martedì 20 luglio 2021

QUARTO CAGNINO



Sicuramente già dal IV secolo avanti Cristo deve essere stata sede di comunità di Galli 
La grande arteria consolare che da “Mediolanum” (Milano) conduceva ad “Augusta Taurinorum” (Torino) e che oggi corrisponde grosso modo all’attuale via Novara, rappresentava per i traffici romani un’importante via di comunicazione. Su questa grande arteria si trovano: Trenno (Trebennius = 3 miglia); Quarto, il nostro borgo, (quartam lapidem = 4 miglia); Quinto Romano e Settimo Milanese e così via, che rappresentavano forse inizialmente soltanto insediamenti militari, stazioni di posta o per cambio cavalli. 
Il borgo di Quarto viene citato con l’aggiunta della denominazione “Canino” in un documento del 1200, il Liber Notitiae Sanctorum Mediolani, dove si menziona una “Quarto Canino Ecclesia Sancti Johannis Baptiste”, chiesa che documenti posteriori specificano con il titolo di “Decollazione di Giovanni Battista”. 
Su “Cagnino” o “Canino” si sa ben poco e vi sono solo due ipotesi: la prima fa derivare il nome da un personaggio, un certo Canius o Cagnius (cognome di origine veneta); la seconda invece da un allevamento di cani, esistente nel borgo, di proprietà del Duca Bernabò Visconti (1323-1385); o addirittura dall’appellativo “El Cagnin” riferito al Visconti in persona e non all’allevamento. 
Nessuna delle due ipotesi è suffragata da testimonianze certe... Si propende generalmente per la seconda perché pare certa l’esistenza di un allevamento di cani nei pressi di Milano, e perché troppo nota la passione per i cani del Duca di Milano, passione che lo portò a gravi efferatezze contro i poveri sudditi: da qui il soprannome su citato. In realtà se in documenti del 1200 Quarto è già detto “Canino” è difficile accettare la seconda ipotesi, essendo Bernabò Visconti vissuto nel 1300. Può però essere successo che il riferimento al terribile Visconti sia avvenuto in un secondo tempo per una commistione fonetica tra il luogo e il soprannome simbolo di vessazioni e sofferenze. Storicamente sembra più valida la prima ipotesi. 
In alcuni documenti del 1200 l’attuale borgo viene detto Quartum Castrum (in latino accampamento militare). Questa denominazione romana ci fa supporre che il nostro borgo sia stato inizialmente un accampamento così come è successo per città anche molto importanti. Ma è difficile stabilire quando. Si può solo immaginare che l’opportunità di porre un accampamento a poche miglia da Milano possa essersi presentata non prima ma dopo che le grandi strade romane erano già tracciate per guerre di offesa o di difesa.
 La via Fratelli Zoia è una via antica, chiamata un tempo via Longa. Può essere che il suo tracciato corra su quello della suddetta via “principale”. In effetti guardando la carta topografica di Quarto si può notare che l’attuale via F.lli Zoia è quasi ad angolo retto con la via Novara, antica via romana, e sembra dividere in parti uguali un territorio che possiamo immaginare quadrato, come era quello degli accampamenti romani. Ma al di là di queste ipotesi rimane il fatto che questa via potrebbe raccontarci sia le turbolenze interne ad un accampamento romano sia (secondo ipotesi recentissime) il passaggio dei pellegrini provenienti dalla Francia e diretti a Roma durante le Crociate e, perché no, la vita sociale e lavorativa del borgo in epoca medievale...
Il nome Quarto Cagnino nasce dall’unione di due parole: Quarto deriva dal fatto che l’area si trova a 4 miglia romane (circa ottomila passi) da piazza Cordusio, centro di Milano in epoca romana; Il miglio romano deriva a sua volta da mille passus, corrispondenti a mille passi intesi alla romana, cioè 1 passo = 1,48 metri, un metro e mezo meno due centimetri. Un singolo passus romano equivale in realtà a due dei nostri di oggi, è il movimento completo delle due gambe nel camminare, non di una sola come nell’accezione moderna, per cui Quarto Cagnino è distante da piazza Cordusio ottomila passi dei nostri,
Borgo agricolo da sempre, nell’Ottocento le sue sorti di comune indipendente iniziarono a cambiare: fu prima unito al distretto di Baggio, di Sedriano e, infine, in quello di Bollate, poi per un breve periodo a Milano. Nel 1869 per Regio decreto Quarto Cagnino venne annesso al comune di Trenno, insieme a Figino e Quinto Romano. Quindi nel 1923, come per altri comuni limitrofi a Milano, seguì le sorti di Trenno e venne inglobato definitivamente nella grande Milano.
Via Fratelli Zoia (due fratelli che partirono per la Grande Guerra e morirono nel 1916) è una lunga via che zigzagando collega via Novara con l’altra grande arteria che è Via delle Forze Armate.
Via Fratelli Zoia inizia da via Novara come via a senso unico ben piccola. Era la strada che conduceva all’antico borgo. Dopo qualche metro, sulla destra, dietro ad un edificio del Comune, si trova il grande parco del Fanciullo, uno dei molti spazi verdi del quartiere. In lontananza incombono i lunghi stecconi (più di 360 metri) del quartiere Gescal di Quarto Cagnino, edifici costruiti nel 1973 da un gruppo di architetti coordinati da Vincenzo Montaldo.
la Fratelli Zoia, caratteristica per il suo andamento sinuoso, interrotto a metà percorso da quel che resta di una piazzetta al cui centro spicca un’antica colonna, comunemente detta crocetta , il “cuore” di Quarto Cagnino quasi punto focale verso cui sembra tendere il tutto, strade e edifici.
Era una piazzetta con la Crocetta della Peste, una colonna dorica fatta erigere nel 1746, come si legge chiaramente nel basamento.
Si pronuncia “crusetta”, crocetta alla milanese.
È un angolo tipicamente manzoniano, il cuore del borgo, dove è situata una colonna di granito eretta nel 1746. Sorregge una croce, ce ne sono molte così in giro per i borghi milanesi.

