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venerdì 4 marzo 2022

FORNACI CANDIANI

Si trovava in via Bandello, dov’erano i bastioni spagnoli, vediamo una cortina di edifici in mattoni e decorazioni in cotto che piega poi in via San Vittore,  sono le Case Candiani che insieme alla Fornace costituiva il villaggio operaio costruito dallo stesso Candiani stabilitesi qui a partire dal 1868, l’azienda che ha prodotto, fra le altre, le terrecotte e le statue del Museo di Storia Naturale di Milano inaugurato nel 1892. Purtroppo alcuni di questi palazzi sono praticamente in rovina.

A Milano non erano poche le aziende che fin dalla metà dell’Ottocento producevano manufatti in terracotta (Andrea Boni, Dall’Ara, Righetti, e la fornace Curti che risaliva al 1400), sia artistici che tipicamente edilizi, vista la richiesta della fiorente architettura neorinascimentale.

E diverse ditte a nome Candiani operavano fin dal 1836 come fabbricanti di laterizi e oggetti di terracotta vetrificata in vari luoghi a Milano, in Lombardia e in Piemonte. A metà del secolo alcuni Candiani figurano con fabbriche di mattoni nella zona di via San Vittore a ridosso delle mura: un Ferdinando nel 1856 in via San Vittore al 39, e un Ambrogio nel 1863 nella trasversale via Ochette (poi Matteo Bandello). La Carlo Candiani e C. si stabilisce con una fornace in via San Vittore 47 nel 1868.
La Candiani aveva partecipato all’Esposizione Nazionale di Milano del 1881 con un padiglione “nel fantastico stile moresco con quattro archi, uno per facciata, sostenuti da pilastri o colonne, e sormontati da una cupoletta dalla quale si leva uno svelto pinacolo, raggiungendo l’altezza di 12 metri: lo spazio occupato è di 40 metri circa (7 per 6), e una balaustrata pure in terra-cotta circonda l’edifizio. Oltre al chiosco, che mostra per sè solo l’importanza di questa fabbrica, nell’ interno si vedono i prodotti principali, come tegole, mattoni, fumajuoli, materiale refrattario, statue: e fra queste ultime notiamo una Esmeralda di belle proporzioni e di accurata fattura” (Guida del visitatore all’Esposizione industriale italiana di Milano 1881).
Eccola qua, nel catalogo della ditta, la bella Esmeralda, raffigurazione popolare della zingara che danza con la sua capretta davanti alla cattedrale, dal romanzo di Victor Hugo Notre-Dame de Paris, uscito nel 1831, e tradotto in Italia dal 1881.
Alcune statue della loro produzione sono sopravvissute fino ad oggi.
Quindi la Candiani era già esperta in materia di statue quando realizzò nel 1893 le ventotto statue del Museo di Storia Naturale di Milano, rispettando le specifiche del capitolato, con materiali di ottima qualità e colore uniforme. I personaggi, dottori delle scienze, sono raffigurati in pose ieratiche ma con un modellato molto mosso, con dettagli curati. Sono statue ben diverse da quelle standard del loro catalogo, per lavorazione, tematica e dimensioni, e dimostrano la versatilità dell’azienda.

venerdì 11 febbraio 2022

CARROZZERIA CASTAGNA

Lungo la via Montevideo, costeggiando il parco Solari, sulla facciata di un palazzo realizzato nel dopoguerra, è stata apposta, non molti anni fa, una doverosa targa commemorativa, che ricorda al passante frettoloso e ignaro, che proprio lì, un tempo, centinaia di operai specializzati contribuivano a rendere prestigioso un marchio della Milano che fu.
Si trattava della mitica Carrozzeria Castagna, specializzata nelle "auto di lusso extraserie".
L'edificio industriale sorse tra le vie Montevideo e Valparaiso nel 1906, ma la Castagna vantava trascorsi ben più antichi. 
Venne infatti fondata, rilevando una preesistente fabbrica di carrozze, da Carlo Castagna nel 1849. La prima sede era in quello che allora si chiamava corso san Celso, prima che i lavori urbanistici lo unissero, rettificandolo e allargandolo, a piazza Missori, e ribattezzandolo corso Italia.
Dopo anni di successi nella costruzione e nell'allestimento di carrozze di lusso (quello era il parco circolante a Milano, e dalla bottega di corso Italia uscì anche la carrozza per il senatore Manzoni), Castagna iniziò a collaborare con gli importatori dei quadricicli Benz, e su questi autotelai con motore allestì numerose carrozze motorizzate.
Agli inizi del Novecento la sede fu spostata in via della Chiusa 14, dove il marchio fece un ulteriore salto in termini di prestigio.
Nel 1905 allestì una vettura su autotelaio Fiat 24-32 HP per la Regina Margherita di Savoia.
Sempre nel 1905 iniziò a collaborare con la O.T.A.V. di Max Turkheimer, per il quale carrozzava il geniale quadriciclo per la motorizzazione di massa.
Nel 1906, partecipò alla grande Esposizione di Milano, ottima vetrina per farsi conoscere sempre di più all'Estero.
Durante la prima guerra mondiale la Carrozzeria si trasferì nella nuovissima e vasta sede costruita, appunto, di fronte al futuro parco Solari, all'epoca ancora sede dello scalo del bestiame e percorso dai treni (diretti allo scalo Sempione).
Nel moderno stabilimento nacquero le migliori e più prestigiose vetture Castagna, in collaborazione con le maggiori case produttrici di telai e automobili, italiane ed estere, soprattutto con quelle più esclusive come Isotta Fraschini, Lancia, Alfa-Romeo, Daimler Benz, ecc
Il 24 ottobre 1942, durante il pesante attacco aereo su Milano compiuto dagli aerei inglesi, la fabbrica fu duramente colpita e gravemente danneggiata. La sede, ormai compromessa, fu abbandonata ed in seguito demolita.
La produzione, del dopoguerra, fu trasferita, ma le fortune di un tempo erano ormai un ricordo: la Castagna chiuse i battenti nel 1954.
Negli anni recenti, la Carrozzeria Castagna è rinata, sempre a Milano in zona stazione Centrale, e si occupa di tuning e allestimenti anche in kit per auto che vogliono essere "uniche".


mercoledì 2 febbraio 2022

RIVA CALZONI

Le cascate del Niagara sono passate anche da via Solari, nelle officine meccaniche Riva & Calzoni, che dal 2005 ospitano la Fondazione Pomodoro, ma che un tempo sfornavano enormi turbine e pompe idrauliche per l’industria idroelettrica, e che fin dal 1889 hanno visto negli immensi spazi di 40 mila metri quadrati gli operai macinare ore di lavoro. Per poi attraversare la strada e tornare alle famiglie, nelle case di edilizia popolare di fronte alla fabbrica, costruite per loro agli inizi del ‘900. Il primo quartiere modello realizzato dalla Società Umanitaria nel 1906, in soli due anni. 

