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domenica 6 marzo 2022

VIA BANDELLO

Si trovava un tempo nel Borgo delle Oche, ma non si chiamava via Bandello.

Una delibera del 13 settembre 1865 confermava il toponimo di via delle Ochette all’odierna via Matteo Bandello. In antico la via prendeva il nome di Strada ai Cappuccini di Porta Vercellina nella parte meridionale e quindi vicolo delle Ochette nella parte settentrionale (verso l’attuale Corso Magenta). Mentre la via all’epoca denominata Borgo delle Oche corrisponde all’odierna via Zenale.

Il nome le veniva dall’appellativo popolare dato, per la foggia dell’abito delle monache che qui avevano un convento. Erano probabilmente le Orsoline del convento di S. Lucia in Porta Vercellina, soppresso nel 1770. La dedica della via a Matteo Bandello è successiva al 1902. Passeggiando per la via possiamo notare che Il lato dei numeri pari costituisce un unicum di cittadella industriale di fine Ottocento praticamente intatto identificate come Case Candiani.


martedì 1 marzo 2022

VICOLO DELLE CORDE

Una foto di uno scomparso vicolo del Ticinese, il lungo Vicolo delle Corde, che da via Arena entrava tra le case del quartiere, sino a sfociare sul Corso. 
Alla fine dell'800 la parte finale venne occupata da una casa, rendendolo a fondo cieco e col solo accesso da via Arena.

I TERRAGGI DI MILANO

La stretta strada corre parallela alla ben più larga via Molino delle Armi e, osservando una mappa di Milano, ci si accorge facilmente di come lungo tutta la strada che ricalca la Cerchia dei Navigli, si trovi al suo interno una serie di strade e vicoli paralleli ad essa.
Questi vicoli erano un tempo chiamati "terraggi", perché erano strette strade che correvano lungo il lato interno della mura medievali che a loro volta correvano lungo la "fossa interna", che poi divenne la Cerchia dei Navigli.
Oggi esiste una stradina semplicemente chiamata via Terraggio, forse a ricordare il lungo anello di strade; si trova tra piazza Sant'Ambrogio e corso Magenta e in origine era chiamato "il terraggio di Porta Vercellina".
Il giro completo dei terraggi partendo dal Castello in senso orario era:
terraggio dei Fiori Chiari 
terraggio di Porta Nuova (via dell'Annunciata)
terraggio della Spiga
terraggio di San Carlo (via Santa Cecilia)
terraggio di San Damiano (via Ronchetti)
terraggio di Porta Tosa (via Marziale)
terraggio della Signora; l'Ospedale della Cà Granda costruito nel 1456 sul sito del terraggio probabilmente dedicato a San Nazaro
terraggio di Porta Romana e il terraggio di San Celso (uniti in una strada intitolata a Beno Gozzadini, scomparsa nel Dopoguerra)
terraggio di San Pietro in Campo Lodigiano
terraggio delle Pioppette
terraggio del Ponte dei Fabbri
terraggio di San Pietro in Caminadella
terraggio di San Michele sul Dosso (via Lanzone)
lo Stradone di Sant'Ambrogio occupava l'area dove si trovava un terraggio nei pressi della Basilica
terraggio di Porta Vercellina (via Terraggio)
terraggio di San Nicolao.
Molti di questi terraggi sono stati notevolmente ridotti come lunghezza, alcuni ridotti a budelli di poche decine di metri, come via dei Fabbri, via Marziale o via Pioppette

VIA BORGOSPESSO

Spissus, cioè “affollato, gremito” Da questo aggettivo latino deriva il nome della via Borgospesso. Questa via, oggi al centro del famoso Quadrilatero della moda (racchiuso tra via Montenapoleone, via Manzoni, via della Spiga e Corso Venezia), era un tempo, insieme alle odierne vie Santo Spirito, del Gesù e Sant’Andrea, uno dei borghi della città, i quartieri sviluppatisi appena fuori dalle antiche mura romane.
Laddove gli altri tre borghi si caratterizzarono per una cospicua presenza di edifici religiosi, il Borgo Spesso tra il XVIII e il XIX s’infittì di abitazioni civili, in particolare aristocratiche e alto borghesi. Le cronache vogliono che proprio in questa contrada vi fosse anche la casa di tale Giuditta Meregalli, amante milanese del famigerato maresciallo austriaco Josef Radetzky.

