La Scala e il Caffè Cova 1841
Vi sono pochi luoghi dell’accoglienza italiani che al pari della Pasticceria Cova di Via Montenapoleone possono vantare un’atmosfera e una storia così ricca di avvenimenti. Oltre duecento anni di vita, nel cuore di Milano e dei milanesi.
Il più famoso, il più bello, il più aristocratico di tutti, è però il Caffè del Giardino, nato nel 1817 per iniziativa di Antonio Cova, ex ufficiale dell’esercito di Napoleone che, preso congedo dalla vita militare, aveva aperto il suo locale nell’edificio all’angolo tra via del Giardino e via S. Giuseppe (oggi rispettivamente Via Manzoni e via Verdi), proprio accanto al Teatro alla Scala. Elegantissimo, nei suoi locali spiccano il banco e gli scaffali di aramè d’Ungheria e frassino con intarsi di noce d’India e le porte decorate finemente (opere tutte del maestro artigiano Paolo Bossi milanese), la bilancia di bronzo che troneggia sul bancone (fusa e cesellata nell’officina di Bartolomeo Greppi).
Le sale sfolgoranti di specchi e lampadari diventano subito ritrovo di letterati, poeti, giornalisti, attori e musicisti, saloni per balli, concerti, giochi, un delizioso giardino e soprattutto un servizio particolarmente accurato fanno la differenza, contribuendo a creare quell’allure di esclusività che permane tutt’ora. Ogni giorno le élite dell’arte, della borghesia e dell’aristocrazia si danno appuntamento al Cova e quando il 3 settembre 1838 ha luogo la memorabile festa da ballo in onore dell’Imperatore Ferdinando e consorte, si sancisce la definitiva consacrazione. Al caffè di piazza della Scala si va per chiacchierare, ma anche per assistere a spettacoli di artisti famosi, che si esibiscono prima di salire sul palco della Scala, suonano bande operistiche e si balla il valzer e la polka.
Nel 1848, al Caffè Cova, come ben presto si prende a chiamarlo, si discutesse della cacciata degli Austriaci dalla città, anche se forse in maniera meno scoperta di quanto si faccia altrove.
Perfino Mazzini ha frequentato il Cova e non è difficile immaginarsi giornate in cui i rivoluzionari cospiravano stando bene attenti a non farsi sentire dai soldati austriaci che pure frequentavano il Caffè.
Anche Antonio Cova fa il tifo per i Milanesi: durante la quarta della Cinque Giornate, una palla di fucile gli spezzò una specchiera, ma egli non volle sostituirla e anzi la conservò gelosamente come cimelio, e vi fece aggiungere poco dopo la scritta Marzo 1848.
Quando la tensione raggiunge il culmine c’è Antonio Cova a guidare i rivoltosi e a erigere davanti allo storico caffè, utilizzando i banchi della Scala, una delle 1700 barricate delle Cinque Giornate di Milano. Tra i primati del Cova c’è anche l’esclusivo diritto di battere moneta, rilasciato dalla Zecca di Stato nel 1868, anno in cui la mancanza di denaro circolante autorizzerà il gestore dell’epoca Chierichetti a coniare monete da un soldo e due soldi con la scritta Caffè Cova Milano.

La clientela del Cova proviene sempre dalle fila delle élite, anche se non necessariamente e non solo dall’aristocrazia del sangue, quanto piuttosto da un ceto composito, dove ai nobili, si mescolano grandi borghesi, intellettuali e imprenditori. La borghesia, del resto, lungo l’Ottocento, entra a pieno titolo a far parte delle classi dirigenti e imprime il segno della sua presenza e del suo stile anche nel tono e nelle forme della sociabilità. Conti, marchesi siedono dunque accanto a letterati, imprenditori e uomini del governo cittadino, tutti ammessi ora negli stessi circoli.A fianco della storia politicamente impegnata, e intrecciandosi con essa, si svolge quella mondana fatta di vip, delle loro tresche segrete e del loro ozio, rendendo il caffè un vero e proprio palcoscenico conteso da questa generosa fetta di società ottocentesca. Fu proprio al Cova, ad esempio, che avvenne il primo incontro tra Eleonora Duse e Arrigo Boito, durante una cena alla quale era presente anche Giovanni Verga.
