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sabato 1 gennaio 2022

LE PORTE CHE NON CI SONO NEL DUOMO

Sul lato del Duomo che fronteggia la Rinascente e i portici di Vittorio Emanuele non ci sono porte, mentre dall’altro lato si può entrare.

Alla fine del 1300 il cantiere del Duomo impiegava la bellezza di 3.500 scalpellini che lavoravano il marmo utilizzato per la costruzione.

Il marmo proveniva da Candoglia, un paese che si trova a circa cento chilometri da Milano, e da lì arrivavano anche questi operai specializzati, che quindi dovevano essere alloggiati in città.

A questo scopo furono costruite dietro l’abside della cattedrale centinaia di casupole e in poco tempo la zona si trasformò in un vero e proprio quartiere, chiamato il “quartiere dei marmorini”, attraversato da un labirinto inestricabile di viuzze. Ma di lì dovevano passare gli ortolani milanesi provenienti dal verziere per arrivare al sagrato del Duomo, dove allestivano le bancarelle di frutta e verdura. Per loro quel tragitto era diventato un incubo, paragonabile ai peggiori ingorghi del traffico che ci affliggono oggi nelle ore di punta. Avevano quindi preso l’abitudine di evitare l’ostacolo attraversando con gli asini carichi di merce le navate della cattedrale, benchè le autorità lo avessero ripetutamente vietato per rispetto alla sacralità dell’edificio.

Dato che a niente erano serviti i richiami e le diffide, San Carlo prese la decisione drastica di murare le porte da quel lato per impedire l’indecoroso viavai. 

E quelle porte non sono state mai più riaperte.

venerdì 29 ottobre 2021

VETRATE DEL DUOMO

 Il duomo di Milano ospita un ciclo di 55 vetrate monumentali, realizzate tra la fine del Trecento e gli anni ottanta del Novecento.

La costruzione di vetrate nel cantiere del duomo milanese cominciò a soli vent'anni dalla sua fondazione, all'inizio del Quattrocento, per i grandi finestroni dell'abside, che venivano man mano completati. Di queste prime vetrate non restano che scarsissimi frammenti, in quanto già nel secolo successivo molte di esse vennero rifatte: tra questi si conservano sei busti di vegliardi contenuti entro antelli trilobati, provenienti dalla distrutta vetrata di santa Giuditta e oggi inclusi nella vetrata di san Martino, attribuiti alla mano del celebre miniatore Michelino da Besozzo.

Nella seconda metà del Quattrocento la fabbrica si dotò di due forni da vetro appositamente per la realizzazione delle vetrate, particolarmente ampie e numerose nella zona absidale che allora veniva edificata. Alle maestranze italiane, con Stefano da Pandino, Niccolò da Varallo, Maffiolo da Cremona, Cristoforo de' Mottis e Franceschino Zavattari, si affiancarono maestri provenienti dai grandi cantieri vetrari delle cattedrali d'Oltralpe, in particolare della zona renana e dalle Fiandre.

Molte delle prime vetrate furono commissionate dai Visconti, allora duchi di Milano, dei quali riportavano spesso gli stemmi o le imprese. Successivamente le elargizioni per la loro realizzazione arrivarono dalle varie corporazioni delle arti e mestieri presenti in città, quali il collegio dei notai (vetrata di San Giovanni Evangelista), degli speziali (vetrata di Santa Giuditta), degli orefici, (vetrata di sant'Eligio), eccetera.

La produzione vetraria continuò per tutto il Cinquecento, quando furono realizzate le vetrate per le absidi nord e sud, e per tutti i finestroni della navata principale. Fra i mastri vetrai egemoni in questo periodo vi furono Corrado Mochis, proveniente dal cantiere del duomo di Colonia, e Valerio Perfundavalle, da Lovanio. Mentre in alcuni casi essi curarono la realizzazione delle vetrate a partire dal disegno, in altri casi trasposero su vetro cartoni realizzati da affermati pittori, quali l'Arcimboldo, Pellegrino Tibaldi, Carlo Urbino e altri artisti di scuola manierista.

La realizzazione delle vetrate si arrestò completamente nel XVII e XVIII secolo, per poi riprendere solo nell'Ottocento. Giovanni Bertini iniziò, a partire dal 1838, il quasi totale rifacimento dei monumentali finestroni dell'abiside principale e delle due absidi dei transetti. Dopo la sua morte (1849) il lavoro fu proseguito dai figli Giuseppe e Pompeo.

Si era tuttavia persa la tecnica di realizzazione della vetrata tramite assemblaggio di vetri colorati su quali veniva riportato il disegno con la lavorazione a grisaille. Nel XIX secolo i vetri vennero invece realizzati col metodo della pittura a fuoco, con una tecnica molto più simile alla pittura, con la quale venivano fissati i colori su vetri originariamente neutri, dando luogo a risultati molto più modesti dal punto di vista luminoso e cromatico. L'originale tecnica di composizione a mosaico di vetri colorati, e non più dipinti, venne ripresa nel corso del Novecento, da Aldo Carpi e dall'ungherese János Hajnal.

