Detto anche Quartiere Arcobaleno, il quartiere dalle Case Giardino.

Milano è esattamente come quella citazione di John Lennon, che poi non è accertato sia veramente sua: «La vita è ciò che accade mentre stai facendo altri progetti». Milano è così: ciò in cui ti imbatti mentre cercavi qualcos’altro. Perciò può capitare che un tardo pomeriggio di fine settembre stiate cercando un locale e la vostra attenzione venga distratta da qualcosa. Una via piccola, senza auto, con fronde erbose che cadono da entrambi i lati. Questa è via Lincoln, un luogo del tutto inaspettato, a un passo da piazza Cinque Giornate e piazza del Tricolore. Andiamo alla scoperta del quartiere arcobaleno.
In fila una dopo l’altra fanno bella mostra di sé una serie di belle villette variopinte, ciascuna con un colore diverso: è il quartiere arcobaleno, come è stato ribattezzato. Dal lilla al giallo, dal verde al celeste. Una via piccolissima, senza automobili, dove tutto si fa silenzioso e quieto (neanche fossimo entrati nel quadrilatero del silenzio!). Queste villette colorate fanno pensare a luoghi ben lontani dall’immagine di Milano, a un piccolo paesino ligure sul mare. E invece si trova a Milano, a un passo da via Sottocorno e dal quadrilatero del cibo. I giardini si sfidano a chi è il più bello e i colori sembrano competere in quanto a vivacità.
La storia del Quartiere Arcobaleno di Milano comincia nel 1879 con la fondazione della Società Edificatrice Abitazioni Operaie (SEAO), una cooperativa operaia dal progetto ambizioso: creare piccole abitazioni a prezzi accessibili, in una sorta di “città ideale” esteticamente piacevole ma soprattutto funzionale per i suoi abitanti. Così, tra il 1884 e il 1892, su di un’area dismessa delle ferrovie di Porta Vittoria nacque un quartiere “idilliaco”, un villaggio a misura d’uomo con orti, villette e giardini. O, almeno, ne nacque un abbozzo: il resto del quartiere non fu mai completato, e via Lincoln è tutto ciò che ne rimane.
Nella seconda metà dell’Ottocento, a Milano si decise di abbattere la stazione ferroviaria di Porta Tosa (sostituita nel frattempo dalla Stazione Centrale). La Società Edificatrice Abitazioni Operaie chiese dunque al Governo la possibilità di acquistare una parte dell’area, ma le fu proposta un’altra soluzione: comperare tutti i suoi 100.000 metri quadri. L’allora presidente della SEAO, Riccardo Pavesi, accettò: si poté così concludere l’affare, versando 270.120 lire.
Non esisteva, all’epoca, il concetto di “casa popolare”: quelle proposte dalle cooperative edilizie erano l’unica soluzione, per acquistare / affittare casa ad un prezzo “calmierato”. L’idea della SEAO era questa: poiché bisognava trovare una soluzione (gli affitti liberi avevano prezzi tali che, agli operai, rimaneva in mano poco o niente), si sarebbero potuti mettere insieme gli affitti che gli operai pagavano per edificare case a buon mercato.
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