Quando, pochi anni dopo nel 1890, una grande tela dell’artista Romano Di Massa ritrae Giuseppe Verdi al Cova, accanto a Puccini, Mascagni, Leoncavallo, Catalani e Toscanini, è il caffè più lussuoso della città e si entra indossando il cilindro per toglierselo subito dopo, mentre si alternano le gestioni sempre di rilievo, che portano lustro agli splendidi saloni dove avviene l’incontro tra Arrigo Boito ed Eleonora Duse, che accenderà una passione rimasta a lungo celata.
Intorno al 1910 Cova assume la gestione della caffetteria interna alla Scala e si effettuano importanti lavori che trasformano il giardino in un ampio salone. Nel luglio del 1918, ricoverato dopo il grave ferimento sul Fronte del Piave, arriva Ernest Hemingway. Mentre è convalescente si innamora dell’infermiera Agnes von Kurowsky, con lei e i commilitoni conoscerà Milano e i suoi luoghi d’incontro: “E’ la città più moderna e vivace d’Europa” scriverà alla madre “dalla veranda dell’ospedale riesco a vedere la sommità della cattedrale del Duomo. È molto bella. Come se contenesse una grande foresta”. Dalle esperienze italiane lo scrittore trarrà ispirazione per il libro Addio alle armi, descrivendo la Guerra e il Fronte, raccontando la storia d’amore con Catherine Barkley ambientata nel centro di Milano, tra l’ippodromo, la Galleria, i ristoranti, soffermandosi al Caffè Cova in due occasioni. Sognerà di andare a cena con la bella Catherine:
“Mi sarebbe piaciuto mangiare al Cova e poi scender per via Manzoni nella sera calda e attraversare e girare lungo il Naviglio…”. E qualche pagina dopo acquisterà un pensiero per lei, non rinunciando a un drink: “Dentro il Cova comprai una scatola di cioccolatini e mentre la ragazza li incartava andai al bar…Bevvi un Martini liscio…”.
Nel 1950 Cova lascia la sede storica, danneggiata dai bombardamenti che colpirono anche il Teatro alla Scala, Vittorio Langer gestore di allora, vede lungo e decide di spostare la sede del caffè a Palazzo Marliani, in via Montenapoleone angolo via Sant’Andrea. Il Cova non perse comunque la sua identità: negli anni Sessanta il caffè era frequentato da industriali, editori e giornalisti. Negli anni ’60 al Cova, passano tutti, da Marlene Dietrich a Josephine Baker da Maria Callas, a Wally Toscanini, da Lucia Bosè a Elsa Martinelli, e si vedono artisti del calibro di Lucio Fontana, Arnaldo Pomodoro, Lucio del Pezzo ed Enrico Baj, mentre nasce il Quadrilatero della moda. Nel 1988 arriva Mario Faccioli a rilevare l’insegna milanese apportando innovazioni ed entusiasmo nel solco della tradizione, una gestione attenta che esprime personalità e pone al primo posto la pasticceria sopraffina, i piatti gourmet, l’aperitivo e naturalmente il caffè di qualità, con la pregiata miscela Cova, costituita da sette varietà di pura Arabica dal Centro America e dal Brasile tostate separatamente ad aria calda e solo successivamente miscelate, lasciando riposare i chicchi almeno un mese. Un ingrediente fondamentale, che insieme alla capacità di accogliere dei Faccioli, contribuisce al successo dell’insegna milanese: al Cova se ne consumano 36 tonnellate all’anno, senza dimenticare il cappuccino, altra eccellenza del locale, ritenuto da Lina Sotis il più buono d’Italia e nato negli anni ’70 “non con caffè e latte ma con caffè e panna di latte”. Ai tavolini si siedono il Angelo Rizzoli, Valentino Bompiani, Angelo Moratti, la famiglia Falck, Gigi Rizzi insieme alla Bardot, i fotografi David Bailey, Richard Avedon, Giovanni Gastel, il regista Carmelo Bene, lo scrittore Alberto Moravia, insieme a tanti altri. Un legame con la letteratura e gli scrittori che il Cova manterrà sempre, ospitando presentazioni di libri