Vetrate di epoca tardogotica e rinascimentale (XV secolo)

Vetrate di epoca tardorinascimentale e manierista (XVI secolo)

Vetrate in stile romantico ed eclettico (XIX secolo)

Vetrate di epoca contemporanea (XX secolo)

martedì 24 agosto 2021

LA RAZA nella vetrata absidale del Duomo di Milano

 In araldica, il sole è un simbolo di eternità, grandezza e illustre nobiltà. Per questo motivo, nel corso dei secoli, il suo inserimento negli stemmi delle più antiche famiglie italiane, a raggi acuti alternati o ondeggianti, è un segno che esprime potenza e ambizione. Aspetti che si fondono nella figura di Gian Galeazzo Visconti, signore di Milano e fondatore della Veneranda Fabbrica del Duomo nel 1387. Gian Galeazzo, impadronitosi con un sotterfugio della città di Milano, imprigionando lo zio Bernabò Visconti e facendolo morire di fame, aveva fortemente voluto la realizzazione del Duomo in marmo di Candoglia. Mise quindi a disposizione le cave di sua proprietà e si iniziò a trasportare le pietre nel luogo dove verrà costruito il Duomo. Non era un atto di semplice generosità: Gian Galeazzo intendeva realizzare un monumento per sé e la sua famiglia. Il simbolo di questo ambizioso progetto è certamente la famosissima “raza” (ovvero un sole raggiante), presente in Duomo all’interno del finestrone centrale dell’abside che accoglie la Vetrata dell'Apocalisse. Simbolo dei Visconti quando accompagnata dall’immancabile “biscione”, “la vipera che il milanese accampa”, come scrive Dante nell’ottavo canto del Purgatorio. Il progetto originale, relativo alla parte scultorea di tale vetrata, fu approvato dal duca. Tuttavia, la Raza, emblema visconteo, entra nell’interpretazione simbolica della vetrata come “Sol Iustitiae”, ovvero l’emblema di Cristo, posto sotto la raffigurazione del Padre e dello Spirito Santo, più simile a un’aquila imperiale che a una colomba.


LA GRAN GUGLIA

 Certo che salire a piedi tutti i giorni in cima al tiburio e poi sulla gran Guglia in costruzione per 4 anni di fila, con qualsiasi tempo, dai 69 anni in poi, dà già l’idea che uomo fosse Francesco Croce, architetto attivo a Milano nel 1700. Numerose costruzioni sono state da lui progettate, ma pochissimi conoscono il suo nome, sparito nella polvere della storia, nonostante sia stato il progettista della Gran Guglia del Duomo, monumento che l’intero mondo ci invidia e che sorregge la Madonnina, simbolo della città da secoli.

Nel XVIII secolo il Duomo era ancora quasi privo di guglie e in continuo stato di lavorazioni riprese, interrotte e mai completate, ma finalmente si cominciò seriamente a parlare di costruire la Gran Guglia, già pensata una manciata di secoli prima. L’8 luglio 1762, dal Capitolo della Veneranda l’architetto Croce ricevette l’incarico di cercare i vecchi modelli in legno, e di predisporre un nuovo progetto. E, come racconta Ambrogio Nava nella sua relazione sui restauri alla Gran Guglia intrapresi nel 1845, due anni dopo, il 23 maggio 1764, Croce presentò un modello in legno ed una relazione.
Francesco Croce nasce a Milano nel 1696 da un artigiano idraulico e nonostante l’ammissione a agrimensore presso un ingegnere collegiato non ebbe mai ufficialmente la qualifica di ingegnere causa le leggi sul censo di allora. Nonostante ciò, progettò opere di ingegneria e architettura a Milano e altrove. Il porticato della Rotonda della Besana e la facciata del palazzo Sormani sono degli esempi. Nell’ultima parte della sua vita venne assunto come architetto del Duomo e collaborò con l’architetto Merlo e altri fino a che venne incaricato di progettare la Gran Guglia. Sovraintese alla sua costruzione ma non vide la Madonnina sulla cima della sua opera perché mori nel 1773.
Un progetto che era piuttosto ardito e ben consapevole delle problematiche connesse alla stabilità del Duomo, per cui, l’architetto Croce ideò “un ingegnoso sistema di costruzione della sua Guglia
Magistralmente riesce a unire la leggerezza, la delicatezza della guglia che sostiene la statua della Madonnina con la tenuta dell’intera struttura. “E’ un sistema di ferri di varie dimensioni, bilanciato da forze concentriche verticali, mascherato e mantenuto da un rivestimento di marmo, che ne compone la forma esteriore”
Nella relazione di Croce ci sono due “chicche” di cui non si trova cenno o approfondimenti nelle ricerche compiute. La prima, è che nel decreto del Capitolo per indicazioni sul progetto della Gran Guglia si ordina di visitare ed effettuare un paragone con la guglia dell’Abbazia di Chiaravalle prima di cominciare a stendere il progetto. Cosa che il Croce fa puntualmente mettendo in evidenza le differenze tra l’Abbazia ed il Duomo; la seconda che si firma come Francesco Croce Architetto dell’Ammiranda Fabbrica, aggettivo dato al posto della Veneranda, come si usa ora.
Considerata la complessità del progetto e i dubbi sollevati da un anonimo, poi scoperto essere Paolo Frisi, matematico barnabita, spalleggiato dai fratelli Verri che, nel loro carteggio, definiscono il progetto di Croce “una deformità davvero ridicola” vennero contattati insigni esperti, come il Boscovich, gesuita, ed altri per l’approvazione della proposta dell’architetto Croce.
Francesco Croce sia per questioni anagrafiche che per cultura era l’ultimo degli architetti del tardo barocco e quindi nella progettazione della Gran Guglia applica questo principio. Forse è per questo che già nelle critiche effettuate alla presentazione del progetto il suo nome viene, forse volutamente, omesso. Omissione che perdurerà per molto tempo e tuttora il nome del progettista della meraviglia tecnica che sostiene la Madonnina gira solo tra gli addetti a lavori.
Finalmente l’8 luglio 1765 il Capitolo della Veneranda Fabbrica del Duomo deliberava di fare innalzare la guglia maggiore, sopra il tiburio eretto alla fine del Quattrocento. Poi, come previsto da tempo, probabilmente dall’inizio della costruzione, venne posizionata la statua della Madonnina, alta circa 4 metri, in rame ricoperta di foglie d’oro, opera di Giuseppe Perego e Giuseppe Bini il 30 dicembre 1774, un anno dopo la morte di Croce, senza alcuna cerimonia, come si rileva dalle rubriche del Maestro delle Sacre Cerimonie della cattedrale, disponibile in Archivio Capitolare.
In meno di quattro anni la Guglia venne ultimata, perché venne utilizzata la tecnica della divisione del lavoro in settori affidandoli ad artigiani diversi, anche se, purtroppo, non venne seguito alla lettera il progetto originale, come evidenzia nella sua relazione Ambrogio Nava settanta anni dopo, quando si intervenne per il restauro e non l’abbattimento come inizialmente si voleva fare, dato il grave ammaloramento della struttura. Va sottolineato anche il fatto che dovettero essere risolti numerosi problemi perché un cantiere a 65 m di altezza ha bisogno di una complessa organizzazione.
Per sottolineare ancora una volta la genialità di Francesco Croce il progetto, probabilmente senza volerlo, anticipò i principi della tecnica moderna del cemento armato in quanto era prevista la guglia in marmo con un’intelaiatura in ferro, molto leggera che pesava solo 4700 kg circa.
Il Duomo è finalmente concluso, ma inizia la manutenzione del monumento, anche se sicuramente non con l’attenzione odierna, frutto di centinaia di anni di esperienza in merito. Solo riguardo alla Gran Guglia, citando i più importanti, il primo restauro, dopo decenni di abbandono, in senso rigorosamente conservativo venne gestito da Ambrogio Nava nel 1845, che ha avuto il grande merito di evitarne l’abbattimento, invece caldeggiato dall’architetto della Fabbrica Pestagalli. Nel 1962 i collegamenti originali in ferro vengono sostituiti da elementi in acciaio inossidabile particolare denominato AISI 316 grazie a Carlo Ferrari da Passano. Ora invece i nuovi elementi metallici sono realizzati in titanio e vengono consolidati o sostituiti gli elementi in marmo.