Le case sono ancora sono lì, rivoluzionario esempio di abitazione popolare: dodici palazzi attorniati da verde e giardinetti, ogni appartamento dotato di gabinetto, che invece nelle case di ringhiera era in comune ad ogni piano. Oggi sono un po’ scalcinate, come spesso le case gestite dal Comune, in una zona diventata stellare da quando si è trasformata, una decina di anni fa, da area industriale vicino alla stazione di porta Genova in punto di riferimento per le location durante il Salone del Mobile e crocevia di stilisti, arrivati con i loro show room.

 Siamo lontani anni luce dai tempi della nascita della Riva & Calzoni, fondata dall’ingegnere Alberto Riva nel 1889, a partire da un nucleo di officine del 1861. Ben presto diventò il primo produttore italiano di turbine idrauliche, a cui si affiancarono, nel 1911, le pompe per iniziativa di Guido Ucelli di Nemi e successivamente la fusione con la società Alessandro Calzoni di Bologna. Estesa tra le vie Solari, Savona e Stendhal, l’officina ha prodotto turbine e pompe di grandi dimensioni per le centrali idroelettriche di tutto il mondo, compresi gli impianti per le cascate del Niagara. Fino alla fine degli anni Cinquanta, quando la produzione dei getti di ghisa fu concentrata a Bologna e negli anni Ottanta gli impianti milanesi furono dismessi. 

Nel 1992 la Riva Finanziaria della famiglia Ucelli vendette l’intero il complesso alla Voith tedesca che pochi anni dopo, nel 1998, eliminò tutto. Disperdendo anche disegni e progetti che avrebbero fatto la felicità degli storici. 

Oggi Museo di Pomodoro


lunedì 17 gennaio 2022

ALEMAGNA

Venne fondata nel 1921 a Melegnano da Gioacchino Alemagna Nel 1925 aprì un caffè e, nel 1933, un bar con annessa pasticceria in Piazza del Duomo a Milano. Fu però l'apertura dello stabilimento milanese di via Guglielmo Silva, avvenuta nel 1937, a dare una svolta definitiva al gruppo. Il figlio di Gioacchino Alemagna, Alberto, negli anni quaranta e cinquanta continuò l'espansione della società rendendo celebre il marchio della ditta, il duomo di Milano stilizzato (creato dall'artista Giangiacomo Merli) che rendeva esplicito il legame dell'azienda col capoluogo lombardo. Erano i tempi in cui si stava sviluppando un altro celebre marchio, quello della concorrente Motta.
Negli anni del boom economico italiano, Alemagna aprì stabilimenti a Cornaredo e a Napoli, oltre a vari negozi monomarca in tutta Italia ed un cospicuo numero di Autogrill sulle Autostrade grazie ad un accordo stabilito con due aziende alimentari sue rivali, cioe la Motta e la piemontese Pavesi, ideatrice dell'iniziativa. Fu anche creata la divisione gelati del gruppo, e furono immesse sul mercato le caramelle Alemagna, operazione effettuata rilevando la licenza per la commercializzazione sul mercato italiano del marchio Charms da una compagnia dolciaria americana, la Charms Candy Company.
Nel 1952 viene costituita a Milano la Finanziaria Alemagna s.p.a., capogruppo delle attività alimentari della società, ridenominata poi Sinpa-Società investimenti e partecipazioni nel 1968 e nel 1970 Alemagna s.p.a., anno in cui, a causa della crisi della fine degli anni sessanta, la famiglia Alemagna fu costretta cedere il 50% del pacchetto azionario della società alla SME, holding alimentare del gruppoIRI, che aveva già rilevato nel 1968 il 35% (quota di controllo) del capitale azionario della Motta, la quale poi nel 1976 fuse entrambe le storiche aziende dolciarie milanesi nella Unidal, società in origine controllata da SME al 58%, dalla famiglia Alemagna al 18%, dagli eredi di Angelo Motta al 6% e per il resto da Bastogi e quotata in borsa; a causa delle ingenti perdite generate, Unidal già nel 1977 dovette essere sciolta e sostituita dalla Sidalm, società controllata al 100% da SME.
Alberto Alemagna cedette la sua partecipazione di minoranza ed uscì definitivamente dalla gestione della società (era infatti nel consiglio d'amministrazione di Unidal) nata sulle ceneri dell'ormai ex azienda di famiglia. A seguito dell'operazione, SME scorporò da Sidalm le attività del comparto gelati di Motta e Alemagna e le inglobò nell'Italgel. Nel 1986, dopo lo scioglimento della Sidalm, il marchio Alemagna fu incorporato da SME insieme alle altre controllate Motta e Pavesi nell'Alivar, che divenne così l'unica società titolare dei marchi di proprietà dell'intero comparto dolciario della stessa holding alimentare pubblica.
Nel 1990, dopo lo scioglimento anche dell'Alivar, i marchi Alemagna e Motta furono incorporati nel neocostituito Gruppo Dolciario Italiano, società appositamente creata da SME per gestire le attività del comparto dei prodotti dolciari a consumo festivo. Nel 1993, in ambito di totale privatizzazione della SME, il Gruppo Dolciario Italiano fu ceduto, insieme ad Italgel, alla multinazionale svizzera del settore alimentare Nestlè. Infine il marchio Alemagna fu ceduto da Nestlè nel 2009 alla industria dolciaria italiana Bauli. Il ramo di produzione brioches e pasticceria surgelata da bar a marchio Alemagna è invece dal 2016 di proprietà di Froneri, ereditato dalla precedente gestione della multinazionale svizzera al momento della cessione da parte di quest'ultima delle sue attività nel ramo al freddo al gruppo inglese, nato da una joint venture tra R&R e Nestlé stessa.
Nel 2007 i nipoti di Alberto Alemagna, Tancredi e Alberto, hanno fondato a Milano la società T'a Milano, che produce cioccolato e alimenti di pasticceria avvalendosi del ricettario storico Alemagna.


