mercoledì 25 agosto 2021

IL CUSTODE DELLE ACQUE

  L’uso dell’acqua comportava una grossa opera di manutenzione che pure veniva sbrigata con solerzia e competenza. Vi provvedevano i campari ovvero i custodi delle acque con l’emissione di “Grida, editti, commesse”. Spesso le liti venivano risolte dai magistrati delle acque cui competeva la giurisdizione delle acque e, quindi, la risoluzione delle varie controversie che si accendevano per i più svariati motivi. L’azione e la perizia erano esercitate come un vero e proprio mestiere. Non si sa quando venne istituita la carica di Custode delle acque; in alcuni documenti del Quattrocento si faceva spesso riferimento a dei Campari che risiedevano nei borghi adiacenti ai corsi d’acqua e ai quali era affidata la sorveglianza di alcune tratte di canale. Nell´Ottocento si ritrovano indicazioni relative ai Custodi delle acque cui spettava l’esercizio anche di poteri disciplinari, regolamentari e di polizia. Le loro funzioni erano quelle di vigilare sullo stato delle sponde, segnalare periodicamente all´autorità milanese corrosioni e scavamenti.

Nel 1859 fu la volta di Marco Finzi che richiese il permesso di “poter ornare il suddetto arco del muro di cinta di una ferriata a larghissimi fori onde impedire l’accesso a chicchessia” perché “nella parte di detto muro di cinta dove entra la medesima roggia Acqualunga sotto appropriato arco si verifica l’abuso per parte di male intenzionati che introduconsi disotto all’arco stesso per l’alveo della roggia nel giardino degli esponenti, menando guasti al medesimo”. Si trattava di dispute minori che ponevano, però, l’accento sulla necessità e urgenza d’intervenire anche diversamente per rendere più sicure le sponde e l’utilizzo delle opere idrauliche da parte dei legittimi proprietari. Sempre in quel di Gorla una certa Contessa Laura Gropallo Pertusati pretese nel 1831 di prelevare nella stagione estiva (ogni domenica) acqua “per once 5 ½” dalla Bocca del Naviglio Martesana, diritto acquisito nel 1780. Analogo diritto di acqua continua venne vantato nel 1836 dal Sig. Pirovano per “once 9” contro una vendita di “once 3” effettuato dallo stesso nel 1729. Nella nota n. 822 dell’1.02.1836 l’ufficio fiscale concesse a Secco Comneno l’uso dell’acqua presso il Ponte di Gorla “per poca quantità” (diritto acquisito nel 1778).

Compito del custode era vigilare sullo stato delle sponde, segnalando periodicamente all’autorità milanese eventuali corrosioni o cedimenti degli argini. Il custode inoltre doveva rilevare tre volte al giorno (mattino, mezzogiorno e sera) il livello dell’acqua attraverso un idrometro fisso immerso nel canale e ogni quindici giorni inviava a Milano lo Stato del pelo dell’acqua. Era una rilevazione indispensabile per assicurare un equilibrato utilizzo dell’acqua per la navigazione e l’irrigazione. Visto quello che succede lasciando fiumi e torrenti senza controllo c’è da pensare se non serve ancora una figura del genere.

Il Custode misurava tre volte al giorno (mattino, mezzogiorno e sera) il livello dell´acqua in un apposito idrometro fisso immerso nel canale; ogni quindici giorni inviava a Milano lo stato del pelo dell´acqua; era una rilevazione indispensabile che assicurava un equilibrato utilizzo dell´acqua per la navigazione e l´irrigazione; il compito richiedeva, in chi lo adottava, chiare conoscenze sul moto delle acque e tanta esperienza acquisita sul campo. Le riparazioni a regola d´arte venivano, invece, effettuate durante le due asciutte, primaverile e autunnale. Qualche settimana prima di togliere l´acqua, giungevano al custode le intimazioni sulle opere da eseguire per i frontisti e per le comunità, che egli notificava personalmente. Le opere, invece, a carico dello Stato venivano eseguite dall´Appaltatore dei Navigli. Dall´autorità centrale di Milano giungevano anche le disposizioni sulla conservazione, la manutenzione delle sponde, il taglio dell’erba palustre che intralciava sia la navigazione che l´irrigazione.