PIAZZA MARIA ADELAIDE DI SAVOIA

L'attuale piazza Maria Adelaide di Savoia è una delle tante zone di Milano che per decenni fu ostaggio dell'ingombrante passaggio della ferrovia. 
Come in tanti altri punti della città (vedi per esempio la zona Solari), anche qui la massicciata ferroviaria a servizio della vecchia Stazione centrale era infatti una presenza che non poteva certo passare inosservata.
Con la nascita della vecchia stazione, inaugurata nel 1864, la linea ferroviaria cominciò ad avvolgere il perimetro a nord-est della città con una vasta cintura di binari ed edifici che ne avrebbe nei decenni condizionato ed indirizzato le linee di sviluppo.
Persino il lazzaretto, poco distante, fu deturpato, con la medesima sopraelevata che lo divideva proprio al centro, ultimo affronto alla sua lenta agonia, che terminerà con la demolizione finalizzata alla costruzione di un quartiere medio borghese.
In questa prima mappa, del 1910, la piazza, o meglio lo slargo, è indicato senza un nome: si nota bene la linea della ferrovia.
La prima foto di cui disponiamo è di poco antecedente il 1930: la piazza continua ad essere priva di una intitolazione, essendo impossibile dare alla zona una vera connotazione urbana, a causa di quella presenza ingombrante, rumorosa e fumosa. 
La situazione cambia nel 1932, quando viene aperta la nuova stazione centrale (l'attuale), e ciò permette, appena dismessa la vecchia stazione, di demolire progressivamente la massicciata che vi conduceva i treni.
Pochi anni dopo, intorno al 1935, la piazza inizia ad essere sgombra
Al posto della massicciata, gli spazi vuoti diventano viali: Giustiniano e Regina Giovanna.

VIA MERCATO

La via Mercato unisce oggi la via Ponte vetero a corso Garibaldi. Molti si chiedono quale mercato dovesse aver mai ospitato, per prenderne addirittura il toponimo. E soprattutto: mercato sì, ma in quale epoca?
Il "mercato" in oggetto era costituito da un edificio ottocentesco, di non grandi dimensioni, dove trovavano posto i banchi per la vendita di frutta, verdura e ortaggi. 

Le vie Erba e Frutta erano le due che costeggiavano i lati corti della costruzione del mercato ortofrutticolo.
Già in una mappa Touring del 1914 al suo posto risulta innalzato il massiccio palazzo di proprietà di una banca, palazzo che inglobò, sopprimendola, la via Frutta.
Il palazzo è ancora al suo posto (civico 3), anche se risulta modificato nel piano terreno: al posto delle originali finestre, ci sono ora alcune vetrine commerciali.

