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mercoledì 9 marzo 2022

FONTANA DI PIAZZA GRANDI E BUNKER


La piazza Grandi, così come è oggi, fa parte di una serie di interventi urbanistici che partono dall’inizio del Novecento, come definito dal piano urbanistico di allora, cosiddetto Piano Beruto.

La fontana è dedicata a Giuseppe Grandi, insigne scultore italiano ed esponente di spicco della Scapigliatura lombarda, che progettò, tra l’altro, il monumento alle Cinque Giornate di Milano ubicato nella piazza che porta lo stesso nome.
Il progetto della fontana -monumento è opera architettonica di Werther Sever, allievo di Adolfo Wildt, in collaborazione con Emilio Noel Winderling. Sulla spalletta del bacino si trova la dedica: ” A Giuseppe Grandi”. Venne inaugurata il 30 novembre 1936.
La fontana è composta da una vasca rettangolare di 400 mq ai cui angoli opposti troviamo da una parte un blocco di granito bianco di Montorfano, da cui precipita l’acqua che cade nella vasca. Dall’altra parte, su un basamento di pietra, troviamo la statua di un giovane nudo che sembra ammirare l’acqua che scorre. La composizione vuole rappresentare la meraviglia dell’uomo primitivo davanti al grande regalo della Natura e dovrebbe ricordare l’ispirazione alla natura da cui attingeva spesso Giuseppe Grandi. Ma perché un monumento simile in una piazza su una piccola collina artificiale?
La fontana serviva a nascondere 25 stanze sotterranee che formano un rifugio antiaereo
Sotto alla fontana di Piazza Grandi si nascondono 25 stanze, per un totale di 250 mq di spazio, che durante la Seconda Guerra Mondiale poteva ospitare fino a 400 persone.
La posizione e la struttura della fontana servivano a mascherare ciò che si celava sotto terra: la piccola collina artificiale era stata costruita in modo tale che, in caso di incendio degli edifici attorno, l’anidride carbonica sprigionata dalle fiamme non invadesse il rifugio. Il torrione invece nascondeva il camino che permetteva il ricircolo d’aria necessaria a far respirare chi si trovava all’interno.
Al rifugio si poteva accedere da diverse entrate poste ai lati della vasca che erano nascoste da lastre di ferro, in modo tale da farle mimetizzare con la pavimeRimane ancora un velo di mistero su questa piazza però: la fontana è stata inaugurata 4 anni prima che l’Italia entrasse nel secondo conflitto mondiale. Perché i milanesi avevano già un rifugio antiaereo? Magari inizialmente questo bunker era nato con un altro scopo, ma non si sa quale fosse.ntazione della piazza. All’interno le stanze sono tutte in cemento armato e come allora sono dotate di panche, secchi per l’acqua potabile e servizi igienici.
Un mistero ancora irrisolto: il rifugio è stato creato 4 anni prima che l’Italia entrasse in guerra
Rimane ancora un velo di mistero su questa piazza però: la fontana è stata inaugurata 4 anni prima che l’Italia entrasse nel secondo conflitto mondiale. Perché i milanesi avevano già un rifugio antiaereo? Magari inizialmente questo bunker era nato con un altro scopo, ma non si sa quale fosse.

GIARDINO SEGRETO DI VIA SAFFI

 visitabile solo in particolari periodi

oasi romantica a pochi passi dal Cenacolo di Leonardo da Vinci.
Un giardino meraviglioso e quasi segreto, veramente incredibile se pensiamo alla sua realizzazione in pieno centro cittadino, appare in tutta la sua bellezza al civico 25 di via Aurelio Saffi.
Qui, mini-sentieri acciottolati, piante secolari, rocce e angoli suggestivi richiamano alla mente deliziosi ritagli di una campagna dal sapore romantico. E se ci rendiamo conto che queste visioni distano solo due passi dal caotico corso Vercelli, le gradevoli realtà ci sembrano ancora più magiche.
Questo scorcio di verde venne realizzato verso il 1880 e, sino ai primi del Novecento, era possibile accedervi direttamente dalla strada. Successivamente, il noto industriale Ettore Conti volle annetterlo alla sede della Società anonima per Imprese Elettriche di cui era presidente, cosicché quella meraviglia di verde scomparve dalla vista dei passanti, con numerose e severe critiche da parte dei cittadini.
Nel 1915, Ettore Conti incaricò il giovane architetto e urbanista Piero Portaluppi di restaurare l’edificio di via Saffi, che si trova in posizione retrostante rispetto al giardino. Portaluppi, sempre in stretto contatto con il Conti, si stava avviando verso una brillante carriera: basti citare, tra l’altro, la realizzazione del padiglione italiano per l’Esposizione Universale di Barcellona del 1929, i restauri di Santa Maria delle Grazie dopo i bombardamenti subiti dalla chiesa nel corso del secondo conflitto mondiale, la progettazione del Planetario nei giardini di Porta Venezia e decine di altre importanti opere.
Ma, malgrado questo suo superlavoro, Ettore Conti trovò il modo di ordinargli una successiva “rifinitura” dello stabile di via Saffi.
Portaluppi non si fece pregare due volte: decorò la casa e in parte anche il giardino, rifacendo pure la portineria in stile Art Déco. Inoltre, inserì curiose figure geometriche a zig zag nella cancellata che divide il giardino dal garage.
Visitabile in giorni particolari, un sito ove è possibile:

