Visualizzazione post con etichetta Castello Sforzesco. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Castello Sforzesco. Mostra tutti i post

giovedì 10 febbraio 2022

OSPEDALE SFORZESCO


Durante la dominazione spagnola, un edificio più antico posto nel Cortile delle Armi, fu trasformato, per volere del castellano Sancho de Guevara y Padilla, in infermeria per il ricovero dei soldati della guarnigione. L’interno dell’edificio venne decorato da ghirlande con gli apostoli e cartigli con il Credo romano sulla volta e dagli emblemi della Casa Reale sulle pareti, ancora oggi visibili. Una data graffita, 1576, attesta il probabile anno di esecuzione della decorazione. L’Ospedale e l’annessa farmacia rimasero in funzione almeno fino al XVIII secolo. L’edificio, grazie al lascito Mangili, fu restaurato dall’architetto Luca Beltrami, che  nel 1907-1908 fece demolire il piano superiore, senza intervenire nell’interno.

Nella foto principale: Raduno dei vigili del fuoco nel Cortile delle Armi con veduta parziale dell’edificio dell’Ospedale Spagnolo, post 1894, gelatina bromuro d'argento, Milano, Civico Archivio FotograficoL'Arma Reale di Spagna affrescata nel tardo Cinquecento all’interno dell’ospedale

L'interno dell'Ospedale Spagnolo con le volte affrescateL’Ospedale Spagnolo visto dall’esterno dopo i lavori di restauro iniziati nel 2013


mercoledì 2 febbraio 2022

SERBATOI DELL'ACQUA POTABILE

epoca di costruzione 1896 torrione est, 1904 torrione sud
Si, proprio così, avete letto bene "CASTELLO SFORZESCO"
Si tratta di due grandi vasche cilindriche inserite nei torrioni angolari del Castello durante la sua ricostruzione. Sono collegate alla rete idrica da tubature provenienti dal sottosuolo. Entrambe poggiano su massicci in muratura alti 20m, unico residuo di epoca sforzesca, nei quali si aprono a diversi livelli le camere per le ispezioni delle tubazioni.
L’idea era dell’ing. Saldini, assessore e docente al Politecnico di Milano: inserire nella rete idrica milanese un serbatoio nel torrione del Castello sfruttando il dislivello di 20 m delle pareti esistenti. Si trattava di una citazione quasi letterale e spregiudicata dei “chateau d’eau” ottocenteschi, già utilizzata a questo scopo dalle città industriali dell’Europa centrale.
Dopo un concorso si optò per un serbatoio in metallo; il primo nacque per compensare gli sbalzi di fabbisogno idrico, ma fu presto insufficiente. Restò come regolatore della pressione in rete, che crebbe a causa dei pozzi dell’Arena per il vicino quartiere residenziale di Foro Bonaparte e via Dante. Il secondo serbatoio, più capace, fu una notevole realizzazione ingegneristica per l’ardita struttura di sostegno in cemento armato, realizzata dall’impresa rappresentante per l’Italia del noto sistema Hennebique, che venne adottato per l’occasione. La vasca più piccola forniva solo acqua per l’innaffiamento e il deflusso della erigenda rete fognaria.

LA ROCCHETTA DEL CASTELLO

Avete presente il monumento equestre sito nella prima sala del Museo di Arte Antica del Castello? Si tratta di Bernabò Visconti, Signore della parte orientale di Milano dal 1354 al 1385.
Nonostante il bellissimo monumento funebre che lo ricorda, non visse mai nella fortezza di Porta Giovia, ma risiedette nella rocca di Porta Romana, che ora non esiste più. Il Castello che poi diventerà Sforzesco, infatti, era di proprietà del fratello, Galeazzo II, che aveva il potere sulla parte occidentale della città. Ma perché parliamo di Bernabò allora? Perché il nipote, Gian Galeazzolo fece rinchiudere nella Rocchetta il mese di maggio del 1385, prima di mandarlo nel Castello di Trezzo dove morirà avvelenato mangiando una scodella di fagioli. La città ebbe così un solo Signore, colui che diverrà il primo Duca di Milano: Gian Galeazzo Visconti .
Gli astri avversi
Filippo Maria Visconti, nonno da parte di madre di Ludovico il Moro e ultimo dei Visconti, abitò per lungo tempo negli appartamenti della Rocchetta. Vi si rinchiuse volontariamente, per paura di essere ammazzato, fino alla morte avvenuta nel 1447 all’età di 55 anni. Uomo paranoico e superstizioso credeva nell’astrologia come una scienza, e non prendeva nessuna iniziativa se non dopo aver consultato gli astrologi e le loro predizioni per il futuro. “Dietro le istruzioni di costoro, sceglieva i giorni adatti alla guerra, quelli alla pace, e investigava quali fossero i migliori per mettersi in viaggio e quali per riposare.” (Decembrio)
Era malato dalla nascita a causa della consanguineità dei genitori, era infatti figlio di due cugini di primo grado. Da bambino soffrì di rachitismo, le gambe erano tanto magre da non riuscire a sostenere il peso del corpo, e così i piedi gli si deformarono e fu costretto a camminare col bastone per tutta la vita. Si sposò due volte, ma nessuna delle mogli gli diede eredi. Ebbe un’unica figlia, Bianca Maria, da Agnese del Maino, l’amante prediletta. Bianca venne legittimata e con lei continuerà la stirpe viscontea nel cognome degli Sforza, infatti, diventerà la sposa di Francesco Sforza, madre di Ludovico il Moro e Galeazzo Maria.
La Torre della Duchessa
Entrando nella piazza delle Armi si vede una bellissima torre quadrangolare, la più alta di tutte, si chiama torre di Bona, dal nome della Duchessa che la fece costruire e che ci si rinchiuse.
Bona era la moglie di Galeazzo Maria Sforza (fratello di Ludovico) Duca di Milano dal 1466 al 1476, anno in cui venne ucciso nella chiesa di Santo Stefano a Milano. Insieme avevano avuto 4 figli, uno dei quali, Gian Galeazzo, sarebbe succeduto a capo del Ducato. Ma era molto piccolo quando il padre morì, e così Bona insieme al consigliere Cicco Simonetta dovette prendere il comando. Ma si sa che il potere è molto ambito, e al pretendente più prossimo, e cioè a Ludovico, la cosa non era certo indifferente, si ipotizzava anche che avesse partecipato all’assassinio del fratello. E così Bona rimasta vedova nel più brutto dei modi, e con un compito arduo da svolgere, ebbe la sua torre, che le consentì di stare tranquilla avendo il controllo di tutto il castello. Ma le precauzioni non servirono a lungo, fu costretta a far intervenire il cognato nell’amministrazione del Ducato, che le era sfuggita di mano. Ludovico, contentissimo, fece decapitare Cicco Simonetta, fece firmare al giovane Gian Galeazzo il passaggio di tutela dalla madre allo zio, e Bona fu mandata al castello di Abbiategrasso. Morale: mai chiedere aiuto ai parenti.
Il sistema d'allarme che tutto vede 
Come qualsiasi corte che si rispetti, anche quella degli Sforza aveva il suo Tesoro. Venne spostato dalla sala delle Asse nella torre detta della Castellana, il luogo più sicuro del castello, da Ludovico il Moro. All’interno della stanza c’è un affresco, raffigura Argo, con un fisico bellissimo, purtroppo non è più possibile vederne il volto, che qualcuno dice dovesse essere spaventoso. Argo panoptes, colui che tutto vede, era un gigante, veniva rappresentato o con un occhio solo, o con 4 (due avanti, 2 dietro) o con 100 occhi sulla testa oppure con tutto il corpo ricoperto. Si intuisce, però, che qui la testa era coronata da un diadema di penne di pavone, un modo elegante di evocare i 100 occhi, possiamo ipotizzare, quindi, che fosse bellissimo anche il viso.
Insomma Argo dai 100 occhi era un avvertimento per i malintenzionati. Ma come era possibile vedere chi entrava se nella stanza non c’era nessun custode? Di fianco al dipinto c’è una nicchia, nella quale era posizionata una candela, all’aprirsi della porta il lume si spegneva e il fumo saliva nei piani superiori avvisando i soldati. Il tesoro era al sicuro!
Giochiamo?
All’interno della Rocchetta c’è una sala, quella che ospita il famoso ciclo di arazzi raffiguranti i 12 mesi, che viene chiamata della Balla. Sapete il perché? Qui si giocava alla Pallacorda, uno sport simile al tennis, con racchette e palline, il campo era diviso da una corda.


