giovedì 22 luglio 2021

GALLERIA VITTORIO EMANUELE

Ancora oggi piace chiamarla “il salotto di Milano”, perché un tempo lo era davvero, come fulcro della vita borghese meneghina tra boutique eleganti, ristoranti e caffé. E ancora oggi è una tappa da non perdere per chi arriva in città e un luogo del cuore per chi in città ci vive: parliamo della Galleria Vittorio Emanuele II di Milano, splendido complesso ottocentesco che domina piazza Duomo e idealmente la incornicia, dal lato sinistro osservando la Cattedrale, dirimpetto al Palazzo dell’Arengario e a al Museo del ‘900 al di là della grande piazza.

A dare il benvenuto a chi vuole visitare la Galleria Vittorio Emanuele di Milano è il grande arco che invita a entrare. Dentro, locali storici, boutique, ristoranti, ma anche decorazioni e piccoli e grandi tesori, che portano dritto all’altra piazza simbolo del centro meneghino: piazza della Scala.

La Galleria, i cui lavori erano iniziati il 7 marzo 1865, fu inaugurata il 15 settembre 1867 alla presenza del Re. L’architetto Giuseppe Mengoni, che aveva diretto i cantieri, morì dieci anni dopo, il 30 settembre 1877, precipitando da un ponteggio mentre tentava di ultimare l’arco verso piazza del Duomo: uno dei casi più famosi di morte sul lavoro.

non era la prima volta che Milano si arricchiva di un passaggio coperto: la Galleria De Cristoforis, che collegava corso Vittorio Emanuele con via Monte Napoleone, costituì per alcuni decenni un luogo importante di socialità cittadina. Non presentava tuttavia una veste grandiosa.

La nuova Galleria fu qualcosa di diverso. Finanziata dal consiglio comunale, che ne affidò i lavori alla società inglese City of Milan Improvements Company, essa rappresentò nelle sue dimensioni imponenti, nei temi delle decorazioni, l’emblema dell’Italia risorta, gemma preziosa dello Stato nazionale monarchico. Giuseppe Verdi in una lettera scritta a un amico francese nel 1868, non nascondeva la sua ammirazione per questo ardito passaggio vetrato che collegava piazza del Duomo con piazza della Scala.

Alla sua apertura la Galleria ospitava novantasei negozi, un numero certamente rilevante se consideriamo che la Galleria De Cristoforis ne aveva allora una settantina. I caffè rivestivano un ruolo significativo nella vita sociale dei milanesi in Galleria. Chi fosse entrato a fine Ottocento da piazza del Duomo, avrebbe trovato sulla destra il celebre Caffè Campari gestito da Gaspare Campari. Giunto a Milano nel 1863 dopo aver lavorato a Torino e a Novara, Campari fece fortuna con i celebri liquori: il Fernet e il Bitter all’uso d’Olanda come si diceva a quel tempo (oggi conosciuto come Bitter Campari)Nel 1915, anno dell’ingresso dell’Italia nella Grande Guerra, Campari aprì un altro caffè sul lato opposto che dava sempre verso piazza del Duomo. Oggi questo spazio, tuttora adibito a caffé (nonché ristorante al piano superiore) non è più di Campari ma conserva il prezioso  bancone che gli antichi proprietari avevano fatto costruire in stile art nouveau.

Un altro caffè storico era quello aperto da Paolo Biffi nel 1867 al centro dell’Ottagono, nei locali in cui oggi si trovano gli stupendi negozi di Prada. Le vetrine di Biffi, che si era distinto per la produzione di panettoni artigianali, si estendevano lungo il braccio della Galleria verso via Ugo Foscolo.

Sul lato opposto si trovava una sede secondaria del caffè Gnocchi di Galleria De Cristoforis. Poi la proprietà passò alla Birreria Stocker, i cui gestori garantivano ai clienti la calda accoglienza di avvenenti cameriere in abito tirolese. Nel 1885 la proprietà fu acquistata da Virginio Savini, che ne fece la sede del suo celebre caffè frequentato dagli artisti del vicino teatro Manzoni. Dalla metà del secolo scorso il Savini divenne, com’è fin troppo noto, il centro della vita mondana: nelle sale lussuose di questo ristorante si ritrovavano politici, banchieri, intellettuali importanti nella storia nazionale.