venerdì 14 gennaio 2022

PALAZZINE DEGLI ORAFI

 

Rappresenta, insieme al gemello al lato, uno dei padiglioni più antichi della Fiera. Le due palazzine mostrano evidenti richiami al gusto decorativo francese, con stilemi di tardo gusto eclettico. Ampie aperture a sesto ribassato, si stagliano sul basamento a finto bugnato del piano terra, mentre loggiati trabeati, con colonne binate e ampie aperture a tutto sesto, caratterizzano la parte superiore del fronte principale, insieme ai timpani triangolari spezzati (muniti di stemmi aggettanti di buona fattura) che concludono le "torri" laterali. Gli evidenti rimaneggiamenti subiti nel corso del XX sec. (nel caso specifico, la facciata principale e le "torri" laterali della palazzina B sono stae inglobate da un edificio di raccordo con il padiglione "1") non impediscono, ancora oggi, di coglierne il pregevole e coerente impianto originario.

FABBRICA BONOMI

Si trovava in corrispondenza della Cassina de' pomm, veniva unita alla stessa tramite un ponticello in ferro tutt'ora esistente che scavalca il Naviglio della Martesana. Era una  fabbrica di candele (Candele Bonomi).

I bombardamenti della seconda Guerra Mondiale distrussero parte della fabbrica e le vicende economiche successive completarono l’opera.
Se ne è salvato, per la continuità degli elementi architettonici, il muro perimetrale prospiciente il naviglio, la passerella che ne consentiva l'attraversamento e un minuscolo bunker-garitta che si trova in una delle due aree gioco. Sulla passerella molto si è scritto e detto, ribattezzandola, senza alcun riferimento documentato a Leonardo da Vinci, addirittura Ponte di Leonardo e identificandola con il ponte che, nei Promessi sposi, avrebbe attraversato Renzo giungendo a Milano. In realtà si tratta di una semplice passerella in ferro che collegava lo stabilimento alla sponda opposta della Martesana.
Sull’area dove un tempo sorgeva lo stabilimento, ora è presente un parco pubblico, che conserva ancora le mura di cinta dell’antica fabbrica, che delimitano oggi i confini del parco.

martedì 11 gennaio 2022

SOCIETA' ANONIMA MILANESE PER L'INDUSTRIA DEI SALUMI E FORMAGGI

 

Un bell’esempio di archeologia industriale costruito nel 1910 su progetto di Giuseppe Mentasti e Stefano Lissoni; attualmente ospita uffici comunali, una scuola materna e un asilo nido, oltre alla Biblioteca del Centro Culturale Antonianum.

Quando venne realizzato, non solo produceva insaccai e formaggi, ma doveva essere capace di impacchettare prodotti provenienti da Praga o Francoforte. Ai piani inferiori vi era, oltre al macello, anche sale per la maturazione e l’affaticamento dei prodotti, gli uffici di rappresentanza e d’amministrazione. Ai piani superiori vi erano gli alloggi degli oprai che vi lavoravano.

CINEMECCANICA

 

Nei pressi della Senavra vi era anche un’industria cinematografica, al 23 di Viale Campania, e si estendeva nei cortili dell’isolato sino a via Compagnoni.

dove si producevano macchinari (cineprese, proiettori, ecc…) per l’industria cinematografica. Diversi anni fa hanno abbandonato i capannoni di viale Campania trasferendo tutto nlla ditta di Caleppio di Settala. 

A vederla da fuori non sembra una fabbrica. Due vetrine senza sfarzo sulla strada e, di fianco, un cancello con il cartello di divieto di sosta. Un condominio in mezzo agli altri su viale Campania. Anche la scritta grigia Cinemeccanica non si nota quasi, confusa in alto sui muri sporchi di smog. Fuori non si sentono rumori assordanti e chi abita qui accanto non si accorge nemmeno che i ritmi sono quelli dell’industria. Ma dentro, ogni giorno, suona la campana che scandisce i turni. Alle otto si attacca, a mezzogiorno pausa pranzo di un’ora, alle sei del pomeriggio tutti a casa. Per esportare in tutto il mondo proiettori per il cinema. L’ultima fabbrica di Milano. «Forse c’è ancora aperto qualcosa in via Savona», dicono all’ingresso. Forse. Tra i loft e le esposizioni di design.

Entrare qui è come fare un tuffo indietro nel passato. Una fabbrica moderna, con macchinari avanzati, in una scatola vecchia di decenni. Niente capannoni, un unico grande edificio. «Nel 1920, quando fu fondata Cinemeccanica, qui c’era la campagna», racconta l’amministratore delegato Massimo Riva, che lavora qui da oltre trenta anni. «La fabbrica fu costruita su tre piani, con logiche che rispondevano all’industria di quegli anni e che ormai sono obsolete. Per noi è molto difficile lavorare oggi in queste condizioni». Sull’altro lato della strada c’è il nuovo Museo del Fumetto. Spazi recuperati e riqualificati dal vecchio stabilimento Motta chiuso ormai da trent’anni. Eppure Cinemeccanica continua a produrre proiettori.

Quella del cinema è stata un’industria profondamente conservativa per oltre un secolo. Fino al 2004 la pellicola scorreva dentro al proiettore che trasmetteva le immagini sullo schermo. Ora gli strumenti sono diversi. Per gestire quel fascio di luce che esce dalla cabina del proiezionista, non basta più una sola macchina. Sono necessari computer, server e tecnologie d’avanguardia. «È un momento di profonda trasformazione. Non dobbiamo stare solo al passo coi tempi, dobbiamo anticiparli», spiega Riva. «Per sopravvivere siamo noi i primi a dover sapere quello che succederà domani. Finanziamo la ricerca e lo sviluppo in maniera totalmente autonoma, per il sette per cento del nostro fatturato». E questa evoluzione costa cara. La messa in opera di un proiettore digitale, tra macchinario, schermo e audio, comporta rispetto al passato un investimento dieci volte superiore. Che si può sopportare solo aumentando gli incassi. «La crisi ci colpisce in maniera indiretta, perché sono i nostri clienti a esserne danneggiati per primi», continua l’ingegner Riva. E con il prodotto, anche il lavoro è cambiato. Pochi decenni fa i forgiatori arrivavano alla mattina, alimentavano la brace, aspettavano che il metallo diventasse incandescente e poi iniziavano a battere con i martelli. Il processo di produzione era completamente manuale. «Cinemeccanica dal 1920 al 2009 ha costruito solo proiettori meccanici, mentre negli ultimi tre anni ha prodotto quasi solo quelli digitali», spiega Riva. «Sono cambiate le competenze, sta cambiando lo staff. Trent’anni fa solo io e il direttore generale di allora eravamo laureati in ingegneria. Gli altri lavoratori erano tutti periti. Avevano bisogno di una sensibilità manuale che ora non serve più. Oggi assumiamo solo giovani con profonde conoscenze informatiche. Ingegneri con almeno la laurea breve».

