Si trattava di un’abbazia vallombrosiana piuttosto nota a Milano e a Roma, una fama durata i quasi mille anni della sua esistenza. Comprendeva una cascina a corte quadrata, dove presumibilmente abitavano e lavoravano, insieme agli animali, i frati laici dell’ordine; la chiesa a navata unica, ma con quattro cappelle; una canonica, ossia il luogo dove alloggiavano i monaci. La canonica era dotata di una loggia che oggi è a tre archi, probabilmente in passato erano cinque. Sempre verso l’interno, c’è ancora la parte della chiesa che ospitava due delle quattro cappelle esterne alla navata. L’attigua cascina è per tre quarti intatta. Purtroppo, come si vede, l’intero complesso, appartenente a una vera e propria abbazia dotata di una certa ricchezza, è quasi completamente nascosto da edifici moderni per abitazioni operaie. Sono stati costruiti dal proprietario dell’area nel quartiere, datore di lavoro degli stessi operai che via alloggiavano.
L’area fu ottenuta dalla Santa Sede in cambio di un’altra area vicina, dove poi è stata costruita la nuova chiesa del quartiere, tutt’oggi in funzione. Non c’è stato alcun riguardo verso monumenti del genere, li si è lasciati devastare. Le abitazioni operaie che circondano l’abbazia, sono state costruite dal cotonificio Cederna, aperto nel XIX secolo e ancora esistente. Negli anni 60, l’erede dei Cederna fece demolire le due cappelle, i cunicoli che si trovavano sotto e trasformò la chiesa in magazzino. L’abbazia era tenuta dai monaci vallombrosiani, grandi studiosi di scienze naturali, di agricoltura, selvicoltura, medicina e scienze ospedaliere. È tra loro, per esempio, che studia il giovane Galileo Galilei. Possono essere definiti degli ecologisti-ambientalisti ante litteram, perché da sempre sensibili alla tutela della natura, apprezzata come “il creato”; i monaci, secondo la regola, non lavoravano, si dedicavano solo ad attività religiose e allo studio; per tutto il medioevo furono i maggiori esperti di botanica. Abitavano separatamente dai frati laici addetti ai lavori manuali. Nel caso del Gratosoglio, stavano nella canonica con i tre archi. La domanda da porsi è: come mai i monaci vallombrosiani scelsero proprio il Gratosoglio, allora luogo di paludi e boschi, per fondare un’abbazia ancora nell’XI secolo, andandosene solo a seguito dell’invasione napoleonica? La risposta la si trova nell’etimologia del nome stesso del quartiere: gratum solium, luogo bello dove stare. E ricco di pesci, di rane (poco più in là c’è il borgo di Ronchetto delle Rane)
, di campi fertili, di limpide acque risorgive. Leggenda vuole che fosse l’apostolo San Barnaba, di passaggio a Milano nel 51 d. C. a definirlo così, quando arrivò il 13 marzo di quell’anno. Del suo passaggio resta un ricordo proprio nella chiesetta che oggi è un magazzino, dedicata per l’appunto a San Barnaba. Per secoli a Milano la primavera si è festeggiata il 13 marzo invece del 21, in onore dell’arrivo di Barnaba; nel 1396, il Tredesin de mars fu proclamato giorno festivo, solennemente riconfermato da Carlo Borromeo nel 1583. Nel XII secolo, l’abbazia appena fondata fu già in grado di acquistare terreni. Al tempo stesso, risulta proprietaria di un ospedale. Il borgo era attraversato dal fiume Lambro Meridionale, che proprio davanti alla chiesa di San Barnaba formava una cascatella. Lambro è una parola greca che significa lucente, dal greco λαμπρως, lampròs. E che anticamente lo fosse davvero, lo conferma il detto milanese ciar com ‘el Làmber, limpido come il Lambro. All’inizio del XVI secolo, Antonio de Beatis, segretario di un cardinale, spiegò invece come “giunti al Lambro nei pressi di Monza, questo era fangosissimo, in antitesi con il suo nome”. Quindi, il detto milanese con tutta probabilità si riferiva unicamente al Lambro Meridionale, che nasceva dai copiosi fontanili esistenti allora, per congiungersi al Lambro presso Sant’Antangelo Lodigiano. In epoca recente, il fiume è stato deviato di una cinquantina di metri. Più in là ed è ancora visibile, ma ricevendo le acque dell’Olona, il fiume più inquinato e maleodorante d’Italia, si può immaginare quali miasmi si respirino in questo ex angolo del paradiso. La prima memoria scritta del convento, situato a circa tre miglia dalle mura di Milano, nella località denominata Gratosoglio, risale al 1148. Secondo il Giulini i Vallombrosani vi rimasero fino al XV secolo.
Nel XIII secolo San Barnaba amministrava anche l'ospedale di Santa Fede, sito presso il complesso di Sant'Eustorgio, il quale ospedale era pure conosciuto, secondo il Giulini, col nome di San Barnaba in quanto appartenente ai monaci del Gratosoglio.
Nel XV secolo l'abbazia fu concessa in commenda.
Nella zona sud Milano esiste ancora ciò che rimane di un'antica chiesa, ormai di proprietà privata, e dell'antico monastero fondato attorno al 1130 dai monaci dell'ordine dei Vallombrosani, nato in Toscana tra il 1037 e il 1070 da Giovanni Gualberto. Nel 1547 questi monaci, dopo la soppressione dell'ordine abbandonarono Gratosoglio. Il monastero venne gestito dai Carmelitani e successivamente dai Francescani e alla fine da una parrocchia. Lo stato di degrado complessivo delle strutture portò la proprietà a lottizzare. Oggi sono visitabili e abitate parti del monastero sopravvissute.

All’interno, a navata unica, si trovava un affresco, assai sciupato, trasportato su tavola e che si poteva vedere a destra dell’altar maggiore. Sulla facciata, nuda e liscia, vi era, appoggiata su una mensoletta, una statua in legno raffigurante il patrono San Barnaba. Nel 1915 furono levate le quattro cappelle laterali, per rendere più ampio lo spazio riservato ai fedeli, e l’antico soffitto a capriate fu sostituito con altro in muratura. A sinistra vi era una notevole cappella barocca dedicata alla Madonna del Rosario, con affreschi sulla volta e alcune buone tele sulle pareti laterali.la chiesa venne venduta per la costruzione di una nuova e più ampia chiesa sul finire degli anni Trenta del Novecento e oggi, infondo ad uno stretto vicolo a fondo cieco, si trova ancora l’edificio che ci suggerisce la presenza della primitiva chiesa.
Accanto alla chiesa ci sono ancora le vestigia dell’antico convento.
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