Oggi alcuni di questi locali storici vivono ancora, anche se passeggiando in Galleria Vittorio Emanuele i negozi si alternano in una maggiore mescolanza di generi. Ma una regola rimane ferrea e riporta all’eleganza: tutti gli esercizi all’interno della Galleria, infatti, devono avere le insegne scritte in color oro su fondo nero.

fu proprio il re d’Italia a porre la prima pietra, il 7 marzo del 1865, alla presenza dell’allora sindaco Antonio Beretta e fu .fu inaugurata il 15 settembre 1867 alla presenza del Re. L’architetto Giuseppe Mengoni, che aveva diretto i cantieri. Si  narra che il primo ad avere l’idea di una via commerciale che collegasse Piazza Duomo a Piazza della Scala fu addirittura Carlo Cattaneo, nel 1839. Ma si dovette attendere il 1860 affinché il Comune potesse lanciare il concorso per la sua realizzazione. Parteciparono in tanti, ben 176 architetti, ma nessun progetto fu il prescelto.

Ci vollero altri due tentativi per cominciare a pensare alla Galleria così come la vediamo noi oggi: vinse Giuseppe Mengoni. Che però non riuscì a godere a lungo della sua creazione: l’architetto precipitò dalla Cupola nel 1877 pochi giorni prima dell’inaugurazione. Incidente o suicidio? Il mistero rimane ancora irrisolto.

Quella non fu l’unica tragedia a piombare sulla Galleria Vittorio Emanuele di Milano, che divenne suo malgrado protagonista anche durante la Seconda Guerra Mondiale: i bombardamenti dell’agosto 1943 la colpirono duramente, distruggendo la copertura in vetro e una parte di quella metallica, non risparmiando neanche le decorazioni al suo interno. Sembra difficile immaginare un simile scempio oggi, quando con gli occhi all’insù si rimane a bocca aperta ammirando gli stucchi, le figure, le decorazioni luccicare al sole.

la grande cupola centrale in mezzo all’Ottagono.

 Si chiama così lo spazio che si trova all’intersezione tra il braccio principale, che collega piazza Duomo a piazza della Scala, lungo 196,6 metri, e il braccio più corto, di 105,1 metri.  La sua forma è stata ottenuta dal taglio dei quattro angoli all’incrocio delle gallerie e in cima alle pareti si possono ammirare le quattro lunette dipinte che raffigurano altrettanti Continenti in maniera allegorical’Europa, l’America, l’Asia e l’Africa. La cupola centrale al suo apice è alta 47 metri: per realizzarla, insieme alla tettoia di copertura, furono impiegate ben 353 tonnellate di ferro e 7 milioni e 850mila metri quadrati di lastre di vetro rigato. Ispirò anche la Torre Eiffel di Parigi, inaugurata nel 1889, anno dell’Expo francese.

