sabato 20 novembre 2021

LE ANTICHE PRIGIONI DI MILANO

Il termine “carcere” s’identifica in “recinto”, ossia luogo chiuso che permette di contenere. Altro termine spesso usato è quello di "prigione”, che origina dal participio passato latino prehĕndere, ossia prendere, identificato dal volgo come “stanza buia e stretta” e “luogo in cui ci si sente oppressi per mancanza di libertà o disciplina eccessiva”.
Ripercorrendo a ritroso la storia della nostra città, quali erano le carceri presenti a Milano? Partendo dalla fine del XVII secolo, troviamo diversi luoghi destinati alla detenzione, tra i quali:
  • La Casa di Correzione, che sorgeva nella zona di Porta Nuova e smantellata nel 1932, dove erano rinchiusi i colpevoli di reati minori e tenuti in regime di separazione. I detenuti, nessuno escluso, erano obbligati a lavorare la canapa e la lana, onde ottenere coperte e panni che erano distribuiti a tutte le carceri site in terra lombarda.
  • Vi era anche una “casa” definita “Ergastolo”, dove erano rinchiusi i condannati per gravi reati, non in isolamento, utilizzati per lavori di pubblica utilità in patria e non più sulle navi veneziane. Siamo nel XVIII secolo.
  • Carcere di Santa Margherita o della Questura, che sorgeva dove ora si trova la Galleria Vittorio Emanuele II, siamo nel 1878. Qui erano ospitate le prostitute, i debitori e per chi era in attesa di passaggio al altro carcere.
  • Carcere del Castello Sforzesco, che vede affluire i carcerati detenuti nel penitenziario di Santa Margherita, e che ospita i prigionieri politici.
  • Il carcere del Tribunale – ex palazzo di giustizia – che si trovava tra piazza Beccaria e il vicolo San Zeno, in cui erano rinchiusi chi era in attesa di giudizio e condannati già in via di trasferimento.
  • Nelle vicinanze di Piazza Fontana sorgeva il carcere criminalepresso il Tribunale di correzione.
  • Il carcere della Pretura, sito nell'ex convento di Sant'Antonio, riservato alla reclusione femminile.
  • Palazzo Pretorio.
  • La Casa di Polizia.
  • La Casa di lavoro volontario.
  • Il carcere di San Vittore Vecchio e San Vittore Nuovo.
Quando fu inaugurato il nuovo carcere cellulare, ossia l’attuale San Vittore, tutti gli altri furono abbandonati o demoliti. Il carcere rispecchiava il modello settecentesco e americano, definito panottico, che vedeva un corpo centrale e sei raggi o bracci che si dipartivano da questi, e che ancora ne caratterizza la struttura.
Partiamo dalle più antiche prigioni della città, quelle imperiali romane. Queste erano situate sul luogo dell’attuale chiesa di S. Alessandro. E la stessa chiesa è dedicata al più illustre dei suoi ospiti e al luogo dove fu detenuto per motivi religiosi. Infatti sorgeva qui, già in epoca proto-romana, un muro e una posterla di comunicazione tra castrum e la campagna, e a ragione di ciò sono stati rinvenute parecchie strutture sotterranee in ciottoli, collegabili ad un muro. Risulta disposto e orientato secondo il piano regolatore romano imperiale, ortogonalmente alle vicine Via S. Zebedia, Posterla e Arcimboldi e adiacente al cardo maior che passava per via Lupetta. L’area, sul finire dell’impero romano, era occupata dal Pretorio e dalle carceri dette «di Zebedia», che daranno il nome alla vicina strada.
Ed è in questo frangente che il luogo si incrocia con la storia del santo soldato cristianizzato, intorno al quale già intorno al VI sec., fiorisce una vera e propria leggenda: Alessandro era comandante di centurie, vessillifero della legione Tebea, costituita da soldati di origine egizia, normalmente di stanza ai confini orientali dell’impero. Ma all’inizio del IV secolo, l’imperatore Massimiliano 
dovette contrastare gli attacchi dei Marcomanni, e trasferire la «Tebea» in Gallia. Quando giunse presso le Alpi, la legione ricevette l’ordine imperiale di giurare fedeltà all’Impero sull’altare delle divinità e di perseguitare i cristiani. I legionari cristiani si rifiutarono di obbedire, e vennero dapprima umiliati con la flagellazione pubblica, e successivamente sterminati. Alessandro, con alcuni compagni, riuscì a fuggire e riparare in Italia. Ma giunto a Milano venne riconosciuto e incarcerato. Riuscì di nuovo, con l’aiuto di due correligionari, a fuggire a Como. Di nuovo scoperto, fu ricondotto a Milano e condannato alla decapitazione. Al momento dell’esecuzione, però, il suo carnefice, Martianus, venne assalito da tale panico e tremore da non riuscire ad eseguire la condanna. Alessandro fu allora rinchiuso nuovamente in carcere per morirvi di stenti. Ancora oggi, sopra il portale maggiore della chiesa, un altorilievo raffigura il martire cristiano mentre indica la chiesa eretta in suo onore e, sulla destra, le inferriate del carcere romano, presso cui era rinchiuso. Ma già nel VI secolo esisteva una chiesetta presso le antiche carceri di Zebedia, a ricordo del martirio del santo-soldato.
