Le botteghe del caffè segnano la fine della taverna, “il tramonto della civiltà del vino, fatta di deliri, ebbrezze, invasamenti e l’inizio della civiltà del caffè, fatta di riflessione, meditazione e chiarezza di idee.”
Si crea un luogo d’incontro e di discussione, una specie di luogo reale-ideale dove si creano quelle condizioni adatte a far nascere i periodici con la partecipazione attiva (con la discussione) e passiva (con la lettura) dei lettori.
Con la partecipazione di un pubblico vario e grazie alla pluralità degli argomenti si realizza una nuova forma di società che nasce dall’incontro di ceti diversi tra loro.
Componente essenziale della battaglia illuministica del “Caffè” è la sua prospettiva letteraria e linguistica. Il problema della diffusione dei lumi è infatti anche un problema del linguaggio: “cose e non parole” è uno dei motti del “Caffè”, il cui linguaggio non si limita a riprodurre passivamente la realtà, ma deve sapere attraversarla e spiegarla; un linguaggio che taglia decisamente i ponti con il classicismo e il purismo linguistico. Il rilievo sociale, culturale e letterario del nuovo spazio viene accolto da tutti.
“si prepara il caffè in modo tale che dà dello spirito a chi ne fa uso: quanto meno, di quelli che ne escono, non c’è nessuno che non creda di averne quattro volte di più di quando vi è entrato“. (Montesquieu)
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