VIA FILIPPO TURATI

a partire dal dopoguerra prima era chiamata Via Principe Umberto.
Si tratta di una strada relativamente recente, inesistente fino all’apertura della vecchia stazione Centrale, quella ubicata in piazza Fiume / piazza della Repubblica; sappiamo infatti che la stazione fu costruita tra le due porte di accesso alla città, porta Nuova e porta Venezia.
Le due porte erano collegate dai Bastioni, terrapieni costruiti a ridosso dei canali d’acqua (in questo caso il Redefossi) ottenuti tipicamente con la terra ricavata dallo scavo dei navigli.
Nella prima foto una piantina della città del 1820, ci si rende immediatamente conto della situazione delle vie di comunicazione nel periodo precedente alla costruzione della vecchia stazione; difatti il passaggio tra dentro e fuori i bastioni era possibile solo in corrispondenza delle citate porte.
Notiamo, fra le tante particolarità di questo frammento, che il Lazzaretto è ancora integro, non sezionato dal rilevato ferroviario che negli anni ’60 (del XIX secolo, ovviamente) ne ha praticamente decretato la sua fine; quel “circolino” al centro del Lazzaretto è la chiesa di san Carlo, tuttora presente, posta lungo il viale Tunisia in corrispondenza della via Lecco.
La stazione era indispensabile per consentire il raccordo delle linee per Como e Varese che partivano dalla stazione di Porta Nuova (quella originale sul Melchiorre Gioia) con quelle per Treviglio e Venezia che partivano da Porta Tosa (zona Vittoria).
Sebbene il progetto dell’architetto Bouchot fosse poco lungimirante (la stazione rimase in esercizio per meno di settant’anni e poi fu demolita) la dimensione del fabbricato viaggiatori (235 metri) e degli impianti necessari richiedeva uno spazio adeguato, ma la scelta dell’area che oggi corrisponde a piazza della Repubblica, richiedeva necessariamente una nuova via di accesso, la via Principe Umberto.
Le soluzioni potevano essere molteplici, ma fu scelta quella di aprire un nuovo percorso da piazza Cavour (piazza della Canonica), che fino a quel momento presentava – superati gli archi uscendo da via Manzoni – due sole possibilità di instradamento (tralasciando la strada che costeggiava il naviglio) e cioè la strada Isara o Risara (l’attuale via Palestro) che conduceva alla Porta Orientale (cioè Porta Venezia) e la strada della Cavalchina (l’attuale via Daniele Manin) che permetteva di arrivare alla zecca e proseguendo agli orti lungo i bastioni oppure di portarsi sulla strada di sant’Angelo, parte dell’attuale via Moscova.
Ma questa decisione, l’apertura del nuovo tracciato, fece una “vittima” illustre, la chiesa di San Bartolomeo, che era collocata proprio all’inizio della nuova via.
La via Principe Umberto anziché essere attestata in piazza Cavour (salvando la chiesa…) avrebbe potuto diventare in realtà quella che oggi è la via Principe Amedeo e le relative continuazioni (via Marco de Marchi e via dei Giardini) che però sono state realizzate solo tempo dopo…
Via Turati oggi è diventata una via di passaggio, con autovetture perennemente in doppia fila, motorini ovunque sui marciapiedi e pochi elementi architettonicamente o culturalmente interessanti;