LE STATUE DEL DUOMO

 Sempre dalla «scala di facciata», che conduce al tetto Sul lato che dà verso la Galleria troviamo i volti di Vittorio Emanuele III, Mussolini e papa Pio IX, a celebrazione dei Patti Lateranensi del 1929. Si dice che il turbante in testa al Duce sia stato posato più tardi, a fine della Seconda Guerra mondiale, per renderlo irriconoscibile. Altro lato della scala, decisamente più spensierato.

La faccia di Mussolini, non molto distante dalla Madonnina, scruta la città con piglio severo.

E non solo. Sono 3400 le statue arruolate per il Duomo, ma il suo esercito è ben più ricco: le sculture compromesse vengono infatti riparate e sostituite da copie e prendono posto in parte al Museo del Duomo, in parte in un deposito segreto alle porte della città: trovarlo non vi sarà facile, entrare ad ammirare la suggestiva schiera silente di personaggi ancora meno. Ma torniamo alla cattedrale: si arrampicano fra le sue guglie numerosi santi e figure pagane.

Davide con la testa di Golia
Eva nuda
sirenetta di Andersen
Dante
Don Gnocchi

Sulla punta superiore del Duomo si possono ammirare le statue di due pugili: Primo Carnera ed Erminio Spalla
. Si tratta di una statua di ispirazione fascista, dal momento che i due sportivi erano utilizzati nella propaganda del regime: Erminio Spalla fu il primo pugile italiano a conquistare il titolo di Campione europeo; Primo Carnera (noto come “la montagna che cammina”) fu il primo a conquistare un titolo mondiale di pugilato nel 1933.

IL SACRO CHIODO ED IL RITO DELLA NIVOLA

 Secondo un'antica tradizione nel Duomo di Milano è conservato uno dei chiodi con cui fu crocefisso Gesù; è conservato oggi in una teca in vetro posta a 42 metri di altezza sopra l'altare maggiore, nel semicatino absidale in corrispondenza dell'altare maggiore.


Il presunto chiodo fa parte di una serie di oltre 30 chiodi della crocefissione che durante il Medioevo "fiorirono" in tutta Europa. Chiodi della croce sono ancor oggi conservati a Milano, Monza, Roma,
Colle di Val d'Elsa, Venezia, Vienna, Carpentras, Treviri, Catania.
L'arrivo del chiodo a Milano non è conosciuto. Il primo documento che ci attesta l'esistenza del Santo Chiodo nella vetusta basilica di Santa Tecla risale al 18 gennaio 1389. Si trova nel registro di Provvisione che contiene gli atti dal 1389 al 1397 ed è conservato presso l'Archivio storico civico di Milano.
Il primo documento che ci attesta l'esistenza del Santo Chiodo nella vetusta basilica di Santa Tecla risale al 18 gennaio 1389.
Sant’Ambrogio narrava come Elena, madre dell'imperatore Costantino, si fosse recata in Terra Santa e qui avesse cercato con passione la croce e i chiodi della Passione. Trovatili, da due chiodi la pia donna avrebbe ricavato un diadema e un morso di cavallo donandoli poi al figlio Costantino con questo significato devozionale: "la corona è formata dalla croce perché risplenda la fede; anche le briglie sono formate dalla croce affinché l'autorità governi usando moderazione, non una imposizione ingiusta."
C'è da aggiungere che Sant'Ambrogio mai affermò la presenza del chiodo a Milano e che per oltre 1000 nessuno citò mai più la presenza di un Santo Chiodo conservato a Santa Tecla o in altre chiese meneghini.
Vari storici della Chiesa Cattolica milanese hanno formulato ipotesi circa l'arrivo del chiodo a Milano e tutte queste ipotesi pongono l'arrivo tra l'VIII secolo e le Crociate.
Per il Sassi l'arrivo coincise con la furia iconoclasta dell'Imperatore di Bisanzio Leone III Isaurico, per il Fumagalli il chiodo arrivò durante una delle prime 4 crociate, per altri fu portato dal vescovo Arnolfo Il il quale, recatosi a Gerusalemme nel 997 quale legato di Ottone III, l'avrebbe là ricevuto in dono con altre reliquie, altri ancora lo fanno arrivare a Milano insieme alle presunte spoglie dei Re Magi e poi conservate a Sant'Eustorgio.

