sabato 9 ottobre 2021

PUSTERLA DI SANT'AMBROGIO

E' lo spiazzo antistante alla Basilica: ciò che rimane dell'altro Castello

Tutti associamo S. Ambrogio alla Basilica, alla sua piazza e al Monastero retrostante, oggi sede dell’Università Cattolica. Ma pochi si soffermano su un discreto manufatto con tanto di fossato che spicca davanti alla cortina di ingresso al portico antistante la chiesa: la medievale Posterla di S. Ambrogio.
Il termine posterla indica un varco presidiato nelle mura cittadine, di importanza minore rispetto alla classica porta urbica, che si apriva spesso su assi secondari con funzioni di servizio (commerciale o militare) e chiusa da cancelli ferrati. Questo è il caso dell’architettura in oggetto, che faceva parte di un acquartieramento militare, a presidio della zona a nord-ovest della città, e soprattutto del sagrato della Basilica Ambrosiana dove si svolgevano funzioni pubbliche, celebrazioni, e soprattutto, dal 1098, per volontà del vescovo Anselmo IV da Bovisio, dove si istituiva un mercato esente da imposte e protetto da una pace di 16 giorni in occasione della festa dei SS. Gervasio e Protasio (fratelli del santo patrono) con l’esenzione della curradia, cioè il pedaggio dei viandanti. L’architettura militare risulta quindi ben sviluppata ancor prima che sorgesse il Castello di Porta Giovia, ora conosciuto come Castello Sforzesco. Si trattava in sintesi di una piccola cittadella militare composta da vari corpi di fabbrica, nota come Rocca di Porta Vercellina, poichè insistente sulla direzione della strada per il Piemonte. Tale passaggio, detto anche Porta di S. Giustina, fu quindi aperto nel XII sec., con la costruzione delle mura lungo il largo fossato esterno alla città, invaso artificiale delle acque che confluivano dal Seveso e dall'Olona, (che vi passava innanzi, nel tratto dell’attuale Via Carducci, allora noto come Naviglio di S. Girolamo). Si trattava del primo sistema di difesa della Milano medioevale che Guglielmo da Guintellino, nel 1155, o al più tardi, Gerardo da Mastegnanega nel 1171, idearono ricomprendendo all’interno del perimetro urbano molti luoghi fino ad allora ancora fuori città (S.Babila, S.Lorenzo, S.Francesco, S.Stefano,S.Nazaro S.Vitale e appunto S. Ambrogio). La terra di risulta venne utilizzata per un terrapieno parallelo o terraggio.
E’ inutile dire che per scavalcare tale barriera artificiale vi era un ponte elevatoio che immetteva direttamente alla Rocca, trasformato secoli dopo in un ponte in pietra permanente.
La Rocca in questione era quindi ben difesa e il suo ingresso era sorvegliato da alte torri, che erano adibite a carcere, come ci testimoniano le fonti per cui nel 1261 i nobili esuli milanesi, detti
Malesardi , impegnati nella disputa comunale a favore dell’imperatore Federico II, e sopravvissuti alle vendette del popolo, furono qui rinchiusi. Inoltre l’avvicinamento dall’esterno, via navigazione, era ancora più periglioso, per la presenza di vere e proprie catene stese sul fossato. Ciò è testimoniato dal fatto che nel 1407 Pandolfo Malatesta espugnando la pusterla Giovia toglie alla Porta Vercellina le “catene di sbarramento” portandole a Cesena ove sono ancora conservate.
Ma già all’inizio del XV sec., essendo già funzionante la fortezza viscontea del Castello ducale, nel 1404, Caterina, vedova di Gian Galeazzo, dà ordine di distruggere la cittadella fortificata di Porta Vercellina, che potrebbe trasformarsi in un avamposto di rivoltosi all’interno delle mura. Ma ci è testimoniato in realtà, che ancora per tutto il XV sec. esiste una rocca di Porta Vercellina adibita a carcere del Capitano di Giustizia, dove nel 1462 fu rinchiuso, e forse ucciso, anche il condottiero sforzesco Tiberio Brandolini reo di parteggiare per i francesi, o il figlio di otto anni del condottiero fuggitivo Donato del Conte Anzi, alla fine dello stesso secolo viene promosso un suo riammodernamento, attribuito a Bramante, anche se oggi non se ne leggono più le parti decorative: un portale simile attribuito nell’impianto generale allo stesso, potrebbe essere quello murato nel monumento-edicola ancora esistente in Conca del Naviglio, dove non mancano le similitudini (le lesene in mattoni, oggi nell’edicola intonacate, le basi classiche e gli eleganti capitelli corinzi in pietra, le trabeazioni dello stesso tenore).
