
Fu il secondo sito italiano dopo le incisioni rupestri in Valcamonica a essere classificato come patrimonio dell'umanità dall'Unesco, insieme con l'affresco del Cenacolo di Leonardo da Vinci che si trova nel refettorio del convento (di proprietà del Comune di Milano).
Risale al 1459 la fondazione di un secondo nucleo di frati domenicani a Milano, in aggiunta al primo, antico insediamento di Sant'Eustorgio risalente al 1227, di soli undici anni successivo alla fondazione dell'ordine.
La congregazione di Domenicani, stabilitisi presso l'odierna San Vittore al Corpo, ricevette in dono nel 1460 un appezzamento di terreno dal conte Gaspare Vimercati, condottiero al servizio degli Sforza. Su questo terreno si trovavano una piccola cappella dedicata a Santa Maria delle Grazie, e un edificio a corte a uso delle truppe del Vimercati. Il 10 settembre 1463 viene posata la prima pietra del complesso conventuale. La costruzione prese avvio da quello che è oggi il Chiostro dei Morti, adiacente alla primitiva cappella della Vergine delle Grazie, che oggi corrisponde all'ultima cappella della navata sinistra della chiesa. A dirigere i lavori fu chiamato Guiniforte Solari, architetto egemone in quegli anni a Milano, già ingegnere capo della fabbrica del Duomo, dell'Ospedale maggiore e della Certosa di Pavia. Grazie al mecenatismo del Vimercati, il convento fu completato nel 1469, come racconta il domenicano Padre Gattico, il cui racconto è prezioso per ricostruire le fasi edificatorie del complesso.
Il convento solariano si articolava attorno a tre chiostri. Il Chiostro, originario alloggio delle truppe del Vimercati inglobato nella costruzione, il Chiostro Grande, su cui affacciavano le celle dei frati, e il Chiostro dei Morti attiguo alla chiesa. Di questo chiostro oggi è possibile vedere la ricostruzione post-bellica, in quanto interamente distrutto dai bombardamenti del 1943. È costituito, a nord, dal fianco nord della chiesa, mentre sugli altri tre lati corre un portico di colonne in serizzo con capitelli gotici a foglie lisce. Sul portico si affacciano, a est, l'antica Cappella delle Grazie, le sale del Capitolo e del Locutorio e a nord la biblioteca, edificata da Solari sul modello della già celebre Biblioteca del convento domenicano di San Marco a Firenze, progettato da Michelozzo vent'anni prima. Il lato sud è invece interamente occupato dal refettorio, contenente il celeberrimo Cenacolo Vinciano.
La sala di Pietro Maschera, rettangolare, ha un'elaborata copertura costituita da una volta a botte “unghiata”, che si conclude nelle testate con volte “a ombrello”. All'interno era interamente decorata ad affresco sulle pareti e sulla volta. A seguito del crollo della volta e delle pareti principali, restano le due pareti terminali con l'Ultima Cena di Leonardo da Vinci a destra e a sinistra la Crocefissione di Donato Montorfano, temi consueti per la decorazione dei refettori conventuali.

L'edificazione della chiesa ebbe inizio, come di consueto, dalla zona absidale, contemporaneamente alla costruzione del convento. Nel progetto, il Solari si attiene alla consolidata tradizione gotica settentrionale della basilica a tre navate, con volte a ogiva e facciata a capanna. Anche i materiali sono quelli della tradizione lombarda, il cotto per le murature e la pietra di granito per le colonne e i capitelli. L'impianto è quello della chiesa a sala, con tre navate basse e larghe, separate da colonne in pietra che facilitano il passaggio della luce creando un ambiente unitario, sviluppato più orizzontalmente che verticalmente. Le navate sono coperte da volte a crociera con cordonature, rette da capitelli a foglie. La fattura dei capitelli, non più a foglie lisce com'era uso, ma con motivi che richiamano l'ordine corinzio, è una timida concessione allo stile classicheggiante che ormai si stava diffondendo anche al nord.
Le navate minori sono fiancheggiate da file di sette cappelle laterali quadrate, illuminate da un tondo centrale e due finestre ad arco acuto. La struttura è quindi la stessa della precedente sede domenicana di Sant'Eustorgio, così come delle altre creazioni solariane a Milano: l'Abbazia di Casoretto, San Pietro in Gessate, Santa Maria della Pace.