C'è da aggiungere infine che il maggior testo conosciuto sugli usi medioevali della diocesi meneghina Ordoet caerimoniae Ecclesiae Ambrosianae Mediolanensis scritto intorno al 1170 da un monaco della Cattedrale di Milano, il Beroldo, non fa alcun cenno del chiodo.
Il Berolo, custos et cicendelarius, custode e incaricato dell'accensione dei lumi della Cattedrale, non fa il minimo accenno al Santo Chiodo e nemmeno a particolari celebrazioni che potrebbero essere connesse al suo culto.
Alla luce di questi studi e ipotesi gli stessi vertici della Chiesa Cattolica Ambrosiana hanno più volte posto come probabile l'arrivo del chiodo durante le Crociate, nel tardo Medioevo. Così sostenne anche il Cardinale Schuster.
È certo quindi che nel 1392 il Santo Chiodo era posto in Santa Tecla. Sappiamo che era conservato su di una tribuna sopra l'altare maggiore e che davanti ad esso ardevano sempre delle lampade.
Il Santo Chiodo fu trasportato solennemente in Duomo dalla vecchia basilica il 20 marzo 1461 secondo il volere dell'arcivescovo Carlo da Forlì, il quale pochi giorni prima aveva emesso il decreto di soppressione di Santa Tecla, aggregandone al Duomo tutte le istituzioni, le suppellettili, le reliquie. Recò in Duomo la Reliquia con le sue mani il prete Ardighino de Biffis, ordinario della Chiesa mag­giore e contemporaneamente canonico di Santa Tecla.
Anche se la soppressione della vecchia cattedrale fu di molto differita a causa di una lunga vertenza tra i canonici di quella basilica e la Fabbrica del Duomo, tuttavia il Santo Chiodo da quel giorno rimase sempre in Duomo, dove, analogamente alla sua precedente collocazione, fu posto in un luogo davvero eminente, come si conveniva a un cimelio tanto importante, e cioè sulla sommità della volta del coro, a ben 42 metri dal pavimento.
Una collocazione, quindi, soprattutto di onore e non soltanto, come ipotiz­zato dallo storico Franchetti, per sottrarlo alla "cupidigia di quegli troppo zelanti cristiani che nel medio evo invidiavano ai vicini la sorte di pos­sedere miracolose reliquie, ed usavano volentieri la forza per impadronirsene onde arricchire i loro santuari", o anche per metterlo al riparo da mani sacrileghe. Anche in Duomo davanti al Santo Chiodo fu posta un'illuminazione permanente: il Bascapè attesta che già prima dell'arrivo di san Carlo a Milano, vi ardevano davanti cinque lampade.
Ma nonostante tale illuminazione e i vari abbelli­menti del luogo dove esso era conservato, con l'andar del tempo e forse per la posizione inacces­sibile, lontano dagli occhi dei fedeli, la devozione verso questa reliquia si affievolì.
Lungo tutto il Quattrocento e i primi decenni del Cinquecento le Chiese Ambrosiane si svuotarono e di fedeli e di preti, tanto che in ormai pochissime di esse veniva celebrata messa.
La stessa presenza in Duomo del Santo Chiodo era stata sostanzialmente dimenticata dalla popolazione e anche da molti del clero stesso.
A porre freno a questa deriva arrivarono quasi contemporaneamente San Carlo e la Grande Pestilenza del Cinquecento.
Il 25 giugno 1566 San Carlo Borromeo entrò per la prima volta in Duomo e tra i primi atti dispose di ripulire, illuminare e ricostruire in vetro la teca che conteneva il Sacro Chiodo.
Era da oltre 25 anni che il chiodo non veniva esposto ai fedeli. E per altri 10 anni l'andazzo fu quello.
Solo l'arrivo della pestilenza fece cambiare la sorte del chiodo ormai condannato ad un sostanziale oblio, così come a molte altre reliquie del cattolicesimo.
Milano fu colta dalla peste nel 1576 e San Carlo persuaso che senza un particolare inter­vento divino la città non sarebbe mai stata liberata dal tremendo flagello, indisse tre pubbliche processioni, cui egli stesso intervenne scalzo e con la corda al collo.
Mercoledì 3 ottobre si andò dal Duomo a Sant'Ambrogio e portò il crocifis­so, il venerdì successivo alla chiesa di San Nazaro e sabato 6 al Santuario della Beatissima Vergine.
a par­tire dall'anno successivo (1577), sempre per ini­ziativa di san Carlo, la celebrazione in onore del Santo Chiodo venne attuata ogni anno, nella festa dell'Invenzione (ossia del ritrovamento) della Croce, al 3 maggio.
Ed è proprio in quei primissimi anni che appare anche la "nivola", il macchinario che permette di raggiungere il Sacro Chiodo.
Ad adorare il Sacro Chiodo giunsero teste coronate e cardinali da tutta Europa.
Per secoli il rito venne officiato secondo lo stesso cerimoniale e fu solo a metà Ottocento, subito dopo i moti del 1848, che i prelati del Duomo sconvolsero il cerimoniale del 3 maggio per timore che il Sacro Chiodo potesse venire rubato o le processioni usate per scatenare rivolte o barricate.
Fino al 1847 il percorso delle processioni si snodava attraverso via Borsinari, Pescheria vecchia, piazza Mercanti, le vie Fustagnari, Cordusio, Bocchetto, Bollo, piazza San Sepolcro e le vie Asole, Lupa, Pennacchiari, Mercanti d'oro, piazza Duomo.
Poi venne modificato a seguito dei moti del 1848: da piazza Duomo per le vie Cappellari, Dogana, Orefici, Gallo, Cordusio, Bocchetto, indi come il percorso precedente.
In seguito a generali disposizioni del 1876 si svolse solo all'interno del Duomo, sopprimendo la processione ma conservando sempre lo stesso cerimoniale.
Fu il Cardinale Montini, poi Papa Paolo VI, ad introdurre l'usanza che fosse il cardinale stesso a salire sulla nivola e a recuperare il Sacro Chiodo posto nella teca a 42 metri di altezza.
Il cambio di tradizione fu probabilmente dovuto alla maggior sicurezza data dalle moderne tecnologia che rendevano la nivola finalmente sicura.
Fu infatti a metà anni 60 del Novecento che venne elettrificato il meccanismo che sollevava la nivola; in precedenza erano le braccia di 16 uomini a sollevare l'ascensore sino ai 42 metri.
La nivola fu fatta quasi certamente realizzare da San Carlo Borromeo, il cardinale che riportò il culto della reliquia del Santo Chiodo ai fasti Medioevali dopo quasi mezzo secolo di oblio.
Erroneamente attribuita a Leonardo da Vinci, che collaborò sì con la Veneranda Fabrica del Duomo ma solo per alcuni disegni per la costruzione del tiburio della Cattedrale, e che visse a Milano tra il 1508 e il 1513, la nivola fu ordinata con un decreto del febbraio 1577 direttamente da San Carlo Borromeo, decreto conservato negli archivi dell'Arcidiocesi. Sino ad allora infatti il Santo Chiodo non veniva mai esposto ai fedeli e rimaneva perennemente posto nella teca sopra l'altare maggiore.
Un'antica descrizione della nivola è contenuta nel diario del cerimoniere del 1583-84. Questo può suggerire che in quell'anno la "macchina", forse fino ad allora senza un aspetto particolarmente degno di nota, sia stata addobbata e illuminata ovvero fosse usata per la prima volta.

