sabato 28 agosto 2021

OSPEDALE DEL BROLO

 

Prima dell’Ospedale Maggiore, a Milano c’era l’Ospedale del Brolo già ai suoi tempi era il più importante fra i numerosi ospedali della città e del suburbio .

 L’Ospedale di San Barnaba in brolo era stato fondato nel 1145 da Goffredo da Bussero. Nel 1150, all’Ospedale di San Barnaba in brolo Goffredo da Bussero aggiungeva l’ospedale di Santo Stefano alla ruota e insieme, nel 1158, i due ospedali ne avrebbero formato uno solo chiamato Ospedale del Brolo. Situato nei paraggi dell’odierna chiesa di SantoStefano e perciò fuori dalle mura romane, ma dentro la cerchia dei Navigli, l’ospedale unificato ospitava pellegrini, viandanti e derelitti di ogni sorta: vecchi e meno vecchi, affamati malandati o malati, bambini e lattanti. Alla fine del Duecento il Brolo accoglieva più di cinquecento malati poveri a letto e un numero ancora maggiore di non obbligati a letto. Tutti erano mantenuti a spese dell’ospedale, il quale provvedeva inoltre a più di trecento cinquanta bambini affidati fin dalla nascita ad altrettante nutrici. 

Per chi aveva bisogno di cure chirurgiche, il Comune stipendiava tre chirurghi, che si dedicavano con premura a tali malati. Salvo lebbrosi e appestati che venivano avviati agli appositi ospedali, nessun povero o sofferente era respinto. All’assistenza diretta di tutti i ricoverati provvedevano civili o religiosi. Alcuni fratre, detti anche conversi, andavano per strada in cerca di derelitti per condurli in ospedale e qui confortarli secondo necessità.

 Nel 1168, erano venti; nel 1191,erano cinquanta. In ogni caso, per due terzi dovevano essere maschi e per un terzo femmine. 

Nel 1194, a turno quattro conversi dovevano dedicarsi. Diurna o notturna la loro assistenza doveva essere comunque assidua e rispettosa verso il ricoverato, obbediente verso il ministro o maestro loro superiore e da loro stessi eletto con l’approvazione dell’arcivescovo. All’amministrazione dell’ospedale invece, provvedevano i decani. Al fine di essere affidabili e ben accetti da assistiti assistenti religiosi e cittadinanza, i decani erano dai milanesi nominati in numero di ventiquattro che, a turno di quattro, prestavano servizio attivo. A loro spettava la gestione delle entrate e delle uscite. Le entrate erano rappresentate da donazioni e oblazioni. Le uscite erano rappresentate dal mantenimento della struttura ospedaliera con relativo personale amministrativo assistenziale e assistito. In caso di necessità e su indicazione dei frate, i decani potevano chiedere la consulenza di chirurghi o di medici . Al finanziamento di tutto e di tutti, infine, provvedeva la beneficenza che già d’allora per i milanesi era punto d’onore congenito e irrefrenabile. Milanese esemplare, sotto questo aspetto, quel balosso di Bernabò Visconti che nonostante le sue marachelle, il 22 marzo 1359 concedeva agli ospedali milanesi del Brolo e di Santa Caterina alcuni terreni di Lodi e Cremona e le tenute di Bertonico Ceradello Vinzasca e San Martino con diversi privilegi come la riscossione delle decime, la giurisdizione feudale, il diritto sulle acque per lo sviluppo agricolo e per la pesca. Donazioni di questo tipo volevano dire quattrini e prodotti in natura: dai cereali alla frutta e verdura; dai polli ai suini e bovini, dal latte al vino; dalla paglia alla legna. In cambio, l’ospedale doveva ogni anno: provvedere alla dote di fanciulle povere in età di matrimonio; distribuire pane ai mendicanti della strada e assistere i carcerati. Quello che restava doveva essere speso per i ricoverati in ospedale. In caso di mancata esecuzione delle volontà di Bernabò, immobili con privilegi e relativo reddito sarebbero passati alla istituzione elemosiniera delle Quattro Marie. 