TORRE DELLE SIRENE

 l’ultimo nascondiglio di Mussolini prima di fuggire da Milano

non visitabile
È una costruzione bizzarra, a forma di matita, nel giardino di Palazzo Isimbardi.
Fu fatto costruire nel 1939 dalla Provincia di Milano su richiesta della Regia Prefettura, il rifugio è situato in Corso Monforte (ex Via Monforte)
Presso il giardino di Palazzo Isimbardi (via Vivaio 1), area verde che si estende tra il palazzo della Provincia e quello della Prefettura, è situata una strana costruzione, nota come “Torre delle sirene”, alta una ventina di metri, che ha alle spalle un passato di paura e di trepidazione vissuto dai milanesi nel corso dell’ultimo conflitto mondiale. Infatti, le sirene a cui alludiamo non hanno nulla a che vedere con le flessuose figure di mitologica memoria, ma rappresentano semplicemente sinistre segnalazioni di aerei nemici in arrivo.
In questo edificio, con tetto a punta, era stata installata una centralina con funzioni di vero e proprio allarme per avvisare i cittadini dell’incombente pericolo. E i tecnici che sono stati autorizzati ad entrare nella costruzione, subito dopo la guerra, hanno potuto visionare alcune scritte riguardanti le incursioni aeree, tra cui una davvero bizzarra: “Meglio allarmati oggi che bombardati domani”.
Sotto il giardino era stato allestito un ampio bunker, oggi chiuso al pubblico, capace di ospitare duecento persone circa, destinato prevalentemente alle autorità dell’epoca. Qui era stato installato un centro telegrafico, collocate apposite apparecchiature per il filtraggio dell’aria in caso di aspersione di gas tossici nonché una stanza ad uso esclusivo del prefetto e diversi servizi igienici.
Si narra che Benito Mussolini (ma la notizia è avvolta dalla leggenda) trascorse qui i suoi ultimi giorni prima di tentare la fuga da Milano.
In città erano operativi 14mila rifugi antiaerei, nascosti sotto i palazzi, di norma segnalati con “R” (rifugio) o “U.S.” (uscita di sicurezza). Molto importante, tra gli altri, era quello di via Adriano, a nord di via Padova, capace di ospitare tutti gli operai della Magneti Marelli e quello di viale Luigi Bodio, verso piazzale Nigra, allestito nei sotterranei della scuola Giacomo Leopardi.
L'esecuzione è esemplare: questa torre è a prova di bomba e di gas, l'areazione interna era garantita da impianti di ventilazione con possibilità di filtrazione dell'aria, in caso di attacco chimico. Le lampade sono a tenuta stagna. Il ricovero sembra fatto per durare per secoli.
Al primo piano fuori terra c'era la centrale di comando delle sirene. La presenza del telefono e del telegrafo consentiva al personale della Prefettura di mantenere i contatti con le altre istituzioni durante lo stato di allarme. Il secondo piano è il Posto Comando, oggi completamente spoglio, si scorge il colore della parete giallo spento e il disegno del sole sforzesco. Ma il terzo piano a rivelare maggiori sorprese: c'è una bicicletta. Si tratta di un accessorio a pedali che serviva ad azionare l'impianto in caso di mancata erogazione di corrente elettrica: l'edificio è completamente autosufficiente anche da un punto di vista elettrico,
Il quarto piano era assegnato alla famiglia del Prefetto.
Il vero bunker si trova a poche decine di metri di distanza, nel giardino di Palazzo Isimbardi. Quest'opera,disposta su due livelli, di cui uno completamente ipogeo, venne realizzata nel 1943 perché il rifugio “a torre” non era più considerato sicuro. La capacità offensiva del nemico era aumentata. Per questo si preferì una struttura sotterranea. Doveva accogliere personale ed archivi prefettizi e provinciali.

lunedì 28 febbraio 2022

LA STORIA DEL GHISA

La mattina del 4 ottobre 1860 cinquanta vigili urbani – allora chiamati Agenti della Pubblica Sorveglianza Urbana – fanno la loro prima apparizione per le strade di Milano. Indossano una divisa molto elegante di colore blu, con un cappello a cilindro, hanno guanti neri, un bastone canna d’india, la pistola rigorosamente celata sotto la giacca…

Il Sindaco di allora Antonio Beretta, che si è battuto per la nascita del Corpo, non è molto sicuro dell’accoglienza che i milanesi possono riservare ai Sorveglianti. Milano è stata dominata per troppo tempo e la popolazione non vuole più saperne di divise e armi.

Invece i milanesi accolgono con simpatia questi cinquanta “Survegliant” e coniano per loro un appellativo che si portano dietro per sempre: “Ghisa”.

Molte le teorie sull’origine di questo epiteto però la più credibile è la seguente: tra tutti i partecipanti al concorso pubblico si scelgono giovani che hanno una prestanza fisica notevole, tanto da somigliare a possenti stufe di ghisa, il cappello a cilindro poi fa il resto, infatti, nella fantasia dei milanesi il cilindro somiglia al tubo di raccordo della canna fumaria usato allora per le stufe di ghisa, chiamato in dialetto milanese “canoon de stua”.

Con la riorganizzazione del servizio e la costituzione di un Corpo di agenti armati, gerarchicamente organizzati, la Giunta Municipale intende ampliare gli interventi e di conseguenza di incidere con maggior efficacia oltre che nei settori tradizionali di sua competenza, igiene, annona, edilizia, anche nell’ambito della sicurezza pubblica: “… nella parte che è demandata al municipio…”.

Nel 1898 il Consiglio Comunale mette nuovamente mano alla riorganizzazione del Corpo. Gli agenti sono aumentati a 300 e la loro direzione è affidata a un Comandante coadiuvato da due Ispettori. La divisa viene modificata: è adottato l’elmetto all’inglese e il mantello corto.

Il 13 Ottobre del 1920 viene modificato il nome del Corpo da Pubblica Sorveglianza Urbana in Vigilanza Urbana. La Direzione generale della Vigilanza Urbana è affidata al Sindaco e all’Assessore del Riparto. S’istituisce il servizio notturno per casi di necessità e l’organico raggiunge le 800 unità.

