giovedì 4 novembre 2021

PALAZZO ARCHINTO

Palazzo Archinto e via Olmetto. MarcAntonio Dal Re, “Vedute di Milano”, incisione 38 (ca. 1745).

Il Palazzo Archinto raggiunse la sua massima fama nelle prima metà del Settecento, ed è l’esito di una serie di riforme promosse nel tempo sull’antica dimora. Avendo proceduto all’accorpamento di alcune proprietà limitrofe, alla fine del Seicento, vennero promossi i primi importanti interventi da parte di Filippo Archinto (1644-1712). Nel 1715 l’insieme della proprietà fu ereditato da Carlo Archinto(1669-1732), figlio di Filippo e di Camilla Stampa; i suoi interessi per l’arte e l’architettura, il rapporto mecenatistico che lo unì a Filippo Argelati, fanno pensare che sia stato proprio lui l’artefice del rinnovamento del palazzo, che contribuì a dotare di numerose opere d’arte e di una ricca biblioteca, come nel 1737 testimonia la Descrizione di Milano di Serviliano Latuada. E’ da ricondurre, sempre a Carlo Archinto, la decisione di intervenire sul cuore più rappresentativo del palazzo, con importanti interventi sul piano architettonico, oltre che su quello decorativo.
Il palazzo all’epoca si presentò al massimo del suo splendore, ornato da un ciclo di decorazioni ad affresco eseguite tra il 1730 e il 1731 da Giambattista Tiepolo e da alcuni suoi collaboratori, tra cui Vittorio Maria Bigari (autonomo rispetto a Tiepolo), Andrea Lanzani e il quadraturista Stefano Orlandi.
L’assetto del palazzo, come abbiamo detto poco sopra, fu frutto dell’accorpamento di più edifici contigui, perciò ancora oggi appare di forma irregolare: il cortile quadrangolare porticato con accesso da via Olmetto – il cui portale fu realizzato nel 1817 da Carlo Amati – può essere considerato il fulcro della riforma architettonica apportata nel Sei-Settecento, di cui non si conosce l’autore. Sul piano architettonico, la riforma settecentesca ha saputo sfruttare sapientemente le preesistenze e l’irregolarità del sito, configurando una nuova scenografica sequenza di spazi aperti, collegando il primo cortile, seicentesco, con un secondo cortile ed il giardino sul fondo. Gli spazi interni sono stati articolati in appartamenti altamente rappresentativi, riservati ai diversi esponenti della famiglia.
Un secondo cortile, più piccolo, è separato dal retrostante giardino da un braccio obliquo: un doppio colonnato sormontato da una terrazza che in origine collegava il corpo residenziale a quello delle rimesse. Al piano terra dell’edificio erano ubicati gli ambienti di servizio e le rimesse. In realtà esisteva, come consuetudine, un appartamento al piano terreno, con affaccio sul giardino, generalmente riservato all’uso estivo, perché più fresco. Mentre al piano nobile, servito dallo scalone monumentale che si apriva sul lato destro del cortile principale, attraverso una sequenza di stanze affrescate si giungeva alla “sala con l’affresco del Tiepolo del Trionfo delle Arti e delle Scienze”, che si trovava in testa al corpo che separava i due cortili e permetteva l’accesso alla favolosa terrazza col glicine.
Gli appartamenti padronali comprendevano anche una cappella e diversi ambienti riservati alla preziosa biblioteca, iprincipali dei quali con scaffali in noce intagliati, con affaccio sul giardino.
Non avendo eredi diretti, Carlo Archinto (1734-1804), figlio di Filippo, nominò proprio erede universale Giuseppe Archinto (1783-1861), figlio del cugino Luigi (1742-1821).
Nel 1825 Giuseppe costruì un più “sontuoso” palazzo in via della Passione (Zona di Porta Monforte), e vendette il palazzo a Giuseppe Tirelli che, a sua volta, nel 1827 cedette a terzi la porzione del complesso corrispondente all’attuale via Piatti 6.
Tra il 1805 e il 1839 venne realizzata la cosiddetta “torretta” neogotica in mattoni affacciata sul giardino, contraddistinta da archi ogivali e merlature.
Nel 1853 l’edificio fu acquistato dall’Amministrazione dei Luoghi Pii Elemosinieri (oggi ASP Golgi-Redaelli) che lo destinò a sede dei propri uffici.
Nel 1943 l’edificio venne gravemente danneggiato dai bombardamenti aerei, che comportarono anche la perdita pressoché totale delle decorazioni degli ambienti interni compresi i cicli di Lanzani, Tiepolo, Bigari e Magnasco.
Il palazzo fu ricostruito su progetto dell’architetto Luigi Dodi tra il 1955 e il 1967. A testimonianza dell’originario assetto settecentesco di Palazzo Archinto, oltre a parte del prospetto frontale, restano oggi il cortile di accesso e la terrazza con balaustre affacciata sul piccolo giardino, che vanta la più antica pianta di glicine di Milano.
alcune immagini che mostrano la grande perdita che Milano ha subito durante la Seconda Guerra 
Vista delle terrazze e del secondo cortile 1920 ca.
Via Olmetto, palazzo Archinto distrutto dai bombardamenti del 1943

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