È la storia dell’industria. Dove prima erano necessarie cinque persone per far funzionare una sola macchina, è poi bastata una persona per gestire cinque macchinari automatizzati. E ora il salto è stato ancora più grande. Chi lavora in Cinemeccanica deve saper programmare il lavoro di uno strumento che nemmeno si vede, perché troppo piccolo o lontano. Il prossimo passo sarà creare un centro operativo in grado di collegarsi con tutti i proiettori installati nel mondo e poter fare una diagnosi di eventuali guasti. Monitorare tutto è l’unico modo per supportare i clienti all’estero e migliorare i prodotti. Riva lo definisce un «taglio verticale» nella tipologia di lavoro. E il problema più grande è come riciclare l’attività umana: un problema «industriale, generazionale, economico». Finora Cinemeccanica è riuscita a pilotare il calo di personale e a riutilizzare quei lavoratori che non sono più al passo coi tempi. Molti sono andati in pensione, ad altri sono stati affidati nuovi incarichi.

Guardandosi intorno, non si vedono operai con tute sporche che infilano le mani in grandi macchine, ma giovani che battono le dita su una tastiera. Nel cuore di Milano. «Siamo una strana realtà. Abbiamo grossi problemi di tipo logistico, con l’edificio disposto su tre piani e gli accessi limitati in mezzo ai condomini. Non abbiamo spazio per far parcheggiare i tir. Finora abbiamo convissuto con questi limiti, ma vogliamo spostarci, anche se non sappiamo ancora quando». Che sia presto o tardi, pochi residenti si accorgeranno del trasloco. Niente fumo. Nessun rumore. Solo una campanella per scandire i turni.

