai decadente casa di San Luca, insieme a molti istituti analoghi, venne accorpata all'Ospital Grande di Brescia e la sede ove riunire tutte le realtà precedenti fu proprio l'antica domus umiliata.
Se le origini del monastero de Quinzano restano un mistero, la sua fine è invece piuttosto chiara. Nel gennaio 1456 presso i locali del monastero abitava ancora la badessa e una sola monaca, come si accennava. Il vicario Davide de Lanteriis, procuratore dell'arcivescovo Gabriele Sforza, si reca personalmente presso il monastero per notificare alle due religiose destituzione e soppressione del piccolo cenobio: la badessa Elisabetta de Odonibus e l'unica monaca rimasta con lei Maddalena de Sovicho, devono abbandonare il monastero e trasferirsi presso un altro ente dove sarà loro assicurato di poter continuare a servire il Signore e dove si provvederà a loro finché vivranno. Non sappiamo cosa risposero le due religiose: sono del resto casi noti in cui, di fronte alla prospettiva di essere trasferite in un altro “monasterium honestum” perché quello ove risiedevano era inadeguato, qualche monaca rifiutò.
Ricordiamo in fine che tra i membri della famiglia de Odoni si contano personaggi di rilievo, come Giovannolo, che nel tardo Trecento apparteneva al Consiglio dei 900 proprio tra i rappresentanti di porta Vercellina, parrocchia di Santa Maria alla Porta: dato questo che, almeno in via teorica, potrebbe stabilire un legame tra la localizzazione del monastero e la scelta dell'ultima badessa.
Il monastero de Quinzano doveva trovarsi nella parte ovest dell'isolato, quella più devastata dai bombardamenti, probabilmente una metà a cavallo tra le parrocchie di Santa Maria alla Porta e San Pietro alla Vigna, e, forse, l'estremità sud-ovest, presso i resti di un muro poligonale tardomedievale ancora oggi esistente.
Nel gennaio 1456 il monastero fu soppresso e unito alla cappellania suffraganeale di San Giovanni Evangelista in Duomo. Mesi dopo, un orto e alcune casette in rovina che facevano parte del sedime del monastero furono concessi in enfteusi a Luigino del Maino (che possedeva con il fratello altri beni confinanti) per 16 fiorini all'anno: l'orpera confinava direttamente con la contrada di Brisa ed era delimitato a sud e ad est dalle domus dell'ex monastero, mentre a nord confinava con altre proprietà del Maino. Due anni più tardi, nel 1458, un più ampio sedime dell'ex monastero, sito nella parrocchia di San Pietro alla Vigna e che comprendeva edifici a più piani, corti e orto, fu concesso in enfiteusi al conte Antonio Crivelli per 40 fiorini annui con l'impegno di ristrutturare gli edifici in rovina
Il conte e altri membri della sua famiglia (ramo Crivelli-Scarampo), possedevano già altri beni nell'isolato: il palazzo (più probabilmente parte di esso) che sarà in seguito dei Gorani , la dimora di famiglia sul corso e dal 1458 anche il sedime de Quinzano.
Il monastero di via Brisa a Milano: con la concessione al del Maino e al Crivelli di gran parte delle strutture dell'ex monastero, queste, ristrutturate, furono utilizzate come abitazioni private.
All'inizio del XVI secolo parrebbe nel 1514, i conti Crivelli ottennero la proprietà del sedime concesso in enfiteusi ad Antonio. Dell'architettura del monastero noto pochissimo: esistevano alcuni edifici a più piani in cattivo stato, una chiesa (oratorio) cui si accedeva tramite un passaggio ove c'era un pozzo e un campanile, molto vicino all'orto (ove sorgevano piccole case in rovina). Della chiesa non si sa nulla, a parte il titolo di Santa Maria, né tantomeno ch ivi officiasse. I due sedimi concessi al del Maino e al Crivelli erano vicini ma non confinanti.
Oggi troviamo un ampio tratto in mattoni a vista, presumibilmente tardomedievale o rinascimentale, interessato da aperture e imposte di volte, e in un tratto a luppo poligonale . Nella parte sud del tratto rettilineo si riscontrano almeno due brevi tratti di muro di costruzioni abbattute che continuavano verso ovest, perpendicolarmente all'asse di via Brisa, il che induce a collegarlo alla chiesa di Santa Maria de Quinzano, che, lo ricordiamo, non era stata inclusa nei beni dell'ex monastero concessi al del Maino e al Crivelli. Possiamo cioè avanzare l'ipotesi che, in origine, il muro poligonale costituisse la parte absidale di un edificio religioso.

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