giovedì 18 novembre 2021

CASCINA MELAGASCIADA

O meglio Osteria Melagasciada

«“Maggior fama godette la Mergasciada, ove i milanesi si recavano nella stagione primaverile a mangiare gli asparagi. L'osteria esiste ancora oggi alla biforcazione della strada Varesina e Gallaratese, nel luogo ove in altri tempi si stendevano i boschi della Merlata, rimasti celebri nella tradizione popolare per le aggressioni che vi accadevano. Le paurose leggende, ancor vive nel popolo, che ricordano le gesta di Battista Scorlino e Giacomo Legorino, hanno lasciato traccia in alcuni affreschi visibili ancora nell'osteria, recanti la data del 1768”»

(Achille Bertarelli, Antonio Monti, Tre secoli di vita milanese nei documenti iconografici 1630-1875, Milano, 1927,)

Nelle vicinanze del bivio fra le strade Varesina e Comasina, evidente prima del riordino stradale postbellico) si trovava l'osteria Melgasciada, di origine cinquecentesca e originalmente contenuta nel bosco della Merlata che si estendeva a nord, che prende il nome dal termine dialettale "melgascia" con cui si indicava il fusto della pianta di granoturco. Essa sorgeva sulla strada che conduce a Villapizzone ed era nascosta in una folta macchia di alberi fronzuti, forse un lembo dell'antico e celebre bosco della Merlata. Questa osteria, probabilmente connessa con una cascina (oppure originariamente cascina), costituiva la base per una banda di briganti che infestava la zona. La cattiva fama della zona legata al ricordo della presenza dei briganti, rimase nei secoli, finendo per essere citata anche da Giovanni Verga nella novella “L'osteria dei buoni amici” come paragone di luogo pericoloso: "Aveva ragione il Nano di dire che quel posto era peggio del bosco della Merlata". Parte posteriore della Cascina Melgasciada Essa si apriva ospitale ai milanesi desiderosi di verde e di tranquillità. Sulla strada un grande cancello aperto invitava i passanti e, tra i pilastri, inquadrava e incorniciava la non lontana osteria, con lo spiazzo davanti... Aveva un solo piano e, isolata com'era nella boscaglia, ricorda un poco l'antica Osteria della Cazzuola di goldoniana memoria. La cascina si presenta a forma di U, con il lato privo di costruzioni chiuso da una muratura. Il corpo centrale, porticato, ospitava le case dei contadini dotate di ampi ballatoi, mentre i due corpi laterali erano destinati a fienili e stalle. La Trattoria doveva la sua popolarità nelle gite domenicali di inizio ‘900 delle famiglie milanesi alla ricerca di fresco sia al buon cibo sia alle leggende di antichi briganti . Come buon cibo si potevano gustare un buon piatto locale a base di Asparagi, oppure i salamini con un discreto profumo di aglio o i magioster serviti sui rustici tavoli dellìosteria .
Aneddoto degli asparagi Infatti una delle poche notizie che la storia ci dà della dominazione romana nell'Insubria, è l'aneddoto del piatto di asparagi, conditi con l'unguentum (burro), offerto da Valerio Leonte a Giulio Cesare, governatore della Gallia Cisalpina. Giulio Cesare, al tempo in cui era governatore della Gallia Cisalpina, venne invitato da Valerio Leonte, influente autorità milanese all’epoca, a un grande banchetto di benvenuto. Plutarco narra che agli ospiti furono serviti degli asparagi conditi da uno strano unguento giallastro sconosciuto agli ospiti romani. Il piatto però risultò poco gradito agli stranieri che non conoscevano altro condimento al di fuori dell’olio d’oliva. L’unguento giudicato maleodorante e disgustoso portò l’intero gruppo a un rifiuto unanime nell’assaggio della tipica pietanza milanese. Lo sconcerto fu grande. Non certo voleva essere un insulto quello dei milanesi, ma avevano semplicemente offerto ciò che ritenevano il meglio della propria cucina. Giulio Cesare, per evitare l’offesa e un increscioso incidente diplomatico, senza battere ciglio iniziò a mangiare la fetida pietanza, trovandola infine per niente disgustosa come sembrava. A fine convivio Giulio Cesare chiese cosa mai fosse quell’unguento maleodorante con cui erano stati conditi gli asparagi. Leonte sorpreso per la domanda inaspettata rispose: “Governatore, quest’unguento si chiama burro ed è prodotto dalle nostre belle e grasse vacche cisalpine“. Ma era burro o mirra? Plutarco nei suoi scritti in realtà parla di mirra o comunque di un olio profumato, non di burro. A Roma, però, il burro era usato come unguento o cosmetico. Pertanto a posteriori si è ben pensato di tradurre con burro piuttosto che mirra la leggenda del convivio cesareo. A favore della traduzione più recente influisce anche l’esistenza della pietanza tipica milanese, fatta per l’appunto con asparagi e burro. Lo sconcerto dei romani, infine, è reso perfettamente nel vedere il burro come condimento da cucina quando da sempre era stato solo usato come prodotto di cosmesi. Per quanto riguarda gli antichi briganti si ricorda che sull'uscio che immetteva alla cucina grande, (la solita cucinona come in tante altre osterie), una specie di iscrizione che raccontava un'enigmatica storia : QUI È MURATA LA TESTA DELLA MULA DEI CELEBRI BRIGANTI GIACOMO LEGORINO E BATTISTA SCORLINO GIUSTIZIATI NEL MAGGIO DEL 1566. L'osteria ricordava cioè l'epilogo della banda dei famosi briganti che infestavano il bosco della Merlata.

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