PIAZZALE FRANCESCO BARACCA

Ad inizio secolo, la città era ancora racchiusa entro le vecchie mura medioevali. Tutta la zona esterna, a parte qualche edificio subito fuori porta, era naturalmente aperta campagna, una vasta distesa di prati e rogge, con qualche casolare sparso qua e là. A suo tempo, era stato anche territorio di caccia dei vari duchi succedutisi alla guida di Milano nel corso dell’ultimo secolo, da Gian Galeazzo Visconti a Francesco II Sforza. L’antica Porta Vercellina, si trovava allora, all’altezza dell’incrocio via Carducci-Corso Magenta (cerchia interna dei Navigli).
Con l’arrivo degli spagnoli, per rinforzare le difese della città, il governatore di allora, Don Ferrante I Gonzaga, fece costruire tra il 1548 e il 1562 dei nuovi bastioni, dando maggior sfogo alla città. L’antica Porta Vercellina, che era una delle sei porte principali della Milano di allora, venne naturalmente spostata alcune centinaia di metri più in là, poco oltre la Basilica di Santa Maria delle Grazie e la Casa degli Atellani. alla fine del Borgo delle Grazie.
Ai lati della nuova porta, sul grande slargo al di fuori delle nuove mura, c’erano due caselli daziari, sosta obbligata per chi voleva entrare con della merce in città.
Uscendo dalla porta, in linea retta oltre quello slargo, si imboccava la strada polverosa che, toccando varie borgate, fra cui San Pietro in Sala, Maddalena, Molinazzo, Trenno ecc., portava a ovest, in direzione Novara e Vercelli.
Nel 1805, in previsione dell’arrivo di Napoleone a Milano per l’incoronazione a Re d’Italia, la Porta Vercellina, rappresentava il passaggio più o meno obbligato per l’imperatore francese, per raggiungere facilmente il Duomo, entrando in città da ovest. Fu una corsa contro il tempo nel tentativo di rendere questa porta più ‘trionfale’ di quanto lo fosse inizialmente. Se ne incaricò l’architetto Luigi Canonica che la rimaneggiò in tutta fretta, utilizzando i materiali del demolito bastione del Castello. Fu comunque solo dopo il 1859, che, a ricordo della storica battaglia della Seconda Guerra d’Indipendenza contro gli austriaci, Porta Vercellina venne ufficialmente rinominata Porta Magenta.
In seguito all’accorpamento nel 1873 del comune di Corpi Santi, nel 1889 venne approvato, in via definitiva, il nuovo piano regolatore di Milano, il famoso piano Beruto, per dare un nuovo assetto urbanistico alla città, che in quel periodo, era in forte espansione.
A causa dell’evoluzione degli armamenti e delle tecnologie militari, le mura spagnole del Cinquecento avevano perso totalmente la loro funzione difensiva, e anzi stavano limitando la naturale espansione della città. Il piano dell’urbanista ing. Cesare Beruto, ne decretò il totale abbattimento in quella zona. Anche Porta Magenta, naturalmente subì la stessa sorte, essendo diventata d’impiccio per il traffico crescente, poichè nata per sbarrare una strada (l’attuale corso Magenta) non particolarmente larga fra due teorie di edifici. Pure i caselli daziari presenti sullo slargo, ormai diventati inservibili, vennero definitivamente smantellati.
L’industrializzazione crescente, e la notevole espansione demografica, aveva comportato in quegli anni, una forte urbanizzazione all’esterno delle mura cittadine. La cosa era particolarmente rilevante in quella parte della città, essendo in corso una vasta opera di ricostruzione di interi quartieri del centro, per darle un assetto più moderno e nel contempo, monumentale. La mano d’opera impiegata, cercava naturalmente sistemazione il più vicino possibile al posto di lavoro. Non trovando più posto in città, era quindi giocoforza trovare un’abitazione fuori le mura della stessa, fra l’altro a prezzi anche più accessibili. Con l’avvento dei tram a vapore, da pochi anni (1879), era stato attivato sullo slargo, sotto i bastioni, il capolinea della MMC, una delle società private di tram extraurbani (i Gamba de Legn) che servivano, su linea ferrata, tutti i sobborghi rurali, verso Sedriano, Gallarate, Magenta e Castano Primo. Era un servizio molto usato, particolarmente dai pendolari, che abitando fuori città, si recavano a Milano quotidianamente per lavoro.
Una volta demolito quel tratto di bastioni, la Porta Magenta ed i caselli daziari, si presentò la necessità di dare un riassetto generale a tutta l’area, dato che anche l’urbanizzazione della zona stava diventando rilevante. Vennero creati due giardinetti e, nel 1911, il capolinea dei tram extra-urbani venne spostato qualche centinaio di metri più avanti, nel cortile-piazzale del deposito carrozze di Corso Vercelli n.33. In compenso vennero prolungate alcune linee tramviarie urbane, in modo da servire pure la zona di Corso Vercelli, che, alla data, rappresentava la periferia ovest della città. Lo slargo prese il nome di piazzale Magenta, probabilmente a ricordo della porta che si trovava lì.
Qui oggi sorge il monumento a Baracca.

PIAZZA PIO IX

L'odierna piazza Pio XI è conosciuta soprattutto per l'ingresso della celebre Ambrosiana.
Un tempo, vi si affacciava la chiesa dedicata a S.Maria della Rosa, che dava anche il nome alla piazza.
Qui aveva le sue vetrine il famoso bar-bottiglieria Scottum, dal nome del liquore inventato dal suo proprietario.
Nel 1906, al centro della piazza, fu inaugurato il monumento dedicato all'avvocato socialista Felice Cavallotti, opera dello scultore Ernesto Bazzaro.
Dopo la seconda guerra mondiale, per rimediare alla distruzione (dovuta ad un bombardamento) di un altro monumento, quello dedicato a Giacomo Medici del Vascello, situato in via Marina, dai depositi comunali venne recuperata l'opera al Cavallotti, che dal 1953 potè così rivedere la luce ed essere ammirata, seppur in un diverso contesto cittadino.
Un'ultima curiosità: sul muro del fabbricato che fa angolo con la via Cantù, è murata la targa commemorativa dedicata ad Amatore Sciesa (erroneamente indicato come Antonio), fucilato dagli Austriaci il 2 agosto 1851, che qui aveva dimora con la famiglia (e che, scortato al patibolo, avrebbe pronunciato la famosa frase: "Tiremm innanz", al gendarme che in cambio di una delazione gli prometteva salva la vita e denaro).

