e i suoi briganti
Il bosco venne tagliato agli inizi del novecento. Luca Sarzi Amadè nel bel libro “Milano fuori di mano” così descrive il “favoloso Bosco della Merlata”. “… grosso modo compreso tra la Cagnola, Trenno e Pero, popolato di selvaggina, lupi e grassatori (briganti ndr).
La fosca storia dei briganti della Merlata Il Bosco della Merlata Il bosco, che prende il nome dal corso d'acqua Merlata, era un'area boschiva in pianura che originariamente si sviluppava all’esterno delle mura di MIlano da nord fino ad ovest, quasi a lambire le città di Novara, Varese e Como. Al suo interno comprendeva centri abitati e anche la Certosa di Garegnano
Ancora ben sviluppato nel seicento con una discreta fauna, tra cui animali da selvaggina e anche lupi, il bosco divenne famoso per essere infestato da bande di temuti briganti. Tra questi Giacomo Legorino e Battista Scorlino, che furono tra i capibanda più famosi e temuti, processati con 80 complici nel maggio del 1566. Il primo fu trascinato per due ore da un cavallo in corsa; quindi fu legato alla ruota, ma nonostante avesse arti e schiena spezzati, era ancora cosciente. Il cappellano implorò allora il boia di sgozzarlo “acciò non stentasse più e non perdesse l’anima”. Analoga la sorte dell’altro. Infatti si leggeva che «“E’ volgare tradizione, presso molti, che i nostri nonni non viaggiassero e che venendo da Como a Milano, dovendo attraversare il bosco della Merlata, facessero testamento come il crociato che si recava in Terra Santa.”» Secondo il Dizionario Corografico Universale dell'Italia stampato nel 1850 all'epoca si poteva ancora riconoscere e distinguere: Bosco della Merlata di sopra, lungo un miglio e largo la metà, detto anche Bosco della Madonna del Bosco, dal nome di una cascina con oratorio posta sul lato orientale del bosco lungo un breve tratto della strada varesina Bosco della Merlata di sotto, più piccolo formato da due quadrilateri tra i quali si trova il comune di Cassina Triulza, e confinanti a ovest con i comuni di Mazzo, Pantanedo, Cerchiate e Cassina del Pero.
Il bosco scomparve con i disboscamenti di inizio ottocento; riferendosi a quel periodo Giuseppe Bossi Federigotti, poco dopo l'unità d'Italia, scriveva: “Allora i boschi della Merlata non erano lontani dalle mura e accompagnavano le strade della Brianza verso Erba e Como, prima di scomparire, nell'inoltrarsi del secolo, quando, soprattutto a iniziare da quegli anni sessanta, andava dileguando, nella preoccupazione di un esasperato e remunerativo sfruttamento agrario delle ultime aree incolte, quell'Ottocento ancora largamente segnato da pascoli e pittoresche campagne che le tele dell'epoca ci rivelano morente”. Alla scomparsa del bosco contribuì il suo sfruttamento per ricavare combustibile da utilizzare nelle fornaci che sfruttavano l'argilla presente nel terreno, contribuendo alla sua desertificazione.
Verso il 1860 quindi il bosco cessò di esistere, parzialmente sostituito da marcite risaia, grazie all'abbondanza di acqua proveniente dai numerosi fontanili e campi seminati e coltivazione della vite. Alcuni resti del bosco furono eliminati nel dissodamento del terreno per la costruzione del cimitero di Musocco, venendo meno, con la legge 3917/1877 il vincolo di tutela dei boschi di pianura e di collina. Secondo alcuni studiosi la vegetazione boschiva attorno Cusago potrebbe costituire il residuo del Bosco della Merlata
Il bosco ha dato il nome alla Cascina Merlata
Briganti o Bravi Va comunque ricordato che nel Medioevo erano così chiamati quei soldati che, in piccole compagnie e con armi leggere, si mettevano al soldo di questo o quel signorotto. Sulle sue origini diverse sono le ipotesi, una legata al fatto dell’estrema povertà, un’altra dovuta a una forte presa di posizione contro l’autorità costituita, comunque sia, il brigante è stato una figura presente nella storia italiana, anche se è più facilmente associato al Sud d’Italia. Tuttavia anche la terra lombarda ha avuto i suoi briganti, tanto che Stendhal ne parla nei suoi scritti, identificandoli come “Bravi”, così chiamati anche dal Manzoni nei “Promessi Sposi”, i quali avevano formato una corporazione molto temuta e che volentieri si mettevano al soldo di chi più pagava, abbandonandosi a furti, omicidi, rapine. Brigante, nel dialetto meneghino si dice “brigànt o sassìn de strada”. Nel Ducato di Milano, siamo nel XVI secolo, presso il Bosco della Merlata, , agiva una banda di briganti, i quali avevano la loro base presso l’Osteria di Melgasciada, famosa perché i milanesi facevano tappa per gustare gli asparagi. I capi di questa banda di briganti, tali Giacomo Legorino e Battista Scorlino, furono poi catturati e messi a morte. Il fenomeno