La semplice facciata a capanna è divisa in cinque campiture da sei contrafforti. La larghezza è quasi il doppio dell'altezza. Altezza che è comunque superiore a quella delle navate interne, come si può vedere dagli oculi, murati in quanto collocati al di sopra della quota del tetto. La sobria decorazione è costituita dai rilievi in cotto a stampo che incorniciano le monofore e i rosoni, e dagli archetti che ne decorano il coronamento. Le porte laterali appaiono senza ornamenti, dopo che nell'Ottocento furono asportati i portali barocchi nel corso dei restauri compiuti da Luca Beltrami, che intendeva riprodurre l'aspetto quattrocentesco.
Il portale centrale, in marmo bianco, costituisce il primo intervento attuato su impulso di Ludovico il Moro, subentrato al Vimercati nel patrocinio dei lavori del complesso. Sui due piedestalli cubici poggiano le colonne in marmo bianco, decorate da una fascia in pietra a motivi floreali. Posteriormente sono affiancate da pilastri decorati a candelabre, in particolare sul sinistro è visibile la “scopetta”, impresa di Ludovico il Moro. Sorretta da questi elementi è un'alta trabeazione, decorata con tondi con profili di figure. A coronamento vi è una lunetta con volta a cassettoni, che ospita un settecentesco affresco di Bellotti. L'attribuzione del progetto, da alcuni assegnato a Bramante, non è unanime. Il candore del marmo bianco, la grazia delle decorazioni d'ispirazione classica e la linearità geometrica del portale sono esaltati dal contrasto con la sobria struttura in cotto della facciata.
Nel 1492 il nuovo signore di Milano, Ludovico il Moro, all'indomani dello sfarzoso matrimonio con Beatrice d'Este, decide l'erezione di un monumento che testimoniasse anche a Milano il nuovo stile ormai diffuso nelle corti più ricche e aggiornate della penisola, Firenze, Ferrara, Mantova, Urbino, Venezia. Così, soli dieci anni dal completamento della chiesa del Solari, ne viene cominciata la demolizione e il 29 marzo 1492 l'arcivescovo Guidantonio Arcimboldi benedice la prima pietra della nuova tribuna.
La tribuna è tradizionalmente attribuita a Bramante, anche se mancano prove documentarie, se non che il Bramante era in quegli anni ingegnere ducale e viene nominato una volta negli atti della chiesa (una consegna di marmo nel 1494). Alcuni studi recenti fanno anche il nome dell'Amadeo; quasi certamente il Bramante dovette essere comunque responsabile del progetto iniziale, ma non seguì poi i lavori veri e propri, che probabilmente furono diretti da Giovanni Antonio Amadeo.
La tribuna è costituita da un cubo di dimensioni imponenti, al cui centro si erge la cupola emisferica, raccordata da pennacchi, nei quali sono iscritti tondi che racchiudono i quattro Dottori della Chiesa. La cupola poggia su un basso tamburo, che ha l'originale aspetto di un grande loggiato che corre lungo tutta la circonferenza, che alterna bifore aperte e bifore cieche. La limpida figura geometrica del cerchio della cupola, simbolo di perfezione, è ripresa dalla decorazione a motivi circolari neri su intonaco bianco, dal giro di oculi aperti in alto, fino al tondo centrale della lanterna. Grandiosi archi a pieno centro occupano i quattro lati del cubo, le cui sommità sono tangenti alla circonferenza della cupola. Le due arcate laterali si aprono su absidi simmetriche, con volte a cassettoni. Le due arcate centrali si aprono l'una sulla navata centrale, l'altra sul coro. Quest'ultimo è costituito da un vano cubico con un'elegante volta a ombrello, terminante in un'abside uguale alle precedenti. La struttura generale richiama l'impianto della Sacrestia brunelleschiana in San Lorenzo a Firenze, e la cappella Portinari in Sant'Eustorgio. In tutta la decorazione si ripetono i motivi circolari dei tondi, inscritti nell'alta trabeazione, nei sottarchi, nei pennacchi e nella cupola, e il motivo della ruota radiata, già usato da Bramante nell'incisione Prevedari e in Santa Maria presso San satiro. L'equilibrio delle proporzioni del progetto è basato sulla larghezza della navata centrale della chiesa che, raddoppiata, corrisponde ai lati del presbiterio e al diametro della cupola. Oltre ai ricordati ornamenti, la superficie interna della tribuna è caratterizzata da una delicata decorazione a graffio, che rende vibranti le superfici con il suo tenue chiaroscuro. Come per il progetto della tribuna, anche l'attribuzione dell'ideazione e dell'esecuzione di questa sono controversi; per l'ideazione, molti la ritengono opera di Bramante stesso, quanto all'esecuzione, è stato fatto il nome di Zenale e di altri minori.
