venerdì 1 ottobre 2021

IL "BARCHETT DE BOFFALORA"

Milano ha un’antica tradizione di canali, che hanno rappresentato per secoli uno dei mezzi di comunicazione più usati.

Quello più importante è il Naviglio Grande, la prima opera del genere realizzata in Europa, una grande infrastruttura che consentì lo sviluppo dei commerci, dei trasporti e dell’agricoltura, di cui i primi documenti che riguardano la data di costruzione risalgono al 1152, ma che divenne navigabile nel 1272, rivoluzionando la vita e le abitudini di una vasta regione.

Purtroppo non si sa chi sia stato il suo ideatore, ma indubbiamente la sua creazione è da attribuirsi alla comunità milanese, che in pieno Medioevo riuscì a coniugare leadership ideologica e superiorità tecnica. Nei lavori di rifacimento delle sponde fu coinvolto nel 1509 anche Leonardo da Vinci, che ricevette un diritto d’acqua, cioè la proprietà di una bocca irrigua, menzionata nel suo testamento.

Tralasciando l’importanza dei navigli e del porto di Milano, che divenne il 13 porto italiano come movimentazione e che avrebbe bisogno di una trattazione a parte, e concentrandosi sul trasporto passeggeri, all’inizio il mezzo più usato consisteva in piccole barche per traghettare o spostarsi verso le fiere o i mercati locali, mentre le prime notizie certe risalgono al 1645, con una cadenza regolare da Tornavento fino alla darsena di Milano.

Questa data è certificata da un documento del 15 giugno 1645, della “morta subitanea” di tale Gioanni Motter tedesco, avvenuta il 15 giugno 1645, appena giunto a Boffalora col Navetin (Barchetto). Gestito fin dal 1777 da Giuseppe Castiglioni e soci, barcaioli di Boffalora, il servizio era molto efficiente e fu utilizzato fino al 1913, quando la politica di modernizzazione intrapresa da Giolitti, ne decretò la fine. In funzione in tutte le stagioni, impiegava tre persone, due a bordo e uno a terra per incitare e controllare i cavalli che trascinavano il barcone dalla sponda.

I biglietti dei passeggeri erano dati dal “Torototela”, un cantastorie che, suonando un buffo strumento costituito da uno spago teso e una zucca vuota che fungeva da cassa di risonanza, raccoglieva i soldi del biglietto fra i passeggeri. Era un modo di viaggiare comodo, sicuro e soprattutto economico, malgrado orari approssimativi; le barche impiegate, due all’inizio del Settecento, divennero dodici alla fine del secolo.

Probabilmente il suo ricordo si sarebbe perso nella nebbia del tempo se non fosse per una commedia in milanese di Carlo Righetti, in arte Cletto Arrighi, poeta milanese della corrente dalla Scapigliatura, dedicata appunto a una di queste barche: “ El Barchett de Boffalora”.

Dopo l’incerto avvio del 19 novembre 1870 divenne, con oltre quattrocento repliche, la più rappresentata in assoluto del Teatro Milanese, diventando il cavallo di battaglia di Edoardo Ferravilla, grande interprete del teatro milanese e attore molto popolare.

Vari tentativi sono stati fatti per costruire una replica di tale imbarcazione, ma fu solo il 19 aprile 1998, che il progetto si è concretizzato, grazie al sostegno economico di ditte private, di Associazioni Storiche, soprattutto quella chiamata La Piarda e all’impegno profuso da Ermanno Tunesi, instancabile centro di notizie per tutto quello che riguarda ampi stralci della storia milanese ed entusiasta promotore culturale di mille iniziative.

Costruita in rovere, la barca corriera doveva essere lunga diciassette metri e mezzo e non più larga di due e novanta, priva di sporgenze esterne per non danneggiare le sponde. Il fondo era piatto, anche se il Regolamento del 26 novembre 1822 disponeva che per il terzo anteriore “le sponde concorrendo a congiungersi fra loro costituirebbero la prora, allo scopo d’incontrare minor resistenza nel movimento”.

La parte destinata ai passeggeri (il casello) non doveva occupare più di un terzo della lunghezza dello scafo, essere dotata di quaranta posti a sedere su panche fisse trasversali, altezza massima 2,35 m, ai fianchi almeno 1,62, con l’eventuale copertura in legno dolce, con timone a pala. La velocità massima raggiunta era vicina ai 20 km, soprattutto in un paio di rapide, che, anche se non pericolose, imprimevano un’andatura di tutto rispetto.

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