La Cascina Rosa (largo Murani- via Golgi) è l’esempio tipico di una grande azienda agricola e di una diffusa tradizione edificatoria caratteristica della bassa pianura padana*. E’ uno dei pochi esempi di architettura rurale sopravvissuti quasi prossimi al centro di Milano. Presenta molti degli elementi caratteristici delle grandi aziende della bassa pianura padana, in particolare due corti con elementi di funzioni distinte: è presente una corte civile come centro amministrativo con la casa padronale, il forno, la casera e la rimessa per le carrozze e una corte rustica che riuniva le funzioni più legate alla conduzione rurale: la grande stalla, i fienili, i magazzini e le case dei salariati.
Nei granai e nella stalla erano presenti interessanti elementi architettonici; di buona fattura erano le volte a vela dei granai in mattone a vista e la volta a botte con unghie della stalla. Il mattone cotto a vista o intonacato caratterizza le facciate dell’intera cascina; tale materiale da costruzione è il più impiegato nella bassa pianura padana.
La documentazione storica, scarsa e non sempre significativa, indica dapprima il nome di Cassina Ferrarium.
Quindi, dopo l’acquisto negli anni 1637-38 da parte della Famiglia Ordogno di Rosales, di origine spagnola, il complesso si chiama Cascina Rosa.
Dal 1783 al 1858, sotto la famiglia Valaperta, la cascina assume la configurazione attuale: nei registri del catasto Lombardo-Veneto del 1855 viene denunciata la costruzione, negli anni 1834-36, dei granai, nella corte civile; della stalla e del portico, nella corte rustica.
La stalla occupa quasi interamente il lato nord della corte rustica, per una lunghezza superiore ai 40 metri. Il piano inferiore è costituito da un unico vano coperto da una volta a botte su cui si innestano 2 unghie per ciascuna delle 9 campate.
Il piano superiore, destinato a fienile, è costituito da nove campate aperte su entrambi i lati. Il fienile è collegato alla stalla sottostante per mezzo di cinque aperture circolari di 80 cm di diametro per il passaggio del fieno. La copertura, a due falde caratterizzata da capriate lignee, continua, sul lato sud, sui nove pilastri del portico antistante la stalla.
Nel registro del catasto Lombardo-Veneto sono riportate alcune annotazioni relative ai lavori di costruzione della stalla e del portico antistante negli anni 1884/36.
Durante la II guerra mondiale, la cascina è bombardata e le bombe provocano, in particolare, la completa distruzione dell’ala est della stalla che non verrà più ricostruita.
Nel dopoguerra inizia il lento declino delle attività agricole legato ai mutamenti economici della città. In questo periodo alcuni edifici perdono la loro funzione originaria e diventano semplici depositi.
In ogni caso sino al 1983 la cascina è ancora usata come edificio rurale. In quell’anno il Comune di Milano ne diventa proprietario e gli edifici, a causa dell’assoluta mancanza di manutenzione, nel tempo via via degradano in una condizione pessima.
Da quando la cascina è diventata di proprietà comunale, in più di un decennio sono stati redatti vari progetti di ristrutturazione – quattro – tra i quali quello della realizzazione di biblioteca comunale rionale, e da ultimo, ma non ultimo, nel 1996, è stato proposto dallo studio dell’arch. P. Caputo, su incarico dell’Istituto dei Tumori, il progetto che prevedeva una ipotesi di utilizzazione finalizzata all’insediamento delle seguenti funzioni: biblioteca-emeroteca scientifica, centro di documentazione “epidemiologia”, foresteria per malati itineranti, casa del custode. Il progetto conservava la stalla, la palazzina padronale e la parte rimasta dei granai e prevedeva la demolizione e la ricostruzione delle case dei salariati.
nell’autunno del 1989 la Cascina viene occupata da extracomunitari maghrebini: si arriveranno a contare circa 500 persone in pochi mesi. L’occupazione durerà poco più di un anno e al momento dello sgombero, avvenuto il 26 settembre 1990, le strutture del complesso risultano gravemente danneggiate e le condizioni statiche della casa padronale sembrano definitivamente compromesse.