All'esterno la tribuna prospetta su Corso Magenta e via Caradosso, mentre il lato nord si affaccia sul chiostro delle rane. Si presenta come un monumentale cubo, dal quale si dipartono dai fianchi le due absidi semicircolari, mentre dietro si allunga il parallelepipedo del coro, che si conclude anch'esso con un'abside semicircolare uguale alle due laterali. Al di sopra si eleva il tiburio, in forma di prisma, concluso dall'alta galleria. Sul lato nord è il piccolo campanile, a pianta rettangolare, che si innalza a fianco della cupola fino all'altezza della galleria. La decorazione costituisce uno dei migliori esempi di decorazione plastica del panorama rinascimentale lombardo, insieme con la Certosa di Pavia e la cappella Colleoni di Bergamo, con le quali presenta evidenti affinità, di ispirazione ed esecuzione, rimandanti allo stile dell'Amadeo. È realizzata in cotto, granito e pietra d'Angera. La notevole ricchezza ed esuberanza che la caratterizza l'avvicina maggiormente alla tradizione locale lombarda rispetto ai più sobri modi bramanteschi e toscani. L'alto piedistallo con cornici in granito presenta grandi patere circolari con stemmi sforzeschi e domenicani. Sulla fascia superiore corre una teoria di finestroni e nicchie dalle cornici in cotto. Al di sopra un'alta parte intonacata mostra la decorazione più elaborata; tondi con eleganti motivi geometrici si alternano a lesene corinzie in cotto e candelabre classicheggianti. Sui riquadri che costituiscono i piedistalli alle lesene decorazioni floreali si alternano a medaglioni con busti di Santi. Particolarmente ridondante è anche la decorazione del tiburio della cupola. Un ordine di bifore rettangolari coronate da timpano è sormontato da fasce di decorazioni in cotto e infine l'alta galleria retta da colonne e archi, dietro la quale gli oculi che danno luce all'interno.
Non è chiaro se l'intenzione del Moro di fare delle Grazie il luogo di sepoltura degli Sforza fosse presente fin dall'inizio, o fosse maturata solo nel 1497, alla morte dell'amatissima consorte Beatrice d'Este per le conseguenze di un parto prematuro. La Duchessa, scomparsa a soli ventidue anni, fu tumulata con grandi onori all'interno del coro della basilica. Il mausoleo venne realizzato da Cristoforo Solari in marmo bianco, con la rappresentazione di entrambi i coniugi distesi a grandezza naturale sul coperchio. In seguito alla morte e alla sepoltura del Moro in Francia, al termine della prigionia cui venne costretto dopo la disfatta di Novara, il mausoleo venne smembrato e disperso. Il solo coperchio con le statue dei Duchi fu successivamente collocato all'interno della Certosa di Pavia.
Oggi nel coro si possono ammirare gli stalli lignei destinati ai frati. Gli stalli sono disposti su due file. Le tarsie della fila inferiore mostra uno stile più arcaico, con una prevalenza di motivi geometrici. I dossali della fila superiore ospitano tarsie di grandi raffinatezza, raffiguranti figure di santi alternate con motivi floreali, realizzate all'inizio del Cinquecento.
Secondo un'antica tradizione milanese Ludovico il Moro fece anche costruire un cunicolo collegante il castello, poi chiamato Sforzesco al convento.
Con la caduta di Ludovico il Moro (1499), e il successivo passaggio del Ducato di Milano alla Corona di Spagna dopo l'estinzione della dinastia Sforzesca (1535), cessarono tutte le opere di costruzione, che avevano avuto nel Duca Ludovico il principale promotore e finanziatore. Continuò per tutto il cinquecento e il seicento l'attività pittorica di decorazione interna.