PIAZZA DEL CANNONE

Tutto ebbe inizio negli anni venti, quando un pezzo di artiglieria pesante, in dotazione, durante la prima guerra mondiale, all'esercito austroungarico, venne posizionato sul piazzale retrostante il Castello sforzesco, verso il parco Sempione.
Una preda bellica in bella mostra, precisamente uno Skoda 30,5 cm Mörser. Un possente mortaio da assedio, che durante la Grande Guerra sparava proiettili fino a dieci chilometri di distanza. Secondo la nomenclatura italiana, un pezzo da 305 mm/8.
Questa presenza, che non passava certo inosservata, è testimoniata da moltissime foto a partire dagli anni venti, nonchè da innumerevoli racconti e ricordi di chi, da bambino, ci giocava attorno con gli amichetti, fantasticando improbabili battaglie.
La possente bocca da fuoco diede il nome allo spiazzo che la ospitava, appunto "Piazza del cannone" (anche se tecnicamente non era un cannone). Il luogo divenne un ritrovo anche per gli adulti, magari in vena di ricordi delle terribili giornate passate in trincea, come quelle sull'altipiano di Asiago, dove proprio uno di questi bestioni aveva messo fuori uso almeno un paio di forti italiani (tragico il bilancio al forte Verena).
Una delle caratteristiche più interessanti del mortaio Skoda era la sua mobilità. Oltre al pezzo vero e proprio, era stato sviluppato anche un convoglio meccanizzato per il trasporto, dotato di una trattrice Austro-Daimler. Progettato dall’ingegnere Porsche, il treno meccanizzato consentiva di spostare in breve tempo il pesante carico bellico, che poteva essere così collocato in batteria anche dove non arrivava la ferrovia (e difatti trovò largo impiego in montagna).
Di certo, l'ingombrante residuato rimase esposto almeno fino agli anni Sessanta. Poi venne rimosso, forse per effettuare un restauro, o forse perché non più ritenuto un "corretto" arredo urbano.
Da quel momento, si sono perse le sue tracce. Probabilmente accantonato in qualche caserma milanese, potrebbe essere stato successivamente demolito.
Al Museo storico della Guerra di Rovereto (TN) è esposto l'unico esemplare italiano dei quattro pezzi ancora superstiti

STRETTA DEL MALCANTONE

il MALCANTONE: il cuore del cuore dell’antica Affori (ora via Osculati) dove la strettoia dell’antica via alla parrocchiale si biforca (una confluiva in Curt dei Restej e via Zanoli attraverso un piccolo tunnel da noi detto “la nostra Galleria Vittorio Emanuele”, l’altra andava alla vecchia canonica).
E’ detto Malcantone perchè nel ‘700 avvenne un sanguinoso fatto di cronaca nera col morto accoltellato.

CONTRADA DEL PASSETTO

In corso Garibaldi esiste ancora un vecchio vicolo (e la sua numerazione)
Un angolino di Milano che si perde nelle passeggiate in corso Garibaldi, se non si è attenti non si riesce nemmeno a individuare dove si trova questo piccolo vicolo contrassegnato da un numero particolare.
E’ la Contrada del passetto. L’attenzione cade su quel numero civico così diverso, 2024.
E’ una delle testimonianze ancora visibili della numerazione austriaca delle case: questo una volta era un vicolo e qui c’erano alcune stradine che collegavano l’allora corso di Porta Comasina, quello che oggi è diventato corso Garibaldi, con piazza San Simpliciano che dista solo pochi passi.
Si dice che questi vicoli così piccoli e stretti fossero i preferiti dai malviventi e dai piccoli ladruncoli che facilmente facevano vedere le loro tracce.
Oggi Contrada del Passetto è diventato l’ingresso di uno stabile arrestato sulla strada: guardando verso l’interno si vede un bel soffitto in legno a cassettoni, un paio di lampioni in ferro battuto come quelli di una volta e un cancello che ricorda che di lì, ormai, non si passa più.