Nel suo assetto attuale, la nivola risale all'epo­ca di Federico Borromeo.
È di forma circa ellis­soidale, all'esterno tutta rivestita di tela intera­mente dipinta a olio con figure di angeli in volo tra nubi e squarci di cielo.
Agli inizi del '700 venne guarnita di quattro statue lignee pure rappresen­tanti angeli. I dipinti risalgono al 1612, anno in cui, a maggio, gli Annali della Fabbrica del Duomo parlano degli accordi presi "con Paolo Camillo Landriani, detto il Duchino, per la dovuta merce­de della nube da lui fatta, nella quale si ascende a prendere il S. Chiodo".
Il 4 giugno 1701, sempre secondo gli Annali, vennero "pagate L.500 all'in­tagliatore Giovan Battista Agnesi per mercede di quattro angioli da esso formati per la nuvola del Santo Chiodo."

L'ingegnere Gio. Battista Quadrio nel suo rapporto informa che "di questi quattro due sono di grandezza naturale, gli altri due sono putti, tutti di legname ed in attitudine ben scher­zanti; che dopo fatti si sono vuotati di dentro per renderli più leggieri. Li collauda, dicendoli ben fatti come i gruppi di nuvole".
All'interno della nivola, su due sedili posti l'uno di fronte all'altro, possono prendere como­damente posto quattro persone.
La nivola è lunga 3 metri e larga 2,5; pesa circa 8 quintali.
La nivola fu restaurata più volte. Secondo il diario del 1648, durante la riposizione del Chiodo, "si stette gran tempo con la nuvola in alto, perché era rotto non so che ferro, a segno che S. E. Cardinale Cesare Monti s'infastidiva in aspettar tanto".
Il guasto era destinato ad avere conseguenze: il 18 maggio successivo "cascò la nuvola del S. Chiodo nella scuola delle donne e si fracassò".
Altro restauro, di cui si fa memoria in una scritta dipinta sulla nivola stessa, venne attuato nel 1794; anche gli Annali attestano che nel 1795 la nivola venne nuovamente dipinta dal pittore. Luigi Schiepati.
Nel 1968, come già accennato, il meccanismo di trazione è stato modificato e modernizzato: ai due argani a trazione umana, otto uomini per argano, opportunamente sincronizzati, venne sostituito un moderno elettromeccanico di trazio­ne.
Sempre nel 1968 si scoprì che il Duomo stava correndo un serio rischio di cedimento strutturale.
Lungo tutto l'800 e i primi decenni del 900 pesanti blocchi di marmo si erano staccati dal soffitto ed erano crollati dentro le navate. I problemi alle colonne non vennero affrontati tempestivamente nel XIX secolo ed esplosero con tutta la loro gravità a fine anni 60. Complice anche la costruzione della metropolitana che corre a fianco delle fondamente del Duomo e l'abbassamento della falda freatica, la situazione statica mutò e le colonne dovettero rapidamente essere "incamiciate" con cemento armato onde evitare il crollo dell'intera struttura sottostante alla guglia centrale. Le metropolitane dovettero rallentare in prossimità del Duomo, il traffico automobilistico vietato e pedonalizzata la piazza.
I restauri interni si conclusero nel 1986.
Ovviamente tra il 1968 e il 1986 il Rito della Nivola non fu più celebrato e il Sacro Chiodo rimase posto nella teca a 42 metri sopra l'altare maggiore. Nel 1986 si modernizzò l'impianto elettrico del sistema di sollevamento della nivola.
Da allora la preparazione della nivola per il Rito segue uno schema ben definito: la nivola, che lungo il corso del­l'anno resta appesa, avvolta in una tela di juta, sul soffit­to della prima campata nella navata destra del Duomo, viene preparata qualche giorno prima del rito, nella parte centrale del coro vecchio, in fondo all'attuale cappella feriale.
All'ascensione di collaudo il giorno prima della salita del Cardinale, curata dai tecnici della fabbrica del Duomo, segue quella degli ostiari, che provvedono alla pulizia del tabernacolo e alla verifica della praticabilità delle sue serrature.
In occasione delle feste della Croce era espo­sto sulla porta centrale del Duomo anche il grande quadro rappresentante la Gloria del Santo Chiodo, posto nella croce processionale sostenuta da angeli in volo.
La tela, risalente all'ultimo scorcio del Seicento, non fa parte del ciclo pittorico sopra citato. Continuò ad essere esposta per le feste della Croce anche quando per il deperimento e la dispersione di alcuni quadri, non si esponeva più l'intero ciclo dei quadroni.
Anche sulla facciata della chiesa del Santo Sepolcro era appesa per l'occasione una bella tela rappresentante i santi Ambrogio e Carlo in adora­zione del Santo Chiodo racchiuso nella sua custo­dia a forma di croce sorretta da angeli.
Altri quadri erano esposti lungo il percorso della processione.
Il Corno afferma che nel 1628 in contrada Pescheria Vecchia, sotto la porta della piazza dei Mercanti, fu rappresentata la scena del ritrovamento del Chiodo da parte di sant'Ambrogio nella bottega d'un mercante di ferri di cavallo, e che poi in quello stesso luogo si esponeva costantemente un quadro raffigu­rante san Carlo parato pontificalmente in adora­zione della Sacra Reliquia; questo apparteneva a padre Pio Chiappano, provinciale dei carmelita­ni di Lombardia.
Oggi è cambiata la data della celebrazione che si tiene il sabato più vicino al 14 settembre, quando prima della celebrazione dei Vespri solenni, l'Arcivescovo sale con la nivola a prele­vare la Reliquia; durante l'ascesa e la discesa la Cappella del Duomo canta le litanie dei santi, e un canonico legge il Vangelo col racconto della Passione del Signore.
Il Chiodo rimane esposto presso l'altar mag­giore per tutta la domenica, nel pomeriggio della quale, dopo i Vespri, viene recato in processione lungo le navate del Duomo, con la partecipazione del Capitolo e delle confraternite. L’esposizione dura fino a tutto lunedì, quando, dopo la messa vespertina concelebrata dai canoni­ci del Capitolo, il Chiodo viene riportato nella sua custodia.
2 week si settembre

