Fu realizzata per sostituire le vecchie stazioni di testa di Porta Nuova e Porta Tosa e con la sua messa in attività fu possibile collegare fra loro tutte le linee gravitanti sul capoluogo lombardo. La stazione fu chiusa nel 1931 a seguito dell'entrata in servizio dell'attuale stazione di Milano Centrale e venne successivamente demolita.
Il 12 settembre del 1857 venne posta con grande solennità, la prima pietra della nuova stazione, che avrebbe preso il nome di Stazione Centrale. Il completamento dei lavori richiese molti anni, abbastanza da vedere il passaggio di Milano nel regno d’Italia, e così il 10 maggio 1864 la Stazione Centrale, iniziata sotto gli austriaci, venne inaugurata dal re Vittorio Emanuele II.
Lo studio delle opere strutturali della nuova stazione era stato inizialmente affidato all'ingegner Deigrement, capo dell’ufficio costruzioni delle ferrovie, ma c’erano state divergenze sull’ampiezza degli spazi coperti tra il direttore generale della Società e l’ingegnere capo addetto agli armamenti, cosicché l'incarico venne passato all'architetto Bouchot, di Parigi (in effetti l’impronta della scuola d'oltralpe risultò chiara nell’architettura dell’edificio.
Il grande rettangolo (242 per 78 metri) della stazione era coperto con tetto a padiglione curvo in ardesia, con terrazza tutt’intorno balaustrata con colonnine.
L’atrio, di 731 metri quadrati, aveva un aspetto grandioso con i suoi 24 metri d’altezza; era voltato a botte, e rinforzato da sei lesene corrispondenti alla divisione esterna della facciata. Sulla parte di fronte alle porte di ingresso, due grandi arcate ribassate immettevano nelle sale destinate al servizio bagagli. Sul lato sinistro, si apriva il corridoio che introduceva nelle sale d’attesa, molto grandi e ben illuminate.
I viaggiatori in arrivo erano tenuti lontani dai parenti: per essi era riservata l’ala destra dell’edificio dove erano ricavati gli ambienti per il transito in uscita e lo smistamento dei bagagli in arrivo. Nel padiglione destro erano ricavate le sale reali ed ambienti connessi. Ma la grandiosità della Stazione Centrale non era soltanto legata all’edificio: c’erano ben sei binari, di cui quattro “a marciapiede” per i viaggiatori, e la tettoia che li proteggeva, con una lunghezza di 233 metri, una larghezza di 40, una superficie coperta di 9340 metri quadrati, era la più grande d’Italia. La tettoia era in parte trasparente ed in parte cieca e l’illuminazione era assicurata da sessantadue fiamme di gas sospese, più altre quattordici sostenute da altrettanti candelabri, emergenti dal marciapiede centrale.
Insomma, una “grande” stazione. Anche gli spazi destinati ai vari servizi erano cospicui, e l'unico problema era creato dalla concorrenza delle due Società che gestivano le linee che vi facevano capo, l'Adriatica e la Mediterranea.
Ma si trattava di una realizzazione imponente anche in quanto l’intervento effettuato non si limitava al solo edificio, ma aveva richiesto la sistemazione di una vasta area all’intorno e la realizzazione di notevoli opere per i tracciati dei binari. Dunque, a differenza delle prime modeste stazioni, con la costruzione della Stazione Centrale, che servì a consacrare definitivamente l'importanza del sempre crescente sviluppo delle ferrovie per la vastità degli interventi che mise in atto, la ferrovia cominciò ad avvolgere il perimetro a nord-est della città con una vasta cintura di binari ed edifici che ne avrebbe nei decenni condizionato ed indirizzato le linee di sviluppo.
Vennero di conseguenza modificati i tracciati dei binari, in particolare quelli che si dirigevano verso sud est per raccordarsi con le linee di Treviglio-Venezia e di Piacenza. Dopo l’entrata in servizio della prima Centrale, e l’abbandono della stazione di Porta Tosa, la diramazione di queste due linee avveniva al Bivio Acquabella, che prendeva il nome da una antica cascina, e si trovava dove ora esiste il piazzale Susa.
Con il passare degli anni, le aumentate necessità del traffico ferroviario posero sempre nuovi problemi, che dovettero venire affrontati e risolti volta per volta. Così si arrivò a decentrare gli spazi destinati ai servizi, e si trovarono soluzioni per il sempre crescente afflusso di viaggiatori. Ormai, dopo la proclamazione dell'Unità d’Italia, viaggiare in treno non era più un’impresa avventurosa e rara. Milano, per la sua posizione geografica, attirava e distribuiva correnti di traffico che divennero anche internazionali. Il traffico delle merci, poi, cresceva in continuazione sulla spinta della forte industrializzazione e della realizzazione dei trafori alpini (il traforo del Frejus, verso la Francia entrò in servizio nel 1871, quello del San Gottardo, verso la Svizzera e la Germania, nel 1882), tanto che nel 1884 si dovette creare un apposito scalo, quello di Milano Sempione, specificamente destinato allo smistamento merci.
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