A partire dal 1539, il complesso divenne sede del Tribunale dell'Inquisizione, retto dai padri Domenicani e qui trasferito dalla primitiva sede di Sant'Eustorgio. Per questo fu aggiunta una nuova ala al convento, addossata al refettorio, abbattuta poi nel 1785 con la soppressione del Tribunale per ordine di Maria Teresa d'Austria.
Notevoli furono le opere spedite in Francia durante le spoliazioni napoleoniche. La chiesa ospitava Incoronazione di spine di Tiziano, che venne requisita durante l'occupazione francese della Lombardia e portata al Musee Napoleon. San Paolo in meditazione di Gaudenzio Ferrari venne portata al Museo di Lione dove ancora oggi si trova. Dopo il congresso di Vienna, il governo austriaco non richiese la restituzione al Louvre.
Sul finire dell'Ottocento la chiesa fu interessata da un importante restauro attuato sotto la direzione di Luca Beltrami. All'interno della chiesa, sotto le ridipinture e le decorazioni successive, completamente asportate, furono riscoperte le originali decorazioni quattrocentesche ad affresco delle navate e le decorazioni a graffio della tribuna. All'esterno, l'abside fu liberata dalle costruzioni che vi erano addossate, e fu rifatto il campanile secondo lo stile della tribuna, abbassandone l'altezza. Sempre in stile neorinascimentale, fu edificato il piccolo chiostro del Priore, cui si accede dal Chiostro delle rane.
La notte del 15 agosto 1943, i bombardieri anglo-americani colpirono la chiesa e il convento.
Il refettorio fu raso al suolo, si salvarono pochi muri, fra cui quello del Cenacolo, che era stato rinforzato appositamente con sacchi di sabbia. Fu completamente distrutto il solariano Chiostro dei Morti, la biblioteca, e il fianco sinistro della chiesa con le relative cappelle. La ricostruzione del dopoguerra fu solo parziale.
Nel giugno del 1993 papa Giovanni Paolo II la elevò alla dignità di basilica minore.
Le navate costruite da Guiniforte Solari, immerse nella penombra, vennero illuminate da Bramante con una monumentale tribuna all'incrocio dei bracci, coperta da una cupola emisferica. Vi aggiunse inoltre due ampie absidi laterali e una terza, oltre il coro, in asse con le navate. L'ordinata scansione degli spazi si riflette anche all'esterno, in un incastro di volumi che culmina nel tiburio che maschera la cupola, con una loggetta che si riallaccia ai motivi dell'architettura paleocristiana e del romanico lombardo[.
Cappella della Vergine Adorante
Prima a destra. La cappella, appartenente a Paolo da Cannobbio, era originariamente dedicata a San Paolo, raffigurato in un dipinto di Gaudenzio Ferrari collocato sull'altare. Il dipinto, requisito durante la dominazione francese all'inizio dell'Ottocento, è ora conservato al museo di Lione. Oggi ospita sull'altare un affresco staccato, proveniente dalla cappella della Vergine delle Grazie, raffigurante la Madonna adorante il Bambino, che contiene in basso i ritratti dell'intera famiglia dei committenti. Non è noto l'autore dell'opera di fine Quattrocento, di gusto ancora tardogotico.
Alla parete destra è posto il monumento funebre di Francesco Della Torre commissionato nel 1483. Il sarcofago classicheggiante, sorretto da colonne a candelabra, è ornato dai bassorilievi con l'Annunciazione, l'Adorazione dei pastori e l'Adorazione dei Magi. Prevalente è l'attribuzione ai fratelli Cazzaniga, figure di spicco della scuola rinascimentale lombarda.
Cappella di San Martino De Porres
Seconda a destra, contiene una pala d'altare raffigurante San Martino in estasi, opera di Silvio Consadori (1962). Alle pareti quattro cenotafi del secolo XVI. Nella cappella vi era un affresco, strappato negli anni 1959/60 e riportato su tela, ora nella Nuova Sagrestia, che rappresenta San Martino a cavallo mentre dona il mantello al povero, probabilmente dell'inizio del sec. XVI. Sul pilastro a destra: Santo Domenicano con crocifisso.