Ricordano tutte le vittime della peste, probabilmente lo spiazzetto triangolare delimitato dai cordoli dovette essere un pezzetto dell’apposito campo santo, con lazzaretto e annessa, di fronte a questa piccola piazza, una piccolissima ex chiesuola “la gesieul” in questi anni ridotta a bottega e un tempo, annessa ad una villa settecentesca - la Villa Rosnati 

Sul lato sinistro della villa settecentesca, basse case padronali, tipiche di un’epoca passata, nonostante le manomissioni subite, conservano evidenti segni dell’originale stile architettonico: resti di colonne, arcate e sottoportici con soffitti a volte, qualche affresco modesto ma datato, piccole sculture in cotto che adornano finestre e porte di ingresso; residui originali di recinti murari.

Nella stessa piazzetta vi si trovava la  bottega  del Giacomin, “el ferrascin”, il fabbro ferraio, personaggio la cui memoria si è perpetuata fino ai giorni nostri.

Questa piazzetta era nei tempi antichi il punto d’incontro dei contadini che si ritrovavano, dopo le lunghe giornate nei campi, per discutere e bere un bicchiere di vino e, nelle sere d’estate, per sgranare il granoturco seduti davanti al monumento. 
Tra i personaggi del borgo va ricordato anche Giuseppe Stortini, detto “El Barbison” per via di due baffi molto ben curati e di stile ottocentesco, per cui la cascina in cui abitava Cascina Salvo che  si trova in fondo a Via Pompeo Marchesi, ed era di proprietà della famiglia Robbiani. era anche chiamata Cascinetta del Barbison.
Si sa per certo che nel XIV secolo lo gestione agricola e commerciale del borgo passa dalle mani del clero a quelle di nobili famiglie ( è l'epoca della Signoria dei Visconti a Milano ), che diventano proprietari di vari fondi agricoli.
Queste preziose testimonianze si conservano ancora, ad esempio, nella Curt delle Monache tuttora così chiamata dai vecchi borghigiani, in quello dei Della Rosa,della quale così scrive il Langè nel 1972:  
Questa villa di Quarto Cagnino ha perduto quasi completamente ogni segno della funzione originaria e la struttura deve essere soprattutto intuita, perché molto compromessa da elaborazioni successive: la fronte esterna allineata con altri edifici forse coevi presenta peraltro una certa simmetria, con balcone centrale al primo piano e corpo quadrato sovralzandosi al centro, mentre il piano terreno, forse in origine porticato o con andito centrale è alterato da vetrine di negozi. L’iconografia è a corte rettangolare, con una seconda corte laterale, aperta verso il giardino in una cancellata frammentaria. Alcune colonne murate nel cortiletto interno potrebbero indicare anche per questa villa l’elaborazione di un precedente fabbricato conventuale”. 
Dal raffronto con la foto in bianco e nero, risalente ai primi anni 50, si può notare che tutto è rimasto sostanzialmente intatto: la crocetta (1), l’edificio di fronte, che conteneva la bottega del Giacomin (2), il maniscalco del paese, detto el ferrascin, riconoscibile dal ferro di cavallo messo come insegna e infine èl tabacchè (3), nella Cort omonima. Per sistemare l’area, che il Comune lasciava nell’incuria, occorse la mobilitazione della gente. Purtroppo, come si vede dalla foto a colori, questo bellissimo scorcio tipico di borgo milanese non è nemmeno pedonalizzato…

