Donazioni e concessioni venivano usate come merci di scambio in cambio di favori politici. Essendo il naviglio trattato dal Duca come un bene privato, la disciplina delle sue acque era sottoposta al volere e, alle volte, ai capricci dei vari governanti e possessori di terre. Nel 1509 i Deputati della Fabbrica del Duomo lo chiesero addirittura in regalo al Re di Francia. Successe anche che nel 1515 Massimiliano Sforza, poco prima di abbandonare la città in mano ai Francesi e per pagare i debiti contratti per la guerra, vendette acque, alveo, rive e diritti sia del Grande che del Martesana alla Città di Milano. Il successore, Francesco I, mancando il pagamento dei cittadini, lo avocò nuovamente a sé considerandolo una proprietà ducale.E in effetti gran parte della fortuna delle bassa dipendeva dall'andamento stagionale mentre la fascia asciutta poteva contare su prodotti non copiosi ma sicuramente più vari. "Alla vigna e al gelso ivi s'aggiunge l'ulivo, e vi fanno corona i verdi gioghi di verdura festanti, ove si alternano annosi boschi di castagni con belle praterie, che nella stagione estiva, danno pascolo a numerose mandrie.” Dalla Volta di Cassano in direzione di Milano, il paesaggio del Martesana cambiava decisamente volto per assumerne uno contrassegnato da ampi campi coltivati in terreno asciutto (terre alte) a nord del corso d’acqua e, a sud, da ampie distese irrigue fra rogge e fontanili. Il territorio delimitato dalla Statale Padana Superiore SS. 11 (Milano-Torino), dalla Roggia Crosina, dal Naviglio Martesana, dalla fascia dei Torrenti Molgora e Trobbia, segnava anche la linea di confine fra la base sinuosa dei rilievi morenici (da Somma Lombardo a Paderno d'Adda) e la fascia irrigua attraversata nella sua estensione da nord a sud dal Canale Muzza.
La speranza dei milanesi di ergersi a padroni assoluti dei commerci via acqua riscuotendo imposte di transito, dazi e gabelle sulle merci in transito, fece sì che ogni controllo sulla navigazione fosse demandato a custodi o "campari" di nomina governativa e che la stessa navigazione fosse regolata scrupolosamente dalle "grida speciali" affisse nelle osterie e nelle stazioni di sosta dei barchetti. Alla cura dei navigli venivano preposti diversi "custodi o campari" distribuiti lungo tutta la linea dei canali: una professione certamente remunerativa e carica di favori. Alla supervisione delle varie opere venivano invece preposti gli ingegneri ducali camerali ed altri agenti della Regia Camera che operavano sotto la direzione del Magistrato delle Acque.
Una delle condizioni ottimali della navigazione era il mantenimento costante del livello delle acque che doveva convivere con l'irrigazione delle terre e l'uso dell’acqua che i vari possessori di privilegi esercitavano sulle bocche di presa. Per ovviare a tutto questo venivano emanate delle ordinanze e leggi speciali che intimavano la chiusura perentoria di determinate bocche in periodi stabiliti limitando in tal modo il danno che ne veniva alla navigazione. Le numerose grida che ingiungevano multe verso i contravventori alle grida ricordano i tanti litigi scoppiati fra gli stessi barcaioli; multe che si spingevano in taluni casi fino a bandire il contravventore o ad imprigionarlo per violazione delle norme prestabilite nel bando; in altri casi ancora giungevano fino alla punizione corporea (con frusta) sulla pubblica via. Il privilegio di disporre, dunque, dell'uso dell'acqua era entrato in uso a discrezione dei vari regnanti come un bene prezioso che andava conquistato e mantenuto a caro prezzo. "Difatti il commercio dei canali del Milanese era divenuto per se stesso un articolo rilevante delle entrate ducali a motivo dei dazi ordinari imposti sulle merci".
Imposte della "catena e della conca"
Inoltre l'acqua veniva adoperata come bene di scambio per ingraziarsi favori o per imporre delle tariffe fisse di riscossione d'imposte dette della "catena e della conca". "Istituiti originariamente sulle merci e prodotti navigati per esonerare la Camera dalle spese di riparazione e manutenzione dei canali medesimi. In seguito i dazi vennero trasformati in diritti fissi di navigazione devoluti al Principe, sullo stesso livello delle altre entrate dello Stato".
Il “modulo magistrale milanese”
Come misura della portata d'acqua da regolamentare i milanesi inventarono il cosiddetto modulo magistrale milanese collocato "in fregio ai canali distributori, cioe' nel loro margine. E' formato di un canale di derivazione e serve per misurare la portata dell'acqua, in due parti chiamate trombe, di cui l'una succede all'altra, lunga ciascuna poco meno metri 6". Come si può facilmente intuire l'acqua costituiva una fonte principale del reddito ducale. Questa complessa pratica secolare trovava la sua intima giustificazione nell'economicità del trasporto via acqua e non fu abbandonata neanche quando il progresso delle ferrovie sembrò spazzare via in un solo colpo la tradizione e la letteratura dei traffici lungo i navigli, almeno nella seconda metà del XIX secolo.
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