Attraverso la documentazione (relazioni, atti di consegna in affitto, mappe, disegni, e più tardi foto d'epoca e censimenti), oltre ad emergere un paesaggio suburbano di cui oggi non c'è più quasi minima traccia, prende consistenza il profilo di un mestiere, quello dei lavandai, in parte dimenticato, ma appartenente a buon diritto alla tradizione milanese.
Per consuetudine, infatti, i panni a Milano non si lavavano in casa, ma all'aperto, preferibilmente appena fuori città, lungo le rogge e i canali che numerosi arrivavano a connotare persino il contesto urbano.
La vita dei lavandai era caratterizzata da consuetudini proprie, tramandate da un insieme di detti popolari e modi di dire dialettali tuttora vivi nella memoria collettiva, scandita da ritmi e attività ricorrenti, che prevedevano ogni settimana il ritiro dei panni al lunedì, le operazioni di lavaggio tra martedì e mercoledì, fino alla riconsegna nelle case a partire dal venerdì, sui carretti trainati dall'immancabile cavallo di ogni impresa familiare.
Consuetudini radicate e ininterrotte fino alla metà del secolo scorso, tramontate solo con la diffusione degli elettrodomestici nelle case.
Un mestiere antico quindi che identificava i lavandai, al pari di altri artigiani. Alla Confraternita dei bugandaj, nata nel XVIII secolo con sede presso la chiesa di Santa Maria delle Grazie sul Naviglio, nella seconda metà dell'Ottocento subentrò la Società Mutua Cooperativa Proprietari Lavandai, a ribadire l'identità di classe di questi lavoratori.
Data la molteplicità di spunti di approfondimento, il laboratorio propone una scelta tra due diverse tracce tematiche
La prima consente di far luce sul contesto agricolo e sociale tardo settecentesco di questo territorio attraverso la storia della Sbianca Venini, l'impresa per "l'imbianco delle tele di Germania all'uso di Varallo" avviata dallo stesso fittavolo Antonio Venini presso la Cascina Cicala nel 1766. L'iniziativa assunse una discreta importanza, contribuendo ad alimentare gli scambi commerciali con gli Stati confinanti, fino ad ottenere esenzioni fiscali da parte del governo austriaco grazie ad un dispaccio della stessa imperatrice Maria Teresa.
Le attività rimasero fiorenti fino alla fine del secolo, quando cominciarono a declinare, per "il capriccio della moda", dato che, a detta del successore Gaetano Venini, "[...], non amandosi più tanto un biancheggio liscio e con la calce, ma piuttosto con l'appretto" [...] la detta Introduzione illanguidisce".
Attraverso la documentazione che descrive i progetti di sistemazione ed ampliamento dei locali annessi alla cascina, destinati sia per l'abitazione che per lo svolgimento delle attività della Sbianca, è possibile farsi un'idea, oltre che degli spazi, anche di altri aspetti della vita quotidiana del tempo.
La seconda traccia concentra l'attenzione sui cambiamenti che tra Otto e Novecento, sulla spinta della crescita economica e del conseguente incremento demografico, segnarono in pochi decenni il processo di urbanizzazione di questa fascia originariamente rurale e periferica della città. Anche il grande podere della Cascine Doppie, Cicala e Pulice cominciò progressivamente ad essere smembrato ed alienato per venire incontro alle nuove esigenze di crescita urbana. I primi ad essere venduti - tra il 1888 e il 1993 - furono i terreni situati lungo la nuova strada che proseguiva la via Nino Bixio verso Lambrate, per la costruzione di una schiera di piccole case simmetriche “a uso dei lavandai”, su progetto degli ingegneri Giuseppe Riboni e Giuseppe Chiodi. Quasi a ribadire l'antica vocazione legata all'acqua di questa zona, allineate lungo la nuova Via dei Lavandai (oggi via Balzaretti), sorsero diciotto casette modello, comprendenti ognuna l'abitazione, il lavatoio, lo stallino e sul retro il terreno per stendere i panni ad asciugare. perfettamente funzionali allo svolgimento della professione. Particolarmente interessante, il progetto si distinse quale intervento innovativo di edilizia sociale, attenta al benessere dei lavoratori. Come avvenne per le altre cascine e lavatoi sparsi nei dintorni, dopo pochi decenni, intorno agli anni venti del Novecento, anche questo insediamento fu tuttavia demolito, per lasciare spazio alle nuove strade e ai palazzi previsti nel Piano Regolatore Generale del 1911, lo stesso che aveva progettato la realizzazione - poco più in là - della Città degli Studi con il moderno Politecnico, inaugurato nel 1927 proprio sull'area delle antiche Cascine Doppie.
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