 

Il corpo quadrato al centro della Curt dei Della Rosa, che i borghigiani da sempre chiamano “la Turretta”, a differenza degli altri antichi edifici, tutti di un piano terra e di un primo piano, questa corte ha un secondo piano situato proprio in posizione centrale non solo rispetto alla corte stessa ma a tutto il borgo,  questi gruppi di case erano spesso separati da vaste proprietà terriere ed erano quindi isolati: munirsi di una o più torrette quali osservatori di possibili movimenti sospetti o di pericoli pare sia stata caratteristica delle cascine milanesi, come risulta da fonti attendibili. Si può quindi dare per certo che la nostra torretta abbia svolto funzione di controllo e di difesa e che forse in origine la sua struttura somigliasse molto di più a quella tipica delle torri medievali. Forse solo più tardi, verso il ‘700, ha assunto l’aspetto attuale, quando ormai era decaduto il ruolo difensivo assegnato a queste torri, e l’edificio si era ormai trasformato in villa padronale. 
Dopo la colonna con la croce si doveva trovare la chiesa si San Giovanni Battista decollato.
Comunque già nel 1939, visto che nel quartiere oramai facente parte di Milano la popolazione progressivamente aumentava, venne inaugurata una nuova chiesa, Sant'Elena progettata dall’architetto Michele Marelli.
Proseguendo per via F.lli Zoia torna ad essere quasi una strada di campagna, che ci conduce ad una delle cascine milanesi più importanti, la cascina Linterno.
Un’autentica perla, dato il contesto. Il territorio di questo ex Comune, assorbito da Trenno nel 1869 e poi da Milano nel 1923, è oggi un’area di grandi servizi, in mezzo alla quale c’è il borgo, miracolosamente sopravvissuto e ben conservato, nonostante gli scempi che ha comunque dovuto subire, con scorci che se non fosse per la presenza di una moto o di un’antenna, di un lampione, sarebbero senza tempo.
Quarto Cagnino è uno dei 70 borghi storici di Milano e uno dei pochissimi che può dirsi salvo, recuperato, sempre per opera dei privati, ovviamente, perché la mano pubblica, anche qui come altrove non esiste, non è mai esistita.
In Quarto Cagnino, lungo vari secoli, gli edifici nobiliari - la casa quattrocentesca, le ville settecentesche e case padronali - si sono strutturati su precedenti abitazioni o lì dove un tempo forse c’erano i monasteri. Tra il ‘700 e l’800, ampie cascine a gestione familiare alcune differenti da quelle dei 1300, prendono il posto di antichi fondi. 
La struttura edilizia attorno alla quale nel 1700 si organizzavano le attività agricole era un edificio a corte (cortile) nel quale abitavano quanti vi erano occupati giornalmente e nella quale trovavano dimora gli animali. 
Condizione per l’esistenza di questo tipo di cascina era il territorio necessario per quelle complesse produzioni. Il territorio a Quarto rispondeva a quelle esigenze e, su una mappa catastale del 1850 detta del Lombardo Veneto, è ben individuabile una grande cascina - la Cascina  Nebuloni Nebùlun-Nibulun, in via Fratelli Zoia angolo via Luigi Zoia, demolita nel novembre 1969. 