Inoltre già dalla metà dello stesso XV sec, le funzionalità comunicative e difensive utili alla Rocca e all’intera zona, vengono potenziate con alcuni lavori sul tratto antistante del Naviglio, soggetto spesso a inasabbiamenti e a continue opere di dragaggio che creavano salti di quota del fondo e che pertanto ostruivano il trasporto fino al Castello. Risale infatti al 1445, grazie all’opera di Filippo degli Organi e Aristide Fioravanti, validi ingegneri del duca Filippo Maria Visconti , la costruzione di una Conca omonima con tanto di paratie. Grazie a quest’opera idraulica l’intera cerchia del Naviglio diviene navigabile, perdendo la sola funzione difensiva avuta fino ad allora. La Rocca da lì a poco, perdendo la sua funzione difensiva, viene definitivamente abbattuta nel 1549, per ordine del governatore “spagnolo” Ferrante Gonzaga , impegnato nella riorganizzazione delle strutture militari della città, cioè nello stesso momento in cui viene costruito il ponte in pietra in luogo del ponte elevatoio, prima citato.
Alcuni resti riemergono, come per incanto, dal 1883, cioè nel momento in cui si inizia a discutere dell’opportunità di isolare la Basilica ambrosiana: la posterla e l’adiacente oratorio di San Sigismondo vengono isolati dal sistema di casupole canonicali che si era affastellato intorno, fino a creare un tessuto di vecchie case senza soluzione di continuità tra un’emergenza monumentale e l’altra. Solo nel 1892 hanno inizio i lavori, che ce ne consegneranno i resti come un monumento isolato dal contesto, così come lo possiamo vedere oggi. Ma nello stesso periodo, un altro stravolgimento cambia il panorama del luogo, irrimediabilmente. Infatti, se questo fu il primo tratto di fossato aperto nel lontano XII sec., per ironia della sorte, questo del Naviglio di S. Gerolamo, fu il primo lotto dell’organizzato sistema di opere idrauliche ad essere coperto, con delibera comunale del 13 luglio 1883. Nel 1888 iniziano quindi i lavori di copertura,Tra il 1911 e il 1924, col termine dei lavori, il primo lotto della cerchia interna dei navigli fu soppresso, allora si disse per ragioni funzionali. Ciò che resta del fossato è quello che si può vedere affacciandosi sulla balaustra che delimita l’area di rispetto dell’antica Rocca di Porta Vercellina. Solo nel 1938 si decide di restaurare e in gran parte ricostruire la Pusterla. Contestualmente, il Podestà Gallarati Scotti decide che è giunto il momento di mettere mano alla sistemazione della piazza e dello spazio antistante alla Posterla, ormai libero da fabbricati. Grazie all’ausilio tecnico di un Comitato per l’Archeologia e l’Arte in Lombardia, si intraprende infatti un restauro che si protrarrà fino al 1940: si rinvengono alcuni elementi architettonici sulla torre di destra, verso Via De Amicis. Si intuisce la sua importanza come unica pusterla nota a doppio fornice, probabilmente perché collocata in una zona di particolare rilievo, tra le basiliche di S. Ambrogio e S Vittore. La torre originaria è rivestita da blocchi in pietra a bugnato fino all’altezza dei fornici, quindi in laterizio; originale risulta essere anche il pilastro in serizzo posto tra le due aperture; si riapre contestualmente il fossato, ripristinando i ponti.
anche se ebbe il merito di restituire alla città una zona di evidente degrado. Sopra i due fornici viene collocato il gruppo scultoreo di anonimo Maestro Campionese con i santi Ambrogio, Gervasio e Protaso proveniente dall’ingresso di un antico e vicino ospedale detto di S. Ambrogio (oggi scomparso, per costruire nel 1910 il Palazzo Cova del Coppedè, nell’isolato tra la Via Carducci e S. Vittore). La trifora in pietra oggi esposta alle intemperie è chiaramente una copia. Tra la fine degli anni ’80 e ’90 dello scorso e secolo nel fossato, che ne rievoca la situazione originale e gli originali livelli, furono ritrovate alcune strutture, tra cui alcune parti lignee, che persero consistenza non appena liberate dagli strati limacciosi.
Negli stessi anni nella torre fu ospitato un Museo della Tortura, a perenne ricordo di ciò che erano le condizioni carcerarie nell’antichità, in luoghi come questo.

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