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giovedì 10 marzo 2022

PALAZZO MEDICI

 Il palazzo di Corso Magenta 29 che cela i resti del palazzo Medici

Dall’ingresso al 5 di via Terraggio si possono visitare gli omonimi giardini, resti di quelli annessi al palazzo mediceo e nei quali si possono apprezzare con calma alcuni elementi del muro laterale di Palazzo Medici.
Milano, restauro di Casa Medici (palazzo del '400) e del cinema Orchidea in via Terraggio (corso Magenta)
„Al civico 29, dietro ad un portone di legno, ecco che si vede, in fondo al cortile quella che un tempo era la casa milanese del Magnifico, Lorenzo De' Medici“
Lorenzo de' Medici riceve in dono da parte di Galeazzo Visconti e Lodovico il Moro“ nel 1486 un palazzo oggi all’angolo fra via Terraggio e corso Magenta e un altro in via San Maurilio, di cui non si sa quasi nulla. Anche se non vi risiederà mai e non lo porterà a termine, Lorenzo de’ Medici fa ristrutturare l'edificio di corso Magenta,
„Di Casa Medici restano ormai poche tracce: L’ambiente più notevole del complesso è la grande sala, lunga più di 37 metri e alta 8, oggi parte del Nuovo Cinema Orchidea che presenta una corte porticata a U con in fondo una sequenza di nicchie mentre all’esterno c’era una curiosa combinazione di fregi in cotto, bugnato e scudi in rilievo (perduta nel 1900, quando il palazzo diventa una casa di ringhiera), tre colonne incastonate nella parete in muratura ad un lato del cortile e sei nicchie di grandi dimensioni sul muro, tre delle quali sono state trasformate in finestre.“ è l'antico refettorio del convento che vi si installò dopo la famiglia Medici e che era stato trasformato in un cinema d'essai.
„Gran parte del palazzo originale venne demolito nel 1895 per fare posto all'attuale immobile, inserito all'interno di un primo cinematografo (Dante), già prima della Seconda Guerra Mondiale. Il nome Orchidea risale al 1946, mentre dal 1960 al 1991 è stata una sala dedicata ai film d'autore, prima di trasformarsi in una sala da prima visione.“

mercoledì 9 marzo 2022

MULINO MOSCA

 

L’edificio, sorto nel 1886 in aperta campagna, oggi non conserva più i macchinari per la macinazione ma è sede di un’agenzia di pubblicità, di attività commerciali e di abitazioni private. All’epoca della sua fondazione il Mulino Mosca era un’istituzione all’avanguardia: è infatti stato il primo impianto ad alta macinazione di Milano a utilizzare il vapore prima e l'energia elettrica poi.

Il Mulino ha rappresentato un elemento di sviluppo per l'intero quartiere di Porta Tenaglia e un incentivo alla progressiva urbanizzazione della zona, tanto che già nel 1890 vengono aperte due nuove vie, Bertini e Lomazzo.
Dopo un periodo di declino, l’attività del mulino è interrotta definitivamente. I lavori di ristrutturazione eseguiti in seguito, nel 1970 e nel 1996, hanno permesso il recupero di oltre il 60% dei 27.000 metri quadrati di superficie originari, utilizzati per ospitare la J. Walter Thompson, un’agenzia internazionale di comunicazione nata negli Stati Uniti nel 1864 e approdata in Italia nel 1951.

CORTILE DELLA SETA

storico palazzo del Cortile della Seta, nel quartiere di Brera, di fronte alla sede del Corriere, in Via della Moscova 33 e Via Solferino 21.

Fino a qualche anno fa qui aveva sede il quartiere generale della Banca Popolare Commercio e Industria.
Il sobrio palazzo di fine ‘800, sarà completamente ristrutturato.
Prima del quartier generale della Banca Popolare Commercio e Industria, nell’Ottocento c’era il vecchio Cortile della Seta, luogo in cui avveniva il carico e scarico di decine di migliaia di balle contenenti bozzoli, cascami e filati di seta. Lo costruì la Cooperativa per la Stagionatura e l’Assaggio (inteso come “valutazione”) delle Sete, di cui la banca è l’erede.
Quella facciata da sobrio palazzo con pochi fronzoli decorativi, ristrutturata molte volte, nasconde in realtà la sede in cui sfilavano i carri dei bigattèe (i “setaioli”) e si trovavano i depositi di filati e i banchi del mercato sotto ad una volta vetrata al centro del cortile. Qui venne fondata, nel dicembre del 1888, l’Anonima della Seta, formata da un’antica associazione di mutua assistenza (gilda) di 77 imprenditori milanesi che ben presto trasformarono questa zona ai margini del quartiere di Brera nel luogo in cui si riunivano commercianti e mediatori in quello che era lo Stradone di Santa Teresa. L’attività svolta dalla società cooperativa dei setaioli era duplice. Non c’era solo l’aspetto tecnico, con le operazioni di valutazione delle merci, pesatura, stagionatura, magazzino e custodia di bozzoli, sete e cascami.
Importante era anche l’attività finanziaria, che veniva svolta anticipando denaro su garanzia del deposito di merci e gestione della moneta fonita dai soci e dagli addetti. Nel tempo, l’aspetto finanziario finì per prevalere su quello tecnico, tanto che le due attività vennero scorporate e la società cominciò a occuparsi di tutte le operazioni svolte dalle normali aziende di credito.
Nel corso della seconda guerra mondiale il palazzo che ospitava il Cortile della Seta venne colpito dai bombardamenti e fu ricostruito e ampliato dall’architetto Caccia Dominioni, mantenendo l’aspetto ottocentesco all’esterno e rialzandolo di un piano. La nuova costruzione fu inaugurata solo nel 1954. Lo stabile ottocentesco aveva ancora il cortile un tempo utilizzato come disimpegno del magazzino merci della stagionatura, dove circolavano i carri adibiti al trasporto delle balle di seta. Parzialmente ricostruito secondo il modello originario, venne utilizzato per ospitare manifestazioni, esposizioni e incontri culturali.
Il nuovo progetto realizzato da Asti Architetti, prevede diverse modifiche al palazzo, pur mantenendone l’aspetto generale. Verranno aperte nuove vetrine al piano commerciale (ora ci sono finestre al piano rialzato), e sopratutto verrà rialzato di un piano con un sopralzo con evidenti costolature metalliche parzialmente inclinate a scandire il ritmo di vetrate a tutt’altezza che ne seguono il profilo, che un po’ ricorda il linguaggio architettonico usato per la Feltrinelli di viale Pasubio.