IL DUOMO UN FALSO....

 E si, probabilmente il Duomo che noi vediamo all'esterno buona parte di esso è un falso, cioè che parti del Duomo non sono originali ma ricostruite a perfetta copia delle parti precedenti.

Si parla di Fabbrica del Duomo perché è sempre in ricostruzione.
Se siete stati sulla terrazza del Duomo e se siete attenti osservatori avrete notato che di una stessa guglia si trovano parti bianchissime e parti nere, perché? No non si sono dimenticati di pulire quelle sporche, ma le parti candide sono state letteralmente sostituite.
Quando vediamo il Duomo impacchettato non lo fanno per la pulizia ma per le varie sostituzioni delle parti troppo deteriorate dall'erosione del tempo. Vengono tagliate chirurgicamente e sostituite.
In via Angelo Brunetti al n. 5 si trova il Cantiere Marmisti della Veneranda Fabbrica del Duomo dove arrivano tutti i pezzi da sostituire. Nel cantiere (scusate la mancanza di terminologia esatta) una volta giunti i pezzi deteriorati vengono scannerizzati tridimensionalmente, successivamente con un macchinario apposito, posto il nuovo pezzo di marmo di Candoglia viene scolpito meccanicamente in forma tridimensionale e successivamente rifiniti a mano da un maestro scalpellista dopodiché riposizionata al posto della deteriorata.
Capita anche in questi pezzi di trovare l'anno di creazione per un monitoraggio.
Ed i pezzi tolti?
Qualcuno di voi ha in casa dei pezzi del Duomo? A Voi larga sentenza....

ADOTTA UNA STATUA

 Vi ricordate il post di pochi giorni fa "il Duomo un falso?"

Casualmente ho trovato ciò che segue:
Parte una nuova campagna di raccolta fondi della Veneranda Fabbrica del Duomo; obiettivo sempre quello, il medesimo delle due precedenti operazioni: raccogliere fondi per avere un Duomo di Milano sempre al massimo splendore.
Chi potrà partecipare a questa operazione? Chiunque, purchè ne abbia evidentemente la possibilità. Non è infatti nelle “tasche di tutti”: l’adozione costa 25 mila euro. Per questa cifra, che lo ripetiamo verrà utilizzata per il restauro delle statue, si avrà la possibilità di mettere in mostra l’opera nei propri spazi purchè, come è giusto che sia, sia garantita la visione al pubblico.
Adotta una guglia: soldi ben spesi!
Se state pensando che non proprio tutti possono disporre di questa cifra e dello spazio adeguato, siete in buona compagnia, ma d’altro canto siamo certi che a Milano ci siano persone, società ed enti in grado di prendersi onere ed onore.
Ma quali statue si potranno adottare? La lista, corposa, è stata stilata con la supervisione della Soprintendenza. Sono opere che vanno dal ‘500 all’ottocento; tra le tante l’effigie di San Longino, Santa Caterina d’Alessandria e la Santa con un libro.
E c’è già una statua che ha lasciato la sua sede per entrare a Palazzo Biandrà, da Banca Mediolanum: si tratta dell’opera Santo con tunica corta.
Le opere selezionate per partecipare al programma Adotta una Statua, sono quelle che si ritiene siano in grado di sensibilizzare milanesi e non solo su un tema così importante per la veneranda Fabbrica: la conservazione perfetta del nostro Duomo.

