Nella Milano nuovamente austriaca, Francesco (o Franco) Bossi chiese al governo, nel maggio 1799, l’autorizzazione ad installare una fabbrica di acido solforico e di altri prodotti chimici. Così nacque la prima fabbrica chimica italiana nel 1801, nell’area dell’allora convento di San Girolamo, dalle parti di Porta Vercellina, lungo il “naviglio Morto” oggi via Carducci.
Oltre all’acido solforico, Bossi produceva anche acido cloridrico, acido nitrico, cloruro di ammonio, solfati di sodio, di potassio, di magnesio e di rame. L’acido nitrico era, fra l’altro, usato per la preparazione delle lastre per la stampa delle monete da parte della Zecca.
Ben presto i fumi e i miasmi della produzione all’interno della chiesa sconsacrata di San Girolamo si fecero sentire, provocando la protesta degli abitanti della zona e dei gendarmi, ospitati nello stesso convento. Tanto che il 13 giugno 1802 fu emessa un’ordinanza che obbligava Bossi a smettere subito la produzione. Nel novembre dello stesso sfortunato anno 1802 il povero Bossi, pieno di debiti, dovette cedere la sua quota nell’impresa al socio L. Diotto e a un certo Michele Fornara (detto il Folcione), una specie di impiantista che aveva costruito le apparecchiature. I tre soci litigarono per qualche tempo e Bossi uscì definitivamente di scena proprio nel momento in cui, nonostante l’inquinamento, gli affari cominciavano ad andare meglio.
I guai non finirono, nel 1807 il prefetto del Dipartimento dell’Olona (la Repubblica italiana si era nel frattempo trasformata in Regno Italico) fece compiere un ennesimo sopralluogo nella fabbrica di acido solforico, ora della ditta Fornara & C.; ancora una volta venne constatata la nocività delle esalazioni gassose irritanti e il Prefetto ordinò il definitivo trasferimento della fabbrica. Nel 1808, dopo lunghe discussioni, la fabbrica Fornara si trasferì in San Vincenzo in Prato, la nostra chiesa sconsacrata, più appropriata perché all’epoca sorgeva in una zona più aperta e in mezzo ai prati, abbastanza isolata. La chiesa di San Vincenzo venne venduta ai due soci per lire 10.193, che vi portarono il laboratorio chimico. Convertirono il campanile in ciminiera e purtroppo danneggiarono gravemente parti della vecchia struttura e distruggendo gli affreschi quattrocenteschi che ne decoravano l’interno. Per questo l’antica basilica per tutto l’Ottocento venne battezzata la Casa del Mago, per via dei fumi e vapori che uscivano dalle finestre, dai molti comignoli e da ogni pertugio. L’interno era illuminato dalle caldaie su cui si trovavano storte e alambicchi.
“Casa del Mago” fu immortalata nel 1880 dall’architetto e incisore Luigi Conconi (1852-1917), il quale realizzò un paio di acqueforti che rappresentano l’interno di questa fabbrica. La prima è intitolata proprio “La casa del mago” e la seconda “Le streghe”, oltre ad una rara foto d’epoca.
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