Vi erano anche altre cascine che si differenziavano da quelle tradizionali perché avevano al loro interno solo l’abitazione padronale o del fittavolo come la cascina  Mariani in Via Pompeo Marchesi angolo via Zoia,  Cascina Sordelli in Via Zoia  146 abbattuta negli anni '60 per far posto ad un palazzo.

Cascina Sordelli i cui proprietari si erano poi trasferiti nella cascinetta, costruita di fresco, al centro dei loro terreni che davano sulla via F.lli Zoia e che erano coltivati ad ortaglia.

Cascina Sordelli

I campi dei Sordelli erano irrigati con il Cavo Parea "el Camprea", il Masonè (con sorgente alla cascina Goretti, ai Sette Fili) e parzialmente dal Patellani.  

All'angolo, a fianco della cascina Mariani il comune di Milano aveva costruito un lavatoio pubblico alimentato con le acque del fontanile Carlaccio, " el sgarlasc". Il lavatoio era coperto da una tettoia per riparare le donne dalla pioggia, i predellini erano posti su due livelli. Il lavatoio era faticoso perchè le lavandaie dovevano lavorare con la schiena ricurva. Unica comodità il classico " brellin" di legno sagomato per dare un minimo di sollievo alle ginocchia sulla "preia de lavà ".

Il lavatoio venne abbandonato a causa del grave inquinamento organico e chimico delle acque.


Dell'antico abitato rimane il nucleo centrale, ove si trovano le cascine residue: iniziamo dalla Cascina Ghisa Maran, oggi adibita a ristorante, 
Tra le altre cascine, merita ricordare la Corte Casati (detta anche "Cort del Prestinè"), sita in via Zoia 72, che era in precedenza un edificio conventuale a cortile quadrato, i Casati erano carrettieri e trasportavano sabbia e la ghiaia con grossi carri a due ruote (marnoni)

 
e la Cascina Corte Grande - Cort Granda situata nel “cuore” storico dell’antico Borgo di Quarto Cagnino. Al centro del grande cortile (da qui il nome) c’è il rivenditore di legna, carbone e gas “el sciostree”.

Le case rustiche ed i porticati sono in via di trasformazione a residenza private. Era abitata anche dalla famiglia De Marchi, che svolgevano il lavoro di ortolani; avevano le “prose” di verdura nell’area degli attuali insediamenti residenziali di via Carlo Marx. Altri ortolani di Quarto Cagnino erano i Dell’Orto che avevano i terreni davanti all’Isolino Marano.   .
Una menzione infine va riservata alle altre cascine pervenute ai nostri tempi, seppure non più adibite ad uso agricolo bensì principalmente abitativo: Cascina Casati  in Via Pompeo Marchesi, all’angolo con Via Milly Mignone, i Casarei svolgevano il lavoro di ortolani. 
Altri ortolani del posto erano i Vanzù ed i Riva. I Vanzù avevano la cascinetta e la terra in Via Taggia, mentre i Riva coltivavano il terreno in fondo a via Pompeo Marchesi dove adesso c’è lo stabilimento dell’ex Simesa ora Denicar, la loro abitazione è quella palazzina ristrutturata ad uso uffici che si trova a sinistra del cancello d’ingresso della fabbrica. 
Sempre qui, in Via Pompeo Marchesi, è obbligo ricordare anche due costruzioni rurali, quella dei Ravini e quella dei Pessina, le cui famiglie però non svolgevano mansioni agricole ma quelle di lavandai, Cascina Goretti che si trova in fondo a Via Taggia nella località chiamata “Sètt fil” (Sette fili) e di fianco ad essa scorreva il fontanile Masonè (“el Mansonè”) chiamato anche Goretti; Questo fontanile ha la sorgente, ormai asciutta, un po’ più in avanti verso la Via Novara, adiacente al primo parcheggio che si trova imboccando la via Caldera; era anche il fontanile dei lavandai Ravini e Pessina ed irrigava parte delle ortaglie dei Sordelli e tutti i terreni a nord della cascina Linterno (marcite dei Bianchi e dei Proverbio). 