MIRALAGO DI LAMBRATE

 

Alla fine degli anni 10 del '900 sorse vicino alle Rottole, a Lambrate, il Miralago, una struttura sportiva con ristorante, birreria, noleggio barche e canoe e solarium.

Il bacino d'acqua utilizzato era probabilmente una ex cava situata a sud dell'attuale via Feltre, subito ad est di Piazza Udine. I terreni erano di proprietà della famiglia di vivaisti Ingegnoli, che a fine 800 avevano spostato il vivaio principale proprio alla Cascina Melghera, sita tra via Feltre e via Crescenzago.
Sull'altro lato di viale Feltre si trovavano altri due laghetti, poi uniti negli anni 30, denominati Lago Parco e nelle cui vicinanze si trovava un luna park, che verrà poi inglobato nel Parco Lambro. Sulle sponde del laghetto e a fianco delle strutture del Miralago, affittando i terreni dagli Ingegnoli, sorgerà il “Tennis MonteRosa” nel 1926; pochi anni dopo cambiò ragione sociale in “Tennis Club Miralago”. A causa della costruzione del Quartiere Feltre, venne sfrattato, ma il Comune di Milano cede un’area di 25.000 mq. in Via Feltre, dove si trovava l'altro laghetto. Su quest’area viene edificata l’attuale sede del Tennis Club Ambrosiano, che viene inaugurata il 25 maggio 1963. Nei primi anni 50 entrambi i laghetti vengono prosciugati.

ISTITUTO MARCHIONDI

A Baggio c’è un edificio ritenuto da molti studiosi come uno dei più importanti esempi al mondo di brutalismo, nota corrente architettonica novecentesca. Si tratta dell’ex Istituto Marchiondi.

L’istituto Marchiondi, successivamente Marchiondi Spagliardi, venne fondato nell’Ottocento, con la finalità di educare i ragazzi “difficili”, di fornire loro, e ai figli provenienti di famiglie disagiate, un minimo di formazione scolastica e professionale, molto meno di un carcere come il Beccaria, ma molto di più che una scuola tipo “riformatorio”!
una città dei bambini, uno di quei posti per ragazzini “speciali”, come lo sono i Martinitt Ma nella vecchia Milano, tra le varie istituzioni assistenziali dedicate all’infanzia disagiata, vi era un luogo chiamato Marchiondi, dal nome del suo fondatore, un padre somasco. Gli ospiti di questa grande “colonia” erano detti appunto Marchiondini o Barabitt.
Qui i bambini “difficili” venivano affidati alle pratiche correzionali. Ma nella maggior parte dei casi la loro condotta, cosiddetta immorale, era dovuta a sfortuna, a miseria e abbandono. Tra le tante testimonianze ricordiamo quella del giovane Giovanni Segantini, poi divenuto il pittore alfiere del divisionismo, che privato di un ambito familiare vero e proprio, viene avviato dalla vita al vagabondaggio. Nel 1870 è rinchiuso nel riformatorio Marchiondi di Milano, dal quale tenta di fuggire nel 1871 per poi rimanerci fino al 1873.
Durante la seconda guerra l’istituto Marchiondi contava circa 200 ragazzi e una cinquantina di addetti. Rimase in via Quadronno fino all’autunno/inverno del ’42, quando iniziarono i primi sporadici bombardamenti inglesi su Milano (quelli “pesanti” avvennero solo nel ’43, avendo a quel punto gli americani a disposizione le basi aree della Sicilia conquistata). Su iniziativa del direttore fu trasferito a Castel Palú, nei pressi di Vipiteno, in Alto adige, identificando -grazie al fratello che lí viveva- nel posto una zona idonea e ben protetta dall’alleato tedesco. Dopo l’otto settembre i tedeschi, determinati a vendicare il “tradimento” invasero la regione con i peggiori propositi. Non di meno venne riconosciuta e rispettata la funzione sociale dell’istituto e fu organizzato un treno per il trasferimento delle 250 persone a Corbetta, vicino a Magenta. Lí rimase fino al termine del conflitto, e nell’estate del 45, riparato il tetto bruciato a causa di una bomba incendiaria, rientrò alla base di via Quadronno. Il direttore ( dal ’35 al ’45) era Erminio Clara.
Ricopriva una vasta area centrale dietro piazza Cardinal Ferrari, dove è rimasta una via chiamata, appunto, Marchiondi.
L’edificio originario, a pianta esagonale, ricopriva una vasta area centrale in via Quadronno al 26, dietro piazza Cardinal Ferrari. Durante la Seconda Guerra Mondiale venne colpito duramente dai bombardamenti riducendolo in macerie. Dopo la guerra l’area venne riqualificata e destinata ad altri scopi, al suo posto oggi vi è il Giardino Oriana Fallaci
Così per l’istituto venne scelto un altro luogo perciò si trovò un lotto a Baggio.
Si deliberò, quindi, di realizzare una nuova sede per l’istituto, e la progettazione venne affidata al famoso architetto Vittoriano Viganò, allievo di Giò Ponti, il quale si stava dedicando allo studio dell’uso dei materiali poveri nonché ai rapporti tra spazi aperti e città, in modo da realizzare un’estetica anti elegante e “non finita” in contrapposizione alla cultura borghese.
Il nuovo istituto di educazione fu quindi trasferito a Baggio in via Noale nel 1957 assumendo la denominazione Marchiondi Spagliardi.
Definito edificio “neo- brutalista”, con cemento armato a vista, è considerato di primaria importanza nell’evoluzione dell’architettura moderna mondiale ed è frutto di una stretta collaborazione tra il progettista e gli educatori, in un atteggiamento sociale e pedagogico altamente avanzato, soprattutto per l’epoca. Non vennero previste sbarre nei reparti, ma spazi comunicanti e aperti idonei a favorire la socializzazione democratica degli ospiti. L’obiettivo era di costruire non una prigione, ma una “scuola di vita”. Il complesso è circondato da un muro basso che non da’ l’impressione di un luogo di reclusione.
Oramai da decenni l’ex Istituto Marchiondi è un edificio di cemento abbandonato alla periferia di Baggio.
La storia di questo complesso è paradossale. Un gioiello architettonico firmato da Vittoriano Viganò e considerato un capolavoro «brutalista», dove possiamo trovare persino un plastico del progetto esposto al Moma di New York. La struttura venne chiusa nel 1970 e da alcuni anni quegli edifici sono sottoposti a vincolo della Sovrintendenza ai beni architettonici.
Questo vincolo, però, invece di tutelare l’edificio, ne sta compromettendo il futuro, lasciandolo nel totale degrado e abbandono già da molti anni. L’abbandono, oltre a rendere la struttura deteriorata e decadente, spesso è stata luogo di rifugio per senzatetto, portando degrado anche al circondario.