24 STATUE IN GALLERIA distrutte
Affacciate sui quattro viali interni (larghi ben 17 metri) della Galleria erano disposte due dozzine di statue di personaggi famosi. La collocazione delle statue era simmetrica rispetto ai due assi principali: 16 statue erano collocate nell’ottagono, quattro per ogni lato come si evince dall’immagine di apertura dell’articolo, mentre le altre otto erano disposte a coppie ai quattro ingressi, una per ciascun lato.
Le statue in gesso rappresentavano i seguenti personaggi:
Alessandro Volta
Michelangelo Buonarroti
Galileo Galilei
Camillo Benso conte di Cavour
Leonardo da Vinci
Pier Capponi
Dante Alighieri
Lanzone da Corte
Niccolò Machiavelli
Ugo Foscolo
Vincenzo Monti
Domenico Romagnosi
Cesare Beccaria
Giovanni da Procida
Vittor Pisani
Emanuele Filiberto di Savoia
Marco Polo
Raffaello Sanzio
Gerolamo Savonarola
Francesco Ferruccio
Arnaldo da Brescia
Galeazzo Visconti
Beno de’ Gozzadini
Cristoforo Colombo
Sul portale del Comune di Milano è riportata l’indicazione di una venticinquesima statua (rappresentante Gianbattista Vico) della quale però non v’è alcun riscontro su altre fonti; risulterebbe comunque strana la “rottura” della simmetria, sempre che non fosse collocata al centro dell’ottagono…
I 17 scultori impegnati nella ralizzazione delle 24 statue sono stati: Magni, Tabacchi, Guarneri, Rossi, Manfredini, Tantardini, Crippa, Argenti, Calvi, Romano, Pagani, Barzaghi, Boninsegna, Pierotti, Seleroni, Corti e Pandiani (Pietro Magni da solo ne aveva realizzate ben sette).
Le statue, come detto, erano in gesso e poste su piccoli basamenti all’altezza di circa tre metri da terra; questa collocazione – oggettivamente – le rendeva un pericolo costante per l’incolumità dei cittadini che transitavano sotto o che erano per esempio seduti ai tavolini del Biffi.
Tanto più che le correnti d’aria e la temperatura spesso rigida avrebbero potuto deteriorare la consistenza del gesso (che notoriamente teme l’umidità) e provocarne lo sgretolamento (cosa che stava realmente accadendo), rendendo il pericolo di caduta al suolo qualcosa di più di un semplice e ipotetico rischio.
Dalla documentazione consultata non risulta la data precisa dello smantellamento e della successiva distruzione delle 24 bianche statue, ma sicuramente ciò avvenne poco tempo dopo l’inaugurazione: in alcune immagini databili intorno ai primi anni ’80 (del XIX secolo, ovviamente) le statue non si vedevano già più.

Le palle del toQuando venne progettata la Galleria Vittorio Emanuele si decise che sul pavimento dovesse apparire il simbolo della città di Milano. Attorno allo stesso furono inseriti quelli di altre importanti città italiane: la lupa di Roma, il giglio di Firenze e il toro per raffigurare Torino, prima capitale dell’Italia unita.
Si diffuse subito l’idea che il toro portasse fortuna e, quindi, per i milanesi di fine Ottocento divenne un’usanza fare alcuni giri con la scarpa ben puntata sugli attributi. Anche le donne iniziarono ad accarezzarlo, perché si diceva avesse poteri legati alla fertilità.
Secondo la leggenda però porta fortuna ruotare di 360° con il tallone del piede destro sui testicoli del toro solo alle ore 24 del 31 dicembre!! Buona fortuna!
Per altri, poco affezionati alla monarchia sabauda, il rituale veniva interpretato come un segno di disprezzo verso la dinastia dei Savoia. O, ancora, è stato visto come auspicio per un ritorno a Milano (un po’ come le monetine lanciate nella fontana di Trevi a Roma).


IL RATTIN
Inaugurata la Galleria Vittorio Emanuele (nel 1867), l'illuminazione interna venne garantita fin da subito dalle lampade a gas, prodotto nelle Officine del Gas di porta Ludovica (solo nel 1885 si passò gradualmente alla luce elettrica).
La luce a gas era emanata da apposite lampade a candelabro, con azzurre fiammelle. Il gas veniva acceso da un operaio, uno dei tantissimi "lampeè" che provvedevano anche ad accendere i lampioni delle strade.
Il problema si pose per l'illuminazione della cupola, posta a 50 metri dal suolo. Impossibile salire ogni sera per dare la fiamma all'impianto del gas.
Rattin per illuminare la galleria Vittorio Emanuele
L'architetto Mengoni (il padre della Galleria) pensò anche a questo: fece costruire una piccola rotaia che scorreva a pochi centimetri dai beccucci per tutta la circonferenza della cupola. La rotaia era percorsa, all'atto dell'accensione, da un carrellino sulla cui sommità veniva acceso un tampone era imbevuto di liquido infiammabile.
Il carrellino (mosso da una carica manuale, a molla, come i trenini dei bambini) correva sul suo percorso accendendo gli ugelli dai quali usciva il gas. La mattina, bastava chiudere il rubinetto del gas per farli spegnere.
Tutte le sere, il carrellino correva proprio come un topolino (un rattin) ad illuminare la volta. Un momento magico, un vero spettacolo per grandi e piccini.
Fortunatamente, quando l'intero sistema andò in pensione (per l'arrivo della luce elettrica), il "rattin" fu conservato, e oggi Milano lo custodisce gelosamente (recentemente era in mostra al Castello, di solito è a Palazzo Morando).