DUOMO LUOGO SACRO CELTICO

 La leggenda narra che il popolo celtico, alla guida del re Belloveso, sia giunto nella pianura padana seguendo una scrofa semilanuta.


Presso i Celti il cinghiale era un animale sacro, se poi era bianco diventava simbolo divino, e con esso era altrettanto sacro il maiale selvatico, spesso confuso con il cinghiale.
La scrofa semilanuta era il simbolo del sacerdozio: in quanto femmina portatrice di vita, simboleggiava proprio il massimo del buon auspicio per una migrazione come quella che il re Belloveso si era accinto a compiere. Amche le Alpi, nella tradizione Celtica avevano un significato mistico, quello del rituale iniziatico per raggiungere "l'altro mondo".
E' quindi facile supporre che il gruppo celtico che seguì il re nella traversata dell'arco alpino, fosse costituito da coloro che erano considerati gli eletti, gli iniziati di questo popolo alla ricerca di un nuovo mondo. Il popolo celtico era molto legato alle tradizioni della natura ed i suoi Druidi vivevano in armonia con essa, a contatto con il mistero della Grande Madre: loro compito era di decifrare i segni che la Madre porgeva loro, e grande era la loro ricerca dei luoghi in cui le forze della Madre agivano.
Queste forze sono particolarmente attive presso le sorgenti d'acqua.
Quando il re Belloveso ed i suoi seguaci giunsero al centro della pianura padana saguendo la scrofa, egli la vide abbeverarsi al centro di una radura, ad una sorgente, quindi tutta la cornice del luogo era favorevole, in quanto la pianura padana a quel tempo era coperta di foreste, e la Selva per i Celti era luogo animato che offriva riparo alla selvaggina, ed in più offriva riparo da presenze misteriose ed arcane, gli spiriti maligni, senza contare che gli stessi alberi erano ad essi sacri.
La sorgente divenne così cetro di culto, e sorse tutto intorno una città, Mediolanum. Tale nome fu scelto per via del manto della scofa, che per metà era ricoperto da lana. Da quì il nome Mediolanum, cioè Medio-lanae: mezza lana.
Una stele con effige un cinghiale semilanuto esiste tutt'oggi, e la sorgente presso la quale gli antichi Celti avevano avuto il loro luogo di massimo culto, in quanto crocevia di forze naturali notevoli, è ancora oggi un luogo di culto importante: IL DUOMO DI MILANO.
Quando invatti i nostri antenati cercavano un luogo in cui far sorgere un qualcosa di grandioso, non sceglievano a caso. Con il pretesto della evangelizzazione essi sostituivano o sovrapponevano i loro altari a quelli già esistenti, proprio per acquisire i poteri magici legati alla positività di quel luogo in particolare.
L'area del Duomo è sempre stata sacra ai Druidi, infatti, grazie alle loro affinità con la natura erano maestri nell'identificare queste zone di forza. Gli Insubri, la tribù Celtica che si trasferì nella pianura padana, non aveva templi come quelli che siamo abituati a considerare tali. Quando poi furono conquistati dall'esercito romano scomparvero, e i loro luoghi sacri vennero eretti templi romani dedicati a Minerva.
L'assurgere poi della nuova religione cristiana spazzò via anche questo, per gettare le fondamenta del Duomo. Pare che nei suoi sotterranei, ora chiusi al pubblico, vi siano ancora i resti di quelli che furono i primi insediamenti con quelle che sono state considerate "Madonne nere", statue antiche della "Grande Madre" a cui è stata tagliata la pancia e messo in braccio un bimbo.
Si dice che sotto il Duomo vi sia un laghetto, il quale era adorato dai Celti, dacchè il popolo Celtico credeva nella Dea Belisama, che per altro viene ricordata dalla Madonnina sulla punta del Duomo, e che era considerata la Dea dell'acqua, cioè Dea della vita, infatti l'acqua era sinonimo di ricchezza vitale.
Questa Dea venne raffigurata come una scrofa pelosa ed aveva una duplice funzionalità: quella lunare, che ricordava la femminilità, la madre, e quella solare, che ricordava il territorio, un tempo ricco di boschi.
Da quì tutto cominciò, i celti edificarono un tempio o "cromlech", cioè grandi cerchi formati dai menhir (pietre erette ferticalmente) e dai dolmen (camere megalitiche); dopo questi templi Pagani, arrivarono altri templi costruiti dai Romani e sucessivamente diverse chiese cristiane che, una sull'altra, diedero vita, dopo molti anni al Duomo di Milano.
Come sappiamo esistevano canoni ben precisi per la costruzione di edifici gotici molto particolari, come possono essere le cattedrali. Il Duomo di Milano sorge in un luogo di "nodo energetico" di magia positiva molto potente.
La costruzione di questo edificio pare abbia visto l'applicazione di quelle che erano le conoscenze di segreti costruttivi e semiologici anche da parte delle popolazioni orientali, venute a contatto con le nostre durante il periodo delle crociate. Anche le svettanti guglie sarebbero funzionali non soltanto per l'elevazione dell'anima del fedele verso il divino, ma anche alla regolazione dei movimenti tellurici impercettibili all'essere umano, provenienti dal centro della terra.
Si tratta di una tarda espressione dell'arte gotica, una simmetria di ispirazione germanica comune anche alle altre cattedrali europee. Infatti, particolari numeri di figure geometriche come il triangolo ed il quadrato, fanno parte del segreto dei costruttori di questa grande opera architettonica.
Nel Medioevo questo genere di conoscenze non era alla portata di tutti, e venivano trasmesse in modo perlopiù occulto e a carattere esoterico. Il privilegio della conoscenza era concesso soltanto dopo lunghi anni di apprendistato presso i Maestri, che poi tramandavano il loro sapere e le loro tecniche.
Queste conoscenze non erano solo di carattere statico, come il dare stabilità alle volte o la maniera migliore di scolpire il marmo, ma anche del significato di ogni simbolo e la posizione o il suo allineamento con altri. Maestoso ed imponente, vero rompicapo anche per gli architetti contemporanei, il Duomo ha una lunghezza esterna di 157 metri ed un area di 11.700 metri quadri. La guglia con la statua dorata della Madonnina è alta 190 metri.
La Fabbrica del Duomo ha visto l'alternarsi di numerosi Maestri italiani e stranieri, ciascuno di essi ha lasciato nella Cattedrale il proprio sapere... quale crogiolo migliore di conoscenze un cantiere tanto grande e con un compito tanto delicato?
Secondo la tradizione il Duomo di Milano altro non sarebbe che un immenso trattato alchemico, la rappresentazione della metamorfosi del cambiamento da animale a uomo, dell'essere umano.
Fra i suoi simboli e i suoi ermetici fronzoli pare sia celato il mistero della trasmutazione, il che per una cattedrale è una simbologia potentissima, anche per la fede cattolica che vede la trasmutazione dell'essere umano in qualcosa di molto più simile al divino come scopo dell'esistenza: l'anima nella sua celebrazione.
Su una vetrata del Duomo un'iscrizione riporta "il latte del sole nero", questa è la firma tangibile che chiunque lo abbia commissionato, era un alchimista.
La luce che penetra dalle vetrate gotiche produce un atmosfera di mistica solennità.
I pavimenti a scacchiera bianchi e neri ricordano la dualità del tutto, luce ed ombra
I labirinti sono un simbolo che risale alle religioni più arcaiche, e tra le varie cose simboleggia il percorso dell'anima in questa vita, in varie vite, il progredire tra vie tortuose...
Parallela alla facciata rivolta ad ovest, notiamo sul pavimento una sottile linea d'ottone estesa per tutta la larghezza dell'edificio. A nord la linea sale sulla parete, in verticale, e termina con un riquadro nel quale è raffigurato il segno zodiacale del capricorno. Altri riquadri minori seguono la linea sul pavimento e nell'ultimo, a sud, è raffigurato il segno del Cancro.