VIA MULINO DELLE ARMI

Quante volte siete passati da via Molino delle Armi senza chiedervi il perché del suo nome? Per quanto intuitivo possa sembrare, il tratto di cerchia interna dei Navigli tra via Santa Sofia e De Amicis nasconde dei segreti che un vero milanese non può ignorare!
 Il nome via Molino delle Armi venne assegnato ufficialmente durante la seduta del Consiglio Comunale del 13 settembre 1865 perché esisteva un antico mulino che serviva ad arrotare le armi di cui Milano era la capitale per eccellenza in Europa. Se volete togliervi lo sfizio di vedere alcune bellissime armature che si forgiavano sotto la Madunina nel Rinascimento basta che andiate al Museo Poldi Pezzoli o l’armeria del Castello sforzesco.
Il fossato interno. Lungo la cerchia interna, quella che una volta era la vera e propria linea di demarcazione tra la città fortificata e la campagna, c’erano armaioli che si servivano dell’acqua per forgiare le loro spade o coltelli. E anche se esisteva più di un mulino lungo la via, solo di un gruppo riusciamo a ricostruire l’esatta posizione.

L’unica testimonianza che abbiamo dei mulini che furono è la fotografia, databile all’inizio del XX secolo, che ritrae ben tre ruote idrauliche. Questi tre mulini si trovavano sullo scaricatore che dalla fossa interna del Naviglio portavano l’acqua alla Vettabbia sfruttandone il salto di quota di circa due metri.

Oggi non rimane più traccia degli edifici che si scorgono a sinistra della fotografia perché sono stati distrutti dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. L’unico riconoscibile, con un grande sforzo, è quello sulla destra. La fabbrica infatti è stata trasformata in abitazioni: dopo aver coperto il canale le grandi finestre sopra i mulini sono diventate le vetrine dei negozi, sono stati aggiunti i balconi, ma la copertura d’angolo del terzo ordine di finestre è la stessa.


sabato 26 febbraio 2022

VIA GAMBOLOITA

E' il toponimo di una piccola via trasversale di Corso Lodi, a due passi da Piazzale Corvetto.

Con Gambolòita si indicava, da sempre, la parte finale del Comune di Milano posta nei Corpi Santi di Porta Romana prima del confine con il Comune di Rogoredo, oggi conosciuta di più come Corvetto, dal nome dato al Piazzale Luigi E. Corvetto. (I Corpi Santi sono stati un comune istituito nel 1782 comprendente le cascine e i borghi agricoli che si trovavano attorno alla città di Milano, appena oltre le mura spagnole del capoluogo lombardo e all’interno del territorio comunale)