martedì 1 marzo 2022

PALAZZO DEL MERCATO

Il "mercato" in oggetto era costituito da un edificio ottocentesco, di non grandi dimensioni, dove trovavano posto i banchi per la vendita di frutta, verdura e ortaggi. 

Era stato costruito su progetto dell'ing. Nazari nel 1872, nello slargo compreso tra la via ponte Vetero, il foro Bonaparte e l'inizio del corso di porta Comasina (poi Garibaldi).

Fu il sindaco Belinzaghi a voler riqualificare la zona: deliberò così che la via si chiamasse appunto "mercato", e le vie laterali che conducevano al foro prendessero il nome di Arco, Erbe, Frutta e Tivoli. 

L'edificio non ebbe lunga vita: alla fine degli anni Dieci del Novecento risultò in contrasto con gli sviluppi economici della zona, e venne quindi smantellato.

martedì 8 febbraio 2022

ALBERGO COMMERICO

Tutti sanno, o dovrebbero sapere, ciò che è accaduto a Milano, in piazza Fontana, il 12 dicembre del 1969. In pochi sanno, invece, quello che è successo a pochi metri di distanza, sempre in piazza Fontana, circa un anno prima. Si tratta di un fatto dimenticato, quasi sepolto nella memoria dei milanesi, ma che, a suo modo, è paradigmatico del Sessantotto, inteso come periodo in cui è andata in onda la rivoluzione culturale e sociale che prometteva un cambiamento del sistema di vita.

Stiamo parlando dell’invasione da parte degli universitari dell’ex albergo del Commercio, uno stabile abbandonato, fatiscente, ma in posizione strategica, situato a pochi passi dal Duomo, in pieno centro storico e proprio di fronte alla Banca Nazionale dell’Agricoltura, dove, appunto, il 12 dicembre del ’69 esplose la bomba che inaugurò la stagione degli opposti estremismi. Della strategia della tensione. Un’esplosione che causò 17 morti e oltre 80 feriti. In molti dicono che quel giorno l’Italia perse l’innocenza e che il Sessantotto divenne qualcosa di diverso, si tramutò negli anni di piombo. Dieci anni durante i quali la gente aveva paura di uscire di casa. La piazza, con la sua fontana realizzata dal Piermarini con marmo rosa di Baveno, ricorda le vittime con delle “pietre d’inciampo”. La banca però non esiste più così come era negli anni Sessanta. Adesso, è stata acquisita dal Monte dei Paschi di Siena ed è rimasta solamente la scritta a memoria della strage.

L’occupazione dell’ex albergo del Commercio si è svolta 12 mesi e due settimane prima del botto. È iniziata bene, con gli studenti che ruppero i sigilli ed entrarono abusivamente nell’ex hotel per protestare contro le condizioni pietose della Casa dello studente di viale Romagna, ma è finita male, molto male, con uno sgombero e una demolizione ordinata dal Comune ed eseguita da oltre 100 fra agenti di polizia e carabinieri. L’occupazione venne decisa il 28 novembre del 1968, al termine di una mattinata in cui si era svolta una manifestazione con migliaia di studenti provenienti dalle università e dalle scuole superiori e medie di Milano e hinterland. L’intenzione iniziale era di entrare di forza nel Palazzo Reale, quello che si trova accanto al Duomo. L’idea iniziale, tuttavia, fu presto abbandonata. Era un fuoco di paglia. Anzi, un’azione dimostrativa o poco più. Meglio qualcosa di più concreto. Si decise così di indirizzare l’attenzione verso l’ex albergo del Commercio di piazza Fontana, realizzato nel 1958 e chiuso sei anni dopo, rilevato pochi mesi prima da Palazzo Marino. Mancavano tavoli, sedie, letti e persino gabinetti. Quelli che c’erano erano ridotti così male che era impossibile utilizzarli. I ragazzi pulirono i locali interni, tinteggiarono i muri, resero utilizzabili le stanze, per l’elettricità si allacciarono al contatore di un negozio anch’esso abbandonato e per l’acqua  scoprirono un rubinetto ancora funzionante dimenticato all’interno dell’hotel. Lo chiamarono la Nuova Casa dello studente e del lavoratore. Il loro obiettivo era di aprire un dialogo con la giunta municipale, quel tempo retta dal sindaco, Aldo Aniasi. “A Milano – si legge in un volantino distribuito durante il corteo – ci sono 2.300 posti letto per più di 20.000 studenti fuori sede. Più di 1.800 hanno rette superiori alle 60.000 lire al mese ed arrivano fino a 110.000 lire; dei 2.300 posti letto solo 900 sono statali”. E la situazione rischia di diventare esplosiva quando, per mancanza di posti letto, più di 300 studenti fuori sede e “bisognosi” non vengono accolti.

