Il libretto, dal titolo “De originis et causis ceremoniarum quae celebrantur in Nataliciis”, è dedicato alla figlia del duca Galeazzo, Bianca Maria, e riporta un dialogo tra il maestro e i suoi discepoli a proposito della cosiddetta cerimonia del ciocco o “del zocco”: lo stesso Valagussa ammette che i piccoli Sforza non avevano idea di quando fosse cominciata questa consuetudine, anche se è accertato che risalisse almeno al XII secolo.
Col passare dei secoli, il semplice e sacro pane di Natale si trasformò nel panettone, arricchendosi di quegli ingredienti che oggi vengono considerati tradizionali. Solo negli ultimi centocinquant’anni, però, con l’introduzione nella ricetta originaria della lievitazione, è stata data al panettone la speciale forma di cilindro sormontato da una cupoletta. Fino ai primi decenni dell’Ottocento, infatti, il dolce era basso e di pasta consistente, in tutto simile, quindi, a un vero, grande pane.
NEL SETTECENTO ERA PIÙ BASSO, PER QUALCUNO ERA UN PEGNO D’AMORE E PER ALTRI, SEMPLICEMENTE, IL “PANE DI TONI”, UN CUOCO UN PO’ SBADATO.
Al panettone è legata una leggenda d’amore: quella di Ughetto degli Antellari, nobile cavaliere che, per conquistare la sua amata Adalgisa, la figlia del fornaio Toni, per stare vicino alla sua amata, andò a lavorare in quella bottega. Poté quindi creare un pane ricco e raffinato, del quale la corte di Ludovico il Moro divenne assidua consumatrice. Lo stesso duca di Milano alla fine convinse il padre di Ughetto a far sposare il figlio con Adalgisa. Il pane dolce (fatto con farina di frumento, uova, zucchero, uvette e canditi) divenne il simbolo del loro amore e fu chiamato “Pan del Toni” in onore del padre della sposa.
Altra storia è quella che racconta che alla vigilia di Natale fu commissionata dalla corte milanese ad uno dei suoi migliori cuochi la preparazione di un pane all’uva dalla forma a cupola. Purtroppo durante la cottura la cupola del pane bruciò e il cuoco, disperato, pensò di fuggire. Uno sguattero di nome Toni gli suggerì invece di servire ugualmente il pane e di sottolineare che la crosta bruciata era proprio la sua caratteristica. Una variante dello stesso racconto, narra che Toni, sguattero di cucina, avesse presentato al cuoco disperato un nuovo dolce di sua creazione, fatto con gli avanzi di quello bruciato, ai quali aveva aggiunto zucchero, uova e canditi, invitandolo a portarlo in tavola. Nacque così il panettone, detto “pane di Toni”.
Va sottolineato che le fonti di queste suggestive leggende non sono storiche, ma vengono dall’immaginario collettivo milanese: parlando di ingredienti che sono andati ad arricchire il panettone solo progressivamente, e non dall’origine, quando il panettone era semplicemente un grosso pane bianco rituale, rivelano di essere state concepite tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, per nobilitare il dolce natalizio meneghino. Ughetto, tra l’altro, è nome che evoca il termine che in milanese sta per uvette: “ughett”!
il “paneton de danedà” e il panettone milanese
Il panettone è un’evoluzione degli antichi pani delle feste che, arricchendosi di ingredienti e di lievito, venne assumendo tale nome. Solo negli ultimi centocinquanta anni, però, con l’introduzione nella ricetta originaria della lievitazione, è stata data al panettone la speciale forma di cilindro sormontato da una cupoletta. Fino ai primi decenni dell’Ottocento, infatti, il dolce era basso e di pasta consistente, in tutto simile, quindi, a un vero, grande pane.
