
Comunque la si metta, la festa si chiama così perché dedicata agli “o belli o belli”, riferito ai bambini che affollavano Piazza Sant’Ambrogio nei giorni dell’Immacolata e del patrono di Milano.
Gli Oh Bej Oh Bej sono un cult: uno di quegli indizi che, pur in una città caotica e multiculturale come la nostra
nel segno della tradizione si trovavano caldarrostai, i dolciumi, gli addobbi di natale e le statuine del presepe, i firunatt – i classici venditori di castagne infilate affumicate (buone da mettere anche sull’albero) e ancora rigattieri, fioristi, artigiani, mestieranti, venditori di stampe e libri, maestri del ferro, giocattolai, produttori di miele, tradizione lunga cinque secoli.
Ma da dove arrivano gli Oh Bej Oh Bej?
Pare che la festa patronale dedicata a Sant’Ambrogio sia attestata fin dal 1288, mentre l’organizzazione e soprattutto il nome del mercatino degli Oh Bej Oh Bej come lo conosciamo oggi sia verificata per la prima volta nel 1510!
Anche la zona era diversa: la festa in onore di Sant’Ambrogio non era intorno alla basilica del patrono di Milano ma aveva il suo cuore nella zona di Santa Maria Maggiore, che oggi coincide con l’attuale Piazza dei Mercanti (quindi a due passi esatti dal Duomo).
Dopo tre secoli e nel 1886 si è spostata tutto intorno alla superba Basilica di Sant’Ambrogio, dove è rimasta fino a un paio di anni fa.
Dopo tre secoli e nel 1886 si è spostata tutto intorno alla superba Basilica di Sant’Ambrogio, dove è rimasta fino a un paio di anni fa.
Tutto é cominciato quando Papa Pio IV invia nella città della Madonnina il Gran Maestro dell’ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, Giannetto Castiglione con il compito di riaccendere l’entusiasmo religioso nei fedeli milanesi. Appena arrivato in città, Castiglione decide per un metodo vecchio quanto il mondo: per accattivarsi la popolazione locale comincia a distribuire ai bambini pacchi pieni di dolci e stracolmi di giocattoli.
Neanche a dirlo, mentre il corteo del Gran Maestro procede in parata verso la Basilica ambrosiana per rendere omaggio alla tomba del santo, il suo seguito diventa in breve tempo un faraonico tripudio di bambini festanti che, alla vista di tutte quelle prelibatezze e di tutti quei ninnoli, cominciano ad esclamare felici “Che belli, Che belli!”, che in dialetto milanese suona proprio come: “Oh Bej Oh Bej”.
Da allora e venendo ai giorni nostri, questo della presenza di dolciumi e giocattoli è rimasto uno degli aspetti imprescindibili per la buona riuscita del mercatino di Natale per eccellenza della metropoli lombarda. Certo, un tempo la fiera esponeva prodotti poveri e soprattutto gastronomici come i tradizionali ‘firon’, cioè le castagne da caldarroste infilzate a decine in lunghi fili avvolti; ma alcune delle leccornie del passato sono rimaste nel cuore (e nella gola) di molti ancora oggi, come il castagnaccio e la mostarda.
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