martedì 21 dicembre 2021

CORTE DUCALE

 

La parte destinata a residenza ducale è preceduta dal portico costruito dall’architetto toscano Benedetto Ferrini nel 1473, detto “dell’elefante” per l’affresco ancora oggi riconoscibile. Se si guarda la parete adiacente, si scorgono tracce delle zampe di un altro maestoso animale, probabilmente un leone. Gli appartamenti ducali, dimora dal 1468 di Galeazzo Maria Sforza, si estendevano al piano terra e al primo piano, collegati da una scala a gradini bassi, che permetteva allo Sforza di salire agli appartamenti superiori a cavallo.

ROCCA VISCONTEA DI PORTA GIOVIA

Galeazzo II Visconti, divenuto Signore della zona occidentale di Milano, costruisce, tra il 1360 e il 1370, una rocca a cavallo della cinta medievale, inglobando la pusterla di Porta Giovia o Zobia. Il successore Gian Galeazzo aggiunge alla costruzione, nel 1392, edifici per gli alloggiamenti delle truppe stipendiate. Le due parti della struttura sono separate dal fossato della cinta medievale, il cosiddetto fossato morto, e verranno collegate solo successivamente da Filippo Maria, l'ultimo dei Visconti. È proprio in questo periodo che il Castello, il più grande tra quelli edificati dai Visconti, di pianta quadrata di circa 180 metri di lato, munito di quattro torri anch’esse quadrate e di un ampio recinto, diventa residenza; i campi incolti sul lato nord-ovest si trasformano in un “zardinum” o “barcho”.

L'ultimo Signore della dinastia trascorre qui un'esistenza solitaria, confinandosi con la corte nell'immensa dimora in cui muore senza eredi legittimi. Lascia infatti una sola figlia, Bianca Maria, legittimata dall'Imperatore Sigismondo nel 1426 e andata in sposa nel 1441 al condottiero Francesco Sforza, chiamato da Filippo Maria Visconti a difendere il Ducato dai Veneziani.

Nel 1447, alla morte di Filippo Maria, i Milanesi proclamano la Repubblica Ambrosiana e la dimora di Porta Giovia, emblema del potere signorile, è in parte danneggiata.

Della rocca viscontea resta ancora oggi il basamento in pietra grigia di serizzo sul fossato morto e sui lati esterni della Rocchetta e della Corte Ducale.

sabato 20 novembre 2021

CARCERI DEL CASTELLO SFORZESCO

Ubicato nel Castello Sforzesco, era lo stabilimento in cui venivano reclusi i prigionieri politici; lì furono trasferiti i detenuti provenienti dal carcere di Santa Margherita, abbattuto per costruire l'attuale galleria Vittorio Emanuele (1864).
Insieme agli altri stabilimenti carcerari milanesi fu abbandonato nel 1879, quando venne inaugurato il nuovo carcere cellulare, l'attuale carcere di San Vittore, dove furono trasferiti tutti i detenuti provenienti dagli stabilimenti di detenzione di Milano. Il carcere era situato nella Torre di Bona.

 

lunedì 18 ottobre 2021

MURA DELLA GHIRLANDA

 Il castello ha una pianta quadrilatera e, secondo la tradizione viscontea, si trova a cavallo della cinta muraria cittadina. Il lato che conserva i caratteri viscontei è quello nord-occidentale, cioé quello che è rivolto verso la campagna.

Gli elementi che caratterizzano questo lato sono le torri quadrate, la scarpa dei muri in pietra serizzo e l'arco ogivale, ora murato, del rivellino della porta.

Dopo la Morte di Filippo Maria Visconti nel 1447, la signoria passa agli Sforza che riprendono la costruzione del castello sforzesco tenendo conto delle nuove soluzioni studiate per far fronte alle armi a fuoco.