Con il Regio Decreto Legge n. 1910 del 3 settembre 1926 la carica di Sindaco è abolita e sostituita con quella di Podestà, nel 1927 i corpi di vigilanza urbana (15.000 uomini circa) sono soppressi e sostituiti dai Corpi dei Metropolitani di Pubblica Sicurezza. A Milano i primi due Podestà cercano di opporsi alla scelta del Duce, portandogli lunghissimi elenchi di cittadini che richiedono la continuità dell’esistenza del Corpo dei Vigili Urbani, ma egli non sente ragioni.

La riforma del 1927 delinea alcuni profili specifici dei compiti affidati alla vigilanza urbana e sono istituite pattuglie di Vigili motociclisti e a cavallo. 

In quel periodo si cominciò anche a studiare l’applicazione di un sistema di riscontro fotografico per gli incidenti stradali e si perfezionò la tecnica operativa viabilistica attraverso segnali manuali codificati. Furono adottati i primi “semafori manuali” (si trattava di apparecchiature indossate dal vigile – che in questo caso fungeva da palo semaforico – che emettevano segnalazioni luminose colorate).

Con lo scoppio della seconda guerra mondiale, si articolano maggiormente le funzioni e aumentano le mansioni e le ore di copertura del servizio dei vigili urbani, che sono tra l’altro impegnati in un pericoloso e pesante servizio per la protezione antiaerea e i servizi di soccorso.

Finita la guerra mondiale a Milano il Comando Militare Alleato affida ai Vigili Urbani i primi servizi di ordine pubblico e alla fine del 1945 si ricostituisce il Corpo formato da 1300 agenti.

Nel 1951 il Corpo è già talmente efficiente e avanzato da potersi permettere di intervenire con perizia e competenza nei soccorsi alle popolazioni colpite dalla inondazione del Polesine.

Dal 1960 il Corpo mantiene in gran parte le sue caratteristiche, anche se vi sono alcuni cambiamenti come, alla fine degli anni ’70, l’accesso al Corpo alle donne, la modifica del nome da Vigili Urbani in Polizia Municipale e in seguito in Polizia locale. Il colore della divisa da nero diventa blu, l’entrata in vigore, nel 2003, di una legge regionale sulla Polizia locale.

La Polizia locale di Milano attualmente ha un organico di circa 3000 tra agenti e ufficiali. E’ operativa 24 ore al giorno per 365 giorni su 4 turni e il suo ruolo si è adeguato ai cambiamenti di una società in continua evoluzione. 

Come vuole la tradizione, il Ghisa è sempre vicino ai bisogni della gente e svolge un ruolo centrale nella relazione con i cittadini e l’Amministrazione comunale.


mercoledì 16 febbraio 2022

LIUTERIA MILANESE LE ORIGINI

tra le tante ipotesi che la liuteria lombarda sia nata con l’arrivo di Leonardo da Vinci, Luca Pacioli, alla corte degli Sforza a cui seguiranno le invenzioni del Cardano.
Leonardo lascia Firenze per Milano all'età di trent'anni nel 1482, inviato da Lorenzo il Magnifico a a Milano insieme a un altro fiorentino, Atalante Migliorotti musico e liutaio. Vasari nelle Vite ricorda : “Lionardo portò quello strumento ch’egli aveva di sua mano fabricato d’argento gran parte, in forma di teschio di cavallo, cosa bizzarra e nuova, acciò che l’armonia fosse con maggior tuba e più sonora di voce. Laonde superò tutti i musici che quivi erano concorsi a sonare……”
Dunque: il violino nasce a Milano con Leonardo, prima ancora degli Amati e di Gasparo da salò’? No! Sdegnato disse lo Strocchi!
Il primo a creare il violino fu il milanese Testori o Testator detto il vecchio di Milano, che verso il 1450 "avendo dato miglior forma e ricavato da una piccola viola (violina o violetta) una sonorità bella e maestosa, volle dare a questo miracolo d' arte un nome mascolino" (Liuteria storia ed arte-1937)
Milano, Cremona, Brescia, … gli arabi, i Polacchi, i Celti, gli spagnoli, gli ebrei… illustri studiosi si sono accapigliati alla ricerca romantica dell’inventore … alla definizione del metodo di costruzione … alla dissacrazione della verità attraverso la semplificazione del verosimile. Nonostante ciò… Milano, città di inventori A Milano è attivo dal1542 al 1595 il cembalaro Annibale dei Rossi: sue opere sono al Victoria and Albert Museum, Londra. Annibale lavorò per la nobiltà milanese tra cui i Trivulzio. Costruttori di strumenti a fiato sono Beltrami, Grassi, Pietro Cortellone ma soprattutto Giovanni Maria Anciuti, che dimora in Porta Romana, parrocchia di S. Satiro
Il barocco milanese vede … • Andrea Grancino, attivo a Milano nella zona di Via Larga intorno al 1646, è maestro di Carlo Giuseppe Testore, che opera tra il 1690 e 1715. Il figlio Paolo Antonio Testore sarà maestro di Carlo Ferdinando Landolfi attivo dal 1745 al 1775 in contrada S. Margherita "Al segno della Sirena“. Nella stessa bottega lavorarono i Mantegazza nella seconda metà del XVIII e all'inizio del XIX secolo. • In piazza Santo Stefano in Borgogna opera il cembalaro Baldassarre Pastori che per primo produce pianoforti a coda con meccanica a tangenti e a rimbalzo • Francesco Birger “per li clavazzini e spinette”
Via Larga e il Bottonuto, “la via l’è stada ciamada inscì per i quatter botton de la Cros de S. Cliceri”. Il cosiddetto “ventre di Milano” accoglie artigiani della lavorazione d’osso, liutai, cembalari, che operano porta a porta a “casott” o bordelli, trattorie, sale da ballo, il teatro Lirico … un miscuglio di umanità creativo scomparso con la guerra e il cosiddetto successivo boom
Contrada della cerva, Santo Stefano in Borgogna e il Verziere.  Gli inizi dell’800 vedono il lento rinascere della liuteria con importanti appassionati e continuatori
Milano patria del nuovo rinascimento liutario tra l’800 e il ‘900 • La qualità della liuteria milanese si perfeziona con l’arrivo dalla “Bassa” degli Antoniazzi, eredi della tradizione cremonese degli ultimi Ceruti, e con il loro incontro con Leandro Bisiach. Dalla bottega dei Bisiach operarono Ornati e Riccardo Antoniazzi • La semplice bottega di liuteria si trasforma in labortorio di restauro, si diversifica nella produzione, offre strumenti musicali diversi tra cui fortepiani e mandolini. Gli Antoniazzi, esperti liutai ma anche ebanisti intarsiatori, arrivano a Milano chiamati da Riva, famoso costruttore di pianoforti, offrirono la loro opera anche ai Bisiach e ai Monzino, Baldassarre Pastori, EDITORI, COMMERCIANTI E COLLEZIONISTI
Tarisio "Quell'uomo annusa i violini come il diavolo una povera anima" disse di lui, ammirato, il liutaio inglese Giovanni Hart. All’età di 60 anni una sera del 1854, muore povero in una soffitta milanese con due violini stretti al petto. Nel piccolo appartamento questi conservava 144 tra violini, viole e violoncelli: c'erano due dozzine di Stradivari, Guarnieri del Gesù, Nicola Amati e tanti altri liutai classici cremonesi. La collezione, la più grande del mondo e del valore di milioni di franchi fu comperata per poche lire dal liutaio Vuillaume che divenne ricchissimo.
Gallini, Il «leggendario» in via Conservatorio 17 angolo Monforte traboccava di spartiti, era luogo di cultura, scrigno di rarità: Natale Gallini era collezionista e i suoi strumenti oggi formano il nucleo centrale della collezione di strumenti antichi del Castello Sforzesco.