La più antica citazione del vocabolo panettone milanese risale al 1606. In questo anno esce a Milano la prima edizione del famoso “Varon Milanes de la lengua de Milan e Prissian de Milan de la parnonzia milanesa” di Giovanni Giacomo Como, ossia il primo vocabolario della lingua e della pronuncia milanese. Tra le voci c’è quella del “panaton de danedà”, con la spiegazione: «Pangrosso qual si suole fare il giorno di Natale, per metafora un inetto infingardo, da poco». Quindi i Milanesi chiamavano così il “pane di Natale” da tempo, l’espressione doveva essere già ben radicata nella tradizione. Il termine “pangrosso” indicherebbe un pane di non grandissimo valore, buono, ma comune, popolare: un dono alla portata di tutti.
Dalla metà dell’Ottocento il panettone cominciò a diventare un prodotto di pasticceria e la sua confezione andò sempre più raffinandosi. Decisive furono le idee di Angelo Motta, il fondatore della omonima ditta dolciaria, che non solo avviò la produzione industriale del panettone, ma gli diede la forma odierna, fasciando l’impasto con carta sottile in modo da farlo crescere verticalmente. Poiché i suoi laboratori nel centro di Milano straripavano, nel 1930 Motta mise gli occhi su un grande edificio in Viale Corsica, nell’allora periferia di Milano. Nel 1935 la rivista L’illustrazione italiana già documentava l’esistenza in azienda di un forno a catena lungo trenta metri, costruito proprio per il panettone.
Le origini del dolce si perdono comunque nella notte dei tempi. La prima testimonianza scritta risale agli Anni Settanta del Quattrocento, anche se certamente la consuetudine era iniziata molto prima: in un manoscritto milanese di Giorgio Valagussa, precettore di casa Sforza e, fra gli altri, del giovane Ludovico il Moro, si riporta una conversazione tra l’educatore e i suoi nobili discepoli, che descrive il rito del ciocco ( o del “zocco”) del 24 dicembre (vedi articolo in questo stesso blog), una sorta di rievocazione dell’Ultima Cena, già cara ai Visconti, ma continuata e diffusa soprattutto dagli Sforza. In questa occasione, attorno al focolare, si presentavano al duca o al pater familias “tre gran pani di frumento“, come scrive il Valagussa, che erano simbolo della Trinità. il pater familias ne tagliava una piccola parte o “particella” (Valagussa usa proprio questo termine eucaristico), che sarebbe stata serbata fino all’anno successivo, mentre le altre fette venivano distribuite a tutti i presenti.
Le figure del “sescalco” e del personale di tavola presso gli Sforza
I sescalchi generali a Milano nel Quattrocento, durante il governo di Francesco Sforza e poi di Galeazzo Maria Sforza, di Gian Galeazzo e di Ludovico il Moro, vivevano a corte. Le espressioni “mangiare in corte”, “mangiare in casa” e “havere le spese in corte” identificavano le persone che prendevano i pasti alla corte ducale. Le loro mansioni, così come il loro numero, erano variabili: dovevano trovare collocazioni anche per varie centinaia di persone, quando arrivano visite o c’erano festeggiamenti, e allogare la corte e le cucine durante i viaggi.
Sotto il governo di Galeazzo Maria Sforza, e poi ancora di più ai tempi di Gian Galeazzo Maria Sforza e di Ludovico il Moro, gli spostamenti tra Milano, Pavia, Abbiategrasso e Vigevano divennero la norma, e frequentissima la presenza alle mense ducali di ospiti di riguardo. Si sa che all’inizio del 1471 stavano permanentemente al servizio del duca di Milano 24 camerieri, mentre altri 24 viaggiavano con lui, pur non mangiando “in casa”. Dalle notizie che ci sono pervenute si ricava inequivocabilmente che i sescalchi sforzeschi gestissero una buona quota di potere e svolgessero anche funzioni di informatori, di messaggeri, di mediatori con i mercanti e con i produttori di mercanzie, ricevendo anche incarichi di responsabilità.