Tuttavia, col passare delle settimane, la situazione così come è stata descritta cambiò. Giusto il tempo di passare il Natale e l’ex albergo del Commercio si trasformò in qualcosa di diverso. Lo stabile a pochi metri dalla Banca Nazionale dell’Agricoltura da Nuova Casa dello studente diventò una centrale nella quale trovarono rifugio prima maoisti, stalinisti, anarchici e marxisti. Poi, sbandati e delinquenti comuni in cerca di un tetto dove passare la notte. Tra l’inverno e l’estate l’ex albergo del Commercio diventò un punto di riferimento dal quale partirono i raid punitivi più importanti. Uno su tutti quello del febbraio 1969, quando i manifestanti diedero battaglia alla polizia davanti al consolato americano. Così, a fine agosto del 1969, il Comune decise lo sgombero e la conseguente demolizione.

Il via alle operazioni venne dato la mattina molto presto, prima delle cinque. Furono rinvenute bottiglie molotov, sassi, spranghe, bastoni, bandiere e una pistola, una calibro 7,65, nascosta in una culla. Fra gli occupanti furono trovate anche alcune famiglie con figli piccoli, quattro ragazzi del Sud che avevano dovuto pagare 1.000 lire per sostare all’interno dell’hotel e un professore che, per sdebitarsi, dava ripetizioni di matematica ai presenti. Insomma, l’ex hotel del Commercio aveva completamente cambiato pelle.

Adesso, al suo posto sorge un hotel super lusso per persone straricche. Il suo nome è Rosa Grand Milano – Starhotels Collezione. Un nome strano, ma ciò che conta è che soffermarsi a guardarlo significa in un certo modo fermarsi a osservare un simbolo della contestazione giovanile che sul finire degli anni Sessanta ha sconvolto Milano. All’inizio i giovani scendevano nelle strade e nelle piazze per protestare contro la società, contro la scuola e contro la famiglia. Poi, i cortei e gli slogan sono diventati bombe e spedizioni punitive. La piazza non è più quella dello sgombero della demolizione. Negli anni ha subito diverse trasformazioni. A partire dagli anni Trenta i piani regolatori hanno previsto diverse modifiche. Si può dire che ogni 10 anni piazza Fontana abbia subito dei cambiamenti fino ai più recenti, risalenti a pochi anni fa, quando sono state abbattute le ultime case che ricordavano una Milano che non esiste più.

HOTEL MARINO ALLA SCALA

Se da sempre il “Grand Hotel et de Milan”, godeva della meritata fama di essere stato l’albergo prediletto da Giuseppe Verdi, diventando così l’albergo di riferimento per chi frequentava il Teatro alla Scala, l’Hotel Marino alla Scala (dai milanesi chiamato Marino Scala), situato nel palazzo adiacente proprio al famoso Teatro, si vantava di essere, di converso, l’Hotel scelto dai veri appassionati, dai melomani appunto, o comunque da quella variegata e ricca borghesia Lombarda che utilizzava la prossimità del Marino Scala al Teatro  per “non sporcarsi le scarpe”. I palazzi infatti, erano così adiacenti che si poteva passare dalla Hall dell’Hotel al Foyer del Teatro senza mettere a repentaglio scarpe laccate, smoking o frac ed eleganti vestiti lunghi delle Signore.

La denominazione dell’Albergo riprendeva anche la suntuosa vista di Piazza della Scala verso Palazzo Marino, realizzato nel 1558 e commissionato da un ricchissimo banchiere genovese Tommaso Marino che, poi, ne fece dono di nozze alla giovane moglie. Ne aveva ben donde, avendo, all’epoca del matrimonio, la venerabile età di  71 anni… In realtà andò che il Marino ebbe il tempo di sperperare in città tutta la sua fortuna per passare a miglior vita a ben 97 anni! E qui un’altra chiosa: la celebre Monaca di Monza non era nient’altro che sua nipote Marianna Levya, che ricevette, come lascito, una porzione del palazzo, oggi sede del Comune di Milano. Insomma il Marino Scala ha sempre goduto di uno status prestigioso e di un riconoscimento particolare, al punto che, ancora oggi, qualche anziano taxista ama ricordare che i clienti  più munifici erano quelli che si portavano al Marino Scala.