IL GIARDINO DI ALESSANDRO MANZONI

 il giardino si trova tra la Casa del Manzoni e Palazzo Anguissola Antona Traversi. Passeggiando tra i tigli e le magnolie di questo angolo verde nel cuore di Milano si possono ammirare alcune sculture di arte contemporanea della collezione Intesa Sanpaolo realizzate da Joan Miró, Giò Pomodoro, Jean Arp e Pietro Cascella. È presente anche una fontana a edicola con il busto di Alessandro Magno, simbolo dell’autorevolezza del casato Anguissola e segno evidente della passione del conte Antonio Carlo per l’antichità classica.

Il chiostro, rifatto nel 1829 su progetto dell’architetto Luigi Canonica, è oggi il nodo distributivo del percorso espositivo delle Gallerie dedicato all’arte dell’Ottocento. Completamente chiuso da una vetrata che ne esalta la forma, ospita l’importante scultura ilDisco in forma di rosa del deserto di Arnaldo Pomodoro, uno dei più grandi scultori contemporanei italiani, appartenente alle collezioni del Novecento di Intesa Sanpaolo.

venerdì 11 febbraio 2022

LE PRIME POMPE DI BENZINA

Nel 1924 vengono installate in Italia le prime pompe per la distribuzione di benzina: nascono i "distributori" e quindi i "benzinai".
Milano certo non rimane a guardare: il 6 marzo 1926 una delibera della giunta comunale regola con precisione le concessioni ai privati che vogliano impiantare, nelle vie cittadine, impianti di distribuzione. Questi devono avere una cisterna sotterranea di almeno 3.000 litri, collegata ad una colonna erogatrice posta in superficie.
Così, nel 1926, le colonne in Italia diventano 3.844, e 9.747 nel 1930. 
Così in molte città italiane fanno la loro apparizione i distributori "T 308", dal caratteristico collo lungo, per la vendita della benzina Lampo.
Nel 1930 inizia la vendita del carburante Esso.
Anche a Milano, naturalmente, iniziarono a spuntare come funghi le pompe di benzina. E presto anche le pubblicità relative alle varie marche e tipologie di benzina.
A Tradate troviamo un museo di pompe di benzina.

giovedì 10 febbraio 2022

LA STAZIONE FANTASMA

Se vi trovaste a passeggiare su Corso Sempione, all’altezza dell’incrocio con via Moscati (questa la posizione esatta), trovereste infatti uno strano oggetto che sbuca da un’aiuola. Nello specifico si tratta di un respingente, quegli elementi ferroviari che solitamente vengono posti alla fine dei binari tronchi per ammortizzare la frenata dei treni nel caso questi vadano “un po’ troppo lunghi”. L’oggetto in questione però è decisamente fuori luogo qui: non ci sono binari o treni, né tantomeno stazioni.
Quello che vedete amici è l’ultimo rimasuglio di una stazione ferroviaria che fino all’800 costituiva il capolinea della linea Milano-Gallarate, in seguito divenuta insufficiente con la veloce espansione della città e demolita. Rimane appunto questo unico elemento, a testimoniarne l’esistenza in un’epoca in cui la moderna rete di trasporti urbani e interurbani era ancora di là da venire.

