Uno dei termini più pittoreschi del milanese ha un’origine altrettanto curiosa. Vediamo che cosa significa e perchè si definisce in questo modo
Un tempo era usuale sentirsi dire dai nonni: “Va là, balabiòtt!”. Non è esattamente un insulto ma nemmeno un complimento. Per comprendere il suo significato dobbiamo analizzare le due parole da cui è composto: “balla” e “biotto”, cioè balla nudo.
Ci sono due interpretazioni a tale epiteto: la prima vuole associare alla figura del danzatore nudo quella del matto. Fino alla riforma Basaglia infatti, negli anni ’60 i matti nel manicomio venivano lasciati nudi. Secondo questa ipotesi chi ti dava del balabiòtt ti dava quindi del fuori di testa.
La seconda teoria narra che nel 1796, durante le fasi costituenti della Repubblica Cispadana venisse piantato in tutte le città liberate un albero della libertà, un palo addobbato con ghirlande e nastri sormontato da un cappello frigio. Sotto questi alberi la gente, nel cui novero si contavano specialmente scamiciati e straccioni seminudi, ballava a suon di musica. Da qui l’appellativo balabiott.
Balabiott è un termine mutuato dalla lingua lombarda, traducibile in "danza nudo", per definire un guitto (Il termine guitto, genericamente, definisce la condizione di chi vive in maniera misera e sporca. Nel gergo teatrale veniva adoperata un tempo per definire in senso abbastanza dispregiativo un attore di basso livello e poco preparato la cui recitazione era comunque considerata sopra se non, talvolta, fuori le righe). oppure una persona facile a mostrare entusiasmo e sicurezza, ma di scarsa capacità realizzativa e dubbia integrità morale.
L'accezione attualmente utilizzata di balabiott nacque nel 1796, durante le fasi costituenti della Repubblica Cispadana, dopo la conquista dei territori italiani fatta dall'esercito rivoluzionario francese, guidato da Napoleone Bonaparte. In quei mesi di grandi rivolgimenti sociali, come in tutte le città europee liberate dalle istituzioni assolutiste, anche a Milano venne piantato l'albero della libertà, una sorta di palo addobbato con ghirlande e nastri, sormontato da un rosso cappello frigio, simbolo della Rivoluzione francese. Sotto questi "alberi" la gente era invitata a ballare al suono di musiche patriottiche. Si trattava di balli privi di formalità tradizionali, ai quali partecipava soprattutto la fascia di popolazione più umile e indigente, spesso composta da scamiciati e straccioni seminudi. Da cui l'appellativo balabiott.
Altre fonti, più credibilmente, attribuiscono una valenza politica a balabiott, ritenendo sia la versione lombarda di sanculotto, italianizzazione del termine francese sans-culottes, cioè privi di pantaloni portati dall'aristocrazia. In effetti, i balli intorno all'albero della libertà, iniziavano con la celebre danza della Carmagnola, per eseguire la quale venivano spesso scritturati attori di strada, a scopo dimostrativo e di richiamo, vestiti da sanculotti.
All'inizio del XX secolo il termine balabiott fu anche utilizzato dai contadini ticinesi per designare la comunità eterogenea di utopisti/vegetariani/naturisti/teosofi insediatasi sulle pendici del monte Monescia. Tale comunità si ispirava alle teorie di Bakunin, Mühsam (famosi anarchici), Oedenkoven, Ida Hofman e Gräser (socialisti utopici), Franz Hartmann e Pioda (teosofi ed umanisti vegetariani), von Laban (teorico della "riforma della vita"). La comunità degli utopisti del Monte Verità (così venne rinominato il monte), era finanziata soprattutto dalla nobiltà nordeuropea, affascinata dalle teorie che miravano all'elevazione spirituale e fisica dell'uomo, anche attraverso l'espressione artistica dei corpi e la rivoluzione sessuale. Gli abitanti locali, in effetti, osservavano con perplessità, gli atteggiamenti anticonformisti dei membri della comunità del monte e, a causa delle loro stramberie, li avevano sbrigativamente catalogati come stolti.
Ecco perchè la statua di Napoleone venne chiamata così dai milanesi
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