venerdì 25 febbraio 2022

CORSO DI PORTA ROMANA

Lungo Corso di Porta Romana si trovava, prima della cerchia dei navigli, l’arco medievale di Porta Romana. Nello stesso luogo in pochi avranno notato una strana pavimentazione a terra, dove il pavé viene interrotto da una sorta di misterioso disegno a terra con un riquadro in sampietrini. Si tratta di un intervento realizzato forse negli anni 20/30 per segnare l’esatta posizione dell’antica porta medievale.
Le porte verso l’Italia e Roma a Milano sono state diverse. In principio venne realizzata una porta nelle Mura Repubblicane denominata “ad Placentiam” e si trovava nei pressi di San Giovanni in Conca, all’altezza della odierna via Unione in piazza Missori. Dopo la realizzazione delle mura Massimiane (III Secolo) venne spostata all’altezza dell’attuale via Paolo da Cannobio e della fu via Maddalena. Sulla porta vie era una lapide che indicava:
Dic homo qui transis dum portae limina tangis
Roma secunda vale Regni decus imperiale
Urbs veneranda nimis plenissima rebus opimis
Te metuunt gentes et tibi flectunt colla potentes
In bello Thebas in sensu vincis Athenas.
Di’, o viandante che t’appresti a varcare la porta:
“Salve, seconda Roma, decoro imperiale del Regno;
città molto veneranda e di dovizie onusta.
Te le genti temono; a Te s’inchinano i potenti.
Tu vinci Tebe per armi ed Atene in saggezza”.
Dalla porta, dopo un ponte levatoio e passando a fianco di un castelletto difensivo in legno, si dipanava una via lastricata di 600 metri e larga 9 metri con ai lati due porticati pieni di botteghe e laboratori. Al termine di questa via importante c’era un arco onorario a 3 fornici.
I porticati vennero inspiegabilmente demoliti già 60-70 anni dopo la loro costruzione, mentre l’arco sopravvisse per quasi un millennio.
Poi arrivò il famoso Barbarossa che distrusse la città quasi completamente, così nell’aprile 1171 sotto la direzione dei capimastri Borro e Marcellino si iniziò la ricostruzione delle nuove mura difensive, tra cui la terza Porta Romana, questa volta posta più avanti come tutte le mura di difesa. Sulla porta vennero scolpite dei bassorilievi da Gerardo di Mastegnianega che raffigurava i milanesi di ritorno nella loro città dopo i terribili anni dell’esilio.
Con Azzone Visconti nel 1300 venne murato il fornice di sinistra e costruita una torre sopra il fornice di destra.
Bernabò Visconti costruì in seguito un enorme castello a difesa dell’intera città che partendo dalla Porta arrivava quasi fino a Santo Stefano, un’area immensa oggi occupata dalla Ca’ Granda Università Statale.
Luchino Visconti aggiunse un altro piccolo castello, la così detta Rocchetta, sul lato sinistro della porta nel 1340 e venne aggiunta una seconda torre mai completata.
Entrambe avevano il lato interno verso la città aperto, in modo che se fossero state occupate dagli invasori questi non si sarebbero potuti asserragliare al loro interno.
In epoca medioevale la porta veniva chiamata o Porta Potestatis, vista la vicinanza con la residenza del Podestà, o Porta Roma.
Nel tardo medioevo parte dei castelli arroccati intorno alla Porta divennero delle carceri, tra le maggiori della città, con centinaia di reclusi.
Nel 1456 si iniziò la costruzione dell’Ospedale della Ca’ Granda per volontà di Francesco Sforza Duca di Milano, che donò i terreni dove sorgeva il castello e le carceri di Porta Romana per la costruzione del grande complesso ospedaliero progettato dal Filerete.
Con l’espansione della città sul finire del 1500 sotto il governo degli spagnoli, si iniziò l’edificazione dei Bastioni, così si dovette costruire una nuova Porta Romana, posta nuovamente più esterna, il progetto fu affidato a Martino Bassi nel 1598.
La nuova porta trionfale modificò anche l’importanza del borgo di Porta Romana, fino al 1500 ricca di ospedali e ricoveri. Così iniziarono dal tardo ‘500 ad essere edificati grandi palazzi nobiliari.
I cortei imperiali o di regnanti in visita alla città entravano tutti per la Porta Romana e negli splendidi palazzi nobiliari trovavano ospitalità.
Nel 1598 il governatore spagnolo di Milano, Don Juan Fernandez de Velasco, fece aprire una nuova strada che mettesse in comunicazione Corso di Porta Romana con la via Larga e da lì verso Palazzo Reale e il Duomo. La nuova strada serviva anche per permettere il passaggio dei carri del Carnevale Milanese che era uno dei principali di tutta Europa (la via e la Torre Velasca ne ricordano il luogo)
Nel 1792 la Porta Romana medioevale costruta nel 1171, era di intralcio alla circolazione di carri, cavalli e carrozze. Così se ne decise l’abbattimento assieme alla Rocchetta. Le pietre della Porta e delle carceri e delle torri furono riutilizzate per la realizzazione della facciata del Duomo allora in corso. I molti bassorilievi presenti sulla facciata della porta, raffiguranti la vittoria sul Barbarossa, la cacciata degli Ariani e altri eventi medioevali, furono salvati e si trovano oggi nei musei del Castello Sforzesco.

PARCO DEL CITYLIFE

CityLife vanta uno tra i parchi più ampi di Milano, ma soprattutto è ricco di opere d’arte che lo rendono un vero museo a cielo aperto tutto...