Verso la metà dell’800 che le rogge situate sia nella parte centrale del paese  vengono sfruttate per una nuova importante attività di tipo artigianale a conduzione familiare: le lavanderie.
Promotori di questo nuovo lavoro sono i proprietari o i fittavoli di quei fondi su cui passano le rogge. Succede anche che alcune famiglie abitanti nel borgo si trasferiscono dove hanno i terreni e vi costruiscono nuove abitazioni con annessi laboratori di lavanderia. E’ così che la vasta estensione a verde si trasforma e da silenzioso luogo agricolo con presenza saltuaria dell’uomo, legata ai cicli di cura del terreno, diventa spazio permanentemente animato da nuova vita.
Il diverso utilizzo delle rogge e la conseguente nascita delle lavanderie favorisce la creazione di nuovi posti di lavoro in primo luogo per gli abitanti di Quarto e produce - in positivo - una modifica dell’assetto sociale ed economico del paese. A godere dei maggiori benefici sono in pochi - i gestori delle lavanderie - ma anche i più, che costituiscono la manodopera salariale, fruiscono di maggiori possibilità di sussistenza.
C’è chi si ricorda ancora dei carri che percorrevano le vie acciottolate - ad esempio la via fratelli Zoia - con le loro grandi ruote che scorrevano lungo i trottatori, una sorta di binario in granito che si snodava lungo tutta la via, riducendo così di molto gli scossoni poco piacevoli. 
Se si osservano alcune vecchie case che una volta si trovavano ai margini del borgo oppure in mezzo ai campi ci si accorge che erano costruite verosimilmente in modo da affiancare lo scorrere della roggia per assicurare il più facile utilizzo delle sue acque. 
Ciascuna di queste case era corredata da una tettoia spiovente sulla roggia che aveva la funzione di riparare le lavandaie dalla pioggia e dall’afa estiva. Alcune tettoie sono ancora presenti ai nostri giorni e rispondono a funzioni non totalmente diverse da quelle d’origine. E testimoniano, nel loro complesso, di quale storia siano il prodotto. 
Ad ovest del borgo, invece, a separarlo dall'abitato di Baggio sorge il Parco delle Cave. Lunga e movimentata è la storia delle cave incluse nel parco: le attività estrattive di ghiaia e sabbia iniziate negli anni ’20 formarono i famosi laghetti chiamati Cave. 
All'epoca dell'escavazione delle cave, non solo a Quarto Cagnino transitavano i trenini che trasportavano nei loro vagoncini sabbia e ghiaia attraverso i sentieri fino a depositi detti i Sabbioni, a Quarto Cagnino nel ricordo dei vecchi vi era La Giorgina.
Nelle illustrazioni di alcuni giornali del 1921 si vedono bei laghetti in cui si può pescare e anche nuotare,  sono il prodotto di escavazioni operate nella campagna della cosiddetta cintura milanese. 
Se già si offrono come luoghi per il tempo libero le escavazioni debbono essere avvenute molto prima, anche se in altre parti intorno a Milano si continua a scavare. Possono essere iniziate forse alla fine dell’800 o ai primissimi del ‘900 quando si registra a Milano un fervore edilizio notevole: è in questo periodo che la città si abbellisce di famosi palazzi che ancora possiamo ammirare: c’è necessità di sabbia, di ghiaia, di ciottoli, materiale prezioso per strade e costruzioni. Milano, grande città senza fiumi (a parte il Lambro) e lontana dai monti ha cercato di produrre ghiaieti scavando nella campagna circostante a livello della periferia milanese. 
In questa area si insediarono due Società sportive di pesca, la “U.P. Aurora Arci” nel 1929 presso l’omonima cava e l’Associazione Il Bersagliere nel 1933 presso la Cava Casati. Negli anni '50 e '60 si sono cominciate a scavare le cave Cabassi e Quinto Romano: la cava Cabassi è poi stata parzialmente richiusa fino all’anno 1977, mentre le cave di Quinto Romano (Ongari e Cerruti) hanno terminato l’estrazione pochi anni fa. Oggi l'intera area è adibita a Parco ed è particolarmente gradevole nella bella stagione.
Poco a nord, in via Novara 89, si trova il museo Forlanini, che può essere ancora riferito al borgo perchè alle sue spalle, in territorio di Quarto Cagnino, si trovava il terreno su cui l’ingegnere Enrico Forlanini faceva volare i suoi dirigibili; ora vi sorgono le Officine “Leonardo da Vinci”, site in via San Giusto 85.

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