La stessa organizzazione esistente nell’Ospedale del Brolo esisteva in tono minore anche nell’altra decina di ospedali milanesi, distribuiti nella città con criterio razionale sia per ubicazione (per esempio: un ospedale per ognuna delle sei porte cittadine) sia per nosologia (per esempio: l’ospedale di San Lazzaro, fuori Porta Romana, sulla strada di ritorno dei pellegrini e crociati eventualmente colpiti da peste o lebbra). Con il passar del tempo e con l’aumentare della beneficenza, nonostante ripetuti interventi dell’autorità religiosa, la grazia di Dio che passava in mano amministrativa suscitava cupidigia nel personale assistenziale tanto da provocare tre fenomeni sotto gli occhi di tutti: la lotta a sangue per la conquista del potere amministrativo degli ospedali; la trattenuta dei beni amministrati nelle tasche di chi li amministrava; il rapido degrado degli ospedali e l’incuria, se non disaffezione, per i loro ospiti. Di questa situazione si faceva interprete l’autorità civile che, nella persona del duca Filippo Maria Visconti, chiedeva a papa Eugenio IV di intervenire direttamente per risanare la fallimentare e corrotta gestione degli ospedali milanesi. 

Alla esplicita richiesta, il pontefice rispondeva nominando nel 1445 una commissione presieduta dall’allora arcivescovo di Milano Enrico Rampini che, dopo tre anni, avrebbe riformato da cima a fondo il sistema ospedaliero della città imponendovi un assetto così efficiente che, con poche modifiche, avrebbe retto per oltre tre secoli.

La riforma Rampini (9 marzo 1448), non solo ripuliva e riordinava l’amministrazione degli ospedali milanesi, ma promuoveva nel frattempo anche l’Ospedale del Brolo elevandolo a centro di soccorso e assistenza per i poveri, bisognosi di cure alimenti e alloggio. Tuttavia la centralità del Brolo sarebbe durata solamente otto anni perché nel 1456, con la fondazione del nuovo ospedale sforzesco, qui la centralità si sarebbe trasferita e qui sarebbe rimasta fino a quasi tutto il Novecento.

Anche se ridotto a ospedale satellite, alla fine del Quattrocento il Brolo manteneva il suo rango e assumeva la qualifica di ospedale specializzato per la malattia venerea e contagiosa ancora sconosciuta quanto a causa, ma ormai diffusa nel nuovo e vecchio mondo.

. Il pane, veniva fornito ogni giorno dal grande ospedale provvisto com’era di cereali e di un mulino con forno per la panificazione.

Nell’Ospedale del Brolo, infine c’era un religioso sempre pronto ad amministrare i sacramenti sia dei vivi sia dei morti. I morti venivano inumati in un proprio cimitero dietro la chiesa di Santo Stefano, regalato da tale Algisio fin dal 1184 . Con la regressione della peste di San Carlo (1576- 1577), l’Ospedale del Brolo si illuminava per la presenza di Ludovico Settala.

Il 12 dicembre 1631 l’Ospedale Maggiore deliberava il disarmo dell’Ospedal del Brolo (stante le sue miserrime condizioni finanziarie) assorbendone, quattro mesi più tardi, i degenti. Nel 1634 il Brolo veniva riaperto provvisoriamente, ma ormai il suo destino era segnato. Il 9 agosto del 1683 infatti, il fabbricato ad uso dell’ospedal del Broglio era venduto a favore del conte Rovida .

Nel frattempo l’Ospedale Maggiore era stato costruito per due terzi del progetto originale. Oltre alla prima parte cominciata dal Filarete, infatti, nel Seicento era stata costruita la seconda parte del Richini, consistente nel solenne cortilone porticato sui quattro lati, con chiesa dell’Annunciata sul fondo. Mancava la terza parte finale per la quale si sarebbe dovuto aspettare fino all’Ottocento.

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