mercoledì 9 febbraio 2022

PRIMO SEMAFORO ITALIANO A MILANO

entra in funzione il 1° aprile 1925, un mercoledi di 92 anni fa.
Verde, giallo rosso: Si presentava ai milanesi, ieri come oggi, con tre colori, il primo semaforo italiano. Era il ! Aprile 1925 quando, davanti agli occhi curiosi di migliaia di persone, venne innaugurato il cilindro a tre luci, tra piazza Duomo, via Orefici e via Torino. 
Il semaforo era comandato manuale da un Vigile. Le cronache dell'epoca lo descrivono quasi come un oracolo.
Li nel centro del fatal crocicchio, l'innocente sostegno di una lampada è divenuto il pilone del sistema circolatorio, l'albero maestro di una incredibile giostra, il fulcro dell'ordine nuovo. Il semaforo campeggia e risplende su quell'antenna, superbo e misterioso come un oracolo... A guardarlo da sotto si incontra dapprima una fascia di graziose frecce, le quali si inseguono una dietro l'altra. Sopra la fascia, un grosso anello in cui s'apre una fila di grandi occhi rotondi, sporgenti evitrei. E sopra l'anello il prisma dominatore, cupo, alto, formidabile come un tabernacolo arcano. Un pentagono che volge le sue cinque facce sulle cinque strade, e ciascuna faccia vi guarda con tre pupille enormi, l'una all'altra sovrapposta. Funzionava tutti i giorni dalle 15,15 alle 19,15."
Tratto da Paracarri. Cronache da un Italia che nessuno racconta di Alessandro Calvino.
Poteva illuminarsi con un luce rossa (stop per le automobili), bianca e rossa (via con i pedoni, stop ai veicoli); gialla (via ai tram); verde (via alle automobili e motocicli), oppure gialla e verde, per dare il via a tutti i veicoli indistintamente. Il pubblico vi assiste come ad un cinematografo incomparabile, trovandovi uno spasso che uno più bello non si saprebbe immaginare… Il risultato? Invece di circolare, i veicoli stavano fermi, inchiodati nelle vie di provenienza da lunghissime code su due o tre file, formate da trams, automobili, carrozze e carri, motociclette e biciclette in cordiale promiscuità frammisti, nel gioioso conforto della famosa sorte comune e nella strepitante cacofonia di clakson, trombe, campanelli d’ogni timbro e d’ogni forza, sonanti la feroce sinfonia della protesta.
Gli antenati – Il primo tipo di semaforo risale al 1868 quando a Londra venne utilizzato un segnale, derivato da quelli ferroviari, con indicazioni luminose per un uso notturno. Il primo moderno, invece, venne progettato da James Hoge in America (1914, Cleveland) e, a differenza di quelli che vediamo oggi, aveva solamente due luci: una rossa e una verde, “stop and go” (nel 1920 comparvero a New York quelli a tre colori). Siamo all’incrocio tra la East 105th Street e la Euclid Avenue, e quello che è il primo semaforo elettrico della storia, viene azionato a distanza da un poliziotto in una cabina di comando. Una curiosità? Il colore giallo, invece, venne ideato anni dopo da Garrett Morgan, il figlio di uno schiavo. Sono poco prima, nel 1912, Lester Wire, comandante della divisione traffico della polizia di Salt Lake City (Utah), snervato dal traffico che stava aumentando in città, aveva installato al «suo» incrocio un congegno formato da una scatola di legno con delle lampade. Nel 1961 a Berlino venne installato il primo rivolto anche ai passaggi pedonali e non solo alle automobili.