Le mansioni dei camerieri ducali a corte erano abbastanza diversificate: se i cuochi cucinavano, il sescalco o siniscalco (senior schalk — servo, nel tedesco antico), che presiedeva al servizio della mensa, trinciava le carni, riceveva e trasmetteva gli ordini del signore ai sottoposti, ossia agli “apparechiadori” della tavola, ai credenzieri, ai deputati agli argenti che custodivano i vasellami e le argenterie della mensa, oltre, naturalmente, al personale della cucina e della cantina… Assieme agli spenditori, i sescalchi erano i principali ufficiali della “logistica” per quanto riguardava il settore alimentare.
I “Maestri di Casa” si occupavano della “dispensa”, assicurandosi che i rifornimenti fossero congrui e regolari, coadiuvati daicredenzieri, che si occupavano dei cibi e del vasellame di credenza. A un livello più basso, erano gli apparecchiatori a preparare le tavole. Inoltre sia il duca che la duchessa durante i banchetti avevano un coppiere personale, un cantiniere e un nobile “che porterà el piatello”.
NOTE PRELIMINARI SULLA PREPARAZIONE DEL PANETTONE CON LIEVITO MADRE
La lievitazione degli impasti deve avvenire intorno ai 28 gradi. Difficile raggiungere nel forno, sia pure con la luce accesa, una temperatura di questo tipo: dovete quindi escogitare qualche sistema che vi permetta di mantenerla alta. Vanno bene persino delle bottiglie di acqua calda, da cambiare ad intervalli regolari (finché siete svegli almeno), appoggiate nel forno.
– La lavorazione va fatta a temperatura controllata. Per cui è indispensabile un termometro per misurare che l’impasto non superi i 24 gradi. La ciotola va usata ben fredda di congelatore e gli ingredienti freddi di frigo. In più è utile mentre si lavora rivestire la ciotola con sacchetti per la formazione di ghiaccio (legandoli anche semplicemente con qualche strofinaccio, che aiutino a mantenere il freddo il più a lungo possibile).
Il lievito madre
Premesso che stiamo parlando di un lievito ben maturo, rinfrescato per almeno quattro giorni ogni sera e legato in uno strofinaccio non trattato con ammorbidenti (io lo bollo, prima di usarlo, per provare ad eliminare ogni traccia residua di detersivo), il giorno dell’impasto si procede così.
Entrati in possesso del lievito naturale approvvigionarsi subito di almeno 2 kg di farina per panettoni, giusto per dare un’indicazione tecnologica: W 380, P/L 55.
Per ambientare e dare forza al lievito : per 4/5 giorni provvedere ad un rinfresco giornaliero con la metodologia classica: 1parte di lievito + 1 parte di farina (quella che utilizzerete per il panettone) e ½ acqua o anche meno (partite sempre con poco lievito, max 100 gr ogni volta, prendete il cuore, le croste lasciatele essiccare e conservatele in ambiente secco e fresco, saranno il vostro futuro starter)
1° giorno – ore 9
Inizio 1° rinfresco: stemperare 100 g di lievito madre con circa 40 g d’acqua , aggiungere 100 g di farina (quella per il panettone) e impastare, come l’impasto prende corda aggiungere altri 10 g d’acqua e fare di nuovo innervare.
Mettere a lievitare per 3 ore a 29°-30°
1° giorno – ore 12,30 circa
Inizio 2° rinfresco: prendere dal cuore dell’impasto del 1° rinfresco 100 gr di pasta ripetere tutti gli step, impastare e mettere a lievitare per 3 ore a 29°-30°.
1° giorno – ore 16 circa
Inizio 3° rinfresco: rinfrescare i 250 g di lievito con 250 g di farina e 125 g d’acqua seguendo le procedure descritte sopra, staccare 300 g di pasta e fateci una pagnotta o una torta di mele, e la rimanente pasta a lievitare come sopra.
1° giorno – ore 19,30 circa
Preparazione primo impasto serale: Se il lievito ha la forza necessaria, sarà ben sviluppato con un volume che è 3 volte quello iniziale, attenzione se il lievito non è bello gonfio, col volume triplicato e con un buon odore di pasta di pane, non proseguite, il lievito potrebbe essere acido o troppo debole. E’ ammissibile un lievissimo sentore d’acidità.