Le carceri medioevali
Si conoscono cronache in cui gli accusati di reati politici venivano appesi in gabbie nei pressi del Broletto o nelle segrete del Castello Sforzesco , dove furono trasferiti i detenuti provenienti dal carcere di Santa Margherita, abbattuto per costruire l'attuale galleria Vittorio Emanuele (1864 - 1878); o ancora presso alcune porte fortificate al di la del primo fossato voluto da Azzone Visconti (in pratica la cerchia dei Navigli).
Altre carceri tristemente noti, furono quelle della Malastalla (oggi scomparse, nell’isolato compreso tra la Via Torino/Via Spadari/Via Orefici). Si trattava delle antiche prigioni milanesi, soprattutto destinate agli insolventi, chiuse solo nel 1787 e note fin dal periodo comunale, adiacenti alla casa Missaglia. Ebbero grande attenzione da parte del vescovo Galdino della Sala, che nella seconda metà del XII sec., stabilisce delle rendite per i carcerati per debiti, nel quadro di un piano per il soccorso ai poveri, che in quel periodo si erano moltiplicati: gli ultimi, i carcerati per debiti, quelli che non osano chiedere. Anche in memoria di ciò, il pane per i poveri di Milano comincia a chiamarsi “pane di san Galdino”. Bernabò Visconti fonda qui la Compagnia dei Protettori dei carcerati. Ha come scopo opere a difesa e a vantaggio dei carcerati, per chi riceve sopprusi dai carcerieri e il controllo di fondi e lasciti a favore dei reclusi.
Nel 1477 viene distrutto da un incendio e viene ricostruito più grande. Ma sin dal 1569, già in piena epoca spagnola, però comincia a farsi largo il progetto di spostare le carceri in un luogo più consono e in condizioni di vita carceraria più umane: in una seduta dell’ufficio di provvisione di quell’anno, si propone di “comprare l’isola del postribolo pubblico, et ivi fabricare le prigioni in loco et scontro di detta Malastalla”. L’acquisto sarebbe stato fatto dai deputati del Luogo Pio della Malastalla vendendo il vecchio fabbricato, con l’aiuto del Comune e di altri benefattori. E’ l’inizio di un’operazione voluta dall’arcivescovo Carlo Borromeo che mira in primo luogo ad eliminare il quartiere a luci rosse di Milano, detto il Castelletto, e spostare, nello stesso isolato, il Capitano di Giustizia ancora residente in quel tempo nel palazzo arcivescovile.
Prima di parlare di questa operazione, per la costruzione di nuove e più ”moderne” carceri, vediamo che fine fa l’isolato della Malastalla. Nel 1788 dopo un’asta infruttuosa bandita a febbraio, viene venduto per 23.000 lire a certo Prospero Navrizio. Le carceri erano state soppresse l’anno precedente e i carcerati trasferiti nel nuovo Palazzo di Giustizia. 
E ora veniamo alla costruzione del Palazzo del Capitano di Giustizia o dei Tribunali con annesse prigioni (o Vecchio Tribunale), e tanto citato anche dal Manzoni durante la peste de “I Promessi Sposi”. Come dicevamo dal 1569 si comincia parlare di costruire qui (nell’attuale Piazza Beccaria) il nuovo palazzo di Giustizia e le prigioni. Il nuovo palazzo, quello che oggi è la sede della Polizia Municipale, sarà costruito tra la fine del XVI e il XVII sec.: nel 1578 Iniziano i lavori del nuovo palazzo delle Nuove Carceri. Si inizia a costruire dal lato destro sul luogo della vecchia chiesa di San Giacomo Rodense, che verrà in seguito inglobata nel nuovo edificio, mentre le case nel quartiere delle prostitute restano sul lato sinistro fino al 1616.