Cappella degli Angeli, o Marliani
Terza a destra. Affreschi e pala d'altare di anonimo lombardo del XVI secolo (probabile imitatore del Parmigianino), con episodi relativi all'Arcangelo Michele (circa 1560). Nella volta i nove cori angelici, di autore ignoto. Nelle lunette laterali: a sinistra la cacciata degli angeli ribelli; a destra l'invio dell'arcangelo Gabriele, opera dei figli di Bernardino Luini. Sul pilastro a destra: Beato Antonio da Savignano, martire (+ 1374).
Cappella di Santa Corona
Quarta a destra. Apparteneva alla Confraternita di Santa Corona, che vi conservava una reliquia con la spina della corona di Cristo. Era utilizzata come sepoltura per i rettori della confraternita, fondata nel 1494 da Stefano da Seregno, la cui sede è oggi visibile all'interno della Pinacoteca ambrosiana. La facoltosa congregazione ordinò la decorazione ad affresco che riveste l'intera cappella nel 1539 al pittore più in vista della Milano del tempo, Gaudenzio Ferrari, ritenuto da Giovanni Paolo Lomazzo secondo soltanto a Michelangelo Buonarroti e maggiore dello stesso stesso Leonardo, che dipinse la Crocefissione e l'Ecce Homo alle pareti, e Angeli con gli strumenti della passione nelle vele (1542). La Pala d'altare fu invece commissionata a Tiziano. L'Incoronazione di spine dipinta dal maestro veneto è oggi esposta al Louvre, nella sala della Gioconda, dopo che fu asportata dai commissari Napoleonici all'inizio dell'Ottocento. L'opera, ritenuta uno dei capolavori della maturità dell'artista, presenta caratteri tipici del manierismo romano nella monumentalità e nella posa avvitata delle figure. Il suo stile ebbe grande influenza nella cultura pittorica milanese, visibile anche negli stessi affreschi di Gaudenzio che ne condividono i toni imponenti e fortemente drammatici. Attualmente la cappella conserva la pala d'altare Deposizione dalla Croce di Giovanni Battista Secco detto il Caravaggino (1616).
Cappella di San Domenico, o Sauli
Quinta a destra. Domenico Sauli commissionò nel 1541 l'intera decorazione pittorica, comprendente gli affreschi e la pala d'altare, al veneto Giovanni Demìo. Il ciclo, che comprende la Crocefissione all'altare, le lunette con Noli me tangere e i Discepoli in Emmaus e la decorazione della volta, mostra un forte accento manierista, caratterizzato da accenti nordici. Alle pareti angeli in terracotta ricoperta di stucco, recanti gli strumenti della Passione, di autore ignoto. Sul pilastro a destra: Beato Antonio da Asti, martire (sec. XIV).
Cappella di San Vincenzo Ferrer, o Atellani
Sesta a destra. Originariamente appartenente alla famiglia degli Atellani, il cui palazzo quattrocentesco si può ancora vedere sul fianco della chiesa delle Grazie, fu affrescata nel seicento dai Fiammenghini, contiene la pala d'altare: Madonna con Bambino e i Santi Vincenzo Martire e Vincenzo Ferreri, di Coriolano Malagavazzo (1595). Sul pilastro a destra era presente un'immagine di San Domenico andata distrutta durante i bombardamenti del 1943.
Cappella di San Giovanni Battista
Settima a destra. Gli affreschi tardocinquecenteschi sono del manierista Ottavio Semino. Particolarmente elaborata è la volta a ombrello, dove Semino raffigura Profeti nelle lunette e negli spicchi, con Dio padre al centro. Dell'inizio del Cinquecento è invece la Pala di Marco d’Oggiono, allievo di Leonardo. Contiene il ritratto dell'ignoto committente, appartenente all'Ordine dei Cavalieri di Malta, in adorazione del Battista.
Cappella di Santa Caterina, o della famiglia Bolla
Prima a sinistra, coeva alla costruzione della basilica e concessa dal duca Francesco Sforza ai Bolla, che facevano parte della ristretta cerchia del duca, come si evince, già il 30 marzo 1459 ordinava al vicario della Val di Blenio (Canton Ticino):
Ne ha supplicato di novo Iacobo de Bolla, nostro famiglio, per lo quale se recordamo una altra volta haverte scripto...