L’albergo cessò la sua attività negli anni ’80 e il marchio fu stato comprato e depositato dalla Famiglia Trussardi, che aveva acquistato il palazzo anni addietro occupandone a favore della Maison di Moda il piano terra; e destinando il primo piano al famoso ristorante stellato.

lunedì 7 febbraio 2022

RIFUGIO ANTIAEREO VIA ANSPERTO DA BAGGIO

Nel 1989, data in cui si è potuto esplorare e studiare il rifugio antiaereo, l’unico accesso praticabile era situato nel cortile di pertinenza del Museo ArcheologicoSi trattava dell’uscita di sicurezza a pozzo, il cui sbocco era protetto da una piccola costruzione in muratura. L’accesso principale doveva trovarsi in Via Ansperto, di fronte alla palazzina che ospitava e tutt’oggi ospita la caserma dei Vigili del Fuoco. Come si può vedere nel rilievo una lunga scalinata scende fino a 7,5 m circa dalla soprastante quota campagna, per risalire leggermente con una successiva breve rampa, al termine della quale il corridoio prosegue lasciando al lato sinistro l’uscita di sicurezza a pozzo, la cui percorrenza è garantita da pioli metallici inseriti nella muratura. L’andamento è ben progettato, anche per frenare eventuali onde d’urto, ed è possibile apprezzare lo spessore di almeno una delle pareti della camera del rifugio: 2 m. L’accesso alla camera è protetto da un muro, parasoffio e paraschegge, e questa è lunga 16 m e larga 5,49 m, con il soffitto alto al culmine 2,6 m. Anche l’accesso secondario è protetto da uno spesso muro, analogo al precedente e dà verso l’altra uscita di sicurezza, sempre a pozzo, ma suddivisa in due rampe da un ballatoio. L’ambiente è stato trovato totalmente spoglio, privo persino degli alloggiamenti per le porte blindate, tagliati con la fiamma ossidrica. Il pavimento è in cemento, ricoperto da uno spesso strato di polvere da cui emergono frammenti di metallo, guarnizioni, alcuni mattoni. Alla sommità del vano il pozzo d’accesso è ostruito. Con una lettera del 21 aprile 1943 (n. 241) la Regia Prefettura di Milano, Comitato Provinciale di Protezione Antiaerea, interessa la Provincia affinché si dia inizio alla costruzione di un rifugio antiaereo «blindato» per il Comando del 52° Corpo dei Vigili del Fuoco, il quale ha sede presso la caserma di Via Ansperto (Archivio della Provincia di Milano, Anno 1940, fasc. 1604).
Il rifugio, o meglio il bunker, sarà sotterraneo e realizzato in calcestruzzo di cemento armato. Il 14 maggio dello stesso anno si stipula il contratto con l’Impresa castelli Costruzioni Edilizie di Milano, per un importo di £ 520.000. In uno dei documenti dell’Archivio della Provincia di Milano il progetto del corpo centrale del rifugio compare però sotto la seguente dicitura: «Ricovero Pubblico Rione Magenta». I lavori hanno inizio, ma le vicende belliche procrastineranno la conclusione dei lavori ben oltre il termine del conflitto. In una delibera del 21 agosto 1951 la Giunta Provinciale approva sia lo stato finale «dei lavori da muratore», sia il residuo pagamento degli stessi.
Secondo informazioni, che ad oggi non hanno trovato conferma nei documenti, l’opera sarebbe stata utilizzata nel corso della cosiddetta «guerra fredda».
Successivamente “convertito” in archivio, è oggi abbandonato.

CASA BORROMEO

Si trovava all’inizio del vicolo, di fianco a Santo Stefano, ed era stata una delle proprietà di casa Trivulzio, di cui a pochi passi esisteva la principesca dimora ricordata da vari autori e finita in pezzi nel 1925. Questa era stata ceduta ai Borromeo, e nella seconda metà del Seicento era abitata dai «Famosissimi Nipoti» nonché «dall’illustriss. Sig. Conte Antonio fratello del già fù Sig. Cardinale Federico promosso alla porpora da Clemente X, Sommo Pontefice, dopo d’essere stato Nunzio alla Cattolica Maestà del Ré di Spagna Carlo Secondo; benché per di fuori questa Casa rassembri scema (priva) di modernità, non vi mancano nel suo interno appartamenti plausibili degni di ricettare eredi di Famiglia cosi Nobile, che in molti secoli seppe esporre al Mondo Eroi di stimatissima Fama, si ne’ maneggi di Principi secolari, quanto in quegli dell’Ecclesiastico Vaticano» [Torre, 1674]. Ma appena un secolo dopo, di tanta gloria le era rimasto soltanto il nome: vi abitava infatti S.A. il principe Sigismondo Kevenhüller. Ma conservava ancora «moltissime belle e rare cose a soda, e piacevole erudizione» [Bianconi, 1787]. In una barocca sviolinata di puro stile cortigianesco, il Bianconi trascura il palazzo, ornato di «scelte Pitture», ma ci informa di una ricca e pregevole raccolta numismatica che doveva essere ben nota nella Milano del tempo.
Inglobato nel moderno palazzo posto ad angolo tra la via Rugabella e piazza Erculea, è stato risparmiato e inglobato un interessantissimo rimasuglio diel Palazzo Borromeo in pietra.

VILLA DELLE ROSE

In via Dardanoni, proprio di fronte alla Villa Folli esisteva nel ‘500 la Villa delle Rose della famiglia Borromeo. L’esistenza della struttura è documentata dalla carta del Zisla risalente al 1721
Il rappresentante più noto della famiglia: San Carlo Borromeo, venne tre volte in visita pastorale a Lambrate tra il 1569 e il 1573. In tutte e tre le occasioni officiò messa alla Cappelletta e non alla chiesa di San Martino. Secondo Pino Bellavita,  è probabile che questa scelta sia stata fatta proprio per la vicinanza con la dimora di famiglia.
Demolita a fine settecento, della villa delle Rose rimane solo il vestibolo, oggi scarsamente riconoscibile perché inglobato, con un discutibile restauro all’interno di una struttura dell’Ospedale San Raffaele.
Ricordare il Vestibolo come era negli anni 70 (immagine all'inizio dell'articolo), quando la struttura era isolata e circondata da un po’ di verde con un orto e … un’altalena. La cosa poteva sembrare strana perché in quegli anni la casa era abitata da Pina, una signora anziana che viveva sola.
A Pina, che non aveva avuto figli i bambini piacevano e li ospitava volentieri offrendogli del the coi biscotti e facendoli giocare, appunto, sull’altalena.