INGREDIENTI PRIMO IMPASTO PER IL PANETTONE CON LIEVITO MADRE (ORE 19-20)
Durata della lavorazione: un’ora circa
farina grammi 262
zucchero semolato grammi 100
acqua grammi 100 (di cui venti per ammorbidire il sale)
tuorli grammi 87
lievito naturale grammi 88
sale grammi 1
burro grammi 87
Sbattere i tuorli con lo zucchero, fino a renderli cremosi. Mettere la pasta madre a pezzettini nell’impastatrice con il gancio a foglia e 90 g di acqua. Lavorare a bassa velocità in modo da fare sciogliere bene la pasta madre e aggiungere la farina un po’ per volta, continuando ad impastare. Aggiungere quindi le uova a cucchiaiate, aggiungendo altro uovo solo quando quello di prima è stato completamente assorbito e l’impasto ha ripreso corda. Togliere quindi il gancio a foglia e inserire quello da impasto e continuare prima a bassa e poi a media fino per 25 minuti ca., aggungendo il sale sciolto nei residui 20 gr di acqua a metà impasto circa.. Inserire quindi il burro morbido, un po’ per volta, e mettere a lievitare per 12-14 ore a 28°
ORE 9-10 DEL MATTINO DOPO: SECONDO IMPASTO DEL PANETTONE CON LIEVITO MADRE
Farina grammi 25
sale grammi 1
aromi vari grammi 9 (io ho messo buccia d’arancia, vaniglia e buccia di limone)
uova intere grammi 9
tuorlo grammi 9 (in realtà io sbatto un uovo e ne peso 18 gr ca. in una tazzina, più o meno mezzo uovo)
zucchero semolato grammi 30
acqua grammi 9
burro grammi 37
arancia candita grammi 83
cedro candito grammi 41
uvetta sultanina grammi 150
Procedimento:
Inserire nell’impastatrice il primo impasto con la farina il sale e gli aromi, aggiungere lentamente uovo intero e tuorlo, poi lo zucchero, l’acqua (in cui avremo disciolto il sale) e per ultimo il burro morbido, unire la frutta candita. Rovesciare sul piano di lavoro e far riposare all’aria l’impasto per circa 1 ora (puntatura).
ore 12-13
Mettere le sfere negli appositi pirottini e mettere a lievitare a 28° (stando attenti a non superare i 30 gradi altrimenti l’impasto inacidirebbe), con ambiente umido (umidità 60-70%), per circa 6 ore.
Non disponendo di un armadio di lievitazione porre una bacinella con acqua bollente nell’ambiente di lievitazione e rinnovare l’acqua come l’ambiente diventa secco.
Non disponendo di un armadio di lievitazione porre una bacinella con acqua bollente nell’ambiente di lievitazione e rinnovare l’acqua come l’ambiente diventa secco.
Tagliare le orecchie, io uso una lametta da barba, e mettere un pezzo di burro al centro.
Infornare a 180°, dopo circa 5-10 minuti togliere dal forno e velocemente sollevare ed allargare le “orecchie” del panettone (se non ci riuscite, limitatevi pure ad un taglio a croce: non è un grosso problema).
Rimettere subito in forno per la cottura;
Abbassare la temperatura di cottura di un 10°;
Tempo totale di cottura 55 minuti circa per un panettone con lievito madreda 1 kg, 35 minuti per panettoni da 500 gr.
I panettoni devono riposare per 12 ore capovolti, per cui:
Sfornare i panettoni;
Infilzateli ad un 2 cm dalla base con 2 ferri da calza, i ferri devono essere passanti;
Capovolgeteli, appoggiate le estremità dei ferri su due supporti abbastanza alti da non far toccare il panettone su nessuna superficie d’appoggio e fate raffreddare in questa posizione.
Dopo circa 12 ore ricapovolgete i panettoni.
Adesso i panettoni sono pronti per riposare una decina di giorni prima di essere mangiati o regalati. Conservare in sacchetti di carta cellofanata o equivalente. e la cerimonia del Ciocco
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