PAVIMENTO DI GALLERIA VITTORIO EMANUELE
Nonostante si pensi di conoscerla abbastanza, Milano incredibilmente continua ad offrire sempre nuovi spunti d’interesse.
Quante volte siamo passati sotto i portici di piazza Duomo? La risposta è scontata soprattutto questi giorni, con quelle bellissime vetrine che, in prossimità delle feste natalizie, sono tutte un tripudio di luci e colori.
Avete presente il disegno del pavimento in marmo policromo dei portici (sia settentrionali che meridionali) in piazza? No? Lo immaginavo! Si rimane troppo attirati dalle vetrine e c’è troppa gente in giro, per badare a questi dettagli!
I disegni della pavimentazione
Il disegno del pavimento in marmo ricalca esattamente i bellissimi riquadri in stucco, del soffitto. Il motivo ornamentale, si ripete invariato, fra una colonna e la successiva, per una trentina di volte, lungo tutto il tratto di portici settentrionali da via G. Mengoni e via San Raffaele, e per quindici volte lungo il tratto dei portici meridionali fra via Mazzini e l’Arengario.
Posando casualmente lo sguardo su una delle tante lastre di marmo rosso di uno dei riquadri, sono stato attirato da una grande macchia biancastra a forma di spirale regolare … cosa poteva essere? Una meravigliosa ‘ammonite’ rimasta imprigionata nel marmo da tempo immemorabile! Non volevo credere ai miei occhi …. E non è l’unica, basta guardarsi un pò in giro, attentamente, ai propri piedi, quando si cammina …
Cosa sono le ammoniti
Le Ammoniti sono dei cefalopodi comparsi nel Devoniano e si sono estinti intorno al Cretaceo Superiore. Per la loro straordinaria diffusione nei sedimenti marini di tutto il mondo e la loro rapida evoluzione, le ammoniti sono fossili guida di eccezionale valore per la datazione delle rocce sedimentarie.
Come mai? Fatta una rapida ricerca, in effetti il marmo rosso di Verona, viene estratto da alcune cave nei monti Lessini.
Tutto il territorio veronese offre una grande varietà di pietre: la ‘Breccia Pernice’, il ‘Rosa del Garda’, il ‘Giallo Reale’ e pure diversi tipi di tufo.
Storia delle ammoniti
Circa 150 milioni di anni fa, nell’era giurassica, ebbe inizio quel processo di sedimentazione del fondale marino che, a seguito di fenomeni metamorfici, creò il tavolato calcareo che caratterizza i monti a nord di Verona e in particolare i monti Lessini.
In un arco di milioni di anni, a seguito della spinta della placca africana su quella europea, fenomeno che diede origine alle catene montuose alpine, quel fondo marino, nel frattempo divenuto solida pietra, si ritrovò ad emergere di svariate centinaia di metri sul livello del mare.
Prova del fatto che un tempo, dove oggi ci sono le montagne di Verona, vi era il mare, sono gli abbondanti fossili che si trovano nel marmo veronese, tra cui queste semplici, seppur affascinanti ‘ammoniti’, che ancora si scorgono abbastanza facilmente, nelle dimensioni più diverse: alcune discrete, altre più evidenti quasi desiderose di essere ammirate.
Paleontologia urbana a tutti gli effetti; motivo ulteriore per una nuova passeggiata ‘consapevole’ sotto i portici .. ma anche in Galleria ovviamente, visto che pure lì c’è lo stesso tipo di marmo!
Buona ricerca di altri ammoniti, o belemniti (di forma sottile e allungata) o nautilus! Auguri e … occhio a dove si mettono i piedi!


Oggi in cima alla Galleria si può salire per ammirare dall’alto piazza Duomo, piazza della Scala e lo skyline di Milano che cambia. Con Highline Galleria sono stati completati i lavori di restauro e adattamento della passerella già esistente e pagando un biglietto di ingresso si può passeggiare sui tetti della Galleria e partecipare agli eventi organizzati periodicamente, come il cinema. Accesso da due ascensori veloci all’interno del cortile di via Silvio Pellico

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