venerdì 7 gennaio 2022

CENTRALE DEL LATTE DI MILANO

Con l'avvento del fascismo negli anni '20, il problema del latte alimentare diventava di interesse nazionale.il primo intervento legislativo del 9 maggio 1929 nota come la "carta del latte". Essa per la prima volta indicava nella pastorizzazione il processo fondamentale per rendere sano e sicuro il latte alimentare. La "carta" sanciva altresì la nascita di un nuovo organismo, la Centrale del Latte comunale, con il compito di ricevere, trattare e distribuire il latte alimentare nei mercati cittadini. 
Milano consumava mediamente tra 170.000 e 190.000 litri al giorno: un piccolo "fiume".
Nella seconda metà degli anni '20, le autorità municipali decidevano di costruire a Milano la più grande Centrale del paese e, forse, d'Europa. Per la futura gestione dell' azienda, l'amministrazione comunale stabiliva di non procedere a una municipalizzazione, ossia una gestione diretta dell'azienda da parte delle autorità cittadine, ma di concedere la gestione a imprenditori privati. Dopo un processo di scelta, che vide scatenarsi gli interessi contrapposti degli operatori del settore, la conduzione della nuova azienda veniva affidata alla" Società anonima generale centrali del latte".
Le sofisticazioni, così diffuse da costituire quasi la norma, ponevano a serio rischio la salute pubblica: come sottolineavano alcune statistiche, "l'entità dell' annacquamento in un gran numero di casi oltrepassò il 20% e il 30% e talvolta anche il 40%. Si ebbe un caso col 46% e uno col 91 %". tensioni dei produttori di latte, infuriati per essere stati esclusi dalla gestione, si aggiungevano l'ostilità dei lattivendoli (la sigillatura delle bottiglie impediva sofisticazioni e annacquamenti) e lo scetticismo degli stessi consumatori.Intorno al prodotto si diffondevano le voci più strane, alimentate ad arte soprattutto dai lattai. Si diceva, ad esempio, che la pastorizzazione eliminava le sostanze grasse e riduceva il valore nutritivo dell'alimento e rendeva il latte poco adatto al consumo da parte dei bambini e degli ammalati. Si diffuse addirittura la notizia che il latte pastorizzato veniva trattato con "farine e sostanze chimiche nocive alla salute".
La nuova Centrale, che sorgeva su un'area comunale racchiusa tra Via Castelbarco, Viale Toscana e l'oasi verde del parco Ravizza, occupava quasi 500 dipendenti ed era considerata un' azienda modello dal punto di vista tecnologico e organizzativo: una "azienda dei tempi moderni", reputata "la più vasta e potente di quante in esercizio", un fiore all'occhiello del capoluogo lombardo per la modernità degli impianti. A poco a poco i consumatori compresero che il latte della nuova Centrale era qualitativamente migliore e che la pastorizzazione evitava il diffondersi di infezioni e di malattie. L'azienda era presente alle fiere campionarie, istituiva la "giornata del latte" (in cui venivano distribuiti gratuitamente centinaia di ettolitri di prodotto) e organizzava visite allo stabilimento per le scolaresche. Del resto, i positivi risultati del nuovo sistema di produzione del latte furono presto evidenti a tutti: la diffusione delle malattie infettive, e in particolare del tifo, andava calando in modo vertiginoso, mentre il consumo di latte aumentava sensibilmente. La Centrale del Latte riscuoteva ormai la fiducia di tutti i milanesi.
Verso la metà del 1942 la carenza di materia prima rendeva impossibile sia rifornire completamente la città, sia distribuire il prodotto con regolarità, a questo scopo, ogni latteria disponeva di un registro con l'elenco dei capifamiglia possessori di carta annonaria, cui era concessa una determinata razione di prodotto. 
Sul finire degli anni quaranta, si faceva strada fra gli amministratori del Comune di Milano l'intenzione di municipalizzare l'azienda, cioè di rilevarne direttamente la gestione. 
la Centrale del Latte diventava un'azienda municipale e, a partire dallo dicembre 1950, la direzione veniva affidata a una commissione di assessori guidati da Lino Montagna.
A partire dal luglio 1960, l'azienda cessava di essere amministrata direttamente dal Comune e assumeva maggiore autonomia operativa, anche se i dirigenti continuavano ad essere designati dal Municipio. Sul fronte dei processi produttivi, già sul finire degli anni '50 il vecchio stabilimento era stato abbattuto ed erano stati costruiti nuovi impianti in grado di fornire lavorazioni che andavano ben oltre la semplice pastorizzazione.Al tradizionale latte pastorizzato essa affiancava altri tipi di prodotto: il latte omogeneizzato,confezionato nella tradizionale bottiglia a collo largo, zigrinata e chiusa con una capsula di alluminio rosso (da cui il nome "el rùs", cioè "il rosso" in milanese),
"Latte Duomo", sterilizzato' omogeneizzato intero; o il "Latte magro", omogeneizzato e scremato a poco più dell' l %.
Venivano sperimentati anche prodotti del tutto innovativi, come le bibite a base di latte: basti ricordare in proposito la "Milanin", aromatizzata alla banana, al cacao o al caffè. Anche la confezione veniva rinnovata: dal 1962 la gloriosa bottiglia in vetro cedeva il passo al cosiddetto tetrapak, cartone per alimenti di forma piramidale. La Centrale di Milano era la prima azienda in Italia ad adottare il meccanismo dei premi di qualità nell'acquisto della materia prima: il latte che alle analisi risultava migliore veniva pagato di più. Questo spingeva i produttori a migliorare la qualità del latte eliminando le possibili malattie del bestiame. Il primo impegno in questo senso riguardava l'eliminazione della tubercolosi bovina dagli allevamenti. Nel 1967 la Centrale milanese, ricevendo il "plauso" e il "compiacimento" della FAO, raggiungeva l'invidiabile primato di cancellare completamente la tubercolosi dalle stalle e indirizzava le proprie energie verso l'eliminazione di altre patologie, con l'obiettivo di passare "dal miglior latte italiano al miglior latte europeo".La Centrale dei milanesi. Su questi solide basi si costruiva nei decenni il rapporto tra la Centrale, vera e propria istituzione del latte, e il cittadino milanese. Essa offriva il latte caldo allo stadio, il latte fresco d'estate nei "bar bianchi" al portico Sempione e nei giardini pubblici; vendeva per le strade i suoi prodotti nei "pullman-bar", creati appositamente per "avvicinare la massa dei consuma- tori informandoli sulla importanza del latte"; organizzava annualmente concorsi in tutte le scuole per il miglior tema, poesia o disegno sull'argomento del latte. Dal punto di vista commerciale, questo legame si trasformava in una posizione dominante anche quando i regolamenti del mercato unico europeo imponevano nel 1973 la completa liberalizzazione del settore del latte. La Centrale aveva acquisito e consolidato nel corso del tempo un primato che le aziende concorrenti non sarebbero più riuscite a scalfireNessuna descrizione della foto disponibile.La Centrale, prima ancora di essere un'azienda, era un'istituzione milanese, perché così era stata percepita dai cittadini abituati a una presenza costante e a un marchio vissuto come proprio. Per alcuni milanesi, la Centrale era l'immagine di una confezione di latte, come il tetra pack piramidale, o il ricordo di una gita scola-stica nello stabilimento di Via Castelbarco, o il pettorale bianco, blu e rosso della Stramilano, o la crema di cacao ricevuta in dono nelle gare di corsa sponsorizzate dall' azienda. Il marchio della Centrale era diventato una presenza costante nella città, come l'adesivo sulla porta di vetro delle vecchie latterie, a testimonianza di un lungo cammino percorso in comune, di una storia scritta insieme nel corso del tempo. 2006 la chiusura.Nata nel 1927 la “fabbrica del latte” dei milanesi ha sempre avuto come punto di forza il latte fresco e per oltre settant’anni ha svolto l’attività di raccolta, lavorazione e commercializzazione del latte e dei suoi derivati. Ma l’accordo fatto con il Comune di Milano è irrevocabile, per cui 242 dipendenti, 103 automezzi ed i mosaici realizzati da alcune scuole ed artisti milanesi raffiguranti mucche divertite ed al servizio del consumatore, lasceranno la città. Per sempre. Alla fine la Centrale del latte non c'è più.

giovedì 6 gennaio 2022

ISOTTA FRASCHINI

L'Isotta Fraschini fu fondata nel 1900 come "Società milanese d'automobili Isotta Fraschini & C." da Cesare Isotta ed i fratelli Vincenzo Oreste Antonio Fraschini.
Inizialmente l'azienda si occupava di assemblare parti e componenti di veicoli di provenienza straniera, del montaggio su telai di propria progettazione e costruzione, della vendita delle vetture così ottenute e della commercializzazione di vetture straniere.
Ben presto l'azienda cominciò a progettare e produrre in proprio tutte le parti e nel 1904 divenne " Isotta Fraschini S.p.A. Milano".
Per molti anni progettò e produsse motori eccezionali per impieghi aeronautici, navali, civili, militari e veicoli sia per uso civile che militare.
Negli anni '30 la fabbrica trasferì sul territorio di Saronno alcuni suoi stabilimenti ed anche successivamente a causa dei bombardamenti di quelli di via Monterosa a Milano durante la Guerra.
Creando così a Saronno un'importante realtà industriale.
Al termine della Guerra però, non riuscì la conversione dell'azienda da bellica a civile e l'azienda fu posta in liquidazione.
Nel 1955 l'azienda si fuse con la "Breda Motori" di Milano e nacque la "F.A. Isotta Fraschini e Motori Breda" con stabilimenti in via Milano a Saronno.
Vennero progettati e realizzati importanti prodotti nel settore ferroviario, navale ed industriale.
All'inizio degli anni '60 venne fondato a Bari uno stabilimento per la produzione di motori Diesel di grande successo -
Verso la fine degli anni '70 la società cambiò nome prima in "Isotta Fraschini" poi in "Isotta Fraschini Motori" e cessò la sua attività a Saronno alla fine degli anni '80 con il trasferimento della produzione negli stabilimenti di Trieste della soc. Fincantieri, che si univa alla produzione che non è mai cessata nella stabilimento di Bari.
Oggi a Bari continua la ricerca e sviluppo, produzione ed è la unica sede mondiale del brand Isotta Fraschini Motori.

sabato 1 gennaio 2022

DITTA CARMINATI & TOSELLI

La Carminati & Toselli è stata un'importante società milanese produttrice di rotabili tranviari e ferroviari che cessò la sua attività nel 1935 dopo aver fornito materiale di trazione e rimorchiato a numerose ferrovie e tranvie italiane.