Il declino della cascina dal 1989 al 1990 viene documentato da due tesi di laurea svolte presso la Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano
La villa padronale del complesso di Cascina Rosa si presentava fino all’89 ancora in buono stato di conservazione e allora avrebbe richiesto solo un adeguato intervento di recupero per ritornare alle sue originali prestazioni. Ma, come detto, fu lasciata alle “cure” di occupanti abusivi che ne determinarono un ulteriore deterioramento.
Solo nel 1996-97 tra l’Istituto dei Tumori e il D.I.S – Politecnico di Milano, responsabile Prof. L. Binda, viene stipulato un contratto per la diagnosi dello stato di fatto dell’edificio della stalla.
Nel gennaio 1988 le condizioni di degrado di questa struttura non si presentavano particolarmente gravi. L’unico danno di una certa importanza era la parziale mancanza del manto di copertura nella falda verso sud del portico interno della corte. In sostituzione dei coppi era stata posizionata una copertura provvisoria realizzata con superfici ondulate prefabbricate. Tale soluzione, non correttamente eseguita, ha portato nel tempo a un progressivo peggioramento dello stato di conservazione di alcuni pilastri, riducendone la loro sezione portante. La presenza degli extracomunitari ha causato gravi danni al paramento murario del fronte sud: sotto il portico infatti erano state erette delle baracche, riutilizzando la copertura provvisoria rimossa dalla sua sede e il vano interno era stato occupato interamente. In seguito allo sgombero e alla rimozione delle baracche, torna alla luce il fronte sud della stalla e vi si scoprono, tra un pilastro e l’altro, passaggi, che collegano il vano interno con il portico. L’unico intervento effettuato dopo lo sgombero è stato il tamponamento di questi passaggi. Durante i lavori si registra il crollo dell’ultimo tratto di copertura del portico sul lato ovest, insieme al crollo dell’ultimo pilastro a ovest del portico.
Tuttavia i danni sono apparsi in tutta la loro drammaticità solo dopo aver confrontato la situazione ancora recuperabile prima dell’occupazione a quella dopo lo sgombero.
Per salvare l’edificio dalla completa distruzione è necessario nel più breve tempo: a) fermare i cedimenti strutturali in corso, bloccando gli spostamenti che causano le lesioni e ricostruendo le connessioni andate perdute tra gli elementi strutturali; uno dei primi interventi in fase di recupero strutturale sarà il consolidamento o la sostituzione delle catene e la sistemazione delle volte; b) risanare l’edificio dall’umidità drenando il terreno, sostituendo interamente la copertura e se necessario inserendo un taglio chimico; c) una volta interrotto il processo di degrado superficiale si può procedere al ripristino delle parti danneggiate attraverso la ristilatura dei giunti di malta e sostituendo i mattoni danneggiati, che risultano essere solo l’11% dell’intera superficie muraria. Per ridare continuità al paramento murario bisogna infatti sostituire almeno i mattoni che presentino un degrado superficiale superiore ai 3 cm e quelli collocati lungo i margini di grosse lesioni.
Poi la storia continuò il suo corso. Nel 2001 l’Orto Botanico Città Studi, sorto sui terreni non edificati ma bonificati della Cascina Rosa, dati in concessione per 99 anni dal Comune di Milano, è stato ufficialmente inaugurato il 19 settembre. “Ha “sostituito” l’orto Botanico Didattico Sperimentale dell’Università degli Studi di Milano di via Colombo.
Il nuovo orto è sotto la direzione del Dipartimento di Bioscienze dell’Università degli Studi di Milano. Accoglie molte tipologie di piante lombarde comprese quelle importate dal Settecento in poi. Con un area di 22.000 m2, è concepito come sostegno alla ricerca e alla didattica ma anche come tentativo di avvicinare un vasto pubblico alla conoscenza del mondo vegetale. Nello specifico è stato realizzato ricostruendo alcuni ambienti tipici della Lombardia, una delle regioni più ricche di specie animali e vegetali. Rappresenta il tentativo di coniugare le attività di un Orto Botanico (conservazione e valorizzazione delle specie vegetali) con la quotidianità di uno spazio pubblico e con la ricerca”.
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