VILLINO PONTI - BORGHI

Questa è la storia di un angolo di Milano totalmente stravolto e cancellato, un angolo oggi dominato da una serie di edifici costruiti a partire dal 1919, diventati a loro volta iconici e tra le migliori opere
degli architetti che li hanno progettati.
L'incrocio in questione è quello tra le vie, oggi chiamate, via Moscova, largo Donegani, via Turati, via Principe Amedeo e largo Stati Uniti d'America.
La via Turati, intorno al quale si è sviluppato tutto il quartiere, è una strada molto recente.Fu infatti aperta, col nome di via Principe Umberto, appositamente per collegare il centro della città con la prima Stazione Centrale che venne inaugurata nel 1864 in Piazza della Repubblica.
La stazione venne infatti realizzata a metà strada tra due porte, Porta Nuova e Porta Venezia; la Milano di allora era infatti ancora chiusa entro i Bastioni Spagnoli.
Per ovviare alla mancanza di un collegamento diretto col centro città venne quindi aperto un varco nel Bastione di Porta Venezia, poi chiamato Porta o Barriera Principe Umberto.
Il traforo nei bastioni fu opera del Balzaretto, già impegnato nella sistemazione dei vicini Giardini Pubblici.
Per la sua costruzione vennero fatte arrivare da Bruxelles le colonne in ghisa, realizzate in stile Secondo Impero, a sostegno del sovrastante cavalcavia, in modo di non interrompere il traffico sui soprastanti Bastioni.
Tra gli edifici demoliti per realizzare la nuova strada venne sacrificata la chiesa di San Bartolomeo.
Il curioso tracciato di via Turati, che presenta un angolo molto accentuato all'altezza dell'odierno largo Donegani, è dovuto a problemi di esproprio di terreni da parte del Comune di Milano nel 1860. Non riuscendo quindi a collegare direttamente piazza Cavour con la nuova Stazione Centrale sita in piazza della Repubblica, si decise per un percorso che contemplasse un brusco cambio di direzione, proprio nel punto in cui la nuova strada avrebbe incrociato lo stradone di Sant'Angelo, oggi via Moscova.
Quando il nuovo tracciato fu realizzato, correva quasi totalmente tra campi della vicina Caserma di Sant'Angelo e i giardini di Palazzo Melzi d'Eril, che all'epoca si affacciava sulla strada della Cavalchina, oggi via Manin.
Alcune delle più ricche famiglie dell'alta borghesia milanese si aggiudicarono alcuni dei lotti lungo il nuovo tracciato ed edificarono alcune splendide ville, con ampi giardini, in quello che presto venne chiamato Quartiere Principe Umberto.
La più bella, senza alcun dubbio, fu Villa Ponti, più nota come Villa Borghi, costruita tra il 1865 sull'angolo nord occidentale dell'odierno Largo Donegani, all'incrocio tra corso Principe Umberto/via Turati e la strada di Sant'Angelo/via Moscova.
Il progetto fu opera di uno dei migliori architetti e ingegneri dell'epoca (nonché matematico), Emilio Alemagna, che la realizzò per la famiglia Ponti, che poco dopo la costruzione la cedette ai fratelli Borghi.
Villa Borghi si presentava come una sorta di casa dai tetti molto spioventi, con rimandi neogotici, con due piani fuori terra e ampi sottotetti abitabili. La villa era arretrata rispetto alla strada, quasi sul margine dell'appezzamento.
L'enorme giardino piantumato, occupava l'isolato tra le odierne vie Turati, Cavalieri, Appiani e Moscova.
Nel 1878 fu realizzato un piccolo edificio a fianco del cancello di ingresso che dava su largo Donegani e l'anno seguente, sempre su progetto di Emilio Alemagna, fu abbattuto e ricostruito realizzando prima un villino di dimensioni più piccole alla villa principale, ma molto simile architettonicamente.
Successivamente l'edificio fu prolungato fino a piegare in via Appiani e a percorrerla per una buona metà.
Durante la Grande Guerra la villa venne utilizzata come Ospedale Militare, accogliendo i feriti che arrivavano con le tradotte alla vicina Stazione Centrale.
L'intero isolato venne venduto nel primo Dopoguerra e la nuova proprietà incaricò lo studio dell’ingegnere Pier Fausto Barelli e dell’architetto Vittorino Colonnese di preparare un progetto per edificare l'intera area.
La due ville furono rapidamente demolite, tra le proteste dei milanesi; il progetto presentato fu però respinto dalla proprietà e lo studio diede mandato ad un giovane architetto assunto poco prima, nel dicembre del 1919, Giovanni Muzio, nato a Milano nel 1893.
Muzio stravolge totalmente il progetto preliminare e realizza quello che poi sarà il manifesto architettonico del movimento artistico chiamato "Novecento".
Quando nei primi mesi del 1922 si smontano i ponteggi e i milanesi possono finalmente vedere il nuovo palazzo, scoppia un pandemonio.
Il palazzo è colossale, enorme, il più alto di Milano con i suoi 7 piani più due altane.
Sino al 1920 infatti le case dentro i Bastioni non potevano superare i 5/4 della larghezza del vicolo o della strada su cui si affacciavano e ulteriori limiti erano previsti a secondo della dimensione della corte interna. Dato che la maglia viaria di Milano era ancora molto stretta in quasi tutta la città, i palazzi erano giocoforza molto bassi.
Al di fuori dei Bastioni vi era invece due leggi che regolamentava le altezze degli edifici. Una non scritta, la Servitù del Resegone, che prevedeva che tutte le case più vicine alla cinta muraria non potessero essere più alte dei bastioni stessi, in modo da non coprire la corona alpina che si doveva vedere da tutta la città; una seconda, ufficiale, fissava il limite massimo di altezza di un palazzo a 24 metri fuori terra, limite raggiunto in quegli anni solo da un edificio, un palazzo di corso Buenos Aires al 76.
Per permettere la costruzione del nuovo palazzo del Muzio, il Consiglio Comunale dovette modificare la legge e permettere la costruzione di edifici di 24 metri anche entro la Cerchia dei Bastioni.
Nel giro di poco tempo i milanesi, che non amavano quell'edificio, iniziarono a chiamarlo "la Cà Brütta", soprannome che divenne poi il nome ufficiale del palazzo!
Nelle polemiche si inserì anche il Comune, quando i tecnici si accorsero che le due grandi altane, poste agli angoli degli edifici, erano del tutto abusive e non riportate nel progetto approvato.
Una delle due altane è visibile nella foto qui sopra. In primo piano si vede anche il monumento ad Agostino Bertani, di Vincenzo Vela, inaugurato il 5 maggio 1885, poi spostato in piazza Fratelli Bandiera.
Nel 1923 vennero quindi demolite e la Cà Brütta assunse al forma definitiva.
Il progetto del Muzio era comunque realmente all'avanguardia. I terrazzi e la copertura erano trasformati in giardini, il palazzo fu il primo a Milano, e probabilmente in Italia, ad avere dei box sotterranei riservati ai residenti.
I Moti di Milano del 1898, detti anche Moti del Pane.
Scontri di piazza, avvenuti tra il 6 e il 9 maggio del '98, tra lavoratori, anarchici, socialisti e i militari guidati dal Generale Bava Beccaris. Sulla sinistra si vede un lampione e la cancellata di Villa Borghi. Sullo sfondo il sottopasso dei Bastioni di Porta Venezia e oltre la prima Stazione Centrale.