La zona in cui la ditta pone la propria sede è ancora scarsamente edificata ed offre comode possibilità di espansione. Il settore della riparazione di carrozze tramviarie attraversa un periodo assai florido e, in breve tempo, le opportunità di mercato si moltiplicano; oltre alla semplice manutenzione, la ditta comincia a dedicarsi anche alla produzione di materiale rotabile per alcune tra le tante società ferroviarie presenti all'inizio del secolo in tutta Italia.

La società venne fondata a Milano il 26 gennaio 1899 con lo scopo di costruire materiale rotabile e fisso per ferrovie e tranvie ed offrire manutenzione ed assistenza tecnica relativa. Era il periodo in cui si stava procedendo alla trasformazione di molte linee tranviarie a trazione ippica e pertanto era necessario acquistare sul mercato italiano nuove motrici a a vapore o elettriche.

Presto la ditta si affermò e nel 1907 con l'ingresso di nuovi soci si trasformò in Società Italiana Carminati Toselli. La produzione si estese ulteriormente e portò ad una estensione degli stabilimenti di Milano.

Nonostante il rallentamento del periodo della prima guerra mondiale la Carminati & Toselli raggiunse all'inizio del 1920 la forza lavorativa di oltre 1300 persone. Molte delle realizzazioni venivano fornite alla Rete tranviaria di Milano.

Oltre al danno economico la guerra, con i bombardamenti, arreca alla Carminati Toselli anche numerosi danni materiali. Una bomba, ad esempio, si abbatte rovinosamente sul passaggio coperto del capannone Calderai (l'odierna Cattedrale).

Alla fine della guerra il Comune assume direttamente la gestione del servizio tramviario urbano; uno dei primi passi compiuti dalla nuova gestione è quello di ordinare una serie di vetture sperimentali a diverse ditte del settore. Tra queste c'è anche la Carminati Toselli. Alla fine del 1919 la Società Italiana Carminati Toselli ha alle sue dipendenze 1350 operai.

In questo periodo, dopo il calo dovuto agli avvenimenti bellici, la Carminati Toselli, grazie a una costante crescita delle richieste di vetture tramviarie, vede aumentare notevolmente la propria produzione. Alla fine del 1926 la rete tramviaria milanese ha uno sviluppo di 151 Km: ogni giorno circolano 700 vetture, per un totale di 327 milioni di passeggeri.

Se si pensa che, nel 1886, Milano contava 99 Km e 125 vetture in servizio, ci si rende conto come, nell'arco di quarant'anni, si sia verificata una notevole espansione dell'intera rete di trasporti tramviari.

Con l'avvento del fascismo la società iniziò la parabola discendente ed entrò in crisi irreversibile. Nel 1935 la società venne sciolta e gli impianti dismessi.

L'edificio un tempo sede dell'azienda è stato trasformato in sede per mostre ed eventi con il nome di "Fabbrica del vapore". Situato all'angolo tra le vie Procaccini e Messina, mantiene le iscrizioni e i fregi in stile liberty che richiamano il periodo in cui l'azienda era operativa. Oggi la conosciamo come FABBRICA DEL VAPORE

martedì 21 dicembre 2021

STABILIMENTO PIRELLI

 

Nel 1873, il giovane ingegnere Giovanni Battista Pirelli apriva a Milano in via Ponte Seveso, oggi via Fabio Filzi, la prima fabbrica italiana per la lavorazione della gomma elastica. La zona, nota allora con il nome di Corpi Santi fuori Porta Nuova, si trovava fuori dal centro abitato, in aperta campagna.

Lo stabilimento, inizialmente costituito da un unico fabbricato di 1000 mq lungo il fiume Sevesetto, impiegava 40 operai e 5 impiegati e produceva cinghie, valvole, tubi in gomma. In breve tempo, grazie alle applicazioni sempre nuove di questo materiale, la produzione si allargò a comprendere articoli sanitari e di merceria (1877), conduttori elettrici (1879), pneumatici (1890). Parallelamente lo stabilimento cresceva, saturando lo spazio disponibile. Nel 1890, per dare avvio alla produzione delle pneumatiche per velocipedi venne acquistato un altro lotto di terreno, al di là del Sevesetto, noto come “Brusada”, per la presenza del rudere di una cascina. Sarà l’ultimo lotto di spazio disponibile per l’ampliamento della fabbrica: la città aveva infatti ormai inglobato l’intero quartiere e per trovare nuovi spazi era necessario spostarsi. Ecco allora nascere, nel 1908, il secondo stabilimento milanese della Pirelli, nelle campagne della Bicocca. Lo stabilimento di Milano-città continuò a essere attivo fino alla seconda guerra mondiale, quando fu distrutto dai bombardamenti che colpirono la città nel luglio del 1943. L’area fu ceduta al Comune, a eccezione del lotto della “Brusada”, dove nel 1956 verrà posata la prima pietra del grattacielo Pirelli.

giovedì 16 dicembre 2021

FORNACE BREDA

 Adibiti a partire dall’Ottocento alla produzione di mattoni, questi edifici (di origini antiche e noti anche come Cascina Fornasetta) negli anni hanno conservato il proprio aspetto rurale e oggi ospitano residenze private. Di fronte, al civico 81, hanno avuto sede numerose imprese dedite alla lavorazione dei metalli, tra cui la storica Fonderia Giuseppe Sanavio

lunedì 13 dicembre 2021

SOCETA' EDISON

Giuseppe Colombo visita l’Exposition Internationale d'Électricité che si svolge a Parigi tra agosto e novembre. All’Esposizione ha modo di osservare le grandi dinamo che Thomas Alva Edison ha progettato e costruito negli Stati Uniti.