però non veniva meno, tanto che nella brughiera di Gallarate i briganti spadroneggiavano, per cui i governatori furono costretti a mettere una taglia di ben 100 mila scudi a chi eliminava questi banditi. Furono loro stessi che incamerarono quel premio, poiché si offersero di entrare a far parte delle guardie dei governatori. Oltre a Legorino e Scorlino, veri e proprio malfattori, altri due briganti lombardi furono Giacomo Carciocchi, detto “il Carcini”, nativo di Plesio, nel comasco, dove, unitamente al compagno Pacini, operò con la sua temibile banda, il cui nascondiglio era in una grotta ancora oggi chiamata “Bogia di brigant”, sul monte Grona. Il Pacini divenne un personaggio nel teatro dei burattini bergamasco, col nome di “Pacì Paciana”. L’altro, il cui nome era Vincenzo Pacchiana, di origini della provincia di Bergamo, divenne, da oste che era, brigante In seguito a una condanna per furto subita ingiustamente. Un’altra versione racconta che era un gendarme del governo Veneto, condannato da questi per vari reati, si diede alla macchia e al brigantaggio. Infatti insieme con l’iscrizione sopra l’ingresso della Trattoria erano presenti due grezzi dipinti popolareschi datati 1793, Uno in cui un brigante trapassa uno sconsiderato forestiero, un brigante incrocia il suo trombone con quello di un altro compagno d’arme, annunciando, presumibilmente, la frase dipinta ai piedi dell’affresco, “ Giuriamo di non Tradirci ma più”. I due famigerati personaggi erano Battista Scorlin e Giacomo Legorin, due celebri banditi. E’ memorabile effettivamente la loro esistenza verso la metà del XVI Sec. quando essi, con una consistente banda di criminali, impaurivano i viaggiatori costretti ad attraversare, provenienti dal varesotto, il vastissimo e fitto bosco della Merlata. I due briganti, tuttavia, non se la cavarono a buon mercato. Come si apprende dalla relazione che Giulio da Modena, cavaliere del Capitano di giustizia, fece nel maggio del 1566 a Giorgio Visconti, eccellentissimo segretario del Senato milanese, essi furono catturati, assieme a un’ottantina di loro complici(come il Trentuno, il Girometta, il Zopeghetto, il Feracino, Rigoletto, Battista da Mombello e altri) e vennero giudicati e condannati a morte e quindi giustiziati nel Maggio del 1566. Secondo le usanze in voga in quel periodo della storia il loro strazio fu terribile. Trascinati per ore a coda di cavallo, avevano poi gambe, braccia e schiena spezzati, quindi legati sulla ruota in attesa di morire dopo una lunga ed atroce agonia, il cappellano che li seguiva, per assicurare al perdono celestiale almeno le loro anime, scongiurò il boia di accelerarne la morte tagliandogli la gola. Tutti gli altri banditi vennero giustiziati, con vari supplizi, tra il 1566 e l'anno successivo. Ma ciò non valse a estirpare il male che altri banditi, forse discepoli, di quei famosi della Merlata, continuarono a infestare le campagne circostanti a Milano Nel 1927 si leggeva in un libro di A. Bertarelli, A. Monti, Tre secoli di vita milanese nei documenti iconografici 1630-1875, «“Maggior fama godette la Mergasciada, ove i milanesi si recavano nella stagione primaverile a mangiare gli asparagi. L'osteria esiste ancora oggi alla biforcazione della strada Varesina e Comacina, nel luogo ove in altri tempi si stendevano i boschi della Merlata, rimasti celebri nella tradizione popolare per le aggressioni che vi accadevano. Le paurose leggende, ancor vive nel popolo, che ricordano le gesta di Battista Scorlino e Giacomo Legorino, hanno lasciato traccia in alcuni affreschi visibili ancora nell'osteria, recanti la data del 1768”» Gioco delle Bocce E …poi ecco, per i giovani l'altalena che porta in alto fino a toccar le fronde degli alberi ...Ecco per gli anziani scamiciati, il gioco delle bocce, all'ombra di una torretta che sembra un minareto. Ed ecco l’invito finale “La Melgasciada è bella... è una delle poche osterie suburbane che ancor ci rimangono e che serbano la tradizione delle vecchie osterie milanesi. Vogliamole bene”. Ma ai giorni nostri non rimane traccia alcuna di questa antica e rinomata “Cascina”. Articolo del Corriere della Sera del 1959 Infatti l'osteria venne demolita nel luglio 1959, sulla base del nuovo piano edilizio milanese, per soddisfare richieste di nuove strade di comunicazione e nuovi servizi.Nel corso dell'operazione come riportato da un articolo del Corriere della Sera nella notte del 20 luglio l'edificio fu soggetto ad una incursione di sconosciuti che demolirono a picconate parte dei muri alla ricerca del chiacchierato “Tesoro” dei due banditi del 1565, che voci popolari affermavano potesse esservi nascosto.
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