SOCIETA' DI MUTUO SOCCORSO DEI MACCHINISTI DELLE FERROVIE

La casa dei ferrovieri di via San Gregorio fu fatta costruire alla fine del secolo dell'Ottocento da alcune società di mutuo soccorso fer­roviarie; esse investirono una somma ingente per quegli anni, raccolta anche attraverso un'ampia sottoscrizione tra gli iscrit­ti, con l'intento di edificare un ambizioso immobile sullo stile delle "Case del popolo".
Il progetto dell'ing. Italo Gasparetti prevedeva infatti uno sta­bile strutturato su tre piani che, oltre agli alloggi per i condutto­ri di locomotive, includeva un ampio salone per le riunioni, una biblioteca con sala di lettura e "un albergo e ristorante coope­rativo" con annessi giardino, magazzini e forno sociale.
Costruito su una sola delle due aree a disposizione, l'edificio fu ultimato nel 1898 e a causa di una serie di vicissitudini ne divenne unica proprietaria nel giugno 1900 la "Società di mu­tuo soccorso fra i macchinisti e fuochisti".
In questa sede ci interessa rilevare che agli inizi del Novecento il sodalizio mutualistico non gestiva direttamente i negozi e il ristorante, perché entrambi costituivano la IV sezione di una grande Società cooperativa ferroviaria, "La Suburbana", ar­ticolata in molteplici succursali situate nelle periferie della Milano d'allora dove si vendevano ai ferrovieri merci a prezzi concorrenziali.
Con l'avvento del fascismo furono sciolte quasi tutte le or­ganizzazioni dei lavoratori, ma non la Mutua del Personale di Macchina che resistette alle pressioni liquidatorie del re­gime adottando una strategia accorta e lungimirante che evi­tò la sua scomparsa e l'assorbimento dello stabile a cui mira­vano i fascisti.
Per ciò che riguarda il salone e il ristorante dal 1928, anno dell'insediamento di un Commissario prefettizio alla guida della "Macchinisti e fuochisti", essi furono gestiti dal Circolo dei fer­rovieri fascisti che consentì tuttavia l'attività culturale e dopo­lavoristica di cui era protagonista un'associazione ricreativa denominata "Arte e diletto club".
Questo gruppo di membri aggregati al Circolo, in quanto non ferrovieri, realizzò nel corso di un decennio le più disparate iniziative, dalle rappresentazioni teatrali alle esibizioni pugili­stiche; tutte le sere del venerdì e sabato i musicisti di un'orche­strina accompagnavano le danze dei soci del Circolo e degli abitanti del quartiere.
Negli spazi adiacenti si giocava a bocce e a biliardo, mentre al bar del Circolo si mesceva a ballerini o giocatori bibite e vino fresco.
Nel 1941 "Arte e diletto club" è costretto ad arrestare la sua attività perché il regime di Mussolini considerò le sue iniziative incompatibili con la tragedia del secondo conflitto mondiale in cui si era schierato al fianco della Germania nazista.
All'interno del salone della Casa dei ferrovieri viene appronta­to un grande schermo necessario alle proiezioni cinematografi­che che, da provvisorie divennero permanenti, fino a quando il Consiglio di Amministrazione della Mutua dei ferrovieri ha sta­bilito di riappropriarsi del salone e di ristrutturarlo mirabilmen­te, destinandolo ad un uso più consono al suo lignaggio, come vedremo nel prosieguo della presente.
Come è noto la Resistenza ai nazifascisti coinvolse dall'8 settembre anche la categoria dei ferrovieri: il 28 giugno 1944, presso il deposito locomotive di Greco, un'azione di sabo­taggio provocò la distruzione di alcuni locomotori e di un deposito di carburante suscitando l'ira dei tedeschi che ave­vano occupato l'Italia.
Pur non avendo subito delle vittime, i nazisti arrestarono dopo quel giorno 40 ferrovieri conside­rati antifascisti e col criterio della decimazione decisero il 15 luglio di fucilarne tre: Antonio Colombo, Siro Marzetti e Carlo Mariani.
Quella tedesca si rivelò una delle tante azioni di rappresaglia che colpiva nel mucchio per terrorizzare gli oppositori, in quanto gli esecutori materiali del sabotaggio erano altri.
Alla conclusione della seconda guerra mondiale la Mutua dei Macchinisti e Fuochisti, ritornata diretta responsabile dello sta­bile di via San Gregorio, ripristinò una gestione democratica all'interno del Circolo dei ferrovieri che nel 1946 venne intito­lato ai tre martini del Deposito di Greco.
Il 13 settembre 1946, presso il notaio Ezechiele Zanzi di Mi­lano, nasce il "Circolo cooperativo ferrovieri Martini di Gre­co Società cooperativa a responsabilità limitata"; 

Lo statuto del nuo­vo sodalizio sostiene che "possono essere soci tutti i ferrovieri che risiedono nel comune di Milano";  mantenendo quindi quell'atteggiamento corporativo che caratterizzava la mentalità del tempo, quando la Società di mu­tuo soccorso proprietaria dello stabile era limitata al solo perso­nale di macchina, escludendo persino i capi deposito.
 Nel 1949,  lo Statuto viene integrato: "possono essere eletti soci della cooperativa anche i non fer­rovieri in qualità però di soci aggregati ...(che) avranno di­ritto di usufruire delle prestazioni del Circolo al pari dei soci effettivi, ma non potranno partecipare al Consiglio di Am­ministrazione... ", dando vita all'associazione "Club dei ganasssa" che all'inizio sconcerta i bacchettoni del tempo chiusi in una mentalità cor­porativa;  realizzando le iniziative più disparate che spaziano dalle gite turistiche a sfondo enologico in Piemonte, a combattuti tornei di carte, di bocce e di biliardo, nonché a giocose feste da ballo con tanto di musicisti maestri del "liscio" in occasione delle festività.
Quest'attività più giocosa che culturale favorisce tuttavia il superamento delle diffidenze tra ferrovieri e lavoratori comuni abitanti nella zona della stazione Centrale dove è situato il Cir­colo, per cui maturano in quegli anni le condizioni per un ulteriore aggiornamento dello Statuto.
Il 15 maggio 1960, la  modifica dello Statuto, con l'iscrizione a pieno titolo dei non ferrovieri. "Il numero dei soci e illimitato, ma non dovrà essere inferiore a 50 soci. Possono essere soci della Cooperativa tutti i ferrovieri che risiedono nel comune di Milano ... possono altresì essere soci della Cooperativa i lavoratori residenti in Milano che vengono presentati da almeno tre soci ferrovieri" ,  raddoppiando il Giuseppe De Lorenzo, che in seguito fonderà e dirigerà il giornale sociale del sodalizio, "Il Treno", dal 1978 fino alla sua morte, avvenuta il 2 maggio 1993. degli iscritti ferrovieri e non. 


lunedì 7 febbraio 2022

FONDAZIONE DEI VIGILI DEL FUOCO DI MILANO

Si potrebbe dire che con la scoperta del fuoco sono nati i pompieri, certamente chiamati ed organizzati in maniera diversa e quasi sempre come operatori volontari.
Fin dai tempi più antichi della Repubblica, i Romani provvedevano allo spegnimento degli incendi mediante compagnie di servi pubblici (coorti di schiavi) distribuite alle porte e alle mura della città comandate dai Triunviri, che avevano anche il compito di sorvegliare la sicurezza della città durante la notte.
L'affidabilità dell'organizzazione antincendi degli antichi Romani era tanto seria che il ritardo nell'intervento per lo spegnimento di un incendio, veniva severamente punito.
In una citazione di Valeri tradotta, si legge:
Marco Malvio, Caio Lollio e Lucio Sestilio Triumviri, perché erano intervenuti in ritardo a spegnere un incendio divampato nella via Sagra, nello stesso giorno,dai Tribuni della plebe,furono condannati a morte.
L'Imperatore Augusto si rese conto che i pompieri erano molto importanti in quanto responsabili della sicurezza dal fuoco della città le cui case erano di legno, pertando affidò l'incarico ad un corpo speciale: LA MILITIA VIGILIUM comandata dal PREFETTUS VIGILUM, che era una delle più alte cariche equestri.
L'Organizzazione antincendi degli antichi Romani da ricerche in proposito si può affermare che era così ben strutturata che nelle sue linee generali potrebbe servire anche oggi quale modello per l'organizzazione di difesa dal fuoco di una grande città.