A questo il castello viene circondato, verso la campagna, di un muro esterno protetto da un fossato allagato, chiamato Ghirlanda, di cui rimangono pochi resti. Uno di questi è il portale della porta del Soccorso, aperta verso la campagna, che si trova verso la Torre del Tesoro.

Demolita nel corso dell'Ottocento, ciò che oggi si vede del castello è la parte più antica, di edificazione trecentesca e quattrocentesca. Questa struttura ha pianta quadrata, con lati della lunghezza di duecento metri circa. I quattro angoli sono costituiti da torri, ciascuna orientata secondo uno dei punti cardinali. Le torri Sud e Est, che incorniciano la facciata principale verso il duomo, hanno forma cilindrica, mentre le altre due, che incorniciano la facciata verso il parco, hanno pianta quadrata e sono dette "Falconiera" la Nord e "Castellana" la Ovest. L'intero perimetro del castello è ancora circondato dall'antico fossato, oggi non più allagato.


domenica 10 ottobre 2021

TORRE DI BONA

 Fortezza nella fortezza, la Rocchetta è stata per breve tempo il rifugio di Bona di Savoia, committente dell’alta torre, prima che Ludovico il Moro assumesse il potere. Il severo aspetto esterno, con le alte mura prive di finestre verso il Cortile delle Armi, è ingentilito all'interno da tre ali di portico, in cui i capitelli sono prevalentemente ornati da stemmi viscontei e sforzeschi voluti da Galeazzo Maria Sforza. Sul lato verso la Corte Ducale, gli stemmi ornati da mezzaluna del castellano spagnolo don Alvaro de Luna indicano lavori eseguiti nel Cinquecento. Restauri compiuti dal 2010 al 2013 hanno riportato alla luce le decorazioni con motivi sforzeschi volute da Luca Beltrami ai primi del Novecento.

Il 26 dicembre 1476, il Signore di Milano Galeazzo Maria Sforza, figlio di Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti, morì pugnalato per una congiura. La moglie, Bona di Savoia, si trasferì quindi nel luogo più sicuro del Castello, la Rocchetta e la fortificò con un’alta torre. La Torre di Bona, posta all’incrocio tra le ali nord-est e sud-est, consentiva così il controllo di tutto l’edificio. Oltre che di difesa, la Torre di Bona ebbe anche una funzione di carcere, come testimonia una cella chiusa da una porta dotata di spioncino, oggi visibile percorrendo le scale. Danneggiata dalle dominazioni straniere, la torre venne restaurata nell’ambito degli interventi iniziati nel 1893 ad opera di Luca Beltrami, che la rialzò e la dotò di merli.

torre Bona


porta carcere

BALUARDO "TENAGLIA"

 Anzitutto, il Castello con le nuove mura si trovò come vertice di un vasto svaso nella poligonale sagoma della grande cerchia difensiva. Questo vasto spazio, oggi occupato dal Parco Sempione, da sempre era stato un bosco per la caccia, giardino ducale con orti e pometi, e in pratica rimarrà così sino ai giorni nostri.

Per difendere meglio il Castello a patire dal 1500, vista anche la svolta che ebbero le armi da fuoco sui metodi difensivi delle città, si pensò di dotare l’antica fortezza dei Visconti e degli Sforza, con fortificazioni nuove e possenti. Inizialmente venne edificata intorno alle mura medievali una ulteriore fortificazione, chiamata Ghirlanda, successivamente rinforzata da una serie di nuovi baluardi difensivi a pianta triangolare, come risulta da diverse piantine del ‘600 e del ‘700 che vedevano il castello al centro di una stella a sei punte.

Ghirlanda che sarà smantellata in parte dopo l’arrivo di Napoleone nel 1796, e definitivamente nel 1893.

 ad ulteriore difesa come accesso al castello, pare fosse stato realizzato un baluardo allungato verso nord, in direzione dell’attuale piazza Lega Lombarda. Sostenuto da alcune fonti come progetto già avviato nel primo Cinquecento o pensato dall’ultimo degli Sforza, con la costruzione di una “tenaglia” appoggiata al vertice nord-est del nuovo baluardo del castello. Il nome deriva naturalmente dalla forma di questo baluardo difensivo, che ricordava una gigantesca “tenaglia”, perciò ecco il nome assunto dal piccolo portello aperto nelle nuove mura difensive dove il baluardo terminava.

 sull’effettiva costruzione del baluardo a “tenaglia” vi sono pochi dati certi. Probabilmente venne realizzato prima delle stesse mura spagnole e mai completato effettivamente, forse a causa degli alti costi per la sua edificazione. Su alcune mappe antiche la “Tenaglia” venne segnata, sempre in forme leggermente differenti e a seconda dell’illustratore, neanche segnata.

Comunque sia, probabilmente con l’arrivo della costruzione delle mura vere e proprie, le quali arrivarono a coprirne l’area solo nel 1592, il baluardo allungato venne inglobato nelle nuove mura e trasformato, perché di fatto risultò inutile.

Nel disegno della mappa di Milano del 1580 realizzata da Giovanni Battista Clerici (dove vediamo un particolare della Tenaglia) troviamo probabilmente la rappresentazione più fedele di quella curiosa opera di difesa che fu la tenaglia.


sabato 9 ottobre 2021

SCUOLA APPLICATA D'ARTE ALL'INDUSTRIA

 

La Scuola superiore d'Arte applicata all'Industria del Castello Sforzesco è un istituto di istruzione superiore di Milano.

La scuola è nata nel 1882 su proposta della Associazione Industriale Italiana nella persona del cavaliere Antonio Beretta e realizzata dall'architetto Carlo Maciachini e dal pittore Luigi Cavenaghi con il patrocinio del Comune di Milano, della Provincia di Milano, e della Camera di commercio di Milano.

La scuola aveva, ed ha ancora oggi, lo scopo di formare maestranze esperte nelle arti applicate non solo per il tradizionale artigianato ma soprattutto per venire incontro alle necessità della produzione industriale di beni di largo consumo, avvalendosi di insegnanti reclutati tra i migliori artisti.