Fra le numerose incombenze del custode c’era anche quella di controllare lo stato dei ponti, spesso danneggiati dalle barche. Due esempi di strutture dedicate ai compiti dei guardiani sono arrivate fino a noi, purtroppo in condizioni ben diverse. La più fortunata è rinata grazie a un’associazione di cittadini e oggi è sede di mostre e vanto per la città. La sorella gemella è stata messa in sicurezza prima che crollasse del tutto e ora è lì che osserva passare l’acqua del Naviglio dalle sue finestre rotte.
Vaprio D’Adda e Abbiategrasso non hanno in comune solo due tra le più impressionanti curve a gomito del sistema dei Navigli, quello della Martesana e Grande. Proprio dove la corrente cambia direzione per puntare dritta su Milano, sia che provenga da est che da ovest, sorgono le Case dei custodi delle acque.
Si tratta di una figura che compare per la prima volta in alcuni documenti del Quattrocento a cui era affidata la sorveglianza di un particolare tratto di canale.
Ad Abbiategrasso, destino diverso è stato invece riservato alla sorella occidentale della casa di Vaprio. Ad Abbiategrasso, in località Castelletto, la Casa del custode delle acque è un guscio vuoto, ricoperta di rampicanti e circondato da un giardino incolto. Passando sul ponte o lungo la ciclabile che porta a Robecco sembra di vedere un pezzo di storia che sta per crollare ed essere dimenticato. La struttura è stata messa in sicurezza nel 2005 grazie a un intervento di restauro conservativo, ma sul suo uso non c’è ancora nessuna proposta effettiva. Il problema infatti è che la Casa appartiene al demanio e questo complica a dismisura ogni eventuale progetto di valorizzazione e utilizzo da parte dei cittadini come è stato invece fatto per il vicino Palazzo Stampa, ristrutturato e oggi sede della Fondazione Per Leggere.
Testimonianza della fine del ‘500. L’edificio però è tutt’altro che insignificante. Il primo documento che parla della Casa delle acque ad Abbiategrasso risale al 1618 e conferma l’originaria residenza del Camparo del Naviglio.
Nonostante la destinazione d’uso dell’edificio fosse tipicamente operativa, finalizzata cioè ad ospitare pubblici uffici, la Casa del guardiano delle acque si presenta come una villa residenziale, strutturata su tre piani e con un ampio giardino sulla parte posteriore.

Caduta in disuso alla fine dell’800. Al suo interno trovavano anche posto uffici pubblici, nei quali funzionari quali il Commissario e il Questore delle Acque svolgevano quotidianamente la loro funzione di ispezione e controllo del canale. Con l’avvento dell’epoca giolittiana e la caduta in disuso del Naviglio Grande come arteria di comunicazione, l’edificio fu abbandonato, andando incontro ad un progressivo peggioramento delle condizioni strutturali.

Molto spesso le ruote idrauliche di mulini e filatoi e per l’irrigazione delle ortaglie delle ripe costituivano un grosso problema sia per il possessore delle ruote idrauliche che per i naviganti. Anche Gorla aveva i suoi ruotoni: a partire dalla metà dell’Ottocento la ruota Barioli, in via Finzi (ex Villa Resta), dava energia meccanica a una filatura di seta; la ruota della ex Cascina Quadri, di cui si vede ancora l’impronta della sede a filo d’acqua sul muro, forniva energia meccanica alla fabbrica di cioccolato. Era il 1865 quando iniziò la lavorazione della cioccolata; l’odore e il profumo di cioccolata inondavano l’aria deliziando i passanti e i conducenti dei cavalli e delle barche.
Conflitti d’interesse dovuti ai “rodoni”
Il Marchese Giuseppe Parravicini si lamentava per l’imbrattamento delle acque da parte della tintoria Weiss che era accusata di scaricare materie colorate del proprio stabilimento con grave “pregiudizio della irrigazione” (Reclamo del 19.06.1874). Anche il Sig. Redaelli del Filatoio Redaelli (impiantato nel 1819) fece richiesta nel 1837 “di “scaricare in Martesana” e nel 1856 di “poter passare sotto il fondo del Naviglio Martesana con un tubo onde comunicare il gas illuminante già da tempo attivato nella loro fabbrica allo stabilimento di filatura seta in facciata sulla sponda opposta del Sig. Barioli”. Massimiliano Savini, il 26 Aprile 1850, chiese “un centesimo di oncia magistrale di acqua del Naviglio a Gorla per una filanda di seta con contratto rogito del 9 settembre 1850” (Bocca Savini Gorla). Da parte sua il Sig. Colombo chiese di “rialzare un muro che divide l’alveo del Naviglio Martesana” dal ruotone idraulico “che in quella posizione trovasi alla Ripa destra onde impedire che esso rodone venga danneggiato”. Il rodone in questione, pescando acqua per l’irrigazione del giardino, poteva arrecare danno secondo il Colombo “per la malevolenza di condottieri di barche, come succede ora interrompendo l’irrigazione”. Come si evince da tutte queste argomentazioni una vita di azioni, fatti e questioni lievitava intorno all’uso dell’acqua restituendoci il senso di un’attenzione e di una cura delle proprie cose che se, alle volte, erano dettate da motivi contingenti e interessi personali, in realtà ponevano questioni ambientali rilevanti.



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