Il numero dei militi ascendeva approssimativamente a 2000 ed erano organizzati in maniera simile ai pompieri presenti oggi Parigi 

I pompieri Romani possedevano un armamentario speciale per combattere gli incendi:
CENTONES: drappi tessuti di grossa lana che inzuppati di acqua servivano a soffocare le fiamme:
SIPHONES: specie di pompe a due cilindri:
HAMAE: recipienti che si usavano come misure vinarie:
e poi attrezzi per demolizione e sgombero, come asce, ramponi, ecc.

L'arruolarsi nella Militia Vigilum e coseguentemente l'assoggettarsi ad una rigorosa disciplina ed al sacrificio di vegliare la notte, determinava la concessione di vantaggi civili a coloro che avessero prestato la loro opera per almeno sei anni, che in seguito furono ridotti a tre.

La Militia Vigilum non si limitava allo spegnimento degli incendi, era impegnata anche nella prevenzione come avviene oggi,basti pensare alla limitazione nelle altezze delle case: prima di 17 mt,quindi di 23 mt, limite che tuttora forma il caposaldo della maggior parte dei moderni regolamenti edilizi Europei.

L'esistenza dei collegi, Corporazioni di Fabbri e dei Centonari in Milano é accettata da lapidi conservate nel museo archeologico del Castello Sforzesco, una delle quali é stata rinvenuta nel 1619 e vi si legge:
Lucilio Domestico, piange la perdita del figlio incomparabile, che era aiutante (ufficiale) della centenaria III, morto nel fiore della giovinezza, ventotto anni.

Le disposizioni scritte negli antichi STATUTI MILANESI del 1502 sono abbastanza simili alla organizzazione della REPUBBLICA ROMANA.
Infatti gli Statuti Milanesi facevano obbligo ai facchini brentatori di accorrere per l'estinzione degli incendi.
I facchini brentarori (brentatores) erano divisi secondo le porte della città (passi)nei pressi delle quali erano obbligati a stazionare.

L'allarme per incendio veniva dato dalla campana del Broletto che suonava a stormo.

E' stato nel 1811 che Eugenio Napoleone di Beauharnais decretò l'effettiva istituzione di una compagnia di ZAPPATORI POMPIERI in Milano.
Napoleone presenziava ad un ballo dell'ambasciata d'Austria a Parigi, quando nel cuore della notte mentre fervevano le danze,scoppiò un furioso incendio nello stesso palazzo dll'Ambasciata.Si ebbero a lamentare varie vittime anche tra i familiari dell'ambasciatore d'Autria e Napoleone poté costatare di persona l'insufficienza dell'organizzazione pompieristica parigina.Pochi giorni dopo fu istituito il REGGIMENTO DEI POMPIERI DI PARIGI e analogamente a MILANO nonché nelle altre città dell'Impero Napoleonico vennero costituite analoghe organizzazioni.

L'organico della COMPAGNIA ZAPPATORI POMPIERI all'atto della sua nascita era cosi fatto:
N° 1 capitano
N° 1 tenenti
N° 1 guardia magazzino
N° 4 sergenti
N° 14 caporali e vice caporali
N° 62 pompieri

All'inizio gli zappatori pompieri vennero alloggiati nell'ex convento di S. Eustorgio i cui locali vennero adattati ad alloggiare le famiglie degli ammogliati e per il funzionamento delle officine.
Poi la compagnia aveva servizi di guardia distaccati nella città, cioè presso:
La Corte di Palazzo Reale
La Commenda a Porta Romana
Al Passetto di Porta Comasina
Inoltre veniva fatta una sorveglianza attiva di prevenzione incendi nei Regi Teatri alla Scala ed alla Cannobbiana nelle ore di spettacolo.

Dall'ex convento di S. Eustorgio gli Zappatori Pompieri passarono nel 1812 al locale delle Grazie, da dove traslocarono nel 1872 in quello di S. Gerolamo e finalmente nel 1885 nel fabbricato di via Ansperto,che attualmente é utilizzato come sede dell'ISPETTORATO REGIONALE DEI VIGILI DEL FUOCO DELLA LOMBARDIA e dall'ISPETTORATO PER I PORTI E GLI AEROPORTI DELL'ITALIA SETTENTRIONALE.

Nel 1906 in occasione del Congresso (Concorso internazionale) Milano vantava una solida organizzazione antincendi, ammirata da visitatori italiani e stranieri. Infatti oltre alla caserma di via Ansperto esistevano già due posti distaccati di vigilanza dotati di traino a cavalli: in via B. Marcello e in Porta Romana; inoltre nel recinto dell'esposizione vi erano due altri posti di vigilanza con traino a cavalli: uno alla sezione di P.zza D'Armi e l'altro alla sezione del Parco; non contando i due posti di vigilanza corredati con materiale trainato a braccia e dislocato a Palazzo Marino ed a Porta Genova.

L'organizzazione dei pompieri Milanesi fu basata sul principio di far giungere il più sollecitamente possibile i soccorsi sul luogo dell'incendio.
Fissato il limite pratico di cinque minuti circa, come massimo intervallo fra la chiamata e l'arrivo del soccorso, la città fu divisa in sei zone: una centrale e cinque periferiche aventi ciascuna un raggio medio di azione di circa 2 Km.
La zona centrale era servita dalla caserma di via Ansperto; poi vennero costruiti delle casermette apposite:
la prima sui bastioni di Porta Romana
la seconda in via B. Marcello
la terza in via Sardegna
la quarta in via Monviso
la quinta in progetto coprirà i quartieri di Porta Genova e Porta Ticinese.