I corsi serali infatti prevedono l'insegnamento delle seguenti tecniche: affresco, arazzo, digitale, falegnameria, fumetto, game design, grafica, illustrazione, incisione, mosaico, pittura, social media, vetrata.

Nel 1977 gli sgraffiti presenti in facciata vennero restaurati da Valeriano Dalzini. Direttore dei lavori: Franco Milani.


venerdì 3 settembre 2021

SALA DELLE ASSE

 

La Sala delle Asse è una sala che si trova al piano terra del torrione nord-orientale, detto anche del Falconiere, del Castello Sforzesco di Milano. Prende il nome dalle assi di legno che si ritiene un tempo rivestissero le pareti.

La Sala ospita una decorazione con Intrecci vegetali e gelsi, che con un effetto Trompe-l'œil creano un pergolato lungo tutta la volta, le vele e le lunette, le cui fronde partono da alberi dipinti lungo le pareti, come a riprendere le colonne ad tronchonos. Sulla parete est della Sala è presente un Monocromo nella parte inferiore, rappresentante le radici degli alberi soprastanti che penetrano in stratificazioni rocciose. Il complesso è una pittura a tempera su intonaco di Leonardo da Vinci, databile al 1498 ma ripassata in epoca moderna.

Una fonte per rintracciare gli studi dell'artista sulla decorazione con motivi vegetali è la sezione Degli alberi e delle verdure nel Trattato della pittura, a cui si affianca una rilettura dei testi di Vitruvio in chiave naturalistica.

Non si hanno notizie precise sulla costruzione architettonica, ma dalla lettura del paramento murario esterno è possibile individuare una preesistenza trecentesca e il successivo innalzamento della superficie nel Quattrocento, indicando quindi come periodo per l'erezione della volta quello tra la costruzione della torre, voluta da Francesco I, e l'insediamento di Galeazzo Maria nel 1467.

Il duca chiese all'architetto Bartolomeo Gadio che la sala venisse decorata, coerentemente con le attigue, con gli emblemi delle secchie e del cimiero nel fuoco, separati dalle razze (il tipico sole raggiato visconteo), su uno sfondo rosso, ma nel giugno 1469 ancora si discuteva del pagamento da tributare al pittore Costantino da Vaprio, non lasciandoci quindi indicazioni circa la completezza dell'opera. Del 1473 è la decisione di foderare l'ambiente con assi di legno: in aprile Bartolomeo Gadio comunica l'esigenza ad Antonio Anguissola e in agosto è confermata al duca la conclusione dei lavori. Da uno scambio di lettere dello stesso anno si evince inoltre che il duca avesse richiesto espressamente di ricoprire con le assi anche le lunette e il soffitto, denotando quindi che rivestire gli ambienti col legno fosse una prassi diffusa, vista la capacità di contenimento della temperatura e umidità.

La testimonianza successiva riguardante la sala è il matrimonio tra Gian Galeazzo Maria e Isabella d'Aragona, il 5 febbraio 1489, quando la giovane sposa fu accolta in castello da Bona e accompagnata proprio in questo ambiente, per l'occasione adibito a camera nuziale tappezzata di raso cremisi ricamato in oro.

L'attività di Leonardo da Vinci al Castello Sforzesco per conto di Ludovico il Moro è documentata tra il 1497 e il 1499, quando il duca è interessato al collegamento della decorazione tra i tre camerini che affiancavano la sala delle Asse, detti "Salette Nere", e la sala stessa. In una lettera datata 21 aprile 1498 il cancelliere Gualtiero da Bascapè comunica al duca che entro il settembre di quell'anno "Magistro Leonardo promete finirla per tuto Septembre, et che per questo si potra etiam goldere perché li ponti ch'el fara lasarano vacuo de soto per tuto". Non si hanno informazioni più precise su cosa accadde dopo: nel 1499 l'esercito francese minaccia Milano e Leonardo è presente in città nei giorni della fuga di Ludovico, per poi allontanarsi in direzione Venezia passando per Mantova nel mese di dicembre. È a questo periodo che si rimanda la celebre frase dell'artista "il Duca perso lo stato e la roba e la libertà e nessuna opera si finì per lui", inserita nei suoi appunti, che si riferisce evidentemente alla decorazione incompiuta della sala delle Asse. Non è comunque possibile escludere un intervento dei collaboratori o addirittura dell'artista stesso durante il suo secondo soggiorno milanese.

Nuove e recenti indicazioni sulla sala sono fornite dalle significative ricerche di Carlo Catturini, che associa a questo ambiente due occorrenze apparse in due fonti redatte tra la fine del periodo sforzesco e la dominazione francese. La prima è un passo del De architectura di Luca Pacioli, nella prima edizione a stampa del De Divina Proportione, nel quale si parla di una riunione per questioni sul Duomo tenutasi nel 1498 nella camera detta "de' moroni" del Castello di Porta Giovia. I moroni sarebbero in milanese i gelsi, attestando così in primis che nella sala, a prescindere dalla completezza della decorazione pittorica, il soggetto fosse già riconoscibile. Si attesta inoltre che l'ambiente avesse cambiato la funzione nel passaggio da Galeazzo a Ludovico, accentuandone l'aspetto encomiastico a favore del secondo. La seconda fonte, di poco postuma, che attesta l'associazione della sala con l'appellativo è il passaggio di consegne tra Francesco II d'Orléans e Gaston de Foix, avvenuto il 15 giugno 1511 in lo Castello de porta Zobia de Milano, videlicet in la camera di moroni bene aparato et ordinato, riportato da Alberto Vignati nelle sue Memorie Storiche.

