il rito Ambrosiano, che risale a una tradizione più antica di quello Romano cui Milano non si è mai uniformata, non ha mai avuto “il mercoledì delle Ceneri”: l’inizio della Quaresima si calcola a partire dalla domenica successiva, la sesta prima di Pasqua, quella in cui si legge il Vangelo del digiuno di Gesù nel deserto.
L’inizio e la fine della Quaresima sono diversi perché se prendiamo il calendario e, partendo a ritroso dal giovedì santo, contiamo quaranta giorni, giungiamo esattamente alla prima domenica di Quaresima: dunque, i quaranta giorni di penitenza iniziano alla sesta domenica prima di Pasqua e giungono fino al triduo pasquale escluso, che comincia ai vespri del giovedì santo. Questo è il computo originario della Quaresima, conservato nel rito ambrosiano. In questa prospettiva si intende la Quaresima come un periodo di quaranta giorni di penitenza, ma non di stretto digiuno, dato che, secondo un’antichissima tradizione, di domenica non si doveva digiunare.
Nel Medioevo subentrò l’idea dei quaranta giorni effettivi di digiuno; inoltre la Quaresima fu intesa più come periodo di preparazione alla domenica di Pasqua, che non al triduo pasquale. Di qui derivò la necessità di un nuovo computo: se infatti partiamo dal sabato santo e contiamo a ritroso quaranta giorni, saltando però le domeniche in cui non si digiunava, giungiamo proprio al mercoledì precedente la prima domenica di Quaresima. Il computo fu accolto dalla Chiesa romana e si diffuse in tutto l’Occidente, tranne che a Milano”.
Alla storia del rito Ambrosiano e in particolare a quella del carnevale, il cosiddetto “carnevalone” che a Milano si celebra il sabato che segue il giovedì grasso, si sommano le leggende popolari tutte legate all’agiografia popolare di Sant’Ambrogio. Si narra che nel IV secolo epoca di Sant’Ambrogio, il carnevale milanese fosse rinomato e considerato quanto quello veneziano e che i milanesi abbiano atteso per festeggiare il loro vescovo che rientrava in ritardo per un pellegrinaggio. Di questo racconto circolano due varianti: la prima secondo cui furono i milanesi ad approfittare dell’assenza per prolungare la festa, la seconda che vuole che sia stato il futuro Sant’Ambrogio a chiedere di attenderlo.
Un’altra versione, simile, sostituisce invece il pellegrinaggio con un più istituzionale impegno diplomatico presso la corte imperiale e interpreta l’attesa come una forma di rispetto da parte della città e il ritardo come una dispensa concessa da vescovo al rientro, o, secondo altri, ottenuta da ambasciatori lungo la strada del ritorno.
Un’altra storia ancora, un po’ diversa, vuole invece che un anno la fine della Quaresima fosse andata a coincidere con la fine di una pestilenza che aveva impedito le feste e costretto la popolazione alla fame a causa dell’isolamento e del cibo razionato e che la dispensa per prolungare i festeggiamenti sia stata chiesta al Papa da Ambrogio per rinfrancare i milanesi.
Quello che storicamente è certo è che il carnevale ambrosiano aveva attirato l’attenzione di Carlo Borromeo che da vescovo di Milano non vedeva di buon occhio il prolungarsi della festa, ma neppure la maggior severità della Chiesa postridentina è riuscita a modificare la tradizione esclusiva della città che conserva tuttora la tradizione, unica, del suo carnevale fuori tempo massimo.
La prima maschera del Teatro milanese era un certo Lapoff, una specie di Pierrot vestito di bianco del quale però si hanno pochissime notizie.
In seguito nacque Beltram de Gaggian - i nomi fanno sorridere - che ebbe origine nel XVI secolo col ruolo di un servo un po' tonto e sempliciotto dal quale deriva anche il detto milanese "Vess de Gaggian" o "Vess un Beltramm" ovvero sei uno di Gaggiano - paese in provincia di Milano - o sei un Beltramm, con tutto il rispetto per gli abitanti del paese ovviamente!
La moglie del personaggio si chiamava Beltramina - ma dai? - che era l'opposto del marito, molto furba e arguta! Il costume di Beltramm consisteva in una maschera marrone, un berretto nero, giacca e panataloni azzurri, mantello e scarpe marroni, cintura gialla e calze colletto e polsini bianchi.
Ma la maschera classica che tutti i milanesi conoscono è quella di Meneghino!
Il nome sarebbe il diminutivo di Domeneghin, il servo della domenica. Dovete sapere che le dame milanesi davano ricevimenti solo alla domenica pagando a giornata una persona che svolgesse il ruolo di servitore, maggiordomo e accompagnatore che prendevano appunto il nome di "domenichini" per il giorno nel quale venivano ingaggiati.
Con l'avvento del teatro dei burattini il Meneghin divenne un personaggio rappresentativo del popolo milanese accanto a personaggi come Brighella, Pulcinella Arlecchino e così via! Il costume è caratterizzato da pantaloni e casacca in panno verde orlati di rosso, panciotto a fiori, simpaticissime calze a righe bianche e rosse, scarpe con fibbia, parrucca con codino, camicia bianca e cappello a tricorno orlato sempre in rosso!
Meneghino è docile, generoso ma indipendente, accompagnato da sua moglie La Cecca, diminutivo di Francesca, volenterosa e sorridente che, insieme al marito, rappresentavano la classica coppia milanese che con fantasia, volontà, sacrificio e spirito imprenditoriale riescono sempre a far quadrare i conti in casa.
Una curiosità, Meneghino è l'unica maschera a non portare la maschera!
Nessun commento:
Posta un commento