Ogni giorno a mezzogiorno, un raggio di luce penetra dal soffitto e va a colpire la linea meridiana, indicando il periodo dell'anno in cui ci si trova. Il maggior risalto dato dal segno zodiacale sulla parete a Nord è attribuibilie alla sua sovrapposizione con il Natale Cristiano. Ma non possiamo dimenticare che il Capricorno è anche l'animale col quale viene raffigurato il Diavolo... i costruttori del Duomo volevano comunicarci qualcosa, ma cosa? Quali segreti nasconde questa simbologia?
In ogni cattedrale gotica sono presenti elementi architetonici e simboli di origine templare ed orientale, ed è risaputo che l'idolo adorato dai templari era il Bafometto, una sorta di demone cornuto, pertanto facile da supporre una similitudine tra il Bafonetto ed il Capricorno del Duomo.
Sulla facciata del secondo portale d'ingresso a sinistra, spicca una formella tra le tante, raffigurante un albero, precisamente una quercia, che i Druidi veneravano essendo il simbolo di forza e coraggio, vigore e rinascita. La quercia incarnava il Dio Celtico Dagda (per i romani impersonava Giove)
La quercia è presente anche nel portone principale, infatti in mezzo all'apertura del portone vi è un albero che si dirama, dando origine a formelle raffiguranti sull'ala destra del portone la nascita di Gesù e, sull'ala sinistra, la sua morte (con tutta la Passione). Si notano benissimo sul fondo del portone le radici dell'albero, questa presunta quercia allunga i suoi rami fin tutta l'altezza del portone sorreggendo la Madonna, Gesù, la Trinità e tutta una schiera d'Angeli. Tale albero potrebbe essere anche la simbologia dell'Albero della Conoscenza (il famoso albero proibito dal quale mangiarono Adamo ed Eva).

All'interno del Duomo, oltretutto, si ha l'impressione di essere di fronte ad un'antica foresta di querce (le colonne gotiche); infatti, i Maestri Comacini che contribuirono alla realizzazione del progetto, ben conservato il valore che la tradizione Celtica attribuiva a tali piante.

Sempre sulla facciata del Duomo, possiamo infatti notare varie figure di draghi e serpenti, presenti in Italia soltanto in questa Cattedrale (queste figure emblematiche rappresentano simbolicamente l'energia che ci trasmette la terra su cui viviamo, ed il potere di trasformazione).


Un problema che ha assillato gli archeologi e gli storici per molti anni, è stato quello di capire dove i cittadini della Milano medievale abbiano preso il denaro sufficente per la costruzione di questa imponente opera architettonica. Per un simile progetto, e questo vale per ogni Cattedrale europea, ci sarebbe voluto molto più denaro di quanto effettivamente possedeva il comune.
Eppure eccolo quì, davanti a noi, con tutte e 135 le sue guglie e le sue 2245 statue. Per niente un'opera del caso, ma di una profonda meditazione filosofica e scientifica.
Probabilmente il segreto delle Cattedrali si cela dietro l'immagine di un famoso Ordine di Cabvalieri, i Templari. Costituiti nel 1118 per difendere il Santo Sepolcro, la Militia Christi, ovvero i Cavalieri di Cristo, potrebbero aver appreso, nell'Oriente delle crociate, segreti, nozioni tecniche/architettoniche e formule alchemiche, prima sconosciute agli occidentali.
Non dobbiamo infatti dimenticare che l?Oriente dell'epoca delle crociate era molto più evoluto dell'Occidente. Già da secoli, ad esempio in Cina si conosceva la polvere da sparo e, in Arabia, la matematica e le scenze filosofiche e fisiche avevano già compiuto passi da gigante. Ma c'è di più. I templari potrebbero aver trovato molto di più di quanto andavano cercando...

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