Con la caduta degli Sforza s'inizia a perdere la memoria storica: l'assenza di una dinastia regnante che possa prendersi cura degli ambienti del castello e i saccheggi operati da parte dei francesi comportano l'inizio della decadenza. Un svolta si registra col matrimonio tra Francesco II e Cristina di Danimarca, che impose un restauro degli ambienti che avrebbero dovuto accogliere la nuova regnante, cioè il piano terreno della Corte Ducale: per l'occasione è chiamato alla decorazione Bernardino Luini tra il 1531-1535. Da un documento, una lettera di Francesco Arrigoni al duca Francesco II del 1534, si deduce che si sta lavorando in diversi ambienti, il cui elenco in sequenza permette di riconoscere anche la sala delle Asse: "hoge s'è comencato a solare la sala granda et rimbiancare di novo". Si prevedeva infatti l'imbiancatura dell'ambiente e, da un altro documento, si deduce che si volesse decorare una parte con corami (cuoi impressi).

Dal 1534 si perdono le notizie della sala: la corte, ormai spagnola, si trasferisce a Palazzo Reale nel 1536 e il castello, trasformato in cittadella con funzioni militari, viene gradualmente abbandonato e utilizzato come caserma. Del 1710 è una relazione dello stato degli ambienti del castello, redatta per programmare i lavori di manutenzione: si evince che sono state apportate modifiche alle finestre e le pareti sono state scialbate (ricoperte con strati di calce).

Gli interventi più recenti sulla decorazione della sala cominciano a fine Ottocento con Luca Beltrami e la sua iniziativa di recupero del castello tra il 1893 e 1902. Questi infatti fa ridipingere completamente al pittore Ernesto Rusca la volta e le lunette, mantenendo lo stesso soggetto ma, inevitabilmente, con uno stile non coerente a quello originario. La sala era ormai un anonimo spazio quadrato e buio - alcune finestre sono state murate - suddiviso da elementi murari per il ricovero dei cavalli della caserma e con la parte inferiore delle pareti con l'intonaco cadente e parzialmente perduto. In questa fase è stato decisamente importante il ruolo dello storico dell'arte Paul Müller-Walde che, giunto a Milano nel 1890 per studiare le opere di Leonardo da Vinci, svolge insieme al pittore Oreste Silvestri alcuni saggi e prove per trovare le tracce della decorazione dell'artista. Nel 1893 rinviene tracce di policromia sulla volta e le associa subito alla mano dell'artista sulla base della documentazione archivista rinvenuta fino a quel momento. Un cambiamento di rotta dei lavori sembra arrivare nel 1894, quando la Giunta Municipale del Comune di Milano delibera di riadattare gli spazi della Corte Ducale, quindi anche la sala delle Asse, per ospitare la sede della civica Scuola d'Arte Applicata all'Industria; i lavori sono interrotti e in alcuni casi mai iniziati a causa delle Esposizioni Riunite dello stesso anno. Si decide poi nel 1897 di fare dei lavori perché il castello possa ospitare i musei Patrio Archeologico e l'Artistico Municipale e la sala delle Asse subisce interventi: le pareti sono scrostate, i serramenti delle finestre sono ridimensionati e il pavimento in selciato è sostituito con uno in cemento. Nel 1898 il resoconto dei lavori di Beltrami ci attesta che la decorazione è stata osservata e ricostruita nelle sue parti. L'unica opera che sfugge alla comprensione dell'intero ciclo è il Monocromo, inizialmente giudicato da Betrami come opera successiva alla decorazione leonardesca perché messa in relazione con un caminetto che nel 1661 si trovava proprio in quell'area. Questa considerazione induce l'architetto a progettare un allestimento della sala che coprisse l'opera, così da far risaltare la volta, prevedendo una foderatura delle pareti con tappezzeria in stoffa e stalli lignei nella parte bassa, lungo il perimetro. L'allestimento resta in opera oltre la Seconda guerra mondiale, con qualche intervento alla tappezzeria nel 1927 e la lucidatura degli stalli nel 1932. Non si registrano danni alla Sala durante i bombardamenti del 1943 se non per la tappezzeria, rovinata dalla distruzione delle finestre.

Gli interventi successivi riguardano il recupero del Castello a seguito della guerra: il nuovo direttore della Direzione Belle Arti del Comune, Costantino Baroni, nominato nel 1945, promuove gli studi per il riallestimento delle sale museali che confluiscono nel lavoro degli architetti BBPR. Dopo una prima proposta per il rifacimento della tappezzeria e la rimozione degli stalli, entro giugno del 1954 la stessa è rimossa, scoperchiando i lacerti di monocromi che rilanciano lo studio della decorazione originaria leonardesca. In data 25 maggio 1955 si svolge un sopralluogo presso la Sala ad opera dei rappresentanti del Consiglio Superiore di Antichità e Belle Arti del Ministero della Pubblica Istruzione che rilanciano la prosecuzione dei saggi sulle pareti e sulla volta, affidando l'incarico al restauratore Ottemi Della Rotta. Questi interviene su tutta la sala e termina il suo incarico nel marzo 1956, considerato che si era deciso di non rimuovere la ridipintura di Rusca ma solo di alleggerirla; il Monocromo è descialbato e restaurato integralmente. A seguito degli interventi la Sala è riallestita secondo il progetto BBPR, quindi con un rivestimento di assi di legno, in linea con le altre sale e in piena sintonia con la sua denominazione originaria.

domenica 25 luglio 2021

TORRIONE SANTO SPIRITO E TORRIONE DEL CARMINE

torrione di Santo Spirito


TORRE DEL FILARETE

LA TORRE DEL FILARETE AL CASTELLO SFORZESCO

Simbolo di Milano per il suo profilo immediatamente riconoscibile, la Torre deve il suo nome all’architetto rinascimentale Antonio Averulino detto il Filarete, che la progettò nel 1452. Inventò una torre elegante con delicati inserti marmorei, ma questi furono eseguiti da architetti lombardi meno fantasiosi del toscano. Neanche un secolo dopo, nel giugno 1521 la torre, divenuta deposito di polvere da sparo, crollò. Quella attuale è il risultato di un’appassionata ricerca dell’architetto Luca Beltrami sui documenti e sulle fonti iconografiche, per ricostruirne l’aspetto rinascimentale. Inaugurata nel 1905, la torre venne dedicata a re Umberto I, ucciso a Monza nel 1900. Beltrami inserì un orologio nel corpo cubico più in alto, ornato da un sole raggiante ispirato alle insegne sforzesche. Commissionò allo scultore Luigi Secchi la statua di Sant’Ambrogio nella nicchia, ispirata allo stile scultoreo della seconda metà del Quattrocento. Sempre il Secchi eseguì il bassorilievo con Umberto I a cavallo, in marmo di Candoglia. In memoria degli Sforza Beltrami scelse, infine, di far dipingere gli stemmi di Francesco, Galeazzo Maria, Gian Galeazzo, Ludovico il Moro, Massimiliano e Francesco II.