Nella primavera, Giuseppe Colombo, con il sostegno di alcune banche, fonda a Milano un Comitato Promotore per l'Applicazione dell'Energia Elettrica in Italia. A luglio, acquisisce dal Comitato milanese i brevetti sviluppati negli Stati Uniti da Thomas Alva Edison e assume la denominazione di "Comitato per l'Applicazione dell'Elettricità “Sistema Edison” in Italia".

Si decide di costruire una centrale elettrica nel cuore di Milano. Per fare questo, il Comitato Edison acquista il vecchio Teatro di Santa Radegonda. Iniziano i lavori di demolizione del teatro e la costruzione della nuova centrale, al cui interno troveranno posto le dinamo "Jumbo" che Colombo ha personalmente acquistato negli Stati Uniti. Sarà la prima centrale termoelettrica dell’Europa continentale.

L'8 marzo viene data tensione alla neonata rete. Il 28 giugno viene illuminato il Teatro Manzoni, in piazza San Fedele, mentre la notte di Santo Stefano, il 26 dicembre, in occasione della prima de "La Gioconda" di Amilcare Ponchielli, i generatori della Centrale di Santa Radegonda illuminano il Teatro alla Scala.

Il 6 gennaio viene costituita a Milano, con capitale sociale di 3 milioni di lire, la "Società Generale Italiana di Elettricità Sistema Edison".

Si inizia, in via sperimentale, per concessione del Comune di Milano, il servizio di illuminazione pubblica con lampade ad arco.

Viene stipulata la convenzione con il Comune di Milano per il servizio di illuminazione pubblica. Questo servizio cesserà nel 1905. Inizia la costruzione di una centrale termoelettrica posta a Milano in via G.B. Vico.

Il 2 novembre viene avviato l'esercizio sperimentale della prima linea tranviaria elettrica di Milano, di circa 3 chilometri, tra Piazza del Duomo e Corso Sempione.

E' stipulata con il Comune di Milano la convenzione ventennale per l’esercizio della rete tranviaria cittadina. Il servizio cesserà il 31 dicembre 1916. A Milano entra in esercizio una nuova centrale termoelettrica in località Porta Volta.

Viene inaugurata la centrale idroelettrica Bertini, oggi dedicata alla memoria di Angelo Bertini. Le macchine generatrici installate (9.500 Kw) sono per l’epoca le più potenti d'Europa. La centrale è collegata a Milano con una linea elettrica lunga 32 km. E' la prima volta che una tensione di tale potenza, elevatissima per l’epoca (13.500 Volt), percorre una tale distanza per essere sfruttata in un luogo diverso da quello di produzione.

CARTIERA DI VERONA

 

I 16mila metri quadri di capannoni su via dei Missaglia, di fronte a quello che oggi è il quartiere Gratosoglio erano la sede di una Cartiera. «Erano diverse e fuori scala. Come se il territorio dove erano nate non gli appartenesse ancora». «Ma le cartiere, solitarie e in aperta campagna, immerse nello spazio agricolo ritmato dalle cascine, avevano già un piede nel futuro. Moderne e tecnologiche producevano la carta. Sono nate nella zona sud di Milano dove acqua e cellulosa, materie prime per la sua realizzazione, erano gli elementi fondamentali. Già nel 1855 alla Conca Fallata era stato aperto lo stabilimento delle Cartiere Binda, cinquant’anni dopo, è stato il turno delle Cartiere Bagarelli, poi, nel 1912, diventate Cartiere di Verona, proprio qui, in via dei Missaglia». A inizio del secolo scorso, via dei Missaglia era un percorso secondario che veniva utilizzato per raggiungere alcune cascine. «Solo nel secondo dopoguerra, negli anni sessanta, con la realizzazione dei quartieri Chiesa Rossa prima, Gratosoglio e Missaglia poi, completati nel decennio successivo, il paesaggio si trasformò in senso urbano assumendo quelle caratteristiche che vediamo ancora oggi mentre percorriamo queste strade

Dopo i processi di concentrazione produttiva nel settore cartario, nei primi anni novanta le Cartiere di Verona, con quasi un secolo di attività alle spalle, chiudono definitivamente.

RISERIA GARIBOLDI

 

Inizia nel 1889 la storia della riseria Gariboldi, oggi stabilimento dismesso e video sorvegliato, a due passi dal Naviglio Pavese.

In quell’anno, l’omonima famiglia si insediò nella zona e diede il via ad un’ estesa coltivazione del riso, diventando nella seconda metà degli anni ’30 una delle maggiori aziende produttrici di riso parboiled. Questo tipo di riso, largamente utilizzato, ha la proprietà di tenere molto bene la cottura grazie allo speciale trattamento a vapore dei chicchi.

La fervida attività della Gariboldi fu interrotta nei primi anni del 2000. L’azienda fu poi ceduta a un grande gruppo industriale del settore.

La produzione fu così trasferita in Lomellina per disporre più facilmente della materia prima, ma anche per buona pace del vicinato a causa della rumorosità del grande impianto.

Infatti,  se un tempo lo stabilimento era delimitato in gran parte solo da campi e risaie, nel corso degli anni l’urbanizzazione l’ha pressoché circondato.