domenica 6 febbraio 2022

PALAZZO MACIACCHINI

In largo Donegani, dove adesso c'è la nuova fontana, c'era il monumento al medico e politico Agostino Bertani, monumento spostato in piazza Fratelli Bandiera. Via Turati si chiamava via Principe Umberto. Dietro la statua c'era il Palazzo Maciachini (1868), il Maciachini (1818 - 1899) che aveva realizzato il Cimitero Monumentale, e i material del palazzo lo ricordano.
E' stato Demolito per costruire il palazzo Montecatini di Gio' Ponti

PALAZZO DI PIO IV

“Sino a 25 anni or sono” scrivevano nel 1892 Fumagalli, Sant’Ambrogio e Beltrami nel loro volume Reminiscenze di storia ed arte “di fronte al grandioso palazzo … dell’accademia di Brera, richiamava l’attenzione un’altra costruzione monumentale la cui ricca ed elegante decorazione architettonica non sorpassava però l’altezza della cornice del piano terreno…”.
Insomma, il passante che si trovava a percorrere la contrada, si trovava di fronte ad un potenziale grandioso palazzo, al civico 1556, del quale però poteva ammirare solo il piano terra, visto che il cantiere si era ben presto arrestato.
Il primo piano, senza alcun valore, era un’aggiunta successiva, economica e sgraziata, voluta dai proprietari che ne rilevarono i terreni fin dal XVII secolo, i Castelbarco-Simonetta.
Nel 1864 l’incompiuto palazzo era stato poi rilevato da un ricco borghese di nome Gonzales, il quale dopo solo un anno (quindi nel 1865) provvedeva alla totale demolizione, per sfruttare appieno il terreno così liberato, e l’annesso giardino, in un momento in cui l’espansione urbana in quella parte di Milano iniziava a dare i suoi frutti e tornaconti.
Al suo posto vennero così innalzati degli edifici tardo ottocenteschi fatti di appartamenti per la borghesia, peraltro più arretrati, per far risultare più larga e agevole al transito la via Brera
Del palazzo incompiuto e così velocemente e senza rimpianti demolito, poche sono le tracce rimaste.
Ma chi era il committente di un così grandisoso progetto mai completato? L’artefice della costruzione fu Giovanni Angelo Medici di Marignano (1499-1565) (fratello dell'altrettanto famoso Gian Giacomo, detto il Meneghino, capitano di ventura), salito al soglio pontificio il 24 dicembre 1559, col nome di Pio IV
Divenuto Pontefice, per la sua Milano aveva in mente tre progetti: un palazzo familiare di rappresentanza in via Brera, un degno monumento funebre al fratello da poco scomparso, una ricca sede per i Giureconsulti, o Nobili Dottori.
Gli ultimi due progetti andarono velocemente in porto: il monumento funebre fu eretto in Duomo su disegno di Leone Leoni, e la sede dei Giureconsulti affidata a Vincenzo Seregni ed ancora oggi visibile in via Mercanti.
Minor fortuna ebbe invece il progetto per Brera: affidato anch'esso al Seregni, sappiamo che all’inizio del 1565 esistevano le tavole progettuali, ed erano iniziate le trattative per l’acquisito dei necessari terreni nella contrada. Terreni un tempo occupati dalla dimora di Cicco Simonetta, il famoso consigliere del duca Francesco Sforza.
Poi una brusca accelerata e l’innalzarsi del piano terreno. Disgraziatamente, il 6 dicembre dello stesso 1565, Pio IV morì, e il cantiere venne repentinamente e definitivamente abbandonato.
Del suo passaggio ai Castelbarco-Simonetta (che completarono appunto un primo piano a soli fini di sfruttamento) e al Gonzales che lo demolì abbiamo già detto.
Una volta abbattuto, del palazzo rimasero solo, come si è sempre detto, un paio di foto e un disegno dal vero eseguito dal pittore Galliari, mediocre e sommario a tal punto da poter malamente decifrare le scelte architettoniche.
In realtà esiste anche un stampa di inizio Ottocento, che pur ritraendo l'Accademia, ci permette di vedere del palazzo incompiuto lo spigolo sinistro