La dotazione antincendio era la seguente:
N° 1 carro autopompa di primo soccorso
N° 1 scala aerea girevole di salvataggio
N° 1 pompa a vapore
N° 1 lettiga a cavalli

Come si é già intuito i pompieri fino a questo momento hanno avuto un'evoluzione spontanea nell'ambito delle grandi città e nelle aree industriali, sono alle dipendenze dei comuni e vengono chiamati civici pompieri.
Con la legge n° 1570 del 27-12-41 viene istituito il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco - C.N.VV.F. - che viene posto alle dipendenze del Ministero dell'Interno, nella Direzione Generale della Protezione Civile e dei Servizi Antincendi - D.G.P.C. e S.A. -, che da questo momento coordinerà i vari corpi comunali.

Il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco é chiamato a tutelare l'incolumità delle persone e la salvezza delle cose mediante la PREVENZIONE e l'ESTINZIONE degli INCENDI e l'apporto di soccorsi tecnici in genere, anche ai fini della protezione antiaerea.

Con la legge che è stata indicata, vengono
istituzionalizzati due ruoli quello del personale permanente che svolge a tempo pieno tale lavoro:
il personale volontario o discontinuo che viene reclutato nei comuni posti ad una certa distanza dalle sedi con personale permanente e che, per scarso numero d'interventi non giustificano l'esposizione economica che richiede un posto di vigilanza con personale permanente.
I volontari sono particolarmente diffusi nel Nord dell'Italia specie in montagna; per esempio ogni comune del Trentino é dotato di distaccamento con personale volontario.

I Vigili del Fuoco con la legge N° 469 del 13-5- 61 sono diventati statali.
In effetti si constatò che la sicurezza del cittadino era proporzionale alla ricchezza della città e a quanto denaro l'Amministrazione comunale poteva impegnare nell'organizzazione dei pompieri.
Le Regioni erano ancora da fare, cosi si ritenne di statalizzare l'organizzazione pompieristica al fine di distribuire con uniformità le misure di sicurezza antincendi, che da allora sono diventate una spesa dello stato.

I CONTRABBANDIERI DEL DAZIO

Anche i dazieri però non erano sempre onesti, e a volte mettevano un piede sulla pesa per aumentare l'importo dovuto, oppure pretendevano non più venti volte il valore del dazio frodato ma dieci volte quello della merce. L'arma del ricatto era molto persuasiva.
A volte, quando i dazieri sospettavano di un "cavallant", lo scortavano fino al cortile dove quello doveva scaricare la merce. Spesso però c'era uno "stellon" - un complice - che li seguiva a piedi nel malfamato borgo di Cittadella (dentro la porta), e qui, nel passare, urtava la povera guardia. Dal piccolo screzio si passava agli insulti, ai cazzotti, finchè interveniva "la teppa", o al meglio la questura, si finiva la commissariato, e qui un non finire di accuse reciproche, senza testimoni.. nel frattempo però lo sfrosador, il frodatore, aveva già finito di scaricare la merce.
La guardia del dazio insomma era odiata proprio da tutti. Quando finiva il proprio turno appendeva la giacca all'attaccapanni, e finalmente senza divisa poteva tornarsene a casa, sperando di non essere troppo notato. Guai però al daziere che varcava la soglia di un'osteria, soprattutto da solo! Veniva subito riconosciuto per via delle famose, inconfondibili scarpe "di piee piatt" che aveva avuto gratis dal Comune.
Contro i dazieri la solidarietà era unanime, perfino da parte dei bambini. I contrabbandieri promettevano qualche centesimo ai ragazzini che si recavano a scuola dentro le mura, se avessero nascosto un paio di bottiglie di liquore sotto il mantello,o in caso di pioggia fra le stecche e la cupola dell'ombrello. Superato il dazio, i bambini consegnavano la merce ad un altro contrabbandiere, che dava loro la "palancona".
Lo "sfrosador" non disdegnava neppure le gallerie di fognatura che sbucavano nei collettori: con una torcia a petrolio si facevano strada sulla stretta banchina che costeggiava il canale della fogna, tirando con una corda il sacco cerato che invece viaggiava nell'acqua lurida. Alcune gallerie però erano molto sorvegliate.
Così molti "trapanant" (altro nome dei frodatori) inserivano la merce in un sacco impermeabile, che legavano con una lunga corda a un pezzo di legno che buttavano nel Naviglio (il sacco ricolmo di merce restava sott'acqua ed il legno galleggiava seguendo la corrente). Oppure nascondevano la merce sui barconi, in mezzo alla sabbia; oppure, se il clima non era troppo rigido, attaccavano il sacco sotto il natante e poi, una volta entrati in città, alcuni di loro, nuotando sott'acqua, lo tiravano fuori. Ed erano molti chili di carne, lardo, prosciutto non ancora stagionato.
I "trapanant", quando entravano in Darsena e vedevano i dazieri appostati sui barconi, sapevano bene come comportarsi: un contrabbandiere si buttava in acqua, strappava "la scelpa" e scappava, naturalmente rincorso dalle guardie. Quando finalmente queste lo raggiungevano e gli sequestravano il sacco, dentro ci trovavano solo paglia. Intanto però sul bastione, rimasto sguarnito delle guardie, un compare gettava la corda e tirava su "la celpa" (quella vera)....

PARCO DEL CITYLIFE

CityLife vanta uno tra i parchi più ampi di Milano, ma soprattutto è ricco di opere d’arte che lo rendono un vero museo a cielo aperto tutto...