COTONIFICIO CEDERNA

Il Cotonificio Cederna è stato uno stabilimento tessile molto importante per la città di Milano. Il sito produttivo è stato fondato da Antonio Cederna nel 1886 nella zona sud della città, a Gratosoglio. Nel 2000 è stato venduto dalla famiglia Cederna a TMR che ha assunto il nome di “TMR-Cederna fodere”, mantenendo soltanto la tintoria dei tessuti a Gratosoglio. A Febbraio 2020 l’unità di Gratosoglio è stata chiusa definitivamente.
Lo stabilimento storico si estende per circa 30 mila m² sulle sponde del Lambro Meridionale, zona molto ricca d’acqua, sia per il fiume che per le falde, ideali per la produzione di tessuti e per la tintoria. Ci si arriva percorrendo la via Gratosoglio, laddove agli inizi del Novecento scorreva il fiume Lambro, prima della deviazione. Il Cotonificio esisteva già a metà Ottocento ed era in legno, più tardi venne edificato, come si vede ancora oggi. È composto dall’edificio dell’ex asilo nido Regina Margherita sulla via Gratosoglio, poi diventato alloggio dei dirigenti; da una villetta d’inizio Novecento, che è stata la sede dei vigili per alcuni anni; da un caseggiato per l’alloggio dei dipendenti; e dallo stabilimento vero e proprio. Quando non esistevano ancora i quartieri popolari e residenziali visibili oggi, nella zona sorgevano l’antico borgo di Gratosoglio, i campi coltivati, la Cartiera di Verona, la Cartiera Binda e la riseria Gariboldi, tutti grandi stabilimenti che diedero lavoro a centinaia e centinaia di dipendenti e che offrivano loro tutti i servizi necessari. Il Cotonificio Cederna aveva le case per i dipendenti, l’asilo gestito dalle suore, l’infermeria, la mensa, la bocciofila per la ricreazione dei dipendenti e le colonie per i loro figli. C’era anche la Chiesa, in questo caso la nuova Chiesa di San Barnaba in Gratosoglio, costruita negli anni Quaranta, vide la partecipazione dei Cederna al progetto ed all’edificazione. Il Cotonificio ha attraversato un secolo complesso fatto di innovazioni e nuove sfide per giungere fino al febbraio 2020. Negli anni Settanta la produzione contava circa 200 dipendenti, negli anni Novanta 120, negli ultimi anni 28. Lo stabilimento produceva inizialmente stoffe e fodere per vestiti e abiti classici e tingeva i tessuti. Negli anni 80-90 produceva soprattutto in Italia, fornendo i grossi gruppi tessili come Lebole, Gruppo finanziario tessile, Marzotto, Canali… Negli anni il mercato tessile è cambiato e l’azienda ha cercato di adattarsi, iniziando a produrre anche tessuti tecnici – sportivi. L’adattamento ha generato grossi problemi finanziari ed economici ed ha portato alla vendita delle azioni a TMR.
Il responsabile di stabilimento fino al febbraio 2020 e Luigi Sforza, responsabile di stabilimento e, precedentemente, responsabile dell’Officina, ora in pensione. La fabbrica, uno spazio molto, molto vasto, silente, con gli ultimi macchinari visibili, le aree dedicate alla produzione delle fodere, le aree per la tintoria, per le analisi chimico-fisiche di laboratorio, uno spazio esterno per la depurazione delle acque, che venivano convogliate al depuratore del Ronchetto, uno per i controlli della qualità del prodotto, un reparto separato da un cancello dove lavoravano le donne specializzate nel confezionamento, gli spogliatoi, la mensa, gli uffici.
Ivano ha lavorato 30 anni al Cotonificio. Gran parte della sua famiglia ha lavorato lì. Suo padre ci aveva lavorato dal 1950 al 1984 come operaio, poi anche i suoi zii e le sue zie. Dopo il militare, nel 1986, ha iniziato a lavorare. Negli anni è passato da quasi tutti i reparti fino a diventare responsabile di stabilimento.
Cederna cercò di creare un luogo di lavoro il più possibile familiare e collaborativo. Negli ultimi anni i rapporti di lavorativi, con l’evoluzione del mondo del lavoro, erano cambiati molto.
Dapprima era stata un punto di riferimento lavorativo e aggregativo, poi, negli anni Novanta, con il sorgere degli ultimi quartieri costruiti nelle vicinanze, era diventata un peso. Tante erano state le segnalazioni per i rumori, per i fumi, per gli odori, augurandosi che portassero alla chiusura del sito.
Luigi ha lavorato alla Cederna dal 1973 al 2002. Iniziò perché ci lavoravano il suocero e due suoi zii, partendo come garzone in officina, saldatore idraulico. Poco dopo sono iniziati i primi cambiamenti. Nel 1977 alcuni operai della precedente generazione sono andati in pensione, sono arrivate persone nuove, come anche il responsabile dell’officina, il signor Diorio che arrivava dalla Bassetti. S’iniziò a cambiare la modalità tecnica ed organizzativa del lavoro.
Diorio era responsabile tecnico nei quattro stabilimenti (Gratosoglio, Monza, Agrate, Trento). Luigi diventò capo officina. 
L’azienda fu ristrutturata, i signori TMR investirono su nuovi macchinari che sostituirono i vecchi più specializzati nella lavorazione del cotone. Nel 2002 Luigi è andato in pensione, restando come memoria storica dell’azienda. Dopo dieci anni di consulenze ha lasciato l’incarico per poi rientrare per supervisionare i settori tecnici e meccanici.
Questo stabilimento è parte della memoria storica di Gratosoglio. È stato lavoro sicuro per molti, luogo di aggregazione e di ricreazione che ha contribuito alla formazione della zona per come la conosciamo noi oggi.

giovedì 9 dicembre 2021

CERETTI & TANFANI

Era un’industria che dal 1894 produce macchine ed apparecchi di sollevamento, cavi e funi. La tecnologia dei metalli infatti ne consentì l’applicazione solo alla fine dell’Ottocento, e fu allora che in Italia l’entusiasmo degli ingegneri milanesi Giulio Ceretti e Vincenzo Tanfani dette vita all’azienda che ancora porta il loro nome. 
Anche se l’idea di usare vagoncini trainati da una fune per trasportare persone e cose risale al rinascimento, la tecnologia dei metalli ne consentì l’applicazione solo alla fine dell’ottocento.
Fu allora che in Italia l’entusiasmo degli ingegneri milanesi Giulio Ceretti e Vincenzo Tanfani dette vita all’azienda che ancora porta il loro nome, che subito si affermò partecipando alle grandi esposizioni della Belle Époque e che negli anni successivi, dedicandosi anche al problema del sollevamento, si sviluppò realizzando nei cinque continenti e per oltre 500 clienti impianti a fune, da quelli turistici a quelli militari, da quelli industriali a quelli portuali, senza mai venir meno fino ad oggi alla vocazione di considerare ogni nuova installazione l’occasione per studiare ed applicare soluzioni atte a risolverne gli specifici problemi.
Oggi negli stessi edifici ristrutturati è collocato il Campus Bovisa del Politecnico di Milano relativo alle Scuole di Architettura e alla Scuola di Design, che ospita anche importanti strutture di ricerca: il tutto, nel senso di una continua trasformazione del borgo.

PARCO DEL CITYLIFE

CityLife vanta uno tra i parchi più ampi di Milano, ma soprattutto è ricco di opere d’arte che lo rendono un vero museo a cielo aperto tutto...