OSPEDALE DI SAN GIACOMO DEI PELLEGRINI

L'Ospedale di San Giacomo, situato nei pressi di porta Vercellina, fu istituito a favore dei poveri e dei pellegrini in viaggio per i santuari e, in particolare, per il sepolcro di San Giacomo a Compostella. L'esistenza di questa istituzione pia è attestata fin dal 1332, come si ricava da un testamento di Giovannino Canciano del 25 agosto 1332. L'Ospedale, fin dai primi anni della sua fondazione, fu beneficiato da diverse doti per il sostentamento di quanti venivano ospitati. Fondatori e amministratori dell'Ospedale furono alcuni nobili milanesi riuniti in una congregazione di scolari laici, eretta sotto l'invocazione di San Giacomo apostolo di Galizia e chiamata Scola o Consorzio dell'Ospitale di San Giacomo. L'Ospedale fu soppresso tra il 1768 e il 1770, a seguito delle riforme volute dall'imperatrice Maria Teresa d'Austria, e i suoi beni furono assegnati all'Orfanotrofio maschile di Milano.
Mappa- S.Giacomo dei Pellegrini si trovava in corso Magenta angolo S.Giovanni sul muro. Poco oltre, a sin., S. Maurizio al monastero maggiore

ALBERGO POPOLARE

Dall'ultimo quarto dell'ottocento in poi si registrò a Milano un continuo afflusso migratorio di vaste proporzioni: la città industriale attirava masse popolari da tutta Italia, alla ricerca di un lavoro e di un futuro migliore. Nell'arco di quarant'anni Milano registrò un incremento di circa 400.000 residenti.
Ai numerosi arrivi non corrispondeva, tuttavia, un'adeguata offerta abitativa, sia perchè gli alloggi a disposizione erano davvero pochi, sia perchè le locande e gli alberghi risultarono insufficienti oppure troppo costosi.
Si tenga poi conto che moltissimi forestieri entravano a Milano solo per lavori occasionali della durata di una settimana, ed erano costretti a trovar da dormire in bettole malsane e sovraffollate. Se non addirittura in strada, sotto i portici, nelle stalle.
Nacque così una nuova forma di assistenza, spesso sotto forma di cooperativa, volta a creare alloggi per lavoratori e famiglie (come il celebre esempio della Società Umanitaria e i suoi quartieri modello).
Per rispondere a questa emergenza abitativa e sociale venne costituita nel 1899 da Luigi Buffoli (1850-1914, qui la sua biografia, una via in zona lo ricorda come "filantropo") la Cooperativa Alberghi Popolari, che presto divenne forte di 1600 soci.
Con il capitale raccolto (e l'aiuto anche della Edison), nello stesso anno si iniziò a costruire un vasto edificio affacciato su quel tratto di naviglio che congiungeva la Darsena alla Fossa interna, e che scorreva tra le vie Vallone e Olocati (interrato il naviglio, la via fu ribattezzata Conca del Naviglio).
L'Albergo popolare fu inaugurato nel 1901, e occupava precisamente lo spazio compreso tra via Vallone e via Marco d'Oggiono.
L'offerta abitativa, riservata ai soli uomini, era alquanto semplice e per questo apprezzata dai lavoratori senza troppi soldi in tasca, desiderosi di dormire e riposare dopo la faticosa giornata. Vennero create circa 500 camerette, affittate ad un prezzo per notte molto contenuto. Si prendeva posto la sera e si lasciava libera la stanzetta al mattino entro le 9. Non era ammessa la permanenza nelle camere durante il giorno. Se molti si fermavano per poche notti (comprando la sera l'apposito biglietto di ammissione), altrettanti acquistavano abbonamenti per periodi più lunghi, anche mensili.
Nei piani bassi dell'edificio vennero realizzati i servizi igienici e le docce, le cucine, la sala ricreativa, lo spaccio alimentare, e il barbiere.
Durante la Prima Guerra mondiale fu adibito ad ospedale militare (e fu unito alla linea tranviaria con un apposito raccordo di 300 metri), mentre negli anni venti e trenta fu il luogo ideale per i piccoli commercianti di passaggio, gli artisti, i manovali e i carpentieri con brevi contratti lavorativi. Venne aperta anche una biblioteca e spesso nel locale ricreativo si tennero concerti.
Negli anni cinquanta e soprattutto sessanta, mutata la situazione socio-economica milanese e in generale italiana, la clientela finì con l'essere composta da emarginati, poveri e disoccupati, fino a diventare, negli ultimi anni, un luogo fuori controllo con una presenza costante di vagabondi e pregiudicati.
Nel 1968, all'apice del degrado, ne venne decretato lo sgombero e la chiusura, cui seguì l'abbattimento.
Al suo posto venne costruito un moderno edificio residenziale.

PARCO DEL CITYLIFE

CityLife vanta uno tra i parchi più ampi di Milano, ma soprattutto è ricco di opere d’arte che lo rendono un vero museo a cielo aperto tutto...