ed eventi, come la mostra itinerante “Inchiostri d’autore a caffè”, lettere e documenti autografi dei più grandi scrittori e poeti del ‘900 italiano, che partendo dal Cova di Milano proseguirà in nove caffè storici della penisola, dal San Marco di Trieste al Gambrinus di Napoli. Ma anche e soprattutto una meta meneghina dell’alta pasticceria dove nascono piccoli capolavori come la Sacher di Cova, la Torta Croccante di frutta, la Coppa Cova, il Montebianco, insieme all’impareggiabile panettone e alle stupende vetrine allestite a tema a seconda dei momenti dell’anno, attese al pari della ricorrenza stessa: “Regola numero uno: nessun semilavorato. Tutto originale. Tutto artigianale. Tutto eccellente. Tutto autentico. L’impasto delle brioche, delle francesi senza uovo, del pan di spagna, della sfoglia, della frolla e di tutte le altre basi parte da zero. E poi la bravura delle mani” racconta Daniela Faccioli.
Nel 1993 il Cova sbarca a Hong Kong e negli anni successivi arriva a Shanghai, Montecarlo, Dubai, Tokyo, portando all’estero l’inconfondibile stile Cova, insieme a “sobrietà, tenacia, rispetto, educazione al lavoro, amore per la tradizione e ricerca del nuovo. Valori che ci ha insegnato nostro padre…” ci conferma Paola Faccioli. Nel 2013, lo storico brand viene acquisito dal gruppo LVMH Louis Vuitton Moët Hennessy, ma proseguono nella conduzione le sorelle Faccioli e nel 2017 si decide un importante ristrutturazione conservativa, realizzata con la cura che si deve a un monumento dell’ospitalità e a tutto ciò che la storica insegna rappresenta, riconfermando quel patto di tutela stretto anni prima con la città. Il restyling di uno dei musei dell’ospitalità milanese si è compiuto con grazia e deferenza, ma senza rinunciare a ciò che serve per le sfide che attendono: “Prima di tutto, mantenendo freschezza pur salvaguardando continuità, conservazione dello stile e dei codici architettonici originali” raccontano Paola e Daniela “Una particolare attenzione è stata dedicata agli elementi decorativi caratteristici, come lo storico pavimento di seminato all’ingresso, il parquet preso dal locale originale, gli specchi, i divani in velluto e gli originali lampadari di cristallo. La cucina è stata completamente rinnovata in linea con i più recenti standard tecnologici, in modo da creare un incontro tra tradizione e innovazione. Inoltre, il restyling ha consentito un’estensione di circa 30 mq su Via Sant’Andrea e l’uso esclusivo di una parte dell’ampio e prestigioso cortile interno progettato alla fine del XVII secolo dal famoso architetto neoclassico Giuseppe Piermarini, che progettò anche il Teatro alla Scala di Milano”.
Insignito del titolo di “bottega storica” dal Comune di Milano tra il 2007 e il 2008Sebbene questa piega internazionale possa far pensare ad un cambio radicale del caffè, essa si allinea perfettamente con la sua indole, sempre estroversa e rivolta ad un pubblico ampio e di un certo tipo.
Internazionale, in fondo, il Cova lo è sempre stato, tanto da finire nelle immortali opere di Hemingway (e non solo) che negli ultimi anni della Grande Guerra fu autista di ambulanza volontario della Croce Rossa americana proprio a Milano. Questa esperienza è stata in gran parte trasferita in “Addio alle armi”, romanzo ambientato a Milano: sullo sfondo della Prima guerra mondiale, Hemingway racconta la storia d’amore proprio tra un guidatore di ambulanze americano e un’infermiera inglese. E il Cova viene spesso citato: proprio lì, Frederic compra dei cioccolatini da portare in ospedale a Catherine e proprio lì vorrebbe portarla a cena prima di trascorrere la notte con lei…
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