I terreni erano allora coltivati per lo più a prato irriguo o a marcita, grazie alla notevole rete di rogge e fontanili alimentata dall'ingente patrimonio d'acque della zona, o ad aratorio semplice (cioè con seminativi per la coltura di cereali e foraggi), spesso alternato all'aratorio vitato (con filari di vite).
Furono probabilmente proprio la significativa ricchezza d'acqua, così come la vicinanza dell'abitato circoscritto dalle mura, a favorire in questo territorio ad Est della città, attraversato poco distante dal Naviglio di Porta Tosa, lo sviluppo di una serie di attività legate al lavaggio dei panni, al pari della zona più a Sud, tra gli altri due navigli principali, il Grande e il Pavese.
Attraverso la documentazione (relazioni, atti di consegna in affitto, mappe, disegni, e più tardi foto d'epoca e censimenti), oltre ad emergere un paesaggio suburbano di cui oggi non c'è più quasi minima traccia, prende consistenza il profilo di un mestiere, quello dei lavandai, in parte dimenticato, ma appartenente a buon diritto alla tradizione milanese.
Non pochi erano infatti da queste parti i lavatoi e gli insediamenti di lavandai situati presso le stesse cascine, come emerge dalle fonti, che ci raccontano di annose trattative, se non contese, per lo sfruttamento delle acque, rivendicate al tempo stesso per le operazioni di lavaggio e candeggio, come per le colture dei campi.
Sin dal 1910 si era ipotizzato di trasferire il Politecnico di Milano in una zona che potesse ospitare nuovi dipartimenti. Fino a quel momento la sede centrale era ubicata nel Palazzo del Senato. La scelta ricadde sulla località Cascine Doppie, sulla strada per Lambrate.
Nel 1915 viene posata la prima pietra dell’attuale sede centrale del Politecnico in piazza Leonardo da Vinci. La costruzione verrà inaugurata il 22 dicembre 1927, in pieno regime fascista.
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