Successivamente nel 1490 fu dimora delle spoglie "SEPVLCRUM DNI FRANCISCI DE BVLLIS ET DESCENDENTIVM ..QVI DECESSIT 14 IVLII 1490". Questa memoria, scolpita in giro al marmo, in cui vedevasi la figura del defunto, fu letta dall'Allegranza e riportata da Vincenzo Forcella. Gli affreschi contenuti nelle lunette, gravemente danneggiati durante la seconda guerra mondiale, sono la testimonianza della più antica fra le decorazioni delle cappelle. Rappresentano episodi di vita della Santa titolare della Cappella, commissionati dalla famiglia Bolla già alla fine del Quattrocento, variamente attribuiti a Donato Montorfano e a Cristoforo De' Mottis. Oltre al trittico cinquecentesco firmato Niccolò da Cremona, la cappella contiene opere scultoree di Francesco Messina: il Crocefisso sull'altare, e le sei formelle bronzee ispirate alla vita di Caterina da Siena.
Cappella Conti-Casati
Quarta a sinistra. Dopo la ricostruzione postbellica sono stati sistemati qui vari cenotafi, fra cui quello del conte Ettore Conti di Verampio e della moglie Giannina dei conti Casati di Milano, promotori dei restauri degli anni trenta, di Francesco Wildt.
Cappella di San Giuseppe
Sesta a sinistra. Integralmente ricostruita dopo la seconda guerra mondiale, ospita una Sacra Famiglia cinquecentesca di Paris Bordon.
Cappella della Vergine delle Grazie
Settima a sinistra. La cappella era preesistente alla costruzione della chiesa, e costituisce il nucleo originario da cui prese origine tutto il complesso a cui diede anche il nome. Essa infatti esisteva già sul terreno che il Conte Vimercati donò ai frati, e partendo dalle murature esterne di questa il Solari cominciò l'edificazione del convento e della chiesa.
Nella lunetta corrispondente alla navata centrale è un grande rilievo a stucco con l'Incoronazione della Vergine fra i Santi Caterina e Domenico, realizzato nel 1632. Sopra l'arco d'ingresso alla cappella, nella lunetta della navata laterale, vi è posta la tela del Cerano con la Vergine libera Milano dalla Peste, eseguita dopo il 1630 come ringraziamento per la cessazione della tragica pestilenza che aveva falcidiato la popolazione milanese. L'opera contiene dettagli di crudo realismo, come il cadavere del bambino in primo piano e il bubbone esibito dalla donna retrostante, ed è pervasa da una cupa desolazione che rende ancora oggi la tragica atmosfera narrata da Alessandro Manzoni. All'interno della cappella, la pala d'altare raffigura la Madonna con il committente Gaspare Vimercati e la moglie, risalente alla fine del Quattrocento. Della stessa epoca è anche l'affresco sovrastante con l'Eterno circondato da Angeli, dai modi che ricordano ancora il gotico cortese. Per la sua affinità con gli affreschi della cappella ducale del Castello Sforzesco, è ritenuto di Bonifacio Bembo o della sua scuola.
Tutte le vetrate nella cappella, realizzate nel 1963, sono opera della pittrice Amalia Panigati e raffigurano l'Annunciazione, la Natività, la Crocifissione e l'Incoronazione della Vergine; la vetrata del portale sul chiostro rappresenta invece una Croce.
Il Chiostro delle rane, o Chiostro piccolo
Si tratta del chiostro adiacente alla tribuna Bramantesca, che collega quest'ultima con la sagrestia monumentale.
È oggi detto "delle rane" per via delle ranocchie in bronzo che ornano la fontanella al centro del chiostro. La sua costruzione si colloca alla fine del Quattrocento, negli anni della ricostruzione della tribuna, e viene quindi ritenuto parte dello stesso progetto di Bramante per la tribuna.
Perfettamente quadrato, è costituito da cinque arcate per lato in cotto, rette da colonne marmoree e capitelli a motivi rinascimentali. Sulle lunette d'ingresso alla chiesa e alla sagrestia si trovano due lunette monocrome ascritte a Bramantino.
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