TORRE CASTELLANA e TORRE FALCONIERA


 Al piano terra della quadrata Torre Castellana, collocata nell’angolo nord-est della Rocchetta, si trova la Sala del Tesoro, o torre del Tesoro ambiente sforzesco in cui si conservavano i documenti e i preziosi della famiglia. Sotto Ludovico il Moro venne ornata dal Bramantino con un affresco raffigurante Argo, mitico custode dell'Inferno, dai cento occhi, scelto come simbolico difensore del tesoro.

La torre quadrata corrispondente sul lato opposto, la Falconiera o Torre Ducale, racchiude invece al suo interno la leonardesca Sala delle Asse.

torre falconiera


La Sala del Tesoro

Gli Sforza scelsero di custodire il tesoro nella parte più sicura del Castello, nella Torre Castellana in Rocchetta.
La Sala del Tesoro, oggi parte della Biblioteca Trivulziana e sede di esposizioni temporanee, conserva parte di una decorazione voluta da Ludovico il Moro.

Datato agli anni tra il 1489 e il 1491 e tradizionalmente attribuito alla mano di Bartolomeo Suardi detto il Bramantino (notizie dal 1480 al 1530), un grande affresco raffigura Argo, mitica figura di custode, scelto come simbolico difensore del tesoro.

torre sala del tesoro


Della figura centrale è andata perduta la testa, per modifiche architettoniche alla sala già in età sforzesca. Vestito di un mantello di pelle animale, con un bastone in una mano e un caduceo nell’altra, Argo doveva avere il capo coperto da un diadema o un turbante di piume di pavone, allusione ai suoi cento occhi. Due medaglioni ai lati narrano come Mercurio abbia addormentato Argo con la musica e come lo abbia ucciso. Più complessa resta l’interpretazione della scena sul medaglione centrale. Appare qui un gruppo di persone con al centro seduto un personaggio che tiene il piede destro su un globo.
La presenza di una bilancia ha portato alcuni critici a interpretare la raffigurazione  come una “pesatura dell’oro”, ma persistono dubbi sul significato della scena. Unico riferimento agli Sforza sembra essere il caduceo, aggiunta probabilmente successiva al primitivo progetto decorativo.




Tra le due torri oltre l'angolo difeso dalla torre Ducale (Torre Falconiera) si può notare una loggetta architravata, attribuita al Bramante e commissionata da Lodovico il Moro nell'ultimo ventennio del XV secolo per mettere in comunicazione la Corte Ducale con il cortile della Ghirlanda

CASTELLO SFORZESCO

 

Prima fortificazione

La costruzione di una fortificazione con funzioni prettamente difensive fu avviata nella seconda metà del Trecento dalla dinastia viscontea, che deteneva la signoria di Milano da quasi un secolo, da quando nel 1277 l'arcivescovo Ottone Visconti aveva sconfitto nella battaglia di Desio e cacciato da Milano il precedente Signore, Napoleone della Torre. Nel 1354 l'arcivescovo Giovanni Visconti, morendo, lasciò in eredità il ducato ai tre nipoti Matteo II, Galeazzo II e Bernabò.

Tra il 1368 e il 1370 Galeazzo II Visconti fece costruire, a cavallo delle mura della città, in corrispondenza della Porta Giovia (o Zobia) una fortificazione detta Castello di Porta Giovia, dal nome di Porta Giovia romana, antico ingresso della cinta delle mura romane di Milano, che doveva a sua volta la sua denominazione a Giovio, soprannome dell'imperatore Diocleziano. In epoca romana, nella stessa area dove sarebbe sorto il Castello di Porta Giovia medievale, era presente l'omonimo Castrum Portae Jovis, uno dei quattro castelli difensivi della Milano romana.

Il Castrum Portae Jovis iniziò a rivestire, a partire dal 286, quando Milano diventò capitale dell'Impero romano d'Occidente, anche la funzione di Castra Praetoria, ovvero di caserma dei pretoriani, reparto militare che svolgeva compiti di guardia del corpo dell'imperatore. Tale zona era quindi il "Campo Marzio" di Milano, ovvero l'area consacrata a Marte, dio della guerra, che era utilizzata per le esercitazioni militari.


Il medievale Castello di Porta Giovia venne ampliato dai suoi successori: Gian Galeazzo Visconti, che divenne nel 1395 il primo duca di Milano, Giovanni Maria e Filippo Maria, che per primo trasferì stabilmente nel castello la corte dal palazzo ducale che sorgeva presso il Duomo (l'odierno Palazzo Reale). Il risultato è stato un castello a pianta quadrata, con i lati lunghi 200 metri, e quattro torri agli angoli, di cui le due rivolte verso la città particolarmente imponenti, con muri perimetrali spessi 7 metri. La costruzione divenne così dimora permanente della dinastia viscontea, per essere poi distrutta nel 1447 dalla Aurea Repubblica Ambrosiana, costituita dai nobili milanesi dopo l'estinzione della dinastia viscontea alla morte senza eredi legittimi del duca Filippo Maria.

Fu il capitano di ventura Francesco Sforza, marito di Bianca Maria Visconti, ad avviarne la ricostruzione nel 1450 per farne la sua residenza dopo aver abbattuto la Repubblica ed essersi così impadronito di Milano. Senza un proprio blasone, Sforza mantenne come stemma del proprio casato la vipera viscontea.

