giovedì 30 settembre 2021

TEATRO CARCANO

 Il corso di Porta Romana, per lunghi secoli centro dell’eleganza cittadina, luogo prescelto per cerimonie trionfali e liete feste, alla fine del ‘700 vede diminuita la sua importanza, perché in altra zona della città a Porta Orientale, fioriscono nuovi quartieri prescelti per la residenza e i convegni dei nobili. Tuttavia il Piermarini, ancora negli ultimi anni del secolo, incaricato di sistemare il corso, provvede a restaurare le case, interviene sulle decorazioni architettoniche con gusto personale, ordina il miglioramento del suolo stradale, che viene selciato a nuovo e listato di trottatoi di granito sui quali sfrecciano (si diceva a quel tempo) i cocchi spesso spinti a velocità smodate.

In questa cornice, tanto diversa da quella attuale, nel 1801 la Società teatrale della Casa Carcano decide di trovar spazio per un nuovo grande teatro. L’area è quella dell’ex convento di San Lazzaro, acquistata da Giuseppe Carcano. L’architetto, un giovane d’ingegno, Luigi Canonica, prende a modello la Scala e il Teatro della Cannobiana. Il Teatro Carcano ha quattro ordini di palchi, volta decorata a stucchi e dorature, un medaglione centrale, ornamenti dappertutto di tipo neoclassico. Posti dai 1200 ai 1500. È un teatro celebrativo, per una elite che ha visto passare la Rivoluzione, ma ha anche avvertito il principio di restaurazione insito nell’impero Napoleonico. Il 3 settembre 1803 la nobiltà e la ricca borghesia riempiono il teatro per la serata inaugurale: il programma comprende Zaira tratta dal dramma di Voltaire, musicata da Vincenzo Federici (ventisei anni dopo lo stesso soggetto sarà messo in musica anche da Bellini) e il ballo Alfredo il grande musicato da Paolo Franchi.

L’attività proseguì con un certo lustro, e con intervento di artisti famosi. Una serata memorabile fu quella del 15 ottobre 1813 nel corso della quale Niccolò Paganini venne proclamato “primo violinista del mondo”: le sue Streghe – scrisse un cronista – sbalordirono e intontirono.
Sul palcoscenico del Carcano passarono, negli anni, le più grandi dive della lirica, dalla Pasta alla Malibran. Giuditta Pasta tenne a battesimo prima Anna Bolena di Donizetti e poi, la sera del 6 marzo 1831, La Sonnambula composta da Bellini, a Milano, in due mesi. Dopo Beatrice di Tenda, altra primizia belliniana, ecco Maria Malibran legare il suo nome (siamo nel 1833) a celebri edizioni di Norma e de La Sonnambula.

Erano anni di rigoglio musicale, favorito dalla politica dell’Austria; ma la ripresa non avveniva soltanto in campo teatrale. Una pagina di Carlo Cattaneo in “Notizie naturali e civili sulla Lombardia, ci da uno spaccato preciso della Milano degli anni attorno al 1840:
“I bastioni solitari e paurosi, ove si seppellivano i giustiziati, divennero ombrosi passeggi; si tolse il lezzo alle strade; e l’orrida abitazione dei cadaveri si rimosse dalle chiese; si sgombrarono dagli accessi dei santuari i mendicanti, ostentatori d’ulceri e di mutilazioni; a poco a poco non si videro più nella città piedi nudi e abiti cenciosi. Si apersero teatri, ove le famiglie, inselvatichite da sette generazioni, impararono a conoscersi, e gustarono le dolcezze del vivere civile, della musica, della poesia. II genio musicale rispetta e ambisce il giudizio del nostro popolo; un solo carnevale in uno dei minori nostri teatri diede al diletto dell’Europa la Sonnambula e Anna Bolena. Regnò la tolleranza di tutti i culti; e si aperse ospite soggiorno agli stranieri che apportavano esempi di capacità e d’intraprendenza. S’introdussero le scienze vive nella morta Università; si fondarono accademie di belle arti; rifiorì l’architettura, l’ornato riprese greca eleganza; s’innalzarono osservatori astronomici, si costrusse la carta fondamentale del paese; si apersero nuove biblioteche; le madri tolsero ai cuochi a agli stallieri la prima educazione dei figli.

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