Se da principio doveva trasferirsi soltanto il carcere della Malastalla, poi si decide di collocarvi anche il Capitano di Giustizia e il tribunale. I lavori vengono condotti con grande lentezza e non risultano ancora conclusi nel 1630. Nel 1605 si ha la costruzione del portale del palazzo. Una lapide citata dal Torre ricorda Filippo III e il governatore Fuentes come patroni dell’opera. 
Nel 1784, essendo esautorata la carica del podestà, le carceri vengono qui trasferite definitivamente. Nel 1786, con l’arrivo delle carceri il palazzo viene ampliato. Divenne nel XIX sec. teatro dei processi contro i patrioti risorgimentali milanesi (ricordati anche da alcune targhe affisse), acquisendo una connotazione di luogo di detenzione politica. Tant’ è vero che i malfattori e i protagonisti di reati comuni vengono preferibilmente destinati alle carceri austriache in porta Nuovaa partire dal 1762, su disegno di Francesco Croce e utilizzata già dal maggio 1766, ma mai completata, fu smantellata nel 1932 
Nel 1818 il Gilardoni rifà la facciata ed è ampliato anche il recinto carcerario. Nella seconda metà dell’Ottocento sarà ancora oggetto di addizioni e sopraelevazioni per far posto agli uffici giudiziari del Regno. Anche nel periodo post-unitario ospiterà le prigioni cittadine, almeno fino alla costruzione di S. Vittore. Intanto, già dal 1868 si era aperta la piazza antistante, dedicata a colui che aveva stigmatizzato le atrocità di certi regimi carcerari sotto le dominazioni straniere in Italia: Cesare Beccaria.
Nel 1879, l’edificio viene liberato ai fianchi e sul retro dalle catapecchie, che lo circondavano, per far posto alle due nuove ali laterali e alla fronte posteriore dell’ing. Nazari sull’allora Via San Zeno per ospitare i nuovi Uffici dei Tribunali Civile e Penale. Successivamente, altri lavori furono condotti dal Genio Civile, tra cui il sopralzo dell’ultimo piano, per ridurre i danni dell’incuria e del sovraffollamento. Del 1934 sono i lavori di consolidamento del cortile. Passato dallo Stato al Comune, questo lo cedeva poi alla Provincia nel 1939 per alloggiarvi un Corpo di Polizia.
Nel 1940 anche il Tribunale lasciava il palazzo per trasferirsi nella nuova sede appena ultimata.
Nel 1955 il Comune riacquista il palazzo gravemente danneggiato dai bombardamenti. Il progetto di ricostruzione e restauro è di Piero Portaluppi. I restauri si svolgono tra gli anni 1958-66. Oggi è adibito a Comando Centrale della Polizia Municipale.
Sempre nell'800 troviamo altre carceri, il carcere criminale presso il tribunale correzionale, situato nelle vicinanze di Piazza Fontana; il carcere di Sant'Antonio, in cui venivano recluse prevalentemente le donne;  il carcere di San Vittore Vecchio. Non si hanno notizie certe su quale dei due carceri di San Vittore avesse sede nella chiesa e convento dei Cappuccini di San Vittore. Nel dibattito ottocentesco sulle forme carcerarie si andava affermando la convinzione secondo cui la promiscuità poteva favorire l'attitudine a delinquere e impedire il ravvedimento dei singoli. Seguendo una filosofia tesa ad un controllo sempre più razionalizzato dei detenuti, si cominciavano a progettare carceri dotati di celle singole, per questo detti "cellulari o cellari".
A Milano il risultato più evidente di questo lungo percorso di regolamentazione degli stabilimenti penali, che tra la fine del Settecento e i primi dell'Ottocento comportò una certa transizione da forme espiative tradizionali ad una penalità centrata sulla detenzione, fu la costruzione del carcere di San Vittore.
Tutti i vecchi stabilimenti carcerari milanesi furono abbandonati quando, il 24 giugno 1879, venne inaugurato il nuovo carcere cellulare, l'attuale carcere di San Vittore, per trasferirvi la sede del carcere giudiziario. Nel nuovo carcere vennero trasportati 577 detenuti che si trovavano negli altri stabilimenti milanesi. Il carcere fu costruito sul modello americano, cosiddetto panottico, con un corpo centrale e sei bracci o raggi che si dipartivano da esso. 

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