Nella primavera del 1450 Francesco Sforza nominò Giovanni da Milano quale commissario per i lavori del nuovo Castello e Marcaleone da Nogarolo quale commissario per le provvisioni. L'inizio dei lavori, secondo alcuni storici, ebbe luogo il 1 luglio. Cinque mesi dopo furono completati i due tratti di mura della Ghirlanda verso Porta Comasina (verso sud si incontrano i resti del rivellino della Porta, proprio nel punto in cui le mura ubiche incontravano perpendicolarmente il castello)


 e Porta Vercellina (a ovest, il Rivellino di Porta Vercellina. Quest’ultimo, costruito in corrispondenza della Porta di Santo Spirito, è l’unico ad aver mantenuto visibile l’impianto sforzesco quadrangolare, anche se l’aspetto attuale è il risultato del restauro ad opera dell’architetto Luca Beltrami).  



Ci si accinse ad innalzare il lato verso il giardino e i due torrioni a base circolare del Carmine e di Santo Spirito, così chiamati in quanto rivolti verso la chiesa di Santa Maria del Carmine e di Santo Spirito (non più esistente). Nel febbraio del 1451 si realizzarono i battiponti e si spianarono le due piazze su cui in seguito sarebbero sorti i rivellini rivolti l'uno verso la città e verso il giardino. Per far fronte alla mancanza di liquidità causata dalla sottostima nel costo dei lavori, venne imposta a tutte le città del Ducato una tassa sul carreggio che poteva essere versata in natura o trasformata in denaro; il versamento, tuttavia, non veniva effettuato, veniva eseguito solo parzialmente o subiva spesso ritardi costrigendo il duca a continue sollecitazioni. Vi fu anche qualche problema nel trasporto dei materiali da costruzione dal momento che il legname proveniva dai boschi di Cusago mentre la calce fin da Mergozzo per poi essere trasportata sul Toce, il Lago Maggiore, il Ticino e quindi attraverso il Naviglio Grande giungendo a Milano dopo aver percorso più di 110 km. Infine, nell'estate del 1451 i lavori furono funestati da un'epidemia di peste. In ottobre venne completata la Torre Castellana, ovvero quella della Rocchetta, e si insediò il nuovo castellano Foschino Attendolo.

Nel 1452 Filarete e Jacopo da Cortona vennero ingaggiati dal duca per la costruzione e la decorazione della torre mediana, che tuttora viene chiamata Torre del Filarete. Tra il primo e gli ingegneri milanesi nacquero ben presto screzi dovuti all'altezzosità del primo (che sviliva gli ingegneri ducali chiamandoli muratori) e alla sua ostinazione nel voler decorare la torre con terracotte e beccatelli in marmo, rallentando l'andamento dei lavori. Lo stesso anno vennero realizzati i fossati. Più tardi ai due successe l'architetto militare Bartolomeo Gadio. Alla morte di Francesco Sforza, gli successe il figlio Galeazzo Maria che fece continuare i lavori dall'architetto Benedetto Ferrini. In questi anni fu avviata una grande campagna di affreschi delle sale della corte ducale, affidata ai pittori del ducato, di cui l'esempio più pregevole è la cappella ducale cui lavorò Bonifacio Bembo. Nel 1476, sotto la reggenza di Bona di Savoia, fu costruita la torre omonima.

Nel 1494 salì al potere Ludovico il Moro e il castello divenne sede di una delle corti più ricche e fastose d'Europa. Alla decorazione degli ambienti furono chiamati artisti come Leonardo da Vinci (che affrescò diverse sale dell'appartamento ducale, insieme a Bernardino Zenale e Bernardino Butinone) e Bramante (forse per una ponticella per collegare il castello alla cosiddetta strada coperta), mentre molti pittori affrescarono la Sala della Balla illustrando le gesta di Francesco Sforza. Di Leonardo resta in particolare la pittura di Intrecci vegetali con frutti e monocromi di radici e rocce nella Sala delle Asse, del 1498, mentre nulla rimane del colossale monumento equestre a Francesco Sforza, distrutto dai soldati Francesi prima di essere completato.

Negli anni a seguire il castello fu infatti danneggiato dai continui attacchi che francesi, milanesi e truppe germaniche si scambiarono; fu aggiunto un baluardo allungato chiamato "tenaglia" che dà il nome alla porta vicina Porta Tenaglia e progettato forse da Cesare Cesariano, ma nel 1521 la Torre del Filarete crollò perché un soldato francese fece per errore esplodere una bomba dopo che la torre era stata adibita ad armeria. Ritornato al potere e al castello, Francesco II Sforza ristrutturò e ampliò la fortezza, adibendone una parte a sontuosa dimora della moglie Cristina di Danimarca.



Dopo la morte di Francesco II nel 1535 e la conseguente fine del Ducato, il castello fu ceduto nel 1536 dal conte Massimiliano Stampa, deputato castellano per il duca Francesco II, al re di Spagna Carlo V in seguito a una convenzione stipulata a Bologna: nel febbraio del 1531, infatti, il capitano Giovanni di Mercado aveva ceduto il castello al conte Stampa sotto il giuramento che lo Stampa lo avrebbe a sua volta ceduto solo ed esclusivamente al «Sacratissimo et Invictissimo Carolo Quinto de' Romani Imperatore» ovvero ai suoi successori nel Sacro Romano Impero.

La cessione del castello segnò la fine di un lungo periodo di guerre e mutamenti politici: in trentasei anni dalla caduta di Ludovico il Moro si erano infatti succeduti nove diversi governi: prima i Guasconi di Luigi XII (1500), poi i tedeschi e gli svizzeri comandati da Ascanio Sforza; nuovamente i francesi dopo la presa di Novara; nel 1512 i mercenari svizzeri capitanati dal Cardinale di Sion Matteo Schiner in nome della Lega Santa fino al ritorno dei francesi di Francesco I (1515); nel 1525 l'arrivo delle truppe spagnole di Fernando Francesco d'Avalos, Marchese di Pescara, che abbandonavano il castello sei anno dopo per riprenderlo definitivamente dopo il breve dominio degli ultimi Sforza, Massimiliano e Francesco II.

Passato così sotto il dominio spagnolo del governatore Antonio de Leyva (1480-1536), il castello perse il ruolo di dimora signorile, che passò al Palazzo Ducale, e divenne il fulcro della nuova cittadella, sede delle truppe militari iberiche: la guarnigione era una delle più grandi d'Europa, variabile da 1000 a 3000 uomini, con a capo un castellano spagnolo.
Nel 1550 cominciarono i lavori per il potenziamento delle fortificazioni, con l'aiuto di Vincenzo Seregni: fu costruito un nuovo sistema difensivo di pianta prima pentagonale e poi esagonale (tipica della fortificazione alla moderna): una stella a sei punte portate poi a 12 con l'aggiunta di apposite mezzelune. Le difese esterne raggiunsero così la lunghezza complessiva di 3 km, e coprivano un'area di circa 25,9 ettari. Le antiche sale affrescate furono adibite a falegnameria e a dispense, mentre nei cortili furono costruiti pollai in muratura.

All'inizio del Seicento l'opera fu completata con fossati, che separarono completamente il castello dalla città, e la "strada coperta".

Quando la Lombardia passò dalla Spagna agli Asburgo d'Austria, per mano del grande generale Eugenio di Savoia, il castello conservò la propria destinazione militare. L'unica nota artistica del dominio austriaco è la statua di San Giovanni Nepomuceno, protettore dell'esercito austriaco, posta nel cortile della Piazza d'armi.

Con l'arrivo in Italia di Napoleone, l'Arciduca Ferdinando d'Austria abbandonò il 9 maggio 1796 la città, lasciando al Castello una guarnigione di 2.000 soldati, sotto il comando del tenente colonnello Lamy, con 152 cannoni e buone scorte di polvere, fucili e foraggiamenti. Respinto un primo, velleitario, attacco di un gruppo di Milanesi filo-giacobini, subì l'assedio francese, protratto dal 15 maggio alla fine di giugno. In un primo tempo Napoleone ordinò di ripristinarne le difese, per alloggiarvi una guarnigione di 4000 uomini. Nell'aprile 1799 questa dovette subire l'assedio delle rientranti truppe austro-russe ma, già un anno dopo, all'indomani di Marengo, il dominio francese venne ristabilito.

Già nel 1796 era stata presentata una prima petizione popolare che richiedeva l'abbattimento del castello inteso come simbolo della '"antica tirannide". Con decreto del 23 giugno 1800 Napoleone ne ordinò, in effetti, la totale demolizione. Essa venne realizzata a partire dal 1801, solo in parte per le torri laterali e totalmente per i bastioni spagnoli esterni al palazzo sforzesco, di fronte a una popolazione esultante.

Nel 1801 venne presentato dall'architetto Antolini un progetto per il rimaneggiamento del castello in forme vistosamente neo-classiche, con un atrio a dodici colonne e circondato dal primo progetto di Foro Buonaparte: una piazza circolare di circa 570 metri di diametro, circondata da una sterminata serie di edifici pubblici di forme monumentali (le Terme, il Pantheon, il Museo Nazionale, la Borsa, il Teatro, la Dogana), collegati da portici sui quali si sarebbero aperti magazzini, negozi ed edifici privati. Il progetto fu respinto da Napoleone, il 13 luglio dello stesso anno, perché troppo costoso e, in effetti, sproporzionato per una città di circa 150.000 abitanti.

Venne quindi ripreso in considerazione un secondo progetto, presentato dal Canonica, che limitava l'intervento alla sola parte rivolta verso l'attuale via Dante (che porta comunque il nome dell'ambizioso progetto: Foro Bonaparte) mentre la vasta area retrostante venne adibita a piazza d'armi, coronata, anni più tardi, dall'Arco della Pace, opera del Cagnola, a quel tempo dedicato a Napoleone.

Pochi anni a seguire, nel 1815, Milano e il Regno Lombardo-Veneto, furono annessi nell'Impero d'Austria, sotto il dominio dagli austriaci del Bellegarde e il castello, arricchito di cortine, passaggi, prigioni e fossati, divenne tristemente famoso perché durante la rivolta dei milanesi nel 1848 (le cosiddette Cinque giornate di Milano), il maresciallo Radetzky darà ordine di bombardare la città proprio con suoi cannoni. Durante i tragici avvenimenti delle guerre d'indipendenza italiane, gli austriaci si ritirarono per qualche tempo e i milanesi ne approfittarono per smantellare parte delle difese rivolte verso la città. Quando nel 1859 Milano è definitivamente sabauda e dal 1861 parte del Regno d'Italia, la popolazione invade il castello saccheggiandolo in segno di rivalsa.

Circa venti anni dopo il castello fu oggetto di dibattito: molti milanesi proposero di abbatterlo per dimenticare i secoli di giogo militare e soprattutto per costruire un quartiere residenziale. Tuttavia la cultura storica prevalse e l'architetto Luca Beltrami sottopose il Castello ad un diffuso restauro , quasi una ricostruzione, che ebbe come scopo farlo tornare alle forme della signoria degli Sforza. Il restauro ebbe termine nel 1905, con l'inaugurazione della Torre del Filarete, ricostruita sulla base dei disegni del XVI secolo e dedicata a re Umberto I assassinato pochi anni prima. La torre costituisce anche il fondale prospettico della nuova via Dante.

Nella vecchia piazza d'armi vengono inoltre messe a dimora centinaia di piante del nuovo polmone verde cittadino, il Parco del Sempione, giardino paesaggistico in stile inglese. Il Foro Bonaparte è ricostruito a scopo residenziale anteriormente al castello.

Nel 1977 gli sgraffiti presenti sulla facciata interna (opera del Beltrami) vennero restaurati da Valeriano Dalzini. Direttore dei lavori: Franco Milani.

Nel corso del XX secolo il castello venne danneggiato e ristrutturato dopo la seconda guerra mondiale; negli anni novanta fu costruita in piazza castello una grande fontana ispirata ad una precedentemente installata sul posto che venne smantellata negli anni sessanta durante i lavori per la costruzione della prima linea della metropolitana e non più rimessa dopo il termine dei lavori.


Attualmente il complesso ospita i Musei del castello nelle proprie sale.

Vi è la possibilità di effettuare dei tour guidati del castello


PARCO DEL CITYLIFE

CityLife vanta uno tra i parchi più ampi di Milano, ma soprattutto è ricco